Le discepole dell'eros
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Le discepole dell'eros - Manuela Caviglia
Manuela Caviglia
LE DISCEPOLE DELL’EROS
Prima Edizione Ebook 2019 © R come Romance
ISBN: 9788893471084
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Paolo Ferrari 51/c
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
alla Dottoressa Mereu
che ha cambiato la mia vita…
Manuela Caviglia
LE DISCEPOLE DELL’EROS
Romanzo
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
Ringraziamenti
Catalogo
I
Un buon lettore è raro quanto un bravo scrittore.
(J.L. Borges)
Noi siamo una confraternita antica, molto spesso sottintesa e altrettanto spesso non riconosciuta.
Non abbiamo un nome, o meglio ce lo siamo date in questi ultimi anni visto che i tempi sono decisamente favorevoli per uscire allo scoperto... o quasi.
La nostra origine è antica, parte dal risveglio primario dei sensi, quello dove non vi erano regole, il signore Tempo non era ancora comparso e noi, anime immortali, viaggiavamo libere e felici.
Poi si sa, la libertà, foriera di tentazioni, e la troppa felicità, origine della mancanza di stimoli, fecero nascere in noi il concetto di ciò che ci mancava, premessa necessaria al sorgere del desiderio.
Ed eccoci a desiderare smodatamente di sperimentare la materia grossolana di cui la natura pareva godere, ed eccoci a rivestirci di corpi mortali per poter sopravvivere al signor Tempo.
Tutto il resto, più o meno, è storia, sebbene con diverse versioni e nomi, divinità e divieti, ere geologiche ed epoche storiche.
Noi siamo passate attraverso millenni e secoli, viaggiatrici inconsapevoli finché la nostra evoluzione ha portato a riconoscerci reciprocamente e oggi siamo qui a insegnare e tramandare questa atavica scienza che altro non è che la ricerca dell'Eros.
Ti racconterò della mia vita per far sì che tu capisca come operiamo e come, in fondo, la chiave del benessere non sia poi così irraggiungibile.
Ti avverto, il nostro non è un sentiero facile, anzi direi che è il più arduo, perché, al contrario di ciò che si pensa, ove regna la libertà e in assenza di leggi il libero arbitrio è il Signore del mondo, con tutte le conseguenze del caso, e occorre un'estrema saggezza per non esserne travolti.
Che ci faccio qui, nel seminterrato di questo centro commerciale, a scrivere su un taccuino da viaggio, sentendomi un po’ Chatwin, con una matita Ikea per fissare su carta cinque anni di rivoluzione? Seduta in una macchina, ormai la mia seconda casa, scrivo... scrivo perché a questo punto della mia vita, tra i trenta e i quaranta, penso che potrebbe servire a te lettore per non fare i miei stessi errori, o magari per lasciarteli fare con la speranza, però, che ti rendano migliore.
Sono qui a scrivere e a dedicare tutto questo al mio passato, a ciò che non sono più e a ciò che sono ancora.
Sono qui che sto aspettando chi, anni fa, mi ha cambiato la vita e mi ha resa complice, amante, amica.
Dicono che le rivoluzioni personali seguano i cicli di Saturno: diciotto, trentasei, ecc ecc…
Io le ho fatte tutte, quindi me ne intendo.
Cinque anni fa ero una brillante attuaria e responsabile full time del personale nella più grande azienda assicurativa di Genova; se penso a quanto spendevo in vestiti e orpelli, mi sarei comprata il Burkina Faso e tutti i figli di Angelina Jolie. Ora lavoro quando ne ho la necessità; per il resto, vivo.
Sono nata nel 1982, anno pari secondo l'I Ching, il grande libro cinese dei mutamenti, secondo il quale sono una Yang mobile, una linea spezzata, aperta e sollecita, calma e ricettiva.
In superficie affascinante, riservata ed elegante. Ma sotto questa calma esteriore c'è un cuore palpitante.
Insomma, una donna complicata e come tale incline a procedere a tentoni, modificando l'approccio per adattarsi all'umore, badando a ottenere qualsiasi cosa che le stia a cuore, considerando alla fine le molte soddisfazioni come meriti.
Arrivo da una famiglia che all’apparenza sembra quella della Barilla; manca il mulino, ma credo che mio padre, in una delle sue speculazioni immobiliari, se lo sia pure comprato.
Sono cresciuta tra agi e competitività, migliori scuole, ma tutte statali.
I miei erano convinti sostenitori radical chic dell'integrazione e mia madre, tra un bridge e una pinnacola, invitava per merenda anche i figli dei suoi operai, i quali ovviamente si facevano sempre prendere da me quando si giocava a nascondino, manco ne andasse del futuro dei loro genitori a fare uno sgarro alla sottoscritta.
Sottoscritta che, avendo avuto pure l'ardire di nascere sotto il segno dello Scorpione, era di una bastardaggine infinita.
Sono riuscita a laurearmi senza finire fuori corso, naturalmente in economia e commercio, ho sperimentato le droghe senza finirne schiava e mi sono ritrovata fidanzata con il più buon partito di Genova.
Edoardo è il figlio di una famiglia genovese di banchieri, proprio quelli che servivano a mio padre per la liquidità necessaria ai suoi affari.
Prima di laurearmi lavoravo già nell'azienda di famiglia, seguita dall'occhio adorante di mio padre.
Mi vedo ancora ad arrivare in ufficio alle 7:00, dove un ininterrotto flusso di telefonate mi accompagnava fino a sera. Una scrivania stile impero, un matrimonio a 29 anni e il cambio di lavoro per dimostrare a me stessa di saper volare anche lontano dalle ali di papà.
Come direttrice del personale della più grande azienda assicurativa d'Italia ero una tagliatrice di teste fenomenale, implacabile per efficienza e massacri durante i colloqui, anche se la mia vera vocazione era fare l'attuario per prevedere, ponderare, estrapolare dati e polizze in grado di migliorare gli utili e la solidità dell'azienda.
In quattro anni ai vertici dell'azienda ho realizzato notevoli risultati, chissà se mi rimpiangono...
Una vita in ascesa, una villa sui colli bolognesi, una villa sulle colline di Genova vicino ai parchi di Nervi, dove andavo a fare jogging la domenica mattina mentre Edoardo al porto si occupava del suo yacht.
Mi piaceva l'aria fresca, gli scoiattoli che saltavano da una parte all'altra mentre in lontananza arrivavano il rumore e il profumo del mare.
Della vita da manager ricordo piacevolmente il potere, quel potere che ti fa sentire onnipotente specie quando hai la vita degli altri in mano.
Erano gli anni dei costruttori immobiliari, dei furbetti del quartierino e noi lassù, a cavallo dell'onda.
Come surfisti pareva che la pacchia non finisse mai, vedevo mio marito alla sera quando sia lui che io finivamo di lavorare.
Naturalmente c'erano spesso riunioni serali e giornate intere passate senza vederci.
Non lo amavo, no. Era ciò che credevo di dover fare, era sufficientemente bello, intelligente e brevettato nel sistema in cui gravitavo, mi sembrava il miglior marito possibile.
Il sesso ovviamente tra noi era modello standard
; non è che fosse stato il primo, anzi, precedentemente mi ero data parecchio da fare, ma è un po’ come quando giochi con una macchinina elettrica da bambino e poi ti ritrovi a guidarne una vera.
Cambia tutto, devi gestirla in modo responsabile se non vuoi distruggerla e tutto diventa serio e professionale.
Ecco, così era il sesso tra noi, un lavoro. In quanto tale lo prendevo come un impegno e cadenzatamente lui si prestava a eseguire i suoi doveri.
Col senno di poi, ora non faccio altro che ridere a ricordarmi certi particolari, ma questa è tutta un'altra storia.
Il bello della vita da manager sono anche le vacanze; sì perché in fondo puoi lavorare quanto vuoi, ogni weekend andare via e continuare a guadagnare, ben sapendo che chi lavora al posto tuo è talmente terrorizzato dalla tua assenza che si comporta come se tu fossi presente e al rientro in azienda tutto procede come se non ti fossi mai assentata.
Mio marito amava il mare, forse perché gli permetteva di togliersi giacca e cravatta e allo stesso tempo di non perdere l'aria da jet set. I nostri amici erano come lui e, a quel tempo, anche come me.
Un'aria di amicizia, di coercizione sociale ci aggregava come api di una stessa arnia.
Fu a una cena, una calda sera di luglio, mentre veleggiavamo al largo di Capraia, che per la prima volta percepii una strana sensazione.
Nacque come un brufolo, insolente e fastidioso, pronto a ricordarti che tu, corpo scolpito da palestra e integratori, sei un contenitore di tossine.
Avevamo assunto una skipper molto conosciuta per veleggiare nel Mediterraneo: oltre ad avere padronanza con la nautica era anche una cuoca eccellente e impeccabile come servizio e presenza.
Si chiamava Martina, abbronzatissima e di una bellezza antica, scolpita da anni di mare. Ogni tanto mi soffermavo a guardarla, i muscoli torniti e la pelle asciutta e abbronzata, uno sguardo attento e fugace, sempre discreto e ineffabile.
Il suo sguardo sembrava parlare e io, da direttrice del personale, individuo subito chi ho davanti. Martina era però un enigma, da un lato sembrava platealmente concentrata sul suo lavoro, dall'altro non perdeva mai di vista nulla di ciò che accadeva a bordo.
Quel giorno stavamo organizzando una cena quando lei propose un menù etnico, facendo riferimento a non ben dettagliati viaggi in un passato marinaio. Accettammo tutti entusiasti, tranne Lavinia, moglie del migliore amico di Edoardo, la quale esordì :
«Dio, come non sopporto la maleducazione e l'invadenza, figurati se tollero un piatto etnico che arriva da chi sta rovinando il nostro modo di vivere!»
Alzai gli occhi dal mio libro e incrociai lo sguardo di Martina, fiero e orgoglioso di qualcosa di antico ma che sul momento non riuscii a decifrare.
«Nessun problema signora, possiamo optare per aragosta e verdure in pinzimonio» asserì sorniona.
«Ottimo Martina, tu sai sempre cosa fare.»
Martina mi guardò e in quel momento percepii l'ingiustificato desiderio di far parte anch'io di quella maleducazione che Lavinia aborriva. Dopodiché, sparita la skipper in cucina, mi rifugiai nel mio libro.
Non riuscivo però a smettere di pensare all'etnicità che avevo percepito in questa ragazza di circa trent'anni, ai suoi sguardi carichi di parole non dette e all'antica flemma e saggezza che emanavano dalla sua persona.
Quella sera, davanti a uno dei tramonti più belli del Mediterraneo, era seduta in coperta con noi quattro a chiacchierare aspettando la cena, obbediente e imperscrutabile. Lavinia, moglie frustrata di un amministratore delegato molto conosciuto nell'ambiente dei motori, era nota per i costi esorbitanti dei suoi shopping tour nonché per la passione del marito nei riguardi di numerosi biondini nordici.
Passione che Lavinia, ignara, riversava invece sul cibo e mentre io, con aria assente, tentavo di ascoltarla, aveva già attaccato la seconda aragosta.
«Che ne dici, cara, se domani si attracca ad Alassio per una puntatina dai nostri amici Blumberg?»
Il cara è d'obbligo naturalmente, ma dell'accezione affettuosa non ha nulla, visto che per Lavinia è un intercalare proveniente dalle sue origini nella nobiltà ottocentesca lombarda.
Alzai nuovamente lo sguardo verso mio marito
«Be’— masticai — Edoardo ha ancora giorni liberi, quindi si può fare, che ne dici Edo?»
Lui, emergendo come un naufrago dalla lettura del Sole 24 Ore, rispose esattamente come prevedevo.
«Perché no...»
Ma il perché no
chi diamine lo ha inventato? È la genialata del secolo, il modo per non prendersi mai la responsabilità di decidere del tuo tempo e mai e poi mai di quello degli altri.
Edoardo era così, anche lui creato per proseguire i sogni dinastici della famiglia, tentava di fare le cose più opportune per sostenere la parte che il fato gli aveva assegnato. Aveva trovato mille frasi per dire tutto e niente e la sua risposta, quella sera, non fece eccezione.
Quindi tutto fu deciso dalla seconda aragosta.
Non fece eccezione Sergio, il marito di Lavinia, il quale assentì: «Ottimo, scendo per mettermi d'accordo con Martina per domani.»
Quando Sergio si alzò, non potei fare a meno di osservarlo: il suo fisico era ancora asciutto per i suoi cinquant'anni. Saranno le palestre con i biondini, pensai, la stempiatura resa accettabile da un taglio molto corto e l'aspetto brunito di chi al mare dà del tu.
Perennemente vestito di bianco in barca, sparì per consultare inutili carte di navigazione seguito da Edoardo che,