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Il sogno dei morti
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Il sogno dei morti

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Il sogno dei morti: Giorgio Fabiani è un padre di famiglia, rappresentante di commercio e killer professionista. Vive a Genova, in via Ambrosini 10. Sergio Luzzetti è un dirigente di successo, con una relazione di troppo e un figlio autistico. Anche lui vive a Genova, in via Ambrosini 10. Giorgio e Sergio vivono nella stessa villetta, ma non si sono mai incontrati. Un tempo diverso? O forse una differente dimensione? Ma esiste un luogo, fuori dal tempo, in cui l'oscuro Erebo controlla la vita, la morte e i sogni delle persone. Mentre le loro storie e la Storia si intrecciano e gli anni '70 delle Brigate Rosse si mischiano al nuovo millennio, il Commissario Intelmi scoprirà una scia di omicidi lasciata da una misteriosa Organizzazione.
LanguageItaliano
Release dateJun 30, 2019
ISBN9788830605282
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    Il sogno dei morti - Mario Torti

    Prologo

    Fuori dal tempo

    Nel luogo dove sono, io sogno. I miei sogni altro non sono che il film della mia vita trascorsa, con tutte le cose giuste e le cose sbagliate che ho compiuto, in un riciclo infinito, senza tempo.

    Ma una Voce interviene nel mio sogno. E mi dice che sono stato scelto insieme ad altri per compiere azioni che ridiano speranza alla parte sana del genere umano, sfiduciata e impotente di fronte all’ingiustizia. Che rendano cioè consapevoli gli uomini che la giustizia, da qualche parte, esiste. Ma la scelta ricaduta su di me non è un premio, è una missione. Sono stato scelto perché nella mia vita ho seguito degli ideali, giusti o sbagliati che fossero, e li ho sempre difesi fedelmente, in una mia logica di giustizia.

    La Voce mi dice che la giustizia è un principio che dovrebbe essere proprio di ogni essere umano. Ma così spesso non è.

    Gli uomini tendono a ingannarla, a evitarla, a disconoscerla. Così come avvelenano e distruggono l’ambiente che li circonda e che nutre il loro corpo, così tendono a ignorare i principi elementari e naturali della giustizia e dell’onestà, che dovrebbero nutrire la loro anima.

    E così la Voce ha deciso di intervenire pur nel rispetto, ancora una volta, del principio di autodeterminazione degli uomini, prima che l’ingiustizia diventi definitivamente la regola che governa la società, auspicando il tempestivo ravvedimento del genere umano.

    E forse, con il Suo intervento, la regola che sta malignamente tentando di assumere il governo della società non prevarrà.

    Se così non fosse la Voce dovrà nuovamente intervenire, e questa volta senza remore e senza rispetto. E senza di me.

    Capitolo 1

    maggio 2000

    L’uomo camminava a passo svelto verso il parcheggio pubblico sotterraneo. L’aria limpida odorava di mare e di sale; dopo giorni e giorni di pioggia e forte vento, quella appena trascorsa era stata una giornata splendida, come spesso Genova sa regalare a maggio. Sole abbagliante, poco vento, mare fermo, né caldo né freddo. Una giornata che gli Inglesi, abituati al loro malinconico clima, avrebbero definito ‘a glorious day’.

    Ora che la sera aveva preso il sopravvento sul pomeriggio e le ombre stavano calando sui profili del porto antico, si era alzata una brezza fresca proveniente dai monti che aveva suggerito all’uomo di chiudere la cerniera del giubbotto di pelle che indossava. Passò sotto un arco in pietra e giunse nella piazza del parcheggio sotterraneo; gli venne in mente una canzone di Gino Paoli che ad un certo punto recitava: sulla strada che va al porto dopo l’arco c’è una piazza…. Forse si riferiva proprio al luogo in cui stava passando.

    Ripensò agli avvenimenti della giornata, soprattutto all’ultimo. La telefonata dal Ministero degli Interni che lo convocava a Roma per l’indomani mattina con l’incartamento sulla società Veicoli Industriali Spa di Milano. La procedura d’urgenza per la quale avrebbe trovato la carta d’imbarco del volo al banco del check-in dell’aeroporto ligure. L’esplicita richiesta, che non solo gli era parsa inutile e inusuale ma anche superflua, di non parlarne con nessuno.

    Una perdita di tempo, quell’indagine. Non avrebbe portato da nessuna parte, almeno questo dicevano gli accertamenti svolti fino a quel momento, e non era neanche di una pur minima utilità per quelli che erano i suoi interessi privati. Ma tant’è, doveva obbedire agli ordini.

    Anche domani, sveglia presto e rientro sul tardi, pensò.

    Entrò nel parcheggio pubblico dove abitualmente posteggiava la sua auto. Mare, sole, vento e niente parcheggi comodi, considerò, riferendosi alla città di Genova.

    Fece scattare la serratura dell’auto col telecomando nel momento in cui gli arrivò alle spalle una voce: «Ispettore Saveri». Non era una domanda, era una affermazione. E nella parola Ispettore aveva colto una sottile nota di minaccia.

    Troppo esperto per non percepire gli estremi dell’agguato e consapevole del fatto che prima o poi doveva accadere,

    l’Ispettore di Polizia Enzo Saveri tentò una mossa disperata. La voce proveniva da dietro spostata sulla sua destra: la sua mano destra era ancora occupata dal telecomando dell’auto. Tentò quindi, con un unico movimento fluido, di lasciar cadere il telecomando, abbassare la cerniera del giubbotto ed estrarre la pistola d’ordinanza che portava sotto l’ascella sinistra.

    Non riuscì a completare l’improbabile operazione. Mentre si girava con la mano sul calcio della pistola fu colpito alla spalla destra, ma non sentì il rumore dello sparo. Silenziatore, pensò. La mano destra ebbe uno spasmo per il dolore e perse il contatto con la pistola.

    Tentò comunque di completare il giro su se stesso almeno per vedere in faccia quello che, ne era sicuro, sarebbe stato il suo assassino. Non ci riuscì; il secondo proiettile fu più generoso del primo: gli trapassò la tempia destra per fuoriuscire dall’altra parte della scatola cranica.

    Giorgio Fabiani lo guardò cadere. Si girò per l’ennesima volta a controllare l’ambiente, completamente deserto.

    Nessuno aveva visto né sentito. D’altra parte, alle 20:30 a Genova chi doveva rientrare a casa l’aveva già fatto da tempo e i pochi che dovevano uscire per una serata fuori casa l’avrebbero fatto più tardi. Le due telecamere che aveva individuato nel parcheggio le aveva messe fuori uso mezz’ora prima dell’agguato e nessuno era intervenuto. Come al solito, le informazioni che l’Organizzazione gli aveva passato tramite il suo contatto erano perfette. Svitò con la mano sinistra il silenziatore e ripose pistola e silenziatore in due tasche diverse dell’elegante soprabito leggero che indossava. Raccolse da terra la piccola borsa ventiquattrore che Saveri stringeva nella mano sinistra, senza aprirla. Sapeva cosa conteneva.

    Uscì dal parcheggio a passo lento ed entrò in un vicolo buio, tipico del centro storico di Genova, dove aveva già accertato l’assenza di telecamere. Secondo prassi consolidata, gettò la pistola in un tombino che aveva precedentemente avuto cura di smuovere e il silenziatore in un cestino dei rifiuti poco lontano. Dei guanti usa e getta se ne sarebbe disfatto più tardi. Della borsa se ne disfece cinquecento metri dopo, al primo grande cassonetto dei rifiuti che incontrò. Estrasse l’incartamento sulla Veicoli Industriali spa, si accertò che la borsa non contenesse altro, ruppe la sottile maniglia e la gettò.

    Camminò per circa mezz’ora fino a raggiungere l’auto, una Range Rover nera, parcheggiata lungo un’elegante strada residenziale sul mare. Salì e respirò profondamente. Non gli piaceva più quello che faceva, ma non aveva scelta, perché la sua scelta l’aveva fatta più di venti anni prima, e si trattava di una strada senza ritorno.

    Mors tua, vita mea, pensò con tristezza. Gli scappò un amaro sorriso. Almeno questa volta ho giocato in casa.

    Avviò il motore e si diresse verso casa sua, situata sulle alture della Genova di Levante. La famiglia lo aspettava per festeggiare il suo compleanno.

    Era il 26 maggio dell’anno 2000.

    Capitolo 2

    maggio 2000

    Sergio Luzzetti guardò l’orologio, si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi. Erano le 20:30 ed era in ufficio. Si alzò dalla comoda poltrona dirigenziale, sbadigliò, si stiracchiò per attenuare il leggero mal di schiena che da tempo lo affliggeva e andò in corridoio. Guardò a destra e a sinistra ma non vide nessuno, tranne gli incaricati delle pulizie al lavoro. La porta dell’ufficio dell’Amministratore Delegato era aperta, le luci accese ma la scrivania era vuota, segno che anche lui probabilmente per quel giorno aveva ceduto le armi. Sentì dei passi leggeri arrivare dal corridoio alla sua destra. Era la segretaria del Presidente.

    «Buonasera, Luisa. Il Presidente c’è ancora?» chiese Luzzetti, ben sapendo che la regola basilare delle segretarie dei top manager è quella di arrivare prima dei loro capi e di andarsene dopo.

    «No, Dottor Luzzetti, non c’è stato per tutto il giorno. É a Roma, in abi».

    «Santo Dio, e lei non ne approfitta per uscire un po’ prima, una volta tanto?» chiese con tono scherzoso.

    «Giuro che l’avrei fatto, ma oggi mi ha telefonato almeno una decina di volte perché gli preparassi per domani non so più quante relazioni e quante statistiche».

    «Mi sta dicendo che per questa volta me lo sono scampata, visto che lei oggi non mi ha chiesto alcuno stato avanzamento lavori o cose del genere?»

    «Sì, Dottor Luzzetti, oggi le è andata bene. Buonasera, anzi, ormai buonanotte».

    «Buonanotte, Luisa».

    Ecco perché anche l’Amministratore Delegato se n’è già andato. Insomma, per oggi ho vinto il titolo di scemo della compagnia. É ora che me ne vada anch’io, pensò.

    La giornata era stata piena di grane e poco produttiva. Ripensò alla massa di incombenze organizzative, obbligatorie o meno, che gravavano sulla banca e ai relativi tempi di realizzazione, e fu preso da un leggero senso di sconforto. Leggero, perché sapeva bene che in un modo o nell’altro sarebbe riuscito a far fronte a tutti gli impegni che facevano capo al suo ruolo.

    Era Vice Direttore Generale e responsabile dei servizi Organizzazione, Sistemi informativi e Back Office della Banca del Ponente, una piccola banca privata di Genova le cui origini risalivano a svariati secoli precedenti ma il cui orizzonte proprietario era incerto, in un

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