Impetuoso
By Nina Levine
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About this ebook
Scott Cole è una forza della natura. In quanto Vicepresidente dello Storm Motorcycle Club, svolge i suoi doveri con una spietata determinazione. Vive la sua vita inseguendo un obiettivo ben preciso: proteggere il suo club e la sua famiglia.
È impetuoso.
È leale.
È intenso.
Non regala il suo amore facilmente, ma, quando lo fa, ama intensamente. Tuttavia, sistemarsi non è mai stato parte dei suoi piani.
***
Harlow James è una cowgirl che non ha mai visto un motociclista in vita sua e che ha chiuso con gli uomini. In base alla sua esperienza, l’unica cosa che sanno fare è mentire, tradire o rubare. Quando incontra Scott Cole, capisce subito che il suo cuore rischierà di soffrire.
È sicuro di sé.
È sexy.
È dispotico.
Harlow sa che deve combattere la sempre più forte attrazione nei confronti di quest’uomo così complesso, se vuole proteggere il suo cuore. Quando i loro due mondi si scontrano e il pericolo incombe, il desidero di Scott di proteggere coloro che ama entra in gioco e Harlow si rende conto che, forse, potrebbe aver incontrato un qualcuno per cui vale la pena rischiare.
Secondo libro della Storm MC Series dell’autrice Nina Levine, USA Today Bestselling.
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Book preview
Impetuoso - Nina Levine
Nina Levine
USA Today Bestselling Author
Impetuoso
Storm MC Serie Vol. 2
1Titolo: Impetuoso - Storm MC Serie Vol. 2
Autrice: Nina Levine
Copyright © 2019 Hope Edizioni
Copyright © 2014 Nina Levine
ISBN: 9788855310727
www.hopeedizioni.it
info@hopeedizioni.it
Progetto grafico di copertina: FranLu
Immagini su licenza Bigstock.com
Immagini su licenza Bigstockphoto.com
Fotografo: VIntn | Cod. immagine: 15081701
Fotografo: Svyatoslava Wisky | Cod. immagine: 108765419
Fotografo: Sandra Fotodesign | Cod. immagine: 186059353
Traduttrice: Cecilia Belletti
Editing: Barbara Graneris
Impaginazione digitale: Cristina Ciani
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale.
Nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o introdotta in un sistema di ricerca, o trasmessa in qualunque forma e con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro) senza previa autorizzazione scritta dal detentore del copyright del presente libro.
Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.
Tutti i diritti riservati.
Prima edizione agosto 2019
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Scena bonus 1
Scena bonus 2
Ringraziamenti
Biografia
Hope edizioni
Impetuoso è dedicato alla mia famiglia.
Famiglia non sono solo coloro con cui condividiamo il sangue.
Vi amo tutti.
Capitolo 1
1SCOTT
Spensi il motore della moto e mi tolsi il casco, e la mia attenzione venne subito catturata da Madison e da nostro padre, impegnati in un’accesa discussione. Entrambi sembravano aver superato il punto di non ritorno, e lei gli puntava il dito contro il petto. Forse era arrivato il momento di intervenire: scesi dalla moto e mi incamminai verso di loro, all’entrata del club. Madison mi dava le spalle e non mi vide arrivare, ma mio padre sì e sollevò il mento nella mia direzione.
«Scott» mi salutò, senza sorriso.
Madison si zittì e si voltò veloce, gli occhi arrabbiati ridotti a due fessure mentre si posavano su di me. «Dov’è J? Pensavo fosse con te» disse.
«È all’Indigo a sistemare un paio di questioni. Che succede qui?»
Fece per rispondermi con lo sguardo ancora furente, ma nostro padre la interruppe.
«Ho chiesto a Madison di venire a cena a casa stasera, ma ha rifiutato. Dato che J è tornato ieri ho pensato che fosse il momento di riunirci tutti insieme e cominciare ad affrontare questa situazione del cazzo. Dovresti venire anche tu.» Invece di apparire arrabbiato, sembrava più che altro rassegnato.
«Questa situazione del cazzo l’hai creata tu» gli ricordai. «Il giorno in cui non ti sei tenuto l’uccello nei pantaloni e il giorno in cui hai alzato le mani su tua moglie. Non aspettarti che ce ne dimenticheremo presto.» Sentii la rabbia montare, ma lottai per rimanere calmo. Non ne valeva la pena.
Madison si rilassò visibilmente e lo sguardo torvo di poco prima scomparve. Tornò a rivolgersi a nostro padre. «Non verremo» affermò, ora più calma e meno nervosa. Poi si rivolse a me: «Possiamo parlare appena hai tempo?»
Annuii. «Certo, devo discutere di alcune cose con papà poi ti raggiungo. Aspetti qui J?»
«Sì. Grazie» rispose e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata a papà, attraversò la porta d’ingresso, lasciandoci fuori da soli.
Mio padre la seguì con lo sguardo ancora per un po’, la testa persa nei pensieri. «Ho fatto delle scelte di merda nella mia vita e le sto pagando a caro prezzo, ma questa faida del cazzo nella nostra famiglia deve finire. È vostra madre a volerlo.»
Scossi la testa. «Neanche per sogno. E non azzardarti a giocare la carta della mamma. Cristo.» Passai la mano nei capelli e mi resi conto che mi stava venendo il mal di testa. Cazzo, avevo bisogno di un drink, o ancora meglio, di una scopata per calmarmi.
Già, una scopata era sempre di grande aiuto.
Rifletté qualche secondo su cosa avevo detto, prima di annuire con fermezza. «Di cosa dovevi parlarmi?»
Ero fottutamente felice che avesse preferito lasciar correre senza iniziare a discutere. «Darrell ci ha mollati, quindi ci serve un nuovo manager per l’Indigo. J ora è lì, a organizzare lo staff per i prossimi giorni, ma finché non troviamo qualcun altro lo gestiremo io e lui.» Lo strip club ultimamente ci stava dando un’infinità di problemi.
«Bene. Muovetevi a trovare qualcuno, perché c’è bisogno di voi per altre cose.»
«Sì, ho sentito. Bullet ti sta dando problemi per via della banda di Blade?» Me lo aveva accennato Griff, che negli ultimi tempi, da quando mi ero allontanato da mio padre, mi teneva costantemente aggiornato.
«Cristo, questa storia non finirà mai. Blade ha intensificato il suo giro, invadendo il territorio di Bullet. I Black Deeds ora vogliono che convinca Blade a fare un passo indietro. La coca è il loro business principale e Blade glielo sta portando via. Ma solo perché è mio figlio non significa che mi darà retta. E al momento l’ultima cosa di cui ho bisogno è dover affrontare un altro problema. Quindi sì, ho bisogno di te in caso le cose si mettano male.»
«Non voglio avere niente a che fare con Blade. Ma se ci va di mezzo lo Storm, allora lo farò.»
«Be’, tieniti pronto, perché scommetto che prima o poi qualcosa andrà storto. E pensa a quello che ho detto sulla nostra famiglia. Non è solo tua madre a voler risolvere le cose» borbottò prima di allontanarsi.
Lo osservai salire sulla moto e sparire, e mi chiesi dove passasse il suo tempo in questo periodo. Erano le tre del pomeriggio, e di sicuro non stava andando a casa. Né io né Madison sapevamo se si stesse ancora vedendo con la madre di Blade, dato che nessuno dei due aveva più passato del tempo con lui negli ultimi quattro mesi.
Il telefono, nella tasca, prese a squillare, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Lo presi per vedere chi fosse. Lisa. La figlia della mia vicina. «Piccola, che succede?» risposi senza esitare, sapendo che chiamava solo quando aveva un problema. Per essere una dodicenne era sorprendentemente poco drammatica, quindi se chiamava era perché qualcosa non andava.
«Scott, Monty è malato» disse con voce tremante.
«Che gli succede?» Monty era il gatto, il suo unico e fedele compagno in una vita di merda.
«Ha la faccia tutta gonfia, come uno scoiattolo, e non mangia. Praticamente dorme sempre e ha l’aria triste.»
«Da quanto sta così?»
«Da qualche giorno» ammise sommessamente.
Cristo. «Avresti dovuto dirmelo subito. Arrivo, okay?» Sua madre non era in grado di gestire situazioni simili, e pensavo di essere stato abbastanza chiaro sul fatto che potesse chiamare quando aveva bisogno, ma era il tipo di bambina che odiava chiedere aiuto.
«Okay. Grazie, Scott» concluse.
Infilai il telefono in tasca mentre entravo nel club, alla ricerca di Madison. Avrei ascoltato ciò che aveva da dirmi, poi avrei portato il gatto dal veterinario.
Mentre svoltavo l’angolo per entrare in cucina, mi imbattei in Nash. «Hai risolto la questione di Darrell?» chiese.
«No. Il coglione ci ha mollati» gli risposi.
«Era un vero stronzo, quindi stiamo meglio senza di lui.»
Aveva ragione, ma mi aveva lasciato comunque nella merda, perché oltre a dovermi occupare dello Storm, ora dovevo anche dirigere l’Indigo.
«Le ragazze sono contente che se ne sia andato, in modo particolare Velvet.» Velvet era la star dell’Indigo, la spogliarellista più gettonata, quindi farla contenta era uno dei miei obiettivi principali. Darrell aveva le mani troppo lunghe con le ragazze e ci andava pesante con le parole. Solo perché si spogliavano per vivere questo non gli dava alcun diritto di pretendere che si facessero scopare ogni volta che aveva bisogno di bagnarsi l’uccello.
«Bene» disse Nash.
Qualcosa nel suo tono catturò la mia attenzione. «Perché ti interessa così tanto? L’Indigo non è un problema tuo.» A meno che non si considerassero tutte le volte in cui visitava il locale per piacere personale. Ed erano tante.
Alzò le spalle. «Velvet mi ha raccontato delle porcate che le diceva e faceva. Non mi piaceva il modo in cui trattava le ragazze.»
Continuai a studiarlo. C’era qualcos’altro, qualcosa che non mi stava dicendo. «Già, stiamo meglio senza di lui, ma ci serve un nuovo manager al più presto, e non ho la più pallida idea di chi possa farlo, cazzo. Quindi se ti viene in mente qualcuno, fammelo sapere.»
«Lo farò» acconsentì.
«Okay, ti aggiorno più tardi, amico. Devo portare un gatto dal veterinario prima che chiuda.»
«Ma che cazzo dici? Tu nemmeno ce l’hai un gatto» disse, prendendomi in giro.
Scossi la testa. «Il gatto della vicina.»
«Di Michelle?»
«Già. Lisa sembrava preoccupata.»
«Ancora non capisco perché hai affittato casa tua a quella pazza furiosa, e perché ti occupi così tanto di lei dopo quello che ha combinato all’Indigo.»
«Non è di Michelle che mi occupo, fratello. È una tossica, e qualcuno deve prendersi cura della piccola. La madre praticamente non lavora da quando l’abbiamo licenziata, quindi Lisa a malapena riesce a sopravvivere.»
«E poi la gente pensa che tu sia un bastardo» borbottò lui prima di controllare l’ora. «Merda, devo andare. Ci aggiorniamo più tardi.»
Si diresse verso l’uscita del locale, mentre io ripresi a cercare Madison. Non mi ci volle molto per trovarla: mi bastò seguire il suono della sua risata fino alla cucina. Ero così felice di sentirla ridere di nuovo.
Stava chiacchierando con Stoney e mi rivolse un sorriso idiota quando si accorse della mia presenza. «Stoney mi stava giusto raccontando che ieri sera ti sei ubriacato e…»
La interruppi e fulminai Stoney. «Grazie tante, stronzo. Ma aspetta il tuo turno. Il karma è una vera puttana.»
Madison ora se la stava facendo addosso dalle risate. «Questa è davvero buona, Scott. Non posso credere che tu l’abbia fatto!»
«Faresti meglio a crederci. Il nostro Scotty non discrimina» sputò Stoney.
«Cos’è che non discrimina?» chiese J, entrando nella stanza.
Alzai le braccia al cielo. «E che cazzo! Per poco ieri sera non mi scopavo una con l’uccello. Come cazzo facevo a sapere che era un lui?»
Anche quel coglione di J cominciò a ridere. «Cristo, amico, so come ti senti. Anche io a volte ho voglia d’uccello. Se senti il bisogno di quella merda, non ti giudicheremo.»
Lo colpii forte sul braccio. «Bella questa, coglione» lo rimbeccai, prima di rivolgermi a Madison. «Che mi dovevi dire?»
«Volevo solo invitarti a una riunione di famiglia a casa nostra, domenica pomeriggio» mi spiegò lei.
J raggiunse Madison e le circondò le spalle con il braccio. «Purtroppo però non ci saranno ragazzi con cui andare, quindi forse…»
«Ci sarò» brontolai e mi girai per andarmene. «Siete tutti così fottutamente spiritosi!» urlai. Li sentii ridere mentre mi incamminavo verso l’uscita. Non mi ci sarei mai abituato.
divisore1Fermai la macchina fuori da casa mia, e da dietro le tende della casa accanto vidi che Lisa mi stava aspettando. Avevo affittato casa mia a sua madre, e aveva un disperato bisogno di qualche lavoretto. Ieri avevo notato che il prato doveva essere tagliato, e di sicuro non avevo mai visto Michelle con un tosaerba in mano. Di solito mi occupavo io della manutenzione o la affidavo a qualcuno dei ragazzi. Oggi, invece, notai che le finestre erano ricoperte da uno spesso strato di polvere. Altro lavoro per i ragazzi.
Lisa lasciò andare la tenda e immaginai che mi stesse venendo incontro con Monty. Un minuto più tardi ci incontrammo davanti alla porta d’ingresso. Mi passò il gatto e mi resi conto di quanto fosse messa male la sua faccia. Merda, avrei voluto che mi avesse chiesto aiuto prima, perché era proprio malconcio. E dopo un’occhiata a Lisa mi accorsi che neanche lei non aveva una bella cera. Cristo, ma che cazzo le dava da mangiare sua madre? Porca miseria, quella bambina era tutta pelle e ossa.
«Grazie, Scott. Mamma non voleva portarlo dal veterinario» ammise riluttante.
«Già, non avevo dubbi» risposi, lottando contro il desiderio di dire altro. Questa bambina sapeva perfettamente in che situazione di merda si trovava con sua madre, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che lo sottolineassi. «Okay, andiamo e vediamo di farlo sistemare.»
Vidi chiaramente il sollievo illuminarle il viso, ma feci finta di niente. A Lisa non piaceva ricevere attenzioni e non le piaceva neanche quando le persone affermavano l’ovvio. Stava solo cercando di vivere la sua vita con meno interruzioni possibili, e per una volta lo capivo. Quindi feci entrare lei e Monty in macchina e guidai fino al veterinario quasi senza parlare. Pensai fosse proprio questo il motivo per cui andavamo così d’accordo: lei apprezzava il fatto che non mi intromettessi nei suoi pensieri e io apprezzavo che non fosse melodrammatica.
All’entrata del veterinario mi rivolse un sorriso veloce e timido. Un battito di ciglia e me lo sarei potuto perdere, ma lo vidi. Aveva bisogno di rassicurazione, e gliela diedi facendo un sorriso che avrebbe potuto accendere un cazzo di albero di Natale. E porca puttana, quando lo notò me ne restituì uno altrettanto luminoso. Questa bambina non sorrideva mai. Che cavolo, qualcuno doveva darle un po’ di affetto.
Spostai l’attenzione sul bancone. E quando misi a fuoco la bionda che vi stava dietro, l’uccello mi si indurì subito. Cristo santo, era uno schianto. Lunghi capelli biondi e mossi le coprivano il seno, e da quello che potevo vedere era un gran bel seno, ma era coperto da una canottiera bianca e da un mucchio di collane. La sua canottiera non era scollata come quelle che portavano le pollastrelle che incontravo di solito, quindi il suo davanzale non era del tutto visibile. Mentre lei continuava a parlare con il cliente, piegai la testa per osservarla meglio. Noncurante di tutto il resto, non mi accorsi che aveva spostato lo sguardo su di me.
«Per caso vuole che me la tolga?» chiese con tono irritato.
Le feci un sorrisetto. «Certo. Fai pure.»
Scosse la testa e sospirò, guardando Lisa. «Dato che ci sono dei bambini mi tratterò dal dire quello che voglio dire.» Poi spostò l’attenzione sul gatto. «Oh, povero cucciolo. Dallo a me, tesoro» disse a Lisa, che stava stringendo Monty con tutta la sua forza.
Lisa esitò, quindi la biondina si spostò da dietro al bancone per sistemarsi davanti a lei. Si inginocchiò in modo da guardarla dritta negli occhi e chiese: «Cosa gli è successo?».
Cristo. Questa donna ora aveva tutta la mia attenzione. Le gambe erano coperte dal paio di jeans più stretto che avessi mai visto addosso a qualcuno. Le fasciavano perfettamente la vita e la canottiera era infilata dentro. Il look country era completato da un paio di stivali e una cintura da cowgirl. E cazzo se le stava bene! In effetti sembrava appena uscita dalla fottuta Nashville.
«Monty si è azzuffato l’altro giorno e ora è malato» raccontò Lisa, la sua vocina ridotta a un sussurro che riuscivo a malapena a sentire. Mi dava le spalle, quindi non le vedevo gli occhi, ma avrei giurato che fossero incollati al pavimento. Non aveva fiducia in se stessa e la cosa mi faceva incazzare. Come faceva sua madre a non vederlo? Come poteva non importarle al punto da non voler rimediare?
«Non ha un bell’aspetto, vero? Se lo dai a me lo porto dal veterinario, così possiamo prenderci cura di lui.»
Ora Lisa glielo avrebbe dato di sicuro il gatto; quel tono e quella voce convincenti avrebbero persuaso un alcolizzato a rinunciare al suo ultimo drink.
Lisa lasciò andare Monty e la biondina annunciò: «Torno subito». E con questo si alzò in piedi e ci lasciò soli, dirigendosi sul retro dove immaginavo fosse il veterinario.
Mi sedetti e aspettai, e Lisa mi imitò e si accomodò accanto a me, senza fiatare. Sembrava nervosa, ma di nuovo, si comportava spesso così. Gli occhi di entrambi erano piantati sul pavimento quando entrò un uomo seguito da suo figlio e un cane. Fino ad allora io e Lisa eravamo gli unici nell’ambulatorio ed era abbastanza tranquillo. Questo tizio, invece, urlava al telefono mentre il bambino si lagnava, cercando di attirare l’attenzione del padre, e il cane era un concentrato di energia. Tutto a un tratto la piccola sala d’attesa sembrò affollata.
Il tizio aspettò appoggiato al bancone e suonò il campanello. Quando vide che la biondina non tornava si spazientì e suonò di nuovo. «Harlow!» urlò. Il bambino continuava a strattonargli la maglietta, biascicando cazzate che non capivo, e il cane girovagava per la cazzo di stanza, perché avevano lasciato andare il guinzaglio. Sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene. Questo stronzo era un coglione fatto e finito, e per una volta nella vita mi stavo mordendo la lingua. Per il bene di Lisa.
Suonò di nuovo il campanello, poi si girò verso di me. «Dove cazzo è Harlow?»
Mi alzai, sul punto di dire a questo coglione quello che pensavo, quando la biondina tornò al bancone.
Gli sorrise. E Dio solo sa perché, visto che di sicuro non se lo meritava.
«Scusa se ti ho fatto aspettare, Rod.» Il tono era gentile, ma mi resi conto che era forzato rispetto a quello che aveva usato con Lisa poco prima. Era ovvio che lo conosceva e non le importava granché di lui.
«Sì, be’, sono in ritardo, Harlow, quindi possiamo fare una cosa veloce? E per la cronaca, mi fa incazzare il fatto che abbia dovuto riportarvi il cane. Voi idioti avreste dovuto occuparvene l’ultima volta che sono venuto» abbaiò lui.
Esplosi, non potevo più trattenermi. «Ehi, pezzo di merda» sbottai. «Perché non la lasci un po’ in pace? Ha da fare, e di sicuro non ha bisogno che coglioni come te le parlino in