Le novelle per il tempo che verrà
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Le novelle per il tempo che verrà - Roberto Donati
inverno
Introduzione
di Luigi Angelino
Ho il piacere di dedicare qualche nota introduttiva al bel libro di Roberto Donati, concepito come il primo di una quadrilogia, ricca di significato e di fascino.
La piacevole ed agevole lettura del testo, dal linguaggio fine e ricercato, ci introduce in luoghi particolari della civiltà occidentale, dove le azioni dei personaggi sembrano il compendio di un'età ormai votata alla decadenza. Le scene, descritte con sapiente cura dei particolari lessici e descrittivi, si collocano all'ombra di quel diffuso disagio comunemente denominato ‘crisi di valori’ che, in ambiti culturali più vasti e diversificati, assume la connotazione filosofica e sociologica di ‘relativismo’, con riferimento alla maggior parte delle valutazioni etiche ed ontologiche del modo di pensare corrente.
Il progetto dell'autore contiene in sé un'ambizione di fondo, quella cioè di sviluppare l'epopea narrativa, in controtendenza con le mode editoriali attuali, espressioni della nostra epoca involutiva che ha massificato e svilito gran parte delle attitudini umane, compresa la stessa arte della narrazione, troppo spessa banalmente risolta con esperimenti sintattici paratattici, troppo scarni ed insignificanti.
Nel libro di Donati linguaggio e contenuto si sposano perfettamente, costituendo un felice inno contro quel massivo fenomeno della regressione linguistica, culminata nel periodo di transito tra i due millenni, più volte indicato da autorevoli saggisti come epoca post-moderna, in cui la comunicazione globalizzata viene veicolata verso modalità sempre più convenzionali e facilmente manipolabili.
L'autore dimostra di non arrendersi alla ‘crisi della parola’, infondendo nell'opera la propria profonda preparazione umanistica e la personale spiccata sensibilità nella descrizione psicologica dei personaggi, nonché nell'accurata raffigurazione dei luoghi, quasi si trattassero di abili pennellate di un artista esperto nel saper cogliere i particolari e nel riuscire a renderli plastici e suggestivi. Il tutto viene percepito come una felice melodia, in cui i contenuti filosofici e i delicati moniti etici sono espressi mediante preziosi esercizi di stile e leggiadre ricerche estetiche.
Al lettore sembrerà di vivere le vicende della protagonista che, nella sua vita semplice ed apparentemente anonima, si troverà al centro di un destino più grande di lei. E qui si nota la bravura dell'autore nel saper intrecciare l'esistenza di una persona umile ad eventi storici e politici di vasta portata, quasi a sottolineare l'innegabile verità che la sorte di un solo vivente è in maniera indissolubile legata a quella di tutti gli altri.
Nell'augurare a tutti una piacevole lettura, mi piace sottolineare come l'opera di Donati ci faccia ben sperare per il futuro del panorama editoriale italiano ed europeo, attualmente dominato da una vetrina di reclamati romanzi, densi e grevi come laterizi. Con la lettura di quest’opera, invece, ogni mente gentile potrà isolarsi dal frastuono dominante e cercare la sintonia con il rumore di fondo dell'esistenza.
Gea
Qui trovate le prime sedici novelle di un’ampia raccolta, ideata ma ancora incompiuta, che forse scriverò fino alla sua conclusione, qualora io mantenga l’impegno di stare su queste pagine per molti giorni ancora ed ove la vita me ne dia sempre facoltà.
Nell’augurata evenienza, sarò testimone delle imprese di quattro persone non comuni, congiunte in linea di discendenza per altrettante generazioni, lungo il corso della storia centennale che ci ha portato al nostro fragile presente.
La gente che ha incontrato i miei personaggi è stata unanime nell’attribuire loro delle strane abilità, persino ritenute d’origine occulta. Così, anche recentemente, ho sentito riferirsi a questi virtuosi come fossero sensitivi, ipnotisti, prestigiatori o adepti di sette salvifiche, quando invece, circa un secolo fa, gli stessi venivano scambiati per maghi, guaritrici, santoni, e persino reincarnati in cerca di purificazione.
Ciò a torto, naturalmente.
E’ pur vero che i soggetti delle novelle agiscono al di là delle attese potenzialità umane ed è pertanto appropriato attribuire loro, di volta in volta, sorprendenti doti di intelligenza, estro, intuizione, maestria nel discernere le giuste azioni fra quelle possibili, vocazione alla scelta delle vie predisposte dalla Ragione universale, persino propensione a trovarsi in fortunose casualità.
Però non si dovrà mai parlare di poteri trascendenti.
Comincio dunque a narrare di Gea, la quale fu, nel contempo, un’abile serva nonché la prima di una progenie di eletti. Come tale, la seguirò per il periodo della sua vita che va dalla giovinezza sino alla maturità di moglie e di madre.
Per ora basti sapere che Gea fu cresciuta in una famiglia d’inservienti, proseguendo nel meglio il mestiere già avviato. Ancora adolescente aveva appreso con eccelsa perizia le tecniche del suo lavoro: ella eseguiva il servizio di sala, equilibrando impeccabilmente l’efficacia con l’eleganza, e durante i ricevimenti era attenta ad adeguare la propria presenza, allo scopo di garantire, all’occorrenza, la prontezza o la discrezione.
Ma il suo particolare talento consisteva in primo luogo nel saper intuire le esigenze altrui, oltre le esplicite richieste. Talvolta questa facoltà era esercitata a tal punto che il beneficiario appariva soddisfatto d’un desiderio latente, di cui solo più tardi egli s’accorgeva.
Con tali rare referenze, Gea andò alle dipendenze di quattro padroni diversi che furono, a loro modo, persone di nobile cuore. Di seguito sono raccontate alcune vicende della sua storia.
1
La novella delle pietre cadute
Il Convento di Pietrasacra sta lassù sull’Alpe da trecento anni ed è noto come i Cenobiti provvedano dall’esterno alle monache che dimorano all’interno. A riguardo è considerata somma virtù dedicarsi, senza nulla in cambio, a coloro che dialogano con Dio. Così si bada con scrupolo a non contaminare la pia comunità con gli accidenti della vita secolare e a tal scopo imponenti mura custodiscono quell’Ordine, non essendo bastevole averlo situato fra impervie montagne.
Eppure la condizione di luogo benedetto non difende l’immobile dalle ingiurie della natura: il lento smottamento che insidia le fondamenta, i danni irrisolti del fulmine sul campanile, il tetto ammalorato dai geli invernali. Perciò, onde consentire le opere di manutenzione, la Comunità dei religiosi che vive nel mondo sacrifica le pause contemplative alla pratica ricerca di denari. Tale è la finalità per cui i padri fanno commercio d’erbe officinali ed altri prodotti, oltre che andare, di tanto in tanto, alla questua d’oblazioni. E se dopotutto gli introiti non sono quelli sperati, ci si rassegna all’idea che servire Nostro Signore è sempre una prova e mai un privilegio.
Per il resto, le monache di clausura sbrigano in autonomia gran parte delle faccende e fra loro ci sono Sorelle dotate di braccia ben tornite per attendere ai lavori più pesanti, altrimenti maschili.
Tuttavia, nonostante le più attente precauzioni, si può indovinare quanto sia imperfetta l’imperturbabilità del Convento: è inevitabile tener aperto un piccolo ponte fra la parte di qua e quella di là, per consentire il transito di speciali visitatori. Fra questi c’è il medico condotto, che viene ammesso quando le ammalate non guariscono con tisane e fumenti, nonché i presbiteri, che lassù si recano per officiare messa o conferire le sacre unzioni. Ma in particolare qui io parlo d’un soggetto più umile, che ha accesso alle riparate mura per esercitare elementari servigi: qualcuno che riceve dalle monache la breve lista delle richieste e consegnare di ritorno i viveri freschi e le sementi, la lisciva e l’olio per i lumi, la carta, l’inchiostro e talora qualche stoffa di ricambio.
Certo è necessario che la persona designata possegga requisiti non comuni: il suo sguardo, senza alcun astio o malizia, dev’essere espressione d’animo purissimo e occorre che l’umiltà segni ogni sua intenzione ed ogni suo gesto. Così quando l’anziana perpetua, che per vent’anni aveva assolto a quella funzione, non fu più in grado di proseguirla, risultò difficile trovare una sostituta. Venne persino bandito un pubblico annuncio, ma nessuna delle candidate risultò idonea ad assolvere il mandato. Finché un giorno, alla porta del cenobio, bussarono due anziani genitori che accompagnavano la figlia adolescente, di nome Gea. Ella si presentò davanti al Priore e, come era d’uso, illustrò le proprie attitudini. Il suo parlare non era ingenuo, bensì ricco di proprietà, come quello d’una donna istruita. Il Superiore l’ascoltò con il cuore allietato ed alla fine non ebbe esitazione ad affidarle l’incarico.
Al tempo non esisteva una strada che portasse al Convento. Una carrareccia arrivava sul limitare del bosco e più sopra, aggirando la roccia, si vedeva appena un tracciato in mezzo alla petraia. Nel più recente passato una frana era caduta sul sentiero ed aveva impedito la via al transito dei carri, agevolando le monache nel loro voto d’isolamento. Superato dunque appiedi quel luogo accidentato, lungi s’andava sul brullo altopiano, venato da gelidi torrenti, fino a giungere, dietro ad una costa, al bianco edificio a mezzo monte.