Abraham Lincoln: Con una poesia di Walt Whitman
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Abraham Lincoln - Antonio Agresti
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Intro
Abraham Lincoln, in Italia noto come Abramo Lincoln ( Hodgenville , 12 febbraio 1809 – Washington , 15 aprile 1865 ), è stato il sedicesimo Presidente degli Stati Uniti d’America: dal 4 marzo del 1861 fino al suo assassinio . Guidò l’ Unione attraverso la guerra di secessione americana , ebbe il merito di mantenere inalterata l’unità degli Stati federati e di modernizzare l’economia del Paese. In questa edizione è riportata anche la celebre poesia O capitano! Mio capitano! (che Walt Whitman gli dedicò quando venne ucciso) e sono stati emendati i molti errori della stesura originale, relativi soprattutto ai nomi delle nazioni e delle città.
ABRAHAM LINCOLN
CON UNA POESIA DI WALT WHITMAN
Scoccano certe ore, nella giornata dei popoli, che sono come il riassunto dei tempi che le precedettero; che sembrano essere il punto culminante d’un periodo ed al momento stesso il primo istante di un’era nuova.
Sono ore crepuscolari di angoscia e di gioia; tramonto ed alba ad un tempo.
È in quelle epoche che si svolgono i grandi fatti della storia; i popoli sono allora ad un bivio della loro via di fatti nei secoli.
Sembra, allora, che un’opera di riconquista e di risarcimento, una grande opera di giustizia si compia; soprattutto di giustizia.
Sono lunghi antichi anni di martirio che vengono ad esigere la loro glorificazione; sono ombre di dimenticati – sovente di vilipese vittime – che tornano a chiedere il posto che loro spetta nel mondo; sono, soprattutto, fatti nuovi che cancellano vecchie forme, che infirmano leggi adusate, che distruggono male acquisiti diritti; sono vie nuove che si aprono al progresso di uno o di tutti i popoli; passi avanti, rapidi qualche volta, faticosi sempre, ma sempre egualmente gloriosi, verso una meta di eterna giustizia che non appare chiara a tutti gli uomini, ma verso la quale, inconsci, i popoli procedono infaticabilmente, dal giorno che più famiglie si unirono per la caccia, per la difesa, per la offesa; dai primordi della umanità.
È in quelle ore che l’inutile tiranno sente pesare su di sé la inesorabile mano del fato; è in quelle ore che il popolo oppressore sente che l’oppresso può, deve sollevarsi e si solleva; è in quelle ore che una forza, che sembra estranea alle forze degli uomini, padrona degli uomini e delle cose, li strazia, li torce, li tormenta; fa più duri e più ciechi, e più feroci i carnefici, suscita a centinaia i martiri, a migliaia i combattenti e per il lungo cammino, rosso di sangue, sparso di cadaveri, sospinge e trascina ad una opera di giustizia un popolo e con lui e per lui la umanità.
Come e perché questa giustizia operi è vano, almeno qui, indagare; come esista questa forza e di qual natura sia essa, è ancor vano cercare; riassumendo i fatti, a lunga distanza di tempo, se ne vede l’operato, se ne scorgono i decreti attuati e questo deve essere tanto che basti per gli uomini.
È nelle ore in cui opera questa suprema giustizia, che sorgono d’in mezzo alle folle gli uomini provvidenziali, gli uomini fatali; quelli che sembrano creati per compiere l’opera e quella compiuta scompaiono, trascinati via da un breve morbo, da un colpo di ferro, da una subitanea disfatta; tolti via rapidamente, come rapidamente sorsero, quasi che la forza che li suscitò non voglia permettere loro di essere gli spettatori, e forse i distruttori, della opera da loro, sotto l’imperio di una inevitabile fatalità, compiuta.
Essi vengono come da plaghe remote. Più antichi del loro tempo, per il loro tempo troppo giovani, si rendono immediatamente padroni dei destini del loro tempo; ne intuiscono i bisogni, ne vedono la via, oscura per tutti, a traverso il labirinto inestricabile dei fatti, e per quella via, che è la sola buona, cacciano la folla umana, maledetti, maledicenti, odiati, forti, insensibili ai dolori altrui, più insensibili ancora ai dolori