Scacco matto sullo stretto
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Scacco matto sullo stretto - Ignazio Cuccia
Léon Manetti
Scacco matto sullo stretto
ISBN | 000-00000-000000
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Léon Manetti
Scacco matto
sullo Stretto
Spionaggio
Personaggi principali.
--Jean Marie Sarr alias Sobranie
Direttore del Centro di intelligence privata Southern Star
--Antonio di Matteo alias Manetti.
Agente free
--Maimouna Ndiaye.
Agente del centro
--Adel Kekli alias Varàno,
Factotum di Manetti.
--Abdou Faye alias Cimitero,
Agente del Centro
--Don Umberto Orlando,
Capomafia del messinese.
--Vittorio Berenici,
Delfino di Don Umberto
--Salvatore Russo,
Corsiere di Don Umberto.
Capitolo 1
L’inverno era particolarmente rigido quest’anno in Sicilia, il maestrale gèlido proveniente dallo stretto sembrava volesse spazzare via gli ultimi passanti che si attardavano ancora per le strade. La serata si era preannunciata già fredda e brumosa dal primo pomeriggio.
Dalla finestra della sua camera al San Gregorio Palace Salvatore Russo osservava con disgusto la circolazione caotica del viale Vittorio Emanuele II antistante il porto. I tram sferragliavano rumorosamente, le luci di bordo già accese mostravano una varietà infinita di viaggiatori.
Lui
non faceva parte di questi scarafaggi che si affannavano per arrivare a fine mese con il loro misero salario, loro sprecavano solo la loro esistenza. Si riaggiustò un ciuffo ribelle dei suoi capelli corvini, poi si passò una mano sul suo viso allungato.
Contrariamente al prototipo siculo Salvatore era alto e slanciato, i suoi occhi erano castano verdi e la sua pelle ambrata colorata dal sole del mediterraneo.
– Puah, schiavi del sistema, si diceva mentre sorseggiava un fondo di Sambuca Molinari con la mosca.
Accese nervosamente una sigaretta.
Lui
era riuscito a fare il salto che lo aveva messo al di sopra della gente comune. Pensava con fierezza che lui
poteva permettersi una camera in uno degli hotel più esclusivi della città, quella stessa città che lo vide nascere e crescere.
Una folata di vento più forte delle altre sembrò convalidare i suoi pensieri.
Salvatore conobbe la mediocrità della sua famiglia. L’arte suprema di sua madre nell’arrangiarsi per crescere lui e i suoi due fratelli, e l’affannarsi del padre nel cercare di mettere insieme un po’ di soldi con il suo modesto impiego statale. Non li biasimava affatto, avevano fatto il necessario per loro, ma lui doveva andare oltre questo tèdio e fare tutto il necessario che gli avrebbe permesso di fare una vita diversa.
Per realizzare questo suo proposìto fece prima morire sua madre di crepacuore e poi suo padre di dolore. Integri come erano non sopportarono più questo figlio indegno.
I suoi due fratelli non li vedeva da anni, in ogni caso non si rivolgevano la parola da tempo immemore. Loro erano riusciti con molti stenti a terminare i loro studi, il maggiore scelse una carriera di avvocato e l’altro conseguì una laurea in ingegneria.
Rino Russo si rivelò ben presto un brillante procuratore legale ed ora con fierezza faceva parte del gabinetto associato Trinacria, dividendo gli uffici con altri due colleghi. Lui si occupava delle cause civili.
Gaetano, Il minore, dopo qualche anno passato ad inviare curriculum vitae sganciò finalmente un contratto indeterminato al comune della sua città all’ufficio tecnico.
Scarafaggi anche loro come tutti gli altri, con moglie e bambini poi, figurarsi!
Lui poteva avere tutte le donne che voleva, e poi odiava coscienziosamente tutto quello che riguardava una vita di famiglia.
Su queste considerazioni si allontanò dallo spettacolo noioso della strada. Stava per prendere il suo telefono quando il suo secondo cellulare, quello di servizio
, suonò facendolo bestemmiare in puro dialetto siciliano.
Attese che lo sferragliare di un tram si attenuasse.
--Pronto.
--Salvatore?
--Si.
--Ci vediamo al salone riservato come al solito, alle venti...
--Ci sarò.
Chiuse la chiamata con una mimica di disgusto, spense rabbiosamente la sua sigaretta e ne accese un’altra.
Altre due o tre di queste operazioni e poi sarebbe scomparso dalla scena, si sarebbe ritirato in un paese lontano. Ne aveva abbastanza di servire questi ignobili personaggi.
Fece la chiamata che Vittorio Berenici, il delfino di Don Umberto, gli aveva impedito di effettuare.
--Vanessa…
--Salvatore??
--Sono a Messina, mi manchi…stasera passo a prenderti e...
--A Messina, e da quando?...ehm Salvatore, è meglio che non vieni sotto casa…sai che mio padre, insomma se mi dici dove sei verrò io a trovarti quando potrò.
--San Gregorio Palace, chiedi di me.
Vanessa Corrao non aveva niente caratterialmente della donna di un criminale, era di natura piuttosto semplice e molto gentile.
La sua naturale bellezza aveva attirato l’attenzione di Salvatore dai tempi delle scuole medie, non si era mai truccata e vestiva sempre di maniera molto sobria.
Tuttavia il ragazzo riuscì a fare breccia nel suo cuore nonostante le loro differenze.
I suoi lunghi capelli castano chiaro ondulati su un viso lungo dagli zigomi alti , occhioni verdi enormi e una bocca carnosa costituivano il suo ritratto. Per non parlare del resto.
Un seno quarta misura che puntava dritto davanti a lei, una vita strettissima che scendeva fino ai suoi fianchi armoniosi e un didietro che faceva girare tutti gli uomini che avevano la fortuna di ammirarla.
Sospesa su due gambe lunghissime e con caviglie da ballerina, aveva una grazia nell’insieme irresistibile. Una eleganza pura.
E lui ne era gelosissimo. Ovviamente.
Vanessa conosceva molto bene Salvatore, avevano fatto gli studi insieme, dopodichè non sentì più parlare di Salvatore fino alla sua riapparizione due anni dopo.
Fù allora che cominciò il lungo calvario di Vanessa, e della sua famiglia al gran completo beninteso.
Anche lei era a conoscenza che Salvatore non guadagnava i suoi soldi onestamente, troppa opulenza, belle auto e abiti che non molti suoi coetanei potevano permettersi a Messina.
Vanessa ne era cosciente ma non riusciva peraltro a staccarsi da questo amore maledetto.
Da quella infausta sera che lui l’aveva invitata a cena sulla terrazza del risorante Agorà sospeso sulla montagna accanto al santuario del Tindari, lei ne era rimasta soggiogata. Conclusero quella nottata facendo l’amore sulla spiaggia di Santo Stefano di Camastra. La sua prima volta d'altronde.
Gaetano Corrao, il padre di Vanessa aveva categoricamente vietato a sua figlia di vedere quel delinquente da quattro soldi
il quale aveva disonorato la sua famiglia tutta intera. Vanessa sapeva bene che suo padre aveva interamente ragione, ma amava troppo Salvatore e non erano i suoi soldi che la interessavano. Era cresciuta in una famiglia della medio borghesia messinese e il suo lavoro d’infermiera specializzata all’ospedale Civico Fatebenefratelli della sua città la appagava pienamente.
Puntuale alle venti Salvatore Russo si trovò sul luogo dell’appuntamento con Berenici. Si fermò a lungo a guardare il prospetto del club Alhazar, l’ampia vetrata non lasciava trasparire niente dell’interno del locale prestigioso.
I dieci piani in stile Liberty del maestoso hotel sovrastante si stagliavano nel cielo plumbeo, era il monumento alla potenza di Don Umberto Orlando.
Titubò ancora qualche attimo poi si decise ad entrare. l’aria all’interno era viziata dal fumo di sigarette e dagli odori di cucina mescolati all’odore liquoroso del bar. La moquette amaranto dallo spessore di parecchi centimetri attutiva i suoi passi.
A sinistra si trovava il bancone chilometrico del servizio bar dove cinque o sei persone ne assicuravano il servizio, giusto accanto c’era un’ampia scalinata in granito la quale portava ai piani dell’hotel. Una porta circolare dava l’accesso a degli ascensori vetrati.
Al suo passaggio fù salutato dai barmans con deferenza, Salvatore rispondeva freddamente con un cenno della testa come era sua abitudine.
Si diresse deciso al salone riservato situato alla destra dell’ampio spazio paragonabile alla hall di un aeroporto.
Le persone che avevano il privilegio d’accesso al salone privato erano poche decine, una maschera in livrea nera con filetti oro alle maniche ne assicurava il diritto d’entrata. L’uomo, sulla sessantina, i suoi capelli bianchi impastricciati di brillantina gli fece un cenno d’intesa e gli aprì prontamente la pesante porta vetrata a doppio battente.
Salvatore entrò all’interno e si guardo' intorno con circospezione, il suo interlocutore non era ancora arrivato. Bene.
Osservò con indifferenza i pochi tavoli occupati, tutte sue conoscenze. Fece un rapido saluto ai presenti, poi si diresse verso il solito tavolo in fondo dove le pareti lignee decorate formavano un’angolo.
L’imbottitura del divanetto fece un leggero soffio quando si appoggiò allo schienale stancamente.
Si era seduto spalle al muro come sua abitudine, un cameriere accorse subito salutandolo piegato in due.
Salvatore ordinò seccamente una Sambuca con la mosca.
Un mormorìo sommesso si era instaurato nella sala, degli sguardi si incrociarono. La maggior parte era gente che conoscevano bene Don Umberto, e sapevano che lui lavorava per il boss.
Salvatore allungò i piedi sotto il tavolo soddisfatto e distaccato.
Sorseggiando dal suo bicchiere osservava gli arredamenti e le stoffe che formavano i preziosi tendaggi dicendosi che il suo salotto doveva avere queste sembianze, ivi compreso la sua ampiezza.
Il luogo serviva prevalentemente per degli incontri discreti d’affari o più semplicemente come anticamera per le coppie clandestine. Il piano superiore disponeva di camere arredate sontuosamente, gli specchi fissati nei loro soffitti ne rivelavano la loro sottile utilizzazione.
Su queste riflessioni Salvatore si accese una Chesterfield rigorosamente di contrabbando, non perché non avrebbe potuto permettersi il tabaccaio, era giusto un fatto di cultura. Bisognava pure alimentare il mercato clandestino di sigarette, sopratutto se la sua distribuzione aveva il monopolio dalla mafia locale.
Bevve altri due sorsi dal suo bicchiere quando si aprì la pesante porta di entrata al salone. Si irrigidì un’attimo.
Si materializzarono per prima i due uomini di mano di Berenici, i quali diedero un’occhiata rapida intorno. Qualche secondo dopo si materializzò l’immagine del delfino, con un sorrisetto appena accennato come sua abitudine.
Braccio destro e factotum di don Umberto da sempre, piuttosto piccolo di statura, aveva la pancia la cui cintura stentava a trattenere e un viso rotondo incorniciato da una capigliatura all’indietro impastata di brillantina Linetti. Sul suo naso a patata i suoi sempiterni occhiali da sole Lozza
azzurri i quali facevano un tutt’uno con i suoi occhi, quando raramente se li toglieva gli restava la loro traccia più chiara sulla sua pelle abbronzata dal sole di Sicilia. Si sedette deciso di fronte a Salvatore.
--Come và Salvatore? esibendo i suoi denti ingialliti.
--Bene Berenici, e tu?
--Non molto bene da quando per fare l’amore devo prendere una di quelle pillole azzurre...
Il delfino sorrise di quella che voleva essere una battuta divertente, rise di gusto anche Salvatore giusto per non offenderlo. C’erano delle regole non scritte da osservare.
I due guardaspalle si accomodarono nelle loro posizioni strategiche, uno seduto a due tavoli dal loro e l’altro su uno degli sgabelli alti del bancone bar.
I due costituivano la guardia ravvicinata di Vittorio Berenici, nei suoi spostamenti non lo lasciavano mai. Sembravano scolpiti nel granito con le loro mascelle quadrate, potevano essere figli della stessa madre talmente si somigliavano. Un metro e ottanta di muscoli e i bicipiti della misura di un prosciutto spagnolo Pata Negra i due davano l’impressione di due colossi di Rodi.
Alla loro entrata in scena fecero un segno impercettibile della testa ai pochi presenti i quali fecero in fretta a sgombrare i luoghi. Passando, tutti salutarono rispettosamente Vittorio Berenici.
Non era un segreto per nessuno degli abitudinari che l’esclusivo club Alhazar apparteneva a don Umberto, dopo che il precedente proprietario glielo aveva gentilmente
ceduto. Aveva commesso l’imprudenza di farsi prestare i soldi dal boss per comprarselo, e non essendo più in grado di pagargli il suo tasso ad usura, si ritrovò a scegliere tra la sua propria vita e cedere il locale. Lo sventurato aveva scelto senza alcun dubbio quest’ultima soluzione.
Berenici ordinò il suo solito caffè corretto con Vecchia Romagna, attese che il cameriere finisse il suo servizio poi riprese la conversazione.
--Allora Salvatore, veniamo a noi...tutto liscio?
--Come l'olio, il cliente non ha fatto alcun commento, ho controllato io stesso la merce....tutto è ok.
Lo scambio delle borse era già avvenuto discretamente sotto il tavolo, sempre le medesime.
--Bene ragazzo, Don Umberto sarà soddisfatto. Mi dice che nelle prossime ore mi farà avere i dettagli del nuovo trasporto.
Salvatore annuì senza mostrare troppo entusiasmo.
Berenici accese un Toscano con tutta la procedura necessaria e prendendosi tutto il suo tempo. Questo innervosì il ragazzo ulteriormente.
Quando il delfino terminò la sua procedura regolamentare accese il suo sigaro, espirò con soddisfazione una nuvola di fumo grigio e spesso.
Berenici