Ambiente e Turismo Argomenti e Osservazioni giuridiche tra deja vù e novità
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Ambiente e Turismo Argomenti e Osservazioni giuridiche tra deja vù e novità - Alessandro Mazzitelli
Ambiente e Turismo
Argomenti e Osservazioni giuridiche tra deja vù e novità
con
Prefazione e cura di Alessandro Mazzitelli
Contributi di Alessandro Mazzitelli e Carolina Pellegrino
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore – Cosenza – Italy
Edizione ebook ottobre 2014
ISBN: 978-88-6822-253-6
Via Camposano, 41 – 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.com – www.pellegrinilibri.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Prefazione
In direzione dell’economia circolare
di Alessandro Mazzitelli
La politica ambientale europea che si affaccia al nuovo millennio deriva dagli avvenimenti succedutisi su scala mondiale sul finire del secolo. Nel 1997 venne sottoscritto il più importante trattato riguardante l’arresto del surriscaldamento globale, sul presupposto che la causa fosse dovuta all’emissione di gas ad effetto serra. Il trattato, meglio noto come ‘‘Protocollo di Kyoto’’, in quanto prende il nome della città giapponese ove si sono svolti i lavori, è un inequivoco mutamento responsabile, quantomeno sulla carta, nelle politiche antinquinamento.
In tal senso l’Unione Europea si dimostra essere una fra le organizzazioni più impegnate a livello globale contro l’innalzamento dei livelli di CO2. Nonostante gli sforzi profusi dell’Europa ed altri Paesi, il protocollo entrerà in vigore solo nel 2005, quando alla sottoscrizione si aggiungerà la Federazione russa.
Le adesioni al protocollo di Kyoto sono la cartina di tornasole dei difficili equilibri e diplomazie da adottare in ambito internazionale. Gli Stati Uniti d’America non sono stati fra i Paesi aderenti al trattato. Del resto colossi demografici ed industriali quali Cina ed India non sono obbligati ad abbassare i livelli di CO2 dispersa nell’aria, poiché vengono considerati Paesi in via di sviluppo. Anche il Canada, dopo una prima adesione e ratifica avvenuta nel 2002, arriverà ad uscire dai vincoli fissati dal protocollo nel 2011. Gli interessi politico-economici a cavallo fra il novecento ed il duemila ponevano la lotta ai cambiamenti climatici quale prerogativa esclusiva dei Paesi ricchi e industrializzati, poiché storicamente ritenuti i maggiori responsabili delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. La conversione industriale veniva dunque intesa come agente frenante per la crescita del Prodotto Interno Lordo, e dunque per il miglioramento generale delle condizioni di vita soprattutto dei Paesi in via di sviluppo. D’altronde gli USA, come la Russia sino ai primi anni del duemila, non intendevano porsi limite alcuno, quando invece le produzioni di altri Paesi concorrenti (Cina ed India su tutti) continuavano a crescere senza sosta alcuna, in quanto com’è noto l’accumulazione di ricchezze e denari comportavano in questa società prestigio e potere sul mercato internazionale. Sul versante dell’Unione Europea, viceversa, la lungimiranza politico-organizzativa, nonché economica, circa l’allocazione delle risorse in modo tale da preservare l’ambiente diviene motivo importante nelle scelte di sviluppo. Il mercato stesso se ben indirizzato dalla politica può in tempi non lunghissimi arrivare ad una conversione produttiva sostenibile, la cd economia sostenibile di mercato, incidendo positivamente in termini di benessere e preservazione delle potenzialità presenti a partire dalla biodiversità. Del resto risulta oltremodo poco lungimirante sotto il profilo razionale la scelta di voler continuare ad aggravare le condizioni ambientali lasciando che i Paesi in via di sviluppo continuino ad inquinare. Se la tecnologia ha difatti permesso di constatare squilibri climatici negativi per la Terra, come può giustificarsi il lasseir faire concesso a chi non ha raggiunto determinati livelli di industrializzazione? È forse l’industrializzazione un processo lineare che deve seguire in ogni dove le medesime vie, specie quando queste risultano essere addirittura deleterie per perseguire il tanto avocato sviluppo economico? Le giustificazioni poste alla base dell’inapplicazione del trattato di Kyoto del 1997 nascono da una riflessione paradossalmente irrazionale, poiché si antepone il fatto che, siccome taluni hanno inquinato e si sono al contempo arricchiti, è giustificabile il comportamento di chi vuole arrivare a determinati livelli di industrializzazione senza badare alle ricadute negative sull’ambiente?
A fronte di ciò, la politica avvertita ed innovatrice dell’Ue, lontana dai richiami tardo decadenti dei paesi ad industrializzazione forzata, si riflette nell’approvazione del VI Programma di Azione per l’Ambiente (PAA), – gennaio del 2001-. Questo atto di soft law
viene intitolato ‘‘Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra realtà’’. Alla luce dei risultati che la politica ambientale è riuscita a produrre a livello comunitario dal 1992 sino al 2001, come il miglioramento della salubrità delle acque e dell’aria, attraverso l’integrazione della politica ambientale nelle altre politiche dell’UE, la cd ‘‘svolta verde’’ si è tradotta nell’implementazione di uno sviluppo sostenibile quale crescita economica per il benessere sociale. Questa circostanza ha provato ad anteporre il raggiungimento di risultati qualitativi per i cittadini degli Stati membri, nonostante i limiti attuativi riscontrati nelle differenti aree dell’Unione, aggravate dalla crisi economica in atto.
In linea con quanto già ricordato l’Unione vuole mutare il corso delle politiche ambientali affinché si pervenga a nuove forme di responsabilità per il futuro. Il PAA considerato è infatti un documento tecnico – scientifico volto alla realizzazione di politiche innovative in materia ambientale, il quale a sua volta non può non riflettersi sulle scelte di politica economica in ambito comunitario. Le relazioni del PAA con quanto deciso a Kyoto sono ovviamente eloquenti: «ridurre le emissioni dei gas generanti l’effetto serra». Tale caratteristica è evidenziata dall’obiettivo per il quadriennio 2008 – 2012 relativo ad un abbattimento delle emissioni dell’8% rispetto ai parametri già rilevati nel 1990. Lo stesso obiettivo è anche considerato nel lungo periodo, quando l’abbattimento delle emissioni di CO2 nell’UE saranno corrispondenti al 70% rispetto sempre ai livelli registrati nel 1990. I redattori del programma puntano alla conversione verde del mercato quale metodo per attuare le politiche ambientali volte ad un uso razionale delle risorse, preservando al contempo la biodiversità del pianeta, ovverosia giungere ad uno sviluppo di tipo sostenibile. In quest’ottica si giustificano le raccomandazioni affinché i consumatori siano sempre maggiormente informati sugli acquisti e sui onsumi, in modo tale da poter anche discernere fra beni differentemente efficienti in termini energetici, (ovvero quanta energia elettrica hanno ad esempio bisogno per poter funzionare), nonché sui prodotti, se provenienti o meno da materiali riciclati e se essi stessi possano esserlo una volta divenuti rifiuti. In questa prospettiva si determina un chiaro indirizzo affinché il consumatore sia il quanto più possibile informato, da qui le campagne di educazione ambientale che i tecnici invitano ad adottare in ogni stato membro. L’educazione scolastica viene ritenuto il luogo privilegiato in cui avviare questa prevenzione volta ad indirizzare i (futuri) consumatori a scelte razionali rispetto le tematiche ambientali e di qualità della vita. Per tale ragione il VI Programma di azione invitava ad inserire elementi di disciplina ambientale nei programmi scolastici adottati dagli stati membri. Tuttavia si afferma nel Preambolo del VII PAA che La valutazione finale del VI PAA ha concluso che il programma ha recato benefici all’ambiente e ha delineato un orientamento strategico generale per la politica ambientale. Nonostante questi risultati positivi, persistono tendenze non sostenibili nei quattro settori prioritari indicati nel VI PAA: cambiamenti climatici; natura e biodiversità; ambiente, salute e qualità della vita; nonché risorse naturali e rifiuti
.
Per quanto premesso il VII PAA sposa implicitamente l’idea di nuovi modelli economici. Un caso particolarmente emblematico riguarda la problematica dei rifiuti. In tale ambito si intravede la possibilità di adottare politiche innovative ecosostenibili relative al ciclo di vita dei prodotti mediante l’inversione delle priorità, anteponendo allo smaltimento dei rifiuti l’obiettivo della prevenzione nella produzione dei medesimi. Tali regole hanno ormai forza normativa, codificate come nel caso italiano all’interno del cd Testo Unico ambientale.
Il VI Programma di azione in materia ambientale è scaduto nel luglio del 2012[1]. Da qui l’avvio dei lavori di analisi per l’adozione del VII° programma. A tal proposito il Comitato delle regioni (CdR) si era espresso mostrando perplessità rispetto a quanto raggiunto tramite i 6 piani che si sono susseguiti a partire dal 1973[2]. Per questa ragione il Comitato raccomandava ai redattori di quello che sarà il VII Programma di azione in materia ambientale, di fissare degli obiettivi realistici per il lungo periodo da realizzarsi attraverso scopi di medio e breve termine. Se difatti i risultati non dovessero essere raggiungibili perché troppo ambiziosi, a risentirne sarà la credibilità stessa dell’Unione. Secondo il Comitato delle regioni occorreva quindi coordinare meglio le fasi del diritto derivato dell’Unione, raggruppabili in 5 livelli: elaborazione, adozione, recepimento nelle legislazioni a livello nazionale, applicazione delle leggi in materia, anche da parte dei tribunali nazionali, e ritorno agli organismi comunitari sulla base delle esperienze condotte dagli stati membri sugli effetti concreti prodotti sull’ambiente; attraverso questa metodologia si potrà comprendere l’efficacia delle politiche ambientali oppure se servono azioni più forti a livello legislativo per arrivare a centrare i risultati preconizzati[3], che dovevano includere l’avviamento di ispezioni ambientali e sistemi di vigilanza in ambito locale e regionale efficaci, coerenti ed efficienti rispetto alle azioni proposte dall’Unione.
Eppur vero che i motivi economici sottendono la necessità di molti Paesi membri di convergere verso la creazione di un’organizzazione sovranazionale stabile. Il mercato comune pertanto dev’essere il più omogeneo possibile per non produrre distorsioni comportanti al suo interno posizioni dominanti e generare dunque concorrenze falsate. Il mercato quindi deve avere gli stessi limiti in tutti i Paesi membri, a partire proprio dall’osservanza delle misure poste a tutela e salvaguardia dell’ambiente. Il necessario rispetto del diritto dell’Unione europea su tutto il territorio comunitario, è secondo il Comitato particolarmente importante a partire dalle grandi aree metropolitane, dove incentivare ad avviare processi verdi
, come ad esempio il trasporto su rotaia per mezzo di omnibus o pullman alimentati dall’energia elettrica come i filobus, limitando l’accesso delle auto private nelle aree antropizzate sensibili. La percepibilità ambientale e l’adozione di politiche volte alla realizzazione di siffatti obiettivi deve poter divenire patrimonio comune. Applicare le legislazioni ambientali promosse dall’UE diviene così competitivo, che si traduce in termini prettamente economici rispetto all’aumento del turismo dovuto all’incremento della notorietà acquisita dalla città vincitrice, come accaduto, del premio annuale di ‘‘Capitale verde europea’’[4]. L’indotto economico derivante da manifestazioni pubbliche avvaloranti tale premio ammortizzerebbero di gran lunga la spesa nella pianificazione e realizzazione di progetti che – per rimanere al nostro esempio – vedono la realizzazione di vie adeguate per tram e filobus. Gli effetti positivi però sono di gran lunga superiori a quelli già ricordati,