Tilliette: Cristianesimo e modernità filosofica
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Book preview
Tilliette - Simone Stancampiano
Simone Stancampiano
TILLIETTE
Cristianesimo e modernità filosofica
Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura
ed Universale
sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.
Per la sezione Interpretazioni – Filosofia
Coordinamento
Massimo Borghesi (Università di Perugia)
Calogero Caltagirone (Università Lumsa di Roma)
Copyright © 2019 by Edizioni Studium - Roma
ISSN della collana Universale 2612-2812
ISBN 9788838248559
www.edizionistudium.it
ISBN: 9788838248559
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Introduzione
1. L’incontro tra Cristo e pensiero moderno. Contro l’esegesi storico-critica di sinistra
della modernità
2. Nell’orbita dell’idealismo tedesco. La lettura di destra
del Cristo storico e del Cristo della fede
3. Tra ontologia e storia. Il Gesù reale
perduto
PARTE PRIMA
I. Il Convegno di Gallarate del 1975. La modernità filosofica a due volti
II. Il sottosuolo filosofico-teologico della riflessione tilliettiana
III. Hegel tra gnosi e conservazione
della fede in Cristo nel primo
e nel secondo
Tilliette
IV. Idea e Rivelazione cristiana nell’ultimo
Schelling
V. L’affinità elettiva del pensiero tilliettiano e i suoi sviluppi
PARTE SECONDA
I. Simboli e imitazioni
II. La scuola hegeliana cattolica di Francia
III. Aspetti fenomenologici
IV. Tilliette e i filosofi italiani del suo tempo. Un breve omaggio
V. La cristologia filosofica oltre il medievalismo neoscolastico antimoderno e il modernismo. Spunti e criticità
Bibliografia
Nota biografica
Indice dei nomi
UNIVERSALE
Studium
99.
Nuova serie
Interpretazioni – Filosofia
SIMONE STANCAMPIANO
TILLIETTE
Cristianesimo e modernità filosofica
Introduzione
1. L’incontro tra Cristo e pensiero moderno. Contro l’esegesi storico-critica di sinistra
della modernità
Il 10 dicembre 2018 si è spento a Parigi, all’età di novantasette anni, il filosofo gesuita Xavier Tilliette [1] . Lo ricordiamo, oggi, attraverso i suoi lavori, vincendo l’erosione e la patina di più di un quarantennio, a partire dal lontano 1975, quando presentò per la prima volta in Italia, a Gallarate, il progetto di una vita, in occasione del convegno tra professori universitari sul tema Il Cristo dei filosofi
[2] . Lì si affrontò in tutta la portata la questione sulla cristologia filosofica
.
Fin da quell’incontro il padre francese intese rivisitare
la modernità filosofica, ridisegnando il quadro neoscolastico che aveva tracciato dei confini ben netti tra ragione e fede, filosofia e teologia [3]. Tilliette, rovesciando proprio il modello neoscolastico ben rappresentato da Cornelio Fabro con l’Introduzione all’ateismo moderno [4], cercò di dimostrare che il pensiero moderno è essenzialmente cristiano.
Il famoso dibattito degli anni Trenta del Novecento in Francia sulla filosofia cristiana
, che appariva una contraddizione in termini [5], e che già nel 1927 il giovane Heidegger l’aveva connotata con l’ossimoro hölzernes Eisen («ferro ligneo» [6]), porta Tilliette ad una soluzione radicale: «tutta la filosofia, non tutte le filosofie, ma tutta la filosofia è profondamente cristiana, ante-Christum e post-Christum» [7]. Il punto centrale, per il gesuita francese, è infatti la convinzione del vecchio fondo cristiano che ispira, spesso loro malgrado, le filosofie della modernità e della contemporaneità.
Pure in un’epoca che si è secolarizzata a vista d’occhio […], la filosofia non ha disertato, pur a prezzo di sostituti e surrogati, il luogo in cui si imprime la traccia insanguinata di Cristo. Nulla in Occidente ha resistito assolutamente all’impresa e all’impero di Cristo. […] il mistero della Croce è il sesamo, anzi l’impalcatura, di gran parte della filosofia moderna [8].
A livello puramente terminologico, l’espressione cristologia filosofica
era nata con Henri Gouhier nel 1961 con l’uscita di un suo lavoro su Bergson e il Cristo dei Vangeli [9]: il testo presentava – secondo Tilliette – una cristologia semplicemente empirica, induttiva, mera ricostruzione storiografica di autori come Spinoza e Rousseau, fuori dal respiro speculativo che una tematica di questo genere non può non avere.
Cercando invece di seguire quest’ultima linea, il Nostro ha dato in principio con i suoi studi un contributo importante contro il silenzio della storiografia filosofica nei riguardi del Cristo, figura pur spesso presente nel pensiero dei filosofi. Egli passa da un mero Cristo dei filosofi
, da quello cioè su il quale i filosofi hanno semplicemente detto, grandi vetrate cristologiche, al Cristo della filosofia
, che con l’aiuto della teologia mostra Gesù come Re dei secoli, Signore della storia [10].
Secondo questa prospettiva «non si tratta [semplicemente] di documentare l’incidenza di Cristo nella riflessione dei filosofi». Tilliette «presume di poter elaborare i lineamenti di una cristologia filosofica che vuol mantenersi in un rischioso equilibrio tra apriorismo ontologico, da un lato, e fattualità del dato rivelato, dall’altro. La cristologia filosofica, incentrata sull’Idea Christi, presuppone, certamente, la fede e tuttavia la sua natura è anche filosofica, cioè ontologica» [11].
La modernità di Tilliette, «quella che si concilia con il cristianesimo, è quella romantica, non quella illuminista». Il suo modello di riferimento non è il paradigma francese, deista, agnostico, ateo, con le eccezioni di Pascal-Malebranche-Blondel, ma quello tedesco, di riconciliazione (problematica) tra fede e ragione. «Un modello germanico che deve, però, espellere la componente illuminista di derivazione parigina: la sinistra hegeliana, da Feuerbach a Marx, verso la quale Tilliette non ha mai mostrato simpatia» [12]. Infatti
Feuerbach e Marx hanno capovolto l’hegelismo, l’hanno riportato dal cielo delle idee alla terra degli uomini. Ma Hegel non è responsabile delle metamorfosi postume della sua opera [13].
Fedele dunque al paradigma tedesco, ripulito, tuttavia, da apporti atei, gnostici e secolari, come quelli di Hermann Samuel Reimarus, di David Friedrich Strauss, di Martin Kähler, che tra il Settecento e l’Ottocento dissociarono il Cristo della fede dal Cristo della storia con una distruzione sistematica della storicità dei Vangeli [14], Tilliette, a Gallarate, legittima la possibilità di una cristologia filosofica
, presentando da subito Schelling come autore chiave di tutta la problematica. È lo Schelling delle Lezioni sul metodo dello studio accademico (1803), che pone la persona empirica, il tempo e la storia sotto la regia del Principio, dell’Idea, del simbolo. È il filosofo dell’«incarnazione da tutta l’eternità» [15], colui che si è maggiormente interrogato sul fatto che l’Idea Christi – e di cristianesimo – fosse più vecchia della Rivelazione propriamente detta di Cristo, un’idea che stesse nel mondo prima ancora dell’Incarnazione effettiva [16].
L’ultimo Schelling conserverà sempre, sia pur in termini attenuati, una sorta di diffidenza verso l’empirico. Nella Filosofia della Rivelazione (sulle lezioni berlinesi del semestre invernale 1841-1842) pone l’accento sul problema della manifestazione del divino nella storia, del Cristo come mediatore dell’Uomo con Dio. Solo l’essenza, e non l’esistenza, è deducibile a-priori. Se questo è vero, la venuta di Cristo nel mondo è puramente casuale, episodica, semplice conferma dell’Idea Christi che sola, ma non il suo portatore (la persona di Gesù), è già elaborata
nello Spirito del mondo. Se l’Idea di Cristo, che è il fuoco
portante di ogni cristologia filosofica, è come un timbro già stampato nella storia, come conciliare questo a-priori con la nascita di Cristo, con la Sua Rivelazione? Come sintonizzare il concetto di Cristo all’ecceità di Gesù? [17].
È proprio qui l’ingranaggio difettoso su cui si può imbattere – nota Tilliette analizzando anche il sistema hegeliano – una cristologia dei filosofi
, che si paralizza di fronte alla distanza che la separa dalla confessione di fede,
[…] una cristologia di tal genere che diventa un surrogato della gnosi eterna. Non è che la filosofia debba superare la distanza che la separa dalla confessione di fede; quello che ci si aspetta dalla cristologia filosofica è che essa predisponga a questo importante passo e non che lo paralizzi […]. Nonostante la loro diversità, le cristologie dei tre grandi dell’idealismo tedesco puntano a questa cristologia filosofica […]. Esse rischiano di essere filosofiche per eccesso, di meritare e di giustificare la critica del Cristo dei filosofi
, un idolo, in contrasto col Cristo dei cristiani. Tuttavia anche un Cristo dei filosofi non è un ens rationis […], ma suppone almeno tacitamente la fede che gli si oppone [18].
In ambito contemporaneo il debito contratto da Tilliette verso Karl Rahner, nel delineare la cristologia filosofica, è consistente. È proprio il teologo tedesco ad aver messo in circolazione l’Idea Christi nel pensiero del Novecento, facendone l’asse della sua cristologia trascendentale
, soprattutto nei Saggi di antropologia soprannaturale e nel Corso fondamentale della fede [19]. Essa si riferisce direttamente al Kant de La religione nei limiti della semplice ragione (1793): l’Idea Christi kantiana è l’archetipo a-priori, l’Uomo perfettamente gradito a Dio o l’Idea personificata del Buon Principio, una proprietà della ragione, la cui sede originaria è nella coscienza dell’uomo. L’argomentazione kantiana procede su due
strade parallele che, come in geometria, non si incontrano mai: l’Idea Christi della ragione e la storia della salvezza edificante, di cui Cristo è l’attore anonimo. Da entrambi i lati è all’opera un procedimento trascendentale [per cui] la possibilità, l’a-priori guidano […] la verifica dell’esperienza [20].
Tilliette legge dunque Rahner alla luce di Kant, va dalla cristologia trascendentale all’Idea del Cristo. La cristologia di Rahner è essenzialmente antropologica
: nell’uomo vi è già un timbro, una prefigurazione del Messia, del Salvatore, un modello, per cui la storicità del Cristo diventa semplicemente una conferma, in una prospettiva in cui non si vede più la distinzione tra natura e Grazia. Lo stesso Rahner rafforza questa linea di pensiero con la teoria del cristianesimo anonimo
: tutti gli uomini sono cristiani in maniera implicita. Una volta che il cristianesimo è entrato nella storia, ha innestato un processo irreversibile, per cui la cultura è diventata intrinsecamente cristiana. Ma Hans Urs von Balthasar confuta questa posizione, nella metà degli anni ’60 del Novecento, nel suo Cordula [21], ponendo l’accento sull’importanza del martirio cristiano e sulla storicità, l’esistenza, la Rivelazione del Cristo.
Tilliette incontra Rahner anche nel sottosuolo francese contemporaneo: pensiamo a Henri de Lubac, e al primo
Blondel, della prima edizione de L’Action (1893), che illustra la tesi del pancristismo
, per cui Cristo è il punto di sintesi e di unione del mondo intero [22]. Ma «rispetto a Rahner, la cui cristologia trascendentale tende a risolversi in antropologia cristologica […], la ripresa rahneriana di Tilliette privilegia, al modo della destra hegeliana, il terreno ideale-ontologico. Per questo il capitolo fondamentale della storia del pensiero moderno è quello da Kant ad Hegel, l’unico in cui la cristologia filosofica trovi, con le sue ascendenze spinoziane, la sua incubazione e la sua legittimazione» [23].
E ciò trova conferma nelle stesse parole dell’autore, che ne fa però in primis una questione di formazione
e poi di teoresi:
La cristologia filosofica conosce la più bella fioritura nel periodo dell’Idealismo tedesco. Si può spiegare col fatto che tutti i suoi rappresentanti, tranne Kant, cioè Fichte, Schelling, Hegel, Schleiermacher, hanno una prima formazione teologica e non hanno mai smesso di preoccuparsi per i problemi teologici. E Kant stesso aveva ricevuto dalla sua educazione pietistica una impronta incancellabile, che manteneva vivo l’interesse religioso [24].
Da una prospettiva filosofica contemporanea più ampia, Tilliette attinge i suoi autori dalla Scuola hegeliana di Francia come Gaston Fessard e Claude Bruaire, e da grandi studiosi come Maine de Biran e Jean Nabert, da Antonio Rosmini, dalla Scuola belga di Joseph Maréchal che tenta di salvare il trascendentale kantiano all’interno di una gnoseologia realista.
Il paradigma tedesco offre certamente a Tilliette l’uscita dal dualismo illuminista tra fede e ragione, spostando la questione sul piano speculativo, nel tentativo di riconciliazione di entrambe, ma con il pericolo costante di una caduta in forme gnostiche, passando così dal dualismo francese al monismo germanico, e di uno svuotamento della realtà storico-empirica della Rivelazione. Ciò è chiaro con la lettura che il filosofo-teologo francese offre dell’idealismo tedesco, in particolare di Hegel, e con la cautela con cui si muove, rilevando da un lato «le cadute gnostiche del pensiero, e dall’altro, la persuasione che quel pensiero, nonostante tutto, si muove nell’orbita di una fede ortodossa» [25].
[1] Cfr. B. Puech, Mort du père Xavier Tilliette, éminent historien de la philosophie chrétienne, in «Le Figaro», 11 dicembre 2018, http://www.lefigaro.fr/culture/2018/12/11/03004-20181211ARTFIG00257-mort-du-pere-xavier-tilliette-eminent-historien-de-la-philosophie-chretienne.php; F. Tomatis, Parigi. Addio a Xavier Tilliette, il gesuita del «Cristo filosofo», in «Avvenire», 12 dicembre 2018, https://www.avvenire.it/agora/pagine/tilliette-la-teologia-del-cristo-filosofo; J. Servais, È morto Xavier Tilliette, in «L’Osservatore Romano», 12 dicembre 2018, http://www.osservatoreromano.va/it/news/e-morto-xavier-tilliette; C. Lesegretain, Le philosophe jésuite Xavier Tilliette est mort, in «La Croix», 11 dicembre 2018, https://www.la-croix.com/Religion/Catholicisme/Le-philosophe-jesuite-Xavier-Tilliette-mort-2018-12-11-1200988966 [URL consultato il 3 gennaio 2019].
[2] AA.VV., Il Cristo dei filosofi, Atti del XXX convegno del Centro di Studi Filosofici – Gallarate 1975, Morcelliana, Brescia 1976.
[3] Cfr. X. Tilliette, Le Christ des philosophes et la possibilité d’une christologie philosophique, in AA.VV., Il Cristo dei filosofi, cit., pp. 19-23, 39-50, 333-334.
[4] C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, 2 voll., Studium, Roma 1969.
[5] Cfr. A. Livi, Il cristianesimo nella filosofia. Il problema della filosofia cristiana nei suoi sviluppi storici e nelle prospettive attuali, Japadre Editore, Firenze 1969.
[6] M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, a cura di G. Vattimo, Mursia, Torino 1979, p. 19; Id., Fenomenologia e teologia, Conferenza di Tubinga del 4 luglio 1927, in Id., Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 22.
[7] X. Tilliette, Salvatore e salvezza nella filosofia romantica, in G. Ferretti (a cura di), La Ragione e i Simboli della salvezza oggi. Atti del Quarto Colloquio su Filosofia e Religione, Macerata 12-14 maggio 1988, Marietti, Genova 1990, Momenti della discussione finale tra Xavier Tilliette e Paul Ricoeur, p. 111.
[8] X. Tilliette, La Settimana Santa dei filosofi, Morcelliana, Brescia 1992 (2003²), p. 63, tr. it. di G. Sansonetti da Id., La Semaine Sainte des Philosophes, Desclée, Paris 1992.
[9] H. Gouhier, Bergson et le Christ des Évangiles, Fayard, Paris 1961.
[10] Cfr. X. Tilliette, Dal Cristo dei filosofi al Cristo della filosofia, in «Religione e scuola», 1 (1990), pp. 34-36.
[11] M. Borghesi, Xavier Tilliette. Una christologie idéaliste?, in Id., Hegel. La cristologia idealista, Studium, Roma 2018, p. 110.
[12] Op. cit., pp. 111-112.
[13] X. Tilliette, Le Christ des philosophes, in «Études», n. 3944, avril 2001, p. 484 [traduzione nostra]
[14] Le fonti in questione sono: I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbütte (1774) di H. S. Reimarus, pubblicati da Lessing; La vita di Gesù (1835) di D. F. Strauss; Il cosiddetto Gesù storico e l’autentico Cristo biblico (1892) di M. Kähler.
[15] Cfr. X. Tilliette, È possibile una cristologia filosofica?, in AA.VV., Problemi e prospettive di teologia fondamentale, a cura di R. Latourelle e Gerald O’ Collins, Queriniana, Brescia 1980, p. 186.
[16] X. Tilliette, Le Christ des philosophes et la possibilité d’une christologie philosophique, cit., p. 47 [corsivi nostri].
[17] Cfr. X. Tilliette, È possibile una cristologia filosofica?, cit., p. 188.
[18] Ivi [corsivo nostro].
[19] K. Rahner, Saggi di antropologia soprannaturale, ed. it., Paoline, Roma 1965 (1969²); Id., Corso fondamentale della fede. Introduzione al concetto di cristianesino, ed. it., Paoline, Roma 1977.
[20] X. Tilliette, Che cos’è cristologia filosofica?, Morcelliana, Brescia 2004, p. 52.
[21] Cfr. H.U. von Balthasar, Cordula, ovverosia il caso serio, ed. it., Queriniana, Brescia 1965 (1968)²; cfr. anche Id., Nuovo Patto, in Gloria: una estetica religiosa, vol. VII, ed. it., Jaca Book, Milano 1991².
[22] Cfr. M. Blondel, L’action, PUF, Paris 1893, tr. it. L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, a cura di S. Sorrentino, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1993. Sull’apporto blondeliano in Tilliette cfr. A. Russo, Xavier Tilliette interprete di Maurice Blondel, in M. Monaco (a cura di), Bibliografia di Xavier Tilliette, E.U.T., Trieste 2002, pp. 9-16.
[23] M. Borghesi, Xavier Tilliette. Una christologie idéaliste?, cit., p. 112. Cfr. X. Tilliette, L’intuizione intellettuale da Kant a Hegel, Morcelliana, Brescia 2001.
[24] X. Tilliette, Sulla cristologia idealistica, in «Filosofia e teologia», 1 (1989), p. 23.
[25] M. Borghesi, Xavier Tilliette. Una christologie idéaliste?, cit., p. 113.
2. Nell’orbita dell’idealismo tedesco. La lettura di destra
del Cristo storico e del Cristo della fede
Il punto in questione, nella prospettiva tilliettiana, riguarda dunque la difficile conciliazione di due momenti assai rilevanti della tradizionale riflessione sulla figura del Cristo: da una parte il tema dell’intemporalità, eternità e assolutezza del Cristo che proprio nella Sua divinità è sottratto al divenire degli eventi storici; dall’altra l’insistenza sulla temporalità dell’evento storico dell’Incarnazione del Verbo che, pur appartenendo in pieno all’ortodossia, potrebbe in alcuni autori non mettere abbastanza in rilievo la Sua natura essenzialmente divina, quale emerge splendidamente nel Prologo del Vangelo di San Giovanni.
Infatti, se, come in Schelling, l’idea di Cristo è più vecchia del mondo (Prologo giovanneo), il cristianesimo diventa cristianesimo eterno, nuovo vangelo eterno (come auspicato da Lessing), Incarnazione da tutta l’eternità; e conseguentemente, se una cristologia filosofica è incapace di conciliare il concetto con la categoria dell’avvenimento, risolvendo quest’ultimo come una semplice conferma di quell’a-priori (la Rivelazione cristiana è puramente casuale), il pericolo è di trovarsi immersi in una gnosi, dove la fede è annullata dalla ragione filosofica. È questo il rischio dei grandi sistemi idealisti tedeschi che, dipingendo una cristologia fortemente speculativa, erano soliti sbilanciarsi se non addirittura nascondere la figura di storica di Cristo, «tanto avida è la bramosia del pensiero». Gli era «difficile rimanere nell’orbita della Rivelazione» [1] .
Ma, riguardo la Romantik, il Nostro non l’ha sempre pensata così. Nella sua apologia della cristologia filosofica, nel suo tentativo di salvare Cristo nella modernità, Tilliette si rifà all’idealismo tedesco, prima moderatamente appoggiato e piuttosto criticato, poi man mano sempre più suo possibile alleato, tanto che, nei suoi lavori, emerge un primo
e un secondo
Tilliette. Quest’ultimo, infatti, a differenza del più giovane, dice che le stesse cristologie speculative che trasgrediscono o dissolvono il dato rivelato
sono comunque istruttive, e non si devono tacciare
troppo velocemente di cattiva fede, dal momento che la loro interpretazione resta spesso in sospeso [2]. È emblematico, a riguardo, il cambiamento di prospettiva dell’autore verso la figura di Hegel, soprattutto a partire dai lavori degli anni ’90 del Novecento, che testimoniano un giudizio più benevolo di Tilliette verso Hegel, perché «bisogna giudicare un filosofo secondo le sue intenzioni» [3].
Hegel, attraverso la parola chiave del «Venerdi Santo speculativo» con cui conclude il suo Fede e Sapere (1802), inizia e illustra la propria filosofia in chiave cristologica, una grande «staurologia», una filosofia della croce [4]: «le vicende del Cristo assomigliano ai destini della filosofia; il sistema si dispone a fungere da Cristo speculativo» [5]. Fino alla Fenomenologia dello Spirito (1807) predomina nello Hegel di Tilliette l’aspetto riduttivo gnostico: gli eventi cristiani divengono simboli e