L'Azzurro dell'Amicizia
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L'Azzurro dell'Amicizia - IMMA PONTECORVO
Imma
Prefazione
Un’analisi attenta e realistica quella fatta in questo racconto, che focalizza l’attenzione su tematiche spesso sottovalutate o ignorate. Fenomeni come il bullismo, il razzismo e l’anoressia sono problemi latenti che si manifestano ed emergono con tutta la loro forza per lo più quando si arriva al non plus ultra. Ed ecco il messaggio e la richiesta d’aiuto, nella quale può scorgersi la chiave di lettura del racconto, alla scuola come Istituzione, alle famiglie, alla società in genere. Una società spesso costituita da quelli che Socrate chiamava dormienti, ma anche da quanti, per molti aspetti, possono essere definiti omertosi, ragazzi che non vedono, non sentono, non parlano. Ed ecco che il bullizzato
si sente solo, oltre che vittima inerme in una società talvolta violata e violentata nei pensieri, nelle parole, nei fatti. E così la paura prende il sopravvento sul coraggio di denunciare. Una sfida importante, dunque, per una società invasa sempre più dai media e che porta l’individuo non solo all’isolamento, ma anche all’emulazione, in negativo, di alcuni stereotipi. In un siffatto contesto, pertanto, vengono a mancare anche i rapporti veri, i legami duraturi che rafforzano l’amicizia autentica, che, invece, sono fondamentali. Non ci si rapporta più con l’altro e, conseguentemente non esiste più dialogo, né tolleranza verso il diverso
. Sempre più spesso si parla di interculturalità, ma è triste dover constatare come millenni di civiltà non abbiano insegnato una delle regole basilari del viver civile: il rispetto e la tolleranza verso gli altri.
Attraverso la storia di due ragazze adolescenti, narrata in questo racconto, l’autrice intende sottolineare l’importanza nell’aprire un dialogo tra adulti e minori ed è di questo che tutti, a partire dalla scuola, devono prendere coscienza per poter intervenire e prevenire atteggiamenti nocivi a se stessi ed agli altri.
Professoressa Anna Gentile
L’azzurro dell’amicizia
Me ne stavo seduta accanto alla finestra con le gambe rannicchiate sotto il mento, mentre la melodia di una nota canzone di Adele, Rolling in the deep, riecheggiava nella stanza, facendomi muovere una gamba a ritmo. Fissavo ipnotica la tenda color ambra, mossa dalla stessa brezza che mi schiaffeggiava gentilmente le guance. Fu lo squillo del telefono a farmi sobbalzare, tanto da ritrovarmi a fare una sorta di piroetta per rispondere a Shaila. Come sapevo che era lei? Beh, lo sapevo… e basta.
«Dimmi che non stai ancora dormendo!» esordì Shaila dall’altro capo del telefono, la voce carica di qualcosa di molto simile all’ironia.
Del resto, la mia pigrizia era proverbiale. Mi crogiolavo nel letto il più possibile durante il fine settimana, l’unico momento in cui potevo permettermi di farlo senza che nessuno mi venisse a urlare che sarei arrivata in ritardo a scuola per l’ennesima volta.
«E tu che non stai sudando» ribatto a tono.
Shaila non era solo molto più mattiniera di me, è che proprio ne approfittava per andare a correre nel parco. Un paio di volte era riuscita persino a trascinarmi con lei, ma avevo promesso a me stessa di non cascarci mai più: l’ultima volta ero così intontita che ero inciampata ben cinque volte ed ero tornata a casa con tre lividi e un ginocchio mezzo scorticato. Mi ci erano volute tre ore e una chiamata a Shaila per convincere mia madre che non era successo niente, che ero semplicemente caduta, da sola peraltro, perché ancora mezza addormentata.
Mi lasciai sfuggire un sospiro e mossi una mano per aria, per scacciare quei ricordi. Non volevo guastarmi quella giornata di sole, i cui raggi mi disegnavano triangoli sulla pelle. Amavo il sole. La sua forza, il calore che infondeva… Così, quando sopraggiungeva la bella