Il cimitero cinese: Con i racconti Ritorno a Cassino e l’inedito I partigiani
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Book preview
Il cimitero cinese - Mario Pomilio
Mario Pomilio
Il cimitero cinese
Con i racconti Ritorno a Cassino e l’inedito I partigiani
Copyright © 2013 by Edizioni Studium - Roma
ISBN 9788838248498
www.edizionistudium.it
ISBN: 9788838248498
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Indice dei contenuti
INTRODUZIONE
IL CIMITERO CINESE
Il cimitero cinese
Ritorno a Cassino
I Partigiani
NOTA SUL RACCONTO INEDITO I PARTIGIANI
POSTFAZIONE
UNIVERSALE
Studium
27.
Nuova serie
Letteratura - Testi / 4 .
Mario Pomilio
Il cimitero cinese
Con i racconti Ritorno a Cassino e l’inedito I partigiani
A cura di Federico Francucci
Introduzione di Fabio Pierangeli
EDIZIONI STUDIUM
INTRODUZIONE
I VIAGGI DI POMILIO NELLE MEMORIE
DELLA GUERRA: L’ORRORE DEI CADAVERI
INSEPOLTI E LA DIFFICILE «PRONUNZIA
DI UNA PAROLA DI RICONCILIAZIONE»
di Fabio Pierangeli
«Pomilio usava pensarsi, e definirsi, uno sradicato
. La sua biografia (fino alla trentina d’anni) [...] dice, infatti, di abbandoni, fughe, bombardamenti, interruzioni, derive». Molti, tra amici e studiosi, ricordano così il giovane Mario Pomilio. Ho attinto, nella citazione iniziale [1] , alla testimonianza più diretta, quella del figlio Tommaso, con gratitudine e riconoscenza per aver voluto, insieme alla sorella Annalisa, l’edizione di questo importante volume in tre episodi, una vera e propria trilogia sulla memoria dei tragici eventi della Seconda Guerra Mondiale, con la riproposta de Il cimitero cinese , di Ritorno a Cassino , del racconto, finora inedito, I partigiani , del 1945.
Le carte dello scrittore vengono custodite presso il Centro per la Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei di Pavia: il ringraziamento più cordiale per la generosità e intelligenza alla direttrice Maria Antonietta Grignani che, oltre a incoraggiare prontamente questa pubblicazione, ha indicato in Federico Francucci l’attento studioso in grado di esaminare i documenti, incaricandolo di redigere il saggio filologico-critico inserito come postfazione.
Nato a Orsogna, Chieti, il 14 gennaio 1921, Mario Pomilio vive gran parte dell’adolescenza e della giovinezza nella Avezzano distrutta dal terremoto del 1915; viaggiatore
curioso e inquieto per i suoi studi e per i suoi interessi di saggista e giornalista (dal 1939 a Pisa per il conseguimento della Laurea in Lettere alla Scuola Normale di Pisa; di seguito, grazie a borse di studio, in Francia e in Belgio), si trasferisce definitivamente a Napoli dal 1949 per seguire la carriera di insegnante di scuola superiore, con gratificanti impegni anche nelle università della città partenopea, nella quale partecipa alla vita culturale, sempre conservando l’originale timbro da «meno napoletano degli scrittori napoletani», secondo l’eloquente definizione di Raffaele La Capria. Muore nel 1990 e viene immediatamente ricordato da scrittori e studiosi al Suor Orsola Benincasa [2] , l’anno seguente, con un convegno internazionale, a cui, a distanza di vent’anni, ha fatto seguito un secondo incontro nello stesso Istituto universitario, in collaborazione proprio con il Centro di Pavia.
La meditazione intorno all’ Unde malum?, condivisa con i più sensibili scrittori della sua generazione («quella degli anni difficili» [3] ), posta nel pieno della giovinezza dello scrittore dagli eventi bellici e dalla guerra civile
, può considerarsi la lacerazione originaria da cui scaturisce il sentimento di sradicamento e la necessità di rispondervi attraverso l’invenzione narrativa, contraddistinta da una forte tensione morale.
Interrogativi, dall’esperienza individuale a quella storico-filosofica, declinati attraverso la persistente idea di una necessaria ordalia: da quella religiosa, L’uccello nella cupola (prima edizione 1954) e il Quinto evangelio (1975) a quella sociale e politica del Nuovo corso, strepitoso romanzo di fantapolitica del 1959, e de La compromissione del 1965, sulla crisi di un intellettuale progressista in una città di provincia, a quella psicologica dell’indagine noir, ambientata in una fosca Parigi ne Il testimone (1956), approdando, in una dimensione autobiografica, ad un estremo e limpido dialogo con la morte vicina, nello struggente Una lapide in via del Babuino (in volume nel 1991). Riassuntivo sul tema del Male nella storia, Il Natale del 1833 (1983, vincitore del Premio Strega), protagonista Alessandro Manzoni, immaginato intento, tra l’altro, alla scrittura di un saggio sulla figura di Giobbe (l’emblema del giusto sofferente per iniquità
apparentemente assurde) e di una sofferta seconda edizione della Colonna infame.
Ancora Tommaso Pomilio rileva le difficoltà
di formarsi gli strumenti del sapere in quel contesto del dopo terremoto come del successivo periodo di rigido controllo del fascismo sulla cultura e «in quella devastazione bellica o, quasi biblica (Avezzano, in pratica una retrovia del fronte di Cassino, totalmente distrutta dalle bombe – trent’anni dopo la distruzione subita nel terremoto del ’15)» e, nonostante tutto questo, la volontà, quasi eroica, di trovare un centro di gravità «che rendesse giustizia a tanto disperdersi», in tal modo che fu proprio «questo stesso sradicamento a indurlo a collocare la propria ricerca niente di meno che in quel centro dell’animo dell’uomo
» [4] .
Così Il cimitero cinese si rivela uno dei racconti più significativi del Novecento, per la capacità di raccogliere, con innegabile talento sinfonico, tra paesaggio interiore ed esteriore, i contenuti tragici dello sradicamento epocale, illuminandoli con una tenue luce di speranza, riposta nel fiorire dell’amore tra i due giovani protagonisti, una tedesca e un italiano, ben coscienti dell’odio che li circonda, in quell’immediato dopoguerra, nelle regioni sconvolte dal conflitto.
I morti chiedono a chi resta un perché, scriveva Cesare Pavese, ne La casa in collina, qualche anno prima, parlando di ogni guerra come guerra civile: «In non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero» [5] .
Nonostante l’insorgere di un delicato sentimento di pietas per il soldato tedesco ferito e, forse, l’ipotesi di una storia d’amore con la ragazza italiana, ne I partigiani la questione posta da Pavese, in un’alba livida e mortuaria, di fronte all’atroce spettacolo
dei cadaveri partigiani rimasti appesi senza sepoltura, paralizza ogni ipotesi di pacificazione
. La giovane italiana, salita per caso sul convoglio dei soldati tedeschi, «provò uno sgomento senza limiti per quella tempesta ignota che travolgeva lui e coloro che lo circondavano e gli disseccava ogni affetto».
Il racconto, costretto a descrivere, nel 1945, l’impossibilità dell’eros di favorire una riconciliazione, rimane inedito e successivamente (si veda il saggio di Francucci) viene indicato da Pomilio come diretto antecedente de Il cimitero cinese.
Lo «sgomento senza limiti» e la «disseccazione degli affetti» straziano il cuore dei due giovani protagonisti in quella che doveva essere una gita propiziatoria all’amore nelle meravigliose spiagge della Normandia. Si rivela, invece, un transito nel dolore: chi e cosa può ridare l’innocenza? Quando finirà tutto questo, quando sarà possibile amarsi senza sentire, come un macigno nell’anima, la colpa di appartenere a quei popoli che hanno partorito il nazismo e il fascismo? Perché non siamo nati tutti nello stesso paese, perché si è perduto nel sangue sparso con atrocità l’eden della pace e della fratellanza?
Non sottraendosi alle domande di Pavese e alla terribile notazione di paralisi di qualsiasi affetto, Pomilio, nel Cimitero cinese, con un lungo e sofferto cammino, rovescia la visione
finale dei Partigiani, attraverso un gesto d’amore, provocato dall’identico atto di aver visto
, dentro le tracce indelebili della distruzione, qualcosa
di segno opposto. Una parola di pietas presentita durante la visita in quei luoghi, sei anni dopo la stesura dei Partigiani. Ancora nel 1951, però, non si sente pronto a capovolgere la visione paralizzante dell’odio con gesti di riconciliazione: solo oggi, grazie allo splendido lavoro di Federico Francucci sulle carte preparatorie del Cimitero cinese, possiamo osservare il sofferto cammino, il tormento interiore e stilistico, che conduce Pomilio fino allo scioglimento finale, più volte giudicato insufficiente di fronte alla tragedia.
Così la dimensione gnoseologica e stilistica di scavo verso la perfezione e la bellezza, nel Cimitero cinese si