Il volo che valicò le Alpi
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Il resoconto della gloriosa e tragica avventura è riportato in questo volumetto pubblicato per la prima volta nel 1915, che raccoglie gli articoli allora scritti per il Corriere della Sera dal famoso giornalista Luigi Barzini. Un testo che aiuta a fornire una testimonianza dell’entusiasmo di quei tempi per il progresso ottenuto in vari campi della tecnica.
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Il volo che valicò le Alpi - Luigi Barzini
Luigi Barzini
Il volo che valicò le Alpi
Prefazione di Gian Piero Joime
Il volo che valicò le Alpi
Luigi Barzini
© 2019 Idrovolante Edizioni
Ala tricolore
1 edizione – settembre 2019
prefazione
di Gian Piero Joime
La sua anima intrepida volava, volava, volava
Luigi Barzini
Ho letto d’un fiato Il volo che valicò le Alpi del pioniere e giornalista Luigi Barzini, con il prologo di Arturo Mercanti, organizzatore dell’impresa, grande esploratore e pioniere dell’aria.
E sempre d’un fiato l’ho riletto, non volendo abbandonare scenari, energie, personaggi, spiriti e ardimenti, nei quali sono ancora magicamente immerso.
In questa grande impresa d’altri tempi c’è tutto il senso dell’esplorazione: romanticismo e positivismo e futurismo, tenacia e coraggio, generosità e avidità , tecnica e cuore. C’è spirito di avventura, burocrazia e mercato, virtù e debolezze umane. Volontà di potenza e destino. Ascesa, caduta e ancora ascesa.
Una storia che sembra portarci, a noi lettori modernissimi, fin dentro al mito greco; che sembra racchiudere in un tempo piccolo e simbolico le apparenti contraddizioni delle vicende umane.
Una storia che trasmette il significato dell’oltre, della liberazione dai labirinti e della continua ricerca di nuovi confini da superare, anche arrischiando, come Icaro, di bruciare le ali.
Una storia che fa respirare e immaginare, specie nei momenti del volo, quando Geo stacca l’ombra da terra e volteggia nei venti e tra le vette, la liberazione dagli ancoraggi; entrando nel leggero mondo dell’aria, volando tra le rocce, in alto sempre più in alto.
Il volo che valicò le Alpi non solo segna un momento importantissimo per lo sviluppo dell’aviazione, è anche il simbolo della continua ricerca, prima romantica e poi ossessiva, di un mondo senza limiti: le Alpi, come colonne d’Ercole, erano allora il confine delle possibilità .
Il volo che valicò le Alpi valicò anche i limiti all’espansione delle umane volontà sulle apparenti restrizioni fisiche: la dimostrazione che coraggio e tecnologia aprivano a orizzonti infiniti. Da lì a pochi anni tanti esploratori, inventori, ingegneri si cimentarono nella costante ricerca di nuove imprese, come se il destino umano fosse quello della scoperta e della riuscita, come se il Graal fosse nell’esplorare.
Da lì a pochi anni, ad esempio, il raid Roma-Tokyo di Arturo Ferrarin del 1920; e Francesco De Pinedo nell’aprile del 1925 insieme al motorista Ernesto Campanelli parte con un idrovolante biplano militare SIAI S.16 Ter, lungo poco meno di 10 metri, privo di carrello terrestre, Gennariello dal nome del santo protettore di Napoli, con l’obiettivo di raggiungere l’Australia e ritornare in Italia passando da Tokyo: volarono per 370 ore su tre continenti, percorrendo 55000 km prevalentemente sul mare o seguendo il corso di grandi fiumi, sorvolando il Golfo Persico, facendo scalo in India e circumnavigando l’Australia.
E poi l’epopea dei grandi trasvolatori, guidati da Italo Balbo, che con idrovolanti italiani, gli S.55X con quasi 28 m di apertura, partivano da Orbetello alla volta del Brasile, degli Stati Uniti.
L’epoca, i primi del 900, vede intrecciarsi diversi e apparentemente contrapposti filoni di pensiero e la stessa impresa aviatoria e’ figlia sia delle tensioni romantiche che del positivismo tecnocratico . Dunque nella storia della trasvolata troviamo
Il senso e la brama romantica dell’infinito, quell’atteggiamento eroico di sfida e ribellione contro i limiti attraverso la ricerca di imprese eccezionali. E allo stesso tempo troviamo la fede nella scienza e nel metodo, ad esempio nella ricerca meticolosa della rotta esatta e nella preparazione scientifica, meccanica del volo, preparazione che nulla lascia al caso.
E troviamo questo oppure oppure
, così mirabilmente espresso da Friedrich Nietzsche:
Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a quelli che non possono volare. Tutti questi arditi uccelli che spiccano il volo nella lontananza, nell’estrema lontananza, di sicuro, a un certo momento non potranno più andare oltre e si appollaieranno su un pennone o su un piccolo scoglio- e per di più grati di questo miserevole ricetto! Ma a chi sarebbe lecito trarne la conseguenza che non c’è più dinanzi a loro nessuna immensa, libera via, che sono volati tanto lontano quanto è possibile volare? Tutti i nostri grandi maestri e precursori hanno finito coll’arrestarsi; e non è il gesto più nobile e il più leggiadro atteggiamento, quello con cui la stanchezza si arresta: sarà così anche per me e per te! Ma che importa a me e a te! Altri uccelli voleranno oltre! Questo nostro sapere e questa nostra fiducia spiccano il volo con essi e si librano in alto, salgono a picco sul nostro capo e oltre la sua impotenza, lassù in alto, e di là guardano nella lontananza, vedono stormi d’uccelli molto più possenti di quanto siamo noi, i quali agogneranno quel che agognammo noi, in quella direzione dove tutto è ancora mare, mare, mare! E dove dunque vogliamo arrivare? Al di là del mare? Dove ci trascina questa possente avidità, che è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in quella direzione, laggiù dove sono fino ad oggi tramontati tutti i soli dell’umanità? Un giorno si dirà forse di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere l’India, ma che fu il nostro destino a naufragare nell’infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure?
(F. Nietzsche, Aurora)
Il volo che valicò le Alpi si compie poi quasi contemporaneamente alla nascita del futurismo, tabula rasa del passato e di ogni forma espressiva tradizionale, così orientato verso il dinamismo della modernità, della civiltà meccanica.
«Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia... Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non v’è più bellezza se non nella lotta... Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro... Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore...», e poi ancora l’aeropoesia, l’aeropittura.
I primi anni del secolo scorso, così ricchi di energie, vivono una turbolenta e incessante esplosione di innovazioni: nel 1901 la prima trasmissione radio transatlantica; nel 1903 il primo Aeroplano; nel 1905 il primo motore fuoribordo per imbarcazioni; nel 1906, la Televisione ; nel 1909, il primo farmaco chemioterapico ; nel 1908 si produce la prima autovettura Ford modello T; nel 1910, l’ avviamento elettronico per le automobili; nel 1912, la prima nave a diesel; nel 1912 il pilota americano Tony Jannus (1912) inaugura con un idrovolante Benoist la prima linea aerea regolare della storia, tra Tampa e St. Petersburg in Florida (30 km), della durata di 23 minuti; nel 1913, il primo distributore di benzina; nel 1914, la prima macchina fotografica 35 mm; nel 1915, il carro armato.
Nel 1903, appunto, si leva in volo il primo aereo a motore della storia, costruito dai fratelli americani Wilbur e Orville Wright e pilotato da quest’ultimo, che nel primo volo percorre 36,5 metri in 12 secondi a una quota di circa tre metri e alla velocità massima di 16 chilometri l’ora, 48 tenuto conto del vento contrario.
Nel terzo volo della mattinata il Flyer, pilotato questa volta da Wilbur, vola per 59 secondi su una distanza di 260 metri. L’aereo è un biplano con un’apertura alare di 12 metri, pesante 340 chili e spinto da un motore da 12 cavalli, costruito sempre dai due fratelli. Alle tre del pomeriggio i Wright telegrafano al padre la notizia: «Successo quattro voli giovedì mattina, tutti contro vento 21 miglia. Partiti da terra con sola potenza motore. Velocità media 31 miglia. Volo più lungo 59 secondi. Informa giornali. Orville».
Il 5 ottobre 1905, in gran segreto, perché l’aereo non è ancora coperto da brevetto, i Wright volano per 38 chilometri; poi diverranno i fondatori delle prime scuole di volo nel mondo: in Francia, Germania e Italia. A Roma, nel 1909, Wilbur Wright compie 67 voli dimostrativi e avvia una scuola di pilotaggio.
Il Blériot XI di Geo Chavez, l’aereo che valicà le Alpi, era lungo otto metri, con un’apertura alare di sette metri e venti. Aveva un telaio in legno, materiale utilizzato anche per l’elica e il sedile di guida, un motore da 50 cv alimentato da benzina con olio di ricino, che riusciva a raggiungere la velocità di 85 km all’ora, due ruote da bicicletta come carrello, corde di pianoforte come tiranti, un tachimetro e una bussola; gli altri strumenti disponibili erano un barografo, che il pilota appendeva al collo, e qualche carta geografica da tenere nelle tasche del giubbotto. Tutto quanto offrisse di meglio, allora, la conoscenza scientifica; e, sottolineo, tela, corde di pianoforte come tirante e ruote di bicicletta come carrello !
Basterebbe questa descrizione del velivolo per comprendere con quanto ingegno e con quanta, almeno per noi, follia sia stato costruito. E con quanta passione temeraria.
Il Bleriot XI ha stabilito diversi primati nell’ambito della storia dell’aviazione mondiale; fu utilizzato anche durante la Guerra di Libia per il primo volo di ricognizione della storia militare dal capitano italiano Carlo Maria Piazza; qualche giorno dopo lo stesso pilota si cimentò nel primo bombardamento aereo effettuando il lancio a mano di bombe di 2 kg. sugli accampamenti nemici.
Qualche mese dopo, sempre Piazza con un Bleriot XI, effettuò una ricognizione fotografica aerea con una macchina fotografica Bebé Zeiss.
Noi italiani siamo stati i primi al mondo a usare l’aviazione in guerra; poi Dohuet scrisse il trattato il Il dominio dell’aria che piacque molto al Duce e così nel 1923 nacque la Regia Aeronautica di Balbo. Gli Andaldo SVA nacquero in quegli anni proprio per alleggerire la dipendenza italiana da tecnologia straniera.
E così in quest’epoca così avventurosa e tumultuosa, nell’estate del 1910, il segretario generale del Touring Club Italiano (TCI) Arturo Mercanti, appoggiato dal Corriere della Sera, lanciò la sfida internazionale per realizzare un sogno: il passaggio delle montagne da parte di una macchina più pesante dell’aria
.
Arturo Mercanti, pioniere dell’aria, è il promotore e organizzatore della trasvolata. Al principio del nuovo secolo, entrato a far parte del Touring Club italiano, partecipò attivamente all’evoluzione di questa associazione in un periodo in cui, con l’inizio della diffusione dei mezzi di trasporto a motore, nascevano nuove forme di turismo. Tra i membri del comitato promotore della Settimana automobilistica di Brescia del 1904 e del 1905, nel corso dell’edizione del 1904 organizzò il convegno dell’Audax, associazione di cicloturismo della quale era direttore, e il primo esperimento di automobilitazione, sull’esempio di analoghe iniziative svolte oltralpe per addestrare ciclisti e automobilisti privati in attività militari ausiliarie.
Fu tra i fondatori nel 1908 della Società italiana aviatori, tra i fondatori nel 1911 e primo presidente dell’Aero Club d’Italia e nel 1913 organizzò la prima gara per idrovolanti in Italia, il Circuito dei laghi. Tenente dei bersaglieri all’inizio della prima guerra mondiale, ricevette due medaglie di bronzo e nel 1918 prese il brevetto di pilota militare e divenne maggiore del Servizio Aeronautico.
Divenuto segretario generale del TCI, fece parte, in rappresentanza del Club, del comitato organizzatore delle corse di Brescia del 1907 e dei raid per autoscafi Piacenza-Venezia (1909) e Torino-Venezia-Roma (1911). Dopo aver contribuito, nel 1908, a fondare a Milano la Società italiana aviatori, partecipò all’organizzazione di varie manifestazioni aeronautiche, quali il Circuito aereo internazionale di Brescia (9-20 settembre 1909), l’Esposizione di aviazione di Milano (dicembre 1909) e i Concorsi aerei internazionali di Verona (22-29 maggio 1910).
In quest’ultima occasione manifestò al pioniere francese Louis Paulhan, l’idea di un volo attraverso le Alpi, seguendo una mappa da lui stesso preparata quale segretario generale della Commissione esecutiva per la carta d’Italia di 1:250.000.
E Geo Chávez fu il primo a iscriversi.
Geo Chavez nasce a Parigi il 13 giugno 1887, in una ricca famiglia di emigrati peruviani, padre esportatore di rame e banchiere, madre nobile. Quando a 16 anni perde la madre frequenta l’Ecole Violet di Parigi, il liceo di Elettricità e Meccanica industriale, dove cinque anni dopo si diplomerà ingegnere. Nel 1909 Geo perde anche il padre e conosce Paulhan, un costruttore di dirigibili e collaudatore di nuovi mezzi a motore che riuscivano ad alzarsi in volo. Lavora nel suo hangar e si iscrive alla scuola di volo aperta dai fratelli Farman, che per primi in Europa con il loro biplano avevano percorso alcuni chilometri in volo e avevano l’audacia di trasportare passeggeri, come avevano già fatto pochi anni prima i fratelli Wright negli Stati Uniti.