Opera omnia di un cuore:
By Barbara Fettuccia and 9788856799361
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Opera omnia di un cuore: - Barbara Fettuccia
cuori.
PROLOGO
Quando tutto ebbe inizio
L’idea di cominciare a scrivere è nata così, all’improvviso, senza pensare troppo. E io, quando mi metto in testa una cosa, non dormo finché non l’ho realizzata.
Ed eccomi qui, ore 6:28 del mattino, mia figlia addormentata di fianco a me, con quell’aria angelica che ha solo mentre dorme o quando cerca di arruffianarsi un mio sorriso dopo averne combinata una delle sue, a scrivere sul piccolo schermo del mio telefono una bozza di quello che potrebbe diventare il mio primo capitolo, il primo di una lunga serie spero.
Premessa: anche io, prima di diventare madre, ero una giovane donna che pensava solo a se stessa. Ah, che tempi, quando lo stress più grosso era incastrare l’appuntamento dall’estetista con l’aperitivo settimanale con le amiche; quando il week end lungo si prendeva un aereo last minute per una qualsiasi capitale europea; quando le domeniche di pioggia si passavano in due, gambe intrecciate, gatti addosso, film e gelato; quando il lavoro, la carriera e l’indipendenza erano tutto ciò per cui valesse la pena lottare.
Quando l’amore non era completo.
Eh sì. Perché poi, un giorno, fai la pipì più importante della tua vita, passi i 5 minuti più lunghi della storia, che in confronto per Penelope 20 anni a tessere e disfare la tela in attesa del ritorno di Ulisse non sono stati nulla, e infine vedi quella seconda lineetta. Stai lì, immobile, ti fai una doccia fredda, no calda, no fredda, boh. Nella tua testa un’orchestra stonata di babbuini che suona percussioni senza sosta, così, per mettere a tacere i mille dubbi e paure che si affollano e rimbombano nel tuo cervello. All’improvviso vuoi un gin tonic, una sigaretta e la tua migliore amica, ma ti rendi conto che non si può: dovrai accontentarti dell’ultima, solo di lei, che sarà la prima a sapere quanto forte sia quella vocina che, in tutto questo trambusto, fa eco dentro di te, ripetendo ininterrottamente: TI AMO. E quelle due parole sono di gran lunga più imponenti del frastuono di quell’orchestra di primati che ancora va avanti imperterrita nella mente perché, si sa, il cuore è infinitamente più forte del cervello.
Alla fine ti decidi, esci da quel bagno, tiri un sospiro profondo e cominci a organizzare la fuga... sì, ti piacerebbe!
E invece no, quelle due parole risuonano ancora, sempre più forti e forse per la prima volta le comprendi realmente. Allora ti dirigi verso il futuro papà e gli mostri quel test, quella verità inconfutabile, quella notizia ingombrante, leggera, spaventosa e meravigliosa. Con un po’ di fortuna capirà subito! Le sue prime parole non le scorderò mai:
Ma quando?
.
Cioè, cosa vuol dire ma quando?
Settimana prossima! Guarda, l’ho ordinato su Amazon venerdì che era il Black Friday, ultimo modello, arriva con il corriere a casa, full optional, gli ho preso anche la cover water proof così, quando cominceranno a uscire i liquidi dai vari spurghi, non si rovina la scocca.
Mi raccomando, per i primi tre mesi non diciamo niente a nessuno! In due minuti lo sapeva pure il kebabbaro giù all’angolo, nei cinque minuti successivi era stata informata anche la NASA.
Beh, fatto sta che eravamo felici. Felici di poterci amare un po’ di più, felici di poter condividere un amore così grande.
Oggi quella lineetta del test è reale, ha due anni e mezzo, una testa dura, e due occhi meravigliosi. Dorme qui, di fianco a me e, anche se piccola, sarà presto la sorella grande. Quelle due parole non hanno mai smesso di echeggiare, quel TI AMO lo viviamo ad ogni respiro.
Questa è una raccolta di riflessioni di una mamma ribelle e innamorata: la memoria, con gli anni, si offusca, si sgretola, archivia piccoli, vecchi ricordi per fare spazio ai nuovi. Per questo voglio prendere nota di queste vite, perché un giorno le mie figlie possano sapere come parlava il cuore della loro mamma.
CAPITOLO 1
Mamme VS moms
Mi sono trasferita negli USA tre anni fa, incinta di sette mesi, con mio marito, due gatti, tantissime valige e la nostra vecchia vita impacchettata in un’infinità di scatoloni, pronti per essere aperti e mescolati con i sogni e le aspettative per il futuro.
Non sapevamo esattamente a cosa saremmo andati incontro, ma ci siamo incamminati in quest’avventura tenendoci per mano e sorridendo insieme.
Ovviamente, una delle prime cose da fare era trovare un bravo dottore che mi accompagnasse attraverso l’ultimo trimestre di gravidanza: ecco, la prima visita medica in USA, fu il primo episodio che mi aprì gli occhi sull’abisso culturale che separa la maternità in Italia e la maternità nel Nuovo Mondo.
Avete presente quelle lunghe visite dal ginecologo, con ecografia, commenti sulle analisi del sangue della settimana precedente, peso, pressione, psicoanalisi freudiana e consigli per gli acquisti? Ecco, scordateveli. Qui ti pesano così come sei arrivata, con borsa e stivaletti, ti misurano la pancia con un metro da sarta, e ti rispediscono a casa, non prima di averti sommerso di informative cartacee, talvolta pubblicitarie, sulle varie cliniche della zona.
Ricordo ancora, tornando a casa dopo la prima visita medica
, la telefonata con mia madre: "Cosa? Cosa vuol dire che la tua pancia misura 25 cm?
Sì mamma, me l’hanno misurata con lo stesso metro giallo con cui la nonna faceva l’orlo ai pantaloni del nonno."
Le ecografie sono una rarità: una sola al quinto mese, e via. Per me fecero un’eccezione durante l’ottavo mese, dato che la sarta aveva determinato che la mia pancia era troppo piccola per i loro standard... E meno male
, avrei voluto esclamare. Frasi tipo: "Non dovresti fare sforzi nelle tue condizioni, riguardati, altrimenti la placenta si indurisce e ora di sera ti farà male!" non le sentirai mai. Piuttosto: "Domani climbing?
No, ho pilates."
Arrivò il fatidico giorno. Ora, io non ho esperienze di parto in Italia, ma mi sarei immaginata ostetriche con la divisa, camice, cuffia, guanti e mascherina per il papà. Cose da ospedale insomma, che puzzano di disinfettante e che ti ricordano in tutto e per tutto quello che sta per succedere.
No. Al mio risveglio dopo l’epidurale, mi sono ritrovata con un piccolo telecomandino in mano: "Quando senti dolori, premi il bottone: sono piccole dosi di anestesia. Mi raccomando, ogni 20 minuti, non meno!
COSA??? Mi state dicendo che posso drogarmi a comando? Sì, ma ricorda, non esagerare!
OK. Ho un po’ fame ora..
Tieni il menù... un hot dog va bene?
No dai, un gelato alla crema!
Purtroppo il gelato arrivò insieme all’ostetrica, un donnone di 200 kg, o almeno così la vedevo io, ma forse erano solo i deliri della mia ultima dose di epidurale. Il gelato non andò perduto