Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

500 anni di pace bastano
500 anni di pace bastano
500 anni di pace bastano
Ebook420 pages6 hours

500 anni di pace bastano

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Cosa fareste se foste strappati dalla vostra giovane vita normale per essere catapultati in una realtà del tutto nuova, estranea a voi e ai compagni che vi sono attorno? Come sfruttereste a vostro favore le capacità che alla fine sono innate in qualsiasi essere evoluto? O avete mai pensato quanto potente possa essere un pugno allo stomaco di serena paura, di amore crudele o di insensata razionalità?  La consapevolezza del proprio io ed il senso di appartenenza al gruppo sono gli elementi portanti di questo romanzo, ai quali fanno da sfondo una buone dose di magia, un futuro alquanto incerto ed un universo in bilico. Alcune volte non bisogna farsi troppe domande, perché fidarsi della musica del cuore e di un messaggio criptato su una tavoletta impolverata può essere l'unica scelta possibile se non vuoi soccombere.
 
LanguageItaliano
PublisherAnna Guido
Release dateJul 13, 2019
ISBN9788834156094
500 anni di pace bastano

Related to 500 anni di pace bastano

Related ebooks

Science Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for 500 anni di pace bastano

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    500 anni di pace bastano - Anna Guido

    inizio…

    CAPITOLO 1- IL SIGNOR BELL

    Il signor Bell, un anziano uomo che abitava in una casetta tranquilla nel paese di Hellorus, non era mai stato così solo in tutta la sua vita. E dire che, guardandolo bene, si poteva credere che la sua esistenza fosse stata lunghissima. Il vecchietto aveva soltanto un cane che gli facesse compagnia, ed era un animale molto strano. Sembrava sfuocato ed il colore del suo pelo si aggirava intorno al lilla. Ogni volta che si muoveva, i suoi passi sembravano molto lenti, quasi come se andasse a rallentatore. La villa dove viveva insieme all'insolito cane, era tranquilla per qualsiasi persona che non fosse normale. Infatti, in quella casa, accadevano cose molto strane, di cui nessuno però ne era a conoscenza…

    Il signor Bell, di nome Kenneth, aveva folti capelli bianchi che gli arrivavano alle spalle e sporgenti occhi verdi. Gli mancavano alcuni denti, ma se non sorrideva in modo da far scoprire la loro mancanza, era molto rassicurante. In quel momento era seduto su una sedia a dondolo, e mentre si muoveva dolcemente, sorseggiava una tazza di caffè. Gli occhi erano scintillanti e la tazza era stretta nelle mani molto nodose, quasi tremanti. Nonostante ciò, Kenneth era stato soprannominato dai suoi vicini il giovanotto, perché ogni tanto lo guardavano dalle finestre di casa loro fare le pulizie domestiche come se fosse veramente giovane e non dimostrasse più di sedici anni.

    Nella calma casetta c’erano molte piante, ormai seccate da tempo, tanto che sembrava che non vedessero la luce e non toccassero acqua da anni. Le serrande delle finestre erano tutte abbassate, tranne una da cui i vicini potevano vedere cosa facesse. Probabilmente non aveva bisogno di alzarle perché una sfera luminosa si ergeva nell'aria simile ad un piccolo Sole. Non era una lampadina, né tantomeno c’era un lampadario che la sorreggesse, ma la luce emanata era fortissima. Il signore trascorreva le giornate mangiando, dormendo e dondolandosi su quella vecchia sedia. Era una persona della quale non si poteva sospettare nulla di strano, di sinistro. Pochi giorni prima, per giunta, aveva vinto il primo premio del concorso che lo eleggeva la persona più tranquilla della città di Hellorus. Nessuno poteva certo osar dire che il vecchietto durante una delle sue tre principali azioni, mangiare, dormire e dondolarsi, fosse capace di commettere un crimine, un assassinio. No, non era possibile. Chiunque l’avesse fatto, sarebbe stato subito preso per pazzo.

    Il signore continuava a sorseggiare il suo caffè, anche se il dottore glielo aveva assolutamente proibito dicendo che era pericoloso per la sua età. Ma ogni volta che Kenneth ripensava alle parole del medico, gli veniva da ridere. Non aveva capito proprio niente; in realtà lui era in perfetta salute e il suo aspetto da innocuo anziano portava in inganno tante persone. All'improvviso si alzò, come se si fosse ricordato troppo tardi di un impegno importantissimo. Il cane, che al momento era seduto sulle zampe posteriori, si alzò per seguire il padrone. Era il suo fedele compagno e se avesse avuto il dono della parola, avrebbe potuto rivelare ogni genere dei segreti più intimi, più orribili del signore…

    Una volta superata la stanzetta in cui si trovavano solo un tappeto e la sedia a dondolo, arrivarono nella cucina, dove c’erano un minuscolo lavandino, qualche mensola ed un piccolo tavolo, con sopra alcuni bicchieri e una bottiglia di vino. Delle sedie erano rovesciate, con lo schienale che reggeva il resto del peso, mentre le gambe stavano ritte in aria. Oltrepassata la cucina, arrivarono in un piccolo corridoio. In fondo c’era una porta chiusa, ma lui si posizionò proprio davanti al muro del corridoio. Pronunciò una parola strana, « Romperi Varcus », ed all'improvviso alcune scintille di un blu elettrico comparvero dal nulla e iniziarono a rodere il muro nel vero senso della parola. Pian piano dei pezzi del muro caddero giù e alla fine si formò una breccia molto grande. Era incredibile, sembrava tutto così impossibile…

    A quel punto il vecchio fece un passo avanti, per sorpassare l’uscio della breccia, ma si fermò, ritornò indietro e guardò per un po’ il cane, il quale, ininterrottamente, l’aveva seguito come se fosse stata la sua ombra. Il vecchio, allora, disse un’altra parola insolita, anzi quattro parole insolite « Armus Lattus Cock Scatulus ».

    Sempre dal nulla, apparvero sul pavimento un piattino con della carne, sicuramente calda per via del fumo che emanava, ed una ciotola con dell'acqua. Il cane fece la giravolta felice ed immediatamente bevve l'acqua. Dopo cominciò ad assaggiare il cibo. Era un cane intelligente, sembrava che potesse capire le persone. L’uomo, soddisfatto, scese la scala che c’era oltre la soglia, sicuro di essersi sbarazzato di quel cane una volta per tutte grazie ad un po’ di carne. Il cane, però, continuò a seguire il signor Bell, anche se si voltava spesso per guardare quello squisito pranzetto, con l’aria di aver rinunciato a qualcosa di stupefacente.

    Il vecchio, con voce un po’ gracchiante, gli disse «Sciò » ma il cane, come se niente fosse, continuò la sua passeggiata allegramente, con la coda scodinzolante.

    L’anziano non tentò di scacciarlo un’altra volta, anzi sembrava esausto nel tentativo di farlo perché ormai qualunque cosa facesse, l’animale non se ne sarebbe andato per nulla al mondo. Così Kenneth scese la scala, molto risoluto e non inciampò neanche una volta.

    Giunto alla fine della discesa, la luce che proveniva dal corridoio non arrivava fino a laggiù. Disse « Lucenti » e un’altra sfera luminosa, uguale a quella che si trovava nel salotto, comparve in aria vicino a lui.

    Si trovava in una cantina malridotta, a quanto si poteva vedere. Infatti, c’erano delle crepe sui muri e sul pavimento. Proprio al finire della stanza, erano stipati una cassapanca un po' rovinata e un vecchio scaffale pieno di bottiglie di vino, uguali a quella in cucina.

    Il signore di colpo si fermò, proprio al centro della cantina e disse « Aztabut ».

    Nell'aria comparve una sfera rossa, che per un po’ roteò su sé stessa. Via via, cominciò ad allargarsi, fino a rivelare al suo interno, un enorme buco nero. Alla fine, la sfera si trasformò e divenne uno specchio. Il bordo era luccicante, quindi si poteva dedurre che era oro, ma la cosa più strabiliante fu che, sul vetro, anziché esserci il riflesso del vecchio signore, c’era un giovane ragazzo, del quale si vedeva solo il viso e il collo, come se fosse dentro l’oggetto. Aveva corti capelli, occhi neri ed una bocca larga e sottile.

    « Ciao, Josephus » disse il ragazzo, mentre stava facendo un gran sorriso.

    Ma a ricevere il saluto non fu il vecchietto, bensì un signorino con corti capelli biondi ed occhi grigi. Era scomparso il vecchio, oppure si era trasformato in un uomo molto più giovane, di nome Josephus? Cosa mai aveva costretto Kenneth, se in realtà era un ragazzo giovane, ad invecchiare? Forse doveva nascondersi da qualcosa o qualcuno… che lo voleva morto?

    CAPITOLO 2- UN TUFFO NEL PASSATO

    Be' , per capire bene la storia, bisogna ritornare indietro, nel passato, di almeno un anno, quando Josephus era un ragazzo normale, con una vita normale. In realtà, però, Josephus non era mai stato un ragazzo normale. Infatti, aveva sempre vissuto nelle stranezze, in un’insolita casa con la propria famiglia. La mamma avrebbe fatto qualsiasi cosa per il suo ragazzo, ma il papà era molto più severo e voleva, anzi pretendeva, che suo figlio fosse il migliore nella scuola, nei giochi, nella vita quotidiana… insomma in tutto. Quindi Josephus aveva due vite: una dove lui poteva avere tutto, essere coccolato, servito e trattato come un vero principino, l’altra nella quale doveva comportarsi in modo serio, ben educato, frequentare solo gente del suo stesso ceto sociale…

    Nel caso in cui non si fosse ancora capito, Josephus era un giovane fuori dalla norma proprio perché era un principe. Un principe molto frustrato a dire il vero, che se seguiva determinate regole era amato e ben voluto da tutti, ma se non le rispettava era quasi odiato e considerato un pazzo, indegno di succedere al trono del padre, in quanto aveva svergognato la propria famiglia.

    Sono stanco , pensava Josephus ogni tanto di dover seguire delle stupide leggi da re, adottate da mio padre, che neanche sopporto. Nessuno mi capisce, persino la mamma, che cerca di rendermi felice in qualsiasi modo, solo perché certe volte mi trova triste. Forse sono un ingrato si rimproverava in seguito, con un vago senso di colpa perché la mamma fa tante cose belle per me, ma questo colmo di vuoto, di tristezza che esiste veramente e che ho sempre avuto, non può essere sconfitto solo con qualche regalo .

    Era vero, infatti, che Josephus avesse questa terribile sensazione che lo opprimeva, giorno e notte, come fosse la sua ombra, e pian piano gli toglieva ogni briciolo di felicità. Più passava il tempo più lui si sentiva debole e come avevano notato ultimamente sia lui che la madre, i suoi occhioni luminosi, di un grigio acceso, si erano spenti. Josephus associava questa brutta sensazione ad uno strano senso di ricerca, come se lui volesse trovare qualcosa che era sempre più lontano e questa ricerca era accompagnata da un segreto, un grande segreto, che forse sarebbe stato un duro colpo per tutti scoprirlo, tanto era terribile.

    « Ho sonno » pensò Josephus una mattina, mentre era nel suo letto a baldacchino, ancora con gli occhi chiusi.

    Erano le sette e la sveglia lo aveva destato dolcemente. Infatti, anziché suonare, facendo Drin, drin, aveva cominciato a cantare, con una voce di donna, che salì sempre più di volume, finché il ragazzo non la bloccò. Era quasi tutto buio intorno e soltanto una debole luce penetrava dalla finestra socchiusa. Quel giorno era un giovedì, e a giudicare dal cinguettio allegro degli uccellini che volavano fuori, doveva essere una bella giornata. Ma Josephus non voleva alzarsi.

    « Perché poi ho ripassato tutto l’argomento dei cataclismi naturali più comuni? » confabulava con sé stesso nervoso « Lo so a memoria, ma per colpa di mio padre, il re » e qui emise uno sbuffo « ho dovuto ripetere ogni singola cosa e per giunta a lui, perché voleva essere sicuro che fossi abbastanza preparato, anzi preparatissimo, il migliore come al solito ».

    Si alzò a fatica, infilò le ciabatte morbide ai piedi e prese una specie di telecomando che era lì vicino, sul letto. Premette un bottone giallo chiaro (perché ce n’erano in tutto tre, giallo, rosso e fucsia) e le serrande si alzarono immediatamente. Ora, con la luce intensa, si poteva vedere tutto a meraviglia. La sua stanza era enorme, con un armadio altrettanto grande ed intagliato in strane figure, anche nei più piccoli spazi, come il letto, che adesso Josephus stava risistemando. Un lungo copriletto scendeva fino a terra, morbido e con ricami di quella che sembrava seta, e la luce creava degli strani giochetti sul tessuto. In tutto potevano riposarsi sette persone, della stessa stazza di Josephus, molto comodamente. Accanto c’era il comodino, con sopra la sveglia blu canterina, ed un libro che s’intitolava " La natura si evolve".

    La stanza era interamente circondata da scaffali, ripieni di coppe e premi dalle forme strane, che scintillavano come diamanti preziosi. A quanto pareva venivano lucidati molto spesso. Ma Josephus non li degnava di un solo sguardo; forse la convivenza con quei trofei, che non facevano altro che declamare la sua perfezione, lo innervosiva, perché conquistarli aveva richiesto tanta fatica.

    Dopo aver messo a posto i cuscini, fece alcuni passi in avanti, verso il ripiano più basso dello scaffale di fronte a lui, e prese il telefono. Alzò la cornetta e digitò dei numeri, evidentemente per chiamare qualcuno. Poi premette un minuscolo pulsante nero e il televisore, poggiato su un ripiano più alto, si accese immediatamente. Infatti, se si guardava bene, la tv ed il telefono erano collegati da un filo e quel pulsante li metteva in comunicazione. Lo schermo della tv era completamente nero, ma Josephus attese paziente, come se aspettasse che qualcuno gli rispondesse. Il telefono intanto faceva tu-tu.

    Dopo qualche istante, la tele si illuminò e si vide un ragazzo con corti capelli e occhi neri, e dalla bocca larga e sottile. Reggeva anche lui una cornetta del telefono. Si vedeva solo il suo mezzo busto, ma dietro si scorgeva una camera da letto simile a quella di Josephus. Anche lui era un personaggio importante dell’alta corte, ma l’unico con il quale Josephus andasse veramente d’accordo.

    « Ciao, ripassato tutto per il compito d’oggi? » chiese.

    L’altro gli rispose un po’ arrabbiato, un po’ scocciato « Certo, Tony, e come fare altrimenti? Ti ricordi che ieri ti ho detto che sapevo tutto a memoria? » e senza aspettare la risposta, continuò tutto d'un fiato « Mio padre però non si fida di me, come già sai, e perciò mi ha interrogato su tutto il libro e voleva sapere anche i punti e le virgola. Ma non gli è bastato! Ha voluto che lo ripassassimo altre quattro volte! Abbiamo impiegato tutta la notte e infatti mi meraviglio se farò il compito giusto, con il gran sonno che ho! ».

    Tony non lo fissava scioccato, anzi lo guardava come se si fosse aspettato proprio quella risposta.

    In quel momento si sentì bussare alla porta e una voce femminile dall'altra parte, annunciò dolcemente « Il principe Josephus Abbott è pregato di alzarsi per la colazione », poi si sentirono dei passi allontanarsi.

    « Devo andare, Tony, una delle mie cameriere mi ha chiamato, come forse avrai sentito ».

    « Aspetta » gli disse l’amico precipitosamente. « Ti sei scordato che mi avevi cercato il libro sugli animali volanti? » e posò la cornetta da qualche parte.

    Scomparve per un attimo e quando ritornò aveva in mano un libro. Lo avvicinò fino a toccare lo schermo della tv e la copertina spuntò dalla tele di Josephus. Lo schermo non era più fisso, ma emanava delle onde e Tony si vedeva male, come se lo si guardasse dall'alto di un fondale marino. Josephus prese tranquillamente il libro che gli porgeva l’amico e una volta che l’oggetto fu tirato fuori dalla tv, lo schermo ritornò normale e Tony si vedeva di nuovo benissimo.

    « Grazie, ma con tutto quello che ho da fare, non credo mi possa ancora dedicare alle letture di piacere ».

    Poi ripremette lo stesso minuscolo bottone di prima sul telefono e la tv si spense. Abbassò la cornetta e guardò con un sorriso il libro. Sulla copertina c’era raffigurato una specie di dragone alato dalle squame rosse, con quattro artigli al posto delle zampe. Il muso era schiacciato e gli occhi erano grandi e verdastri. Posò il libro sul comodino e si tolse il pigiama blu con disegnato la faccia di un orsetto, regalatogli dalla mamma che diceva, mentre il figlio inorridito lo osservava per la prima volta, « Ti starà d'incanto, tesoro mio ». Da quel giorno doveva metterselo spesso, altrimenti la mamma si sarebbe sciolta in mille lacrime.

    Si mise velocemente una maglia ed un pantalone rosso e mentre apriva la porta pensò « Perché poi, è fissata sempre con me? Ho due sorelle e un fratello, perché ogni tanto non scoccia anche loro? ».

    Così irritato, chiuse la porta, pronto a scendere le scale davanti a lui. Incontrò molti camerieri al suo passaggio, vestiti con un lungo camice nero, ma non portavano nessun grembiule.

    Tutti al suo passaggio lo salutarono « Principe Josephus» oppure « Sua Altezza » con un profondo inchino.

    Lui faceva dei brevi cenni, come per dire di smetterla. In realtà non voleva tutta quell'attenzione, anche se un po’ si sentiva un egoista. Quanti avrebbero voluto essere al suo posto? Lui, invece, non apprezzava quella vita. Troppo eccentrica, troppo severa. Una volta finita la scala, il grande atrio era pronto ad accoglierlo. C’erano delle porte sia sul lato sinistro che su quello destro. Un grande candelabro con molte candele accese, nonostante fosse giorno, era appoggiato su un tavolo.

    « Sempre ad attirare l’attenzione. Ecco perché mio padre le vuole accese » pensò con uno sguardo torvo Josephus, voltandosi verso sinistra ed aprendo la prima porta.

    Entrando, si sentì una donna urlare come una pazza, contro un ragazzo di non più di dodici anni. Aveva la pelle scura, con occhi verdi e i capelli castani, mentre la donna che gli puntava minacciosa il dito, aveva occhi grigi sporgenti, quattro ciuffi di capelli svolazzanti del colore di chi l’aveva resa così infuriata ed una lunga veste variopinta. Teneva un mestolo nella mano e aveva tutta l’aria di poterlo lanciare contro il ragazzino.

    « È una cosa indegna » diceva « Nessuno in famiglia, secoli dopo secoli, ha mai fatto una cosa così stupida. Se mai dovesse morire tuo fratello Josephus, sicuramente non saliresti al trono. Saremo costretti ad eleggere una delle tue sorelle regina! ».

    Due bambine, sedute ad un piccolo tavolo mentre bevevano il latte, sentendo quelle parole se lo rovesciarono addosso e guardarono la donna con aria interessata. La più grande, con non più di nove anni, aveva due lunghe trecce rosse, una pelle chiara come il latte e due occhi piccoli e lucenti. L’altra aveva corti capelli come un maschio, neri e sbarazzini. Aveva un grande sorriso stampato in faccia, che non se ne andava mai e i suoi occhi marroni brillavano anch’essi di speranza, forse più di quelli dell’altra. Era la sorella preferita di Josephus. Si sedette con loro e chiese alla più giovane, Gerty, perché la mamma stesse urlando al fratello Ricky.

    Lei guardò in modo dispettoso Jacky, la sorella più grande, che rispose « Ricky ha combinato il solito guaio. Invece di bere il latte, l’ha fatto cadere per terra perché si diverte quando le cameriere puliscono per lui. Ha combinato una vera e propria pozzanghera ».

    S’interruppe per bere una sorsata del suo latte. Dopo continuò, con voce ancora più squillante « Guarda, è ancora lì ».

    Ed infatti un bel laghetto bianco si era propagato velocemente in fondo alla cucina. Josephus chiese la colazione a una delle tante cuoche lì intorno, che trafficavano ai fornelli per preparare già il pranzo. La mamma sfinita andò al tavolino, con Ricky preso per un orecchio e il mestolo infilato in una delle tasche della veste.

    Poi rivolta a Josephus, disse con un tono di scusa « Mio caro figliuolo, non ho certo predetto la tua morte, dicendo a Ricky che se fossi morto, lui non diverrebbe mai re, ma era soltanto un modo per fargli capire che ha poche possibilità se continuerà a comportarsi in maniera scorretta. Non può certo portare il nome di principe e, speriamo mai di re! » e scoccò un’occhiata fulminea a Ricky.

    Josephus, che intanto stava gustando il latte portatogli da una cameriera, non capiva perché la mamma dovesse scusarsi ogni volta così tanto, dato che lui non si era mai lamentato. Appena finito il latte si alzò. Guardò l’orologio e scoprì che erano le 7.45. Doveva sbrigarsi. Tra poco c’era il compito tanto atteso. La madre e i fratelli gli augurarono buona fortuna, ma lui era sempre più nervoso. Anche se sapeva che la mamma gli avrebbe fatto un grosso regalo, sia che il compito fosse andato male o bene, lui era sempre più stanco ed isterico. Ritornò nell'atrio ed aspettò un quarto d’ora.

    Poi una voce meccanica, che proveniva da chissà dove, disse « Ora del compito, riguardante l’argomento sui cataclismi naturali. Il titolo del tema è » e qui Josephus tirò un sospiro di sollievo, perché i test a risposte multiple li detestava « " Scriva tutto quello che sa sui cataclismi naturali più comuni intorno a noi. Le loro caratteristiche, gli effetti che potrebbero avere sull'uomo e soprattutto quali sono quelli più pericolosi" ».

    All'improvviso comparve una mano di ferro, senza braccio, che gli consegnò una decina di fogli e una penna stilografica con cui scrivere. Josephus li prese e si sedette al tavolo dov'era posizionato il grande candelabro. La mano di ferro restò in aria, grattando ogni tanto un mento inesistente. Bisognava riassumere un po’ tutto il libro, non poteva certo scrivere ogni cosa, anche se aveva tre ore di tempo. Questo era uno dei tipici esami che ogni alunno doveva fare alla fine di un anno scolastico. Josephus, però, aveva finito l’ultimo anno di scuola avanzata, perché aveva diciotto anni. Dopodiché, con i suoi ottimi voti, normalmente avrebbe trovato un buon lavoro, ma dato che il suo destino era già segnato, studiava solo per fare bella figura davanti alla corte. Josephus iniziò a scrivere tranquillamente ed aprì un lungo discorso sui terremoti, maremoti, crolli di montagne…

    Quando la sorellina Gerty cercò di suggerirgli qualcosa con il libro aperto fra le mani, la voce meccanica disse « Che nessuno cerchi di suggerire, nemmeno lei signorina, altrimenti l'esame del signor Josephus Alphonso Ambrose Abbott 4° verrà annullato ».

    Allora, la bambina, tutta triste, se ne andò. Era veramente come essere in classe, con un professore con tanto d’occhi. Ma Josephus non aveva bisogno d’aiuto, sapeva già tutto. Così consegnò il compito dopo due ore e mezza alla mano di ferro.

    La voce meccanica disse « Il Signor Josephus Alphonso Ambrose Abbott 4° saprà il risultato del suo compito giorno 27/06/5997. Le auguriamo fino ad allora di passare buone vacanze ». Poi la mano scomparve insieme ai fogli.

    La scuola era finita da un pezzo, l’ultimo compito era stato fatto, e dopo, tra circa un’ora, sarebbe andato a festeggiare con i suoi amici. Ma adesso doveva affrontare suo padre.

    La sera prima gli aveva intimato « Dopo che avrai finito il compito, sei obbligato a venire nel mio studio per riferirmi com'è andato ».

    Così il ragazzo risalì le scale. I muri di fronte a lui erano abbelliti da finestre esagonali, chiuse non dal vetro, ma da uno strano liquido color ocra, che formava delle piccole onde sulla sua superficie. Anche una serie di dipinti, raffiguranti donne bellissime che portavano tra le mani una corona, adornavano le pareti. Arrivato al quarto piano, percorse il corridoio, girò a destra, aprì la porta di fronte a lui, salì un’altra rampa di scale ed arrivò in un piccolo corridoio con un’unica porta. Accanto c’era un vaso molto antico, con alcuni cocci mancanti ed inciso da scritte di una lingua altrettanto antica.

    Josephus bussò alla porta ed una voce maschile e burbera disse « Avanti ».

    Il principe pensò, mentre apriva la porta, che se avesse fatto male il compito, non avrebbe osato guardare il padre negli occhi. Un uomo più basso del figlio sedeva in una grande poltrona di pelle fine, e con il respiro leggermente affannoso, scriveva su foglietti di carta. La stanza era spaziosa, sicuramente più del corridoio precedente. Al muro erano appesi degli attestati, uno bello grande per quando era stato proclamato re, e altri, più piccoli, dove si ringraziava il re per i particolari servigi resi al suo regno.

    « Allora » disse suo padre « che diavolo hai combinato nel compito? ».

    Josephus avvertì un’impercettibile aria minacciosa nella sua voce e non rispose subito, gustando, soddisfatto, la probabilità che suo padre avesse un po’ paura.

    « È andato tutto bene » disse alla fine, con una voce monotona che non assomigliava affatto alla sua.

    « Erano delle domande? » chiese il re.

    « No, la traccia chiedeva un vero e proprio tema » rispose Josephus.

    « Qualcuno ti ha suggerito? » domandò il padre, questa volta con una nota preoccupata nella voce.

    « Be', Gerty ha cercato di farlo ».

    Il padre alzò gli occhi, più folli che mai « Non c’è riuscita, vero? Insomma, la voce è riuscita ad interromperla prima che fosse troppo tardi, no? ».

    Josephus rispose paziente « Ho detto che ha cercato, non che c’è riuscita ».

    « Bene, allora puoi andare. Quando si sapranno i risultati? ».

    « Il 27 Giugno » disse Josephus svogliatamente, mentre guardava la finestra al centro della parete di fronte, più grande delle precedenti, ma simile a loro.

    Ti pareva, neanche un complimento per aver fatto il compito tutto giusto pensò il principe una volta ritornato nell'atrio. Voleva uscire prima dell’ora dell’appuntamento con i suoi amici, ma incontrò il resto della famiglia.

    La mamma lo fermò dicendo « Sono sicura che è andato bene il compito. Tieni, questo è il tuo premio » e gli diede un sacchetto pieno di soldi e un bacio affettuoso sulla guancia. « Congratulatevi con vostro fratello, perché già da adesso porta molta gloria alla nostra nobile casata ».

    Le due sorelline lo fecero subito, mentre il fratello no, e per questo fu subito sgridato dalla regina. Poi lei aggiunse « Guarda tesoro, i domestici hanno finito di sistemare tutte le cose del vecchio castello, anche se forse non te ne sei accorto perché troppo impegnato a studiare ».

    Josephus da poco tempo si era trasferito con la sua famiglia nella reggia di Atthirfod, mentre prima abitavano ad Opulusculus. Era usanza, infatti, che i regnanti cambiassero residenza ogni tre generazioni.

    Fu così che Josephus, senza dire una parola, se ne andò, lasciando lì sua madre e i suoi fratelli.

    Josephus ha appena chiuso il portone principale dietro di sé ed ammira il giardino del castello.

    Chiusa una porta gigantesca con figure mostruose che mostravano le atrocità dell’inferno per chiunque avesse tradito il re, si ritrovò in un parco meraviglioso.

    Interi recinti d’erba appena tagliata (tanto che se ne sentiva ancora l’odore) dividevano il giardino del castello, trasformandolo in un labirinto. I cespugli avevano la forma di esseri umani, di uccelli dalle forme mitologiche o di animali in procinto di attaccare. Alcuni assomigliavano a cani o aquile, altri erano uno strano incrocio tra scimmie e felini, pesci e rettili o draghi con uccelli. Uno in particolare si ergeva maestoso, con la bocca spalancata. Era un lucertolone dall'aspetto minaccioso, con le ali simili a quelle di uccello, provvisto di quattro artigli per ciascuna parte laddove avrebbero dovuto esserci le zampe. Era del tutto simile all'animale raffigurato nel libro di piacere dato dall'amico Tony. I suoi occhi erano grandi e dalle pupille verticali.

    Da alcune fontane gigantesche, getti d’acqua sprizzavano ogni tre secondi ed andavano ad unirsi ai rivoli che scendevano giù per i canaletti in pietra per confluire nei laghetti o nei sotterranei. Così facendo, fiori dai mille colori, sparsi dappertutto, venivano innaffiati. Un rumore di ciottoli spostati si sentiva in corrispondenza di ogni passo del principe: nel viottolo che stava percorrendo, le piccole pietre che lo ricoprivano, si muovevano in modo tale da non toccare le sue scarpe, per poi ritornare nella posizione iniziale una volta alzato il piede.

    Dopo un bel po’, arrivò alla fine del parco, dove vide la statua in marmo di tutta la famiglia reale: le due sorelline inginocchiate per terra, Ricky alzato e sorridente e la madre che teneva le mani appoggiate sulle spalle del figlio, quando normalmente litigavano sempre. Infine, Josephus e il padre che si stringevano la mano e guardavano con occhi sognanti un avvenire prosperoso.

    Un’immagine alquanto irrealistica della nostra famiglia. Questa si vuole troppo bene pensò Josephus la prima volta che la vide.

    Spalancò l'inferriata del cancello alquanto delicata, nonostante fosse maestoso come il portone d’ingresso del castello. Dal cigolio che sentì dietro di lui, capì che il cancello si stava richiudendo.

    Ora percorreva un marciapiede tutto nero, mentre la strada era ricoperta da una sostanza gialla. Non c’erano alberi e neanche panchine, ma delle auto volanti molto grandi, da cui si riuscivano a vedere le persone. Alla sua destra e alla sua sinistra, si ergevano delle case tutti uguali e dalle forme bombate. Le finestre erano chiuse dalla stessa sostanza ocra di quelle del castello, ma il giardino, anziché essere ricoperto dall’erba come nel castello, aveva una sostanza appiccicosa ed arancione.

    Camminando, camminando, alla fine arrivò in un grande piazzale, dove per terra crescevano degli alberelli. Una targhetta, che si ergeva in aria, recitava la scritta " Encartium Ent Park" .

    Era vuoto, se non per un gruppetto di ragazzi che parlavano animatamente tra loro. Intravide il suo migliore amico Tony e si sollevò di morale. Gli altri erano per lo più amici imposti di suo padre e aveva la netta impressione che lo accettassero solo per questo. Si fermò davanti ai ragazzi, che lo salutarono allegramente. Alcuni indossavano delle gonne lunghe e delle maglie senza maniche che lasciavano scoperte le spalle, altri invece delle t-shirt e pantaloni normali, come Josephus e Tony.

    « Ciao, fratello. Il mio esame è andato discretamente. Il tuo? » chiese Tony, dandogli una pacca sulla spalla.

    « Anche il mio ».

    « Sicuramente migliore di Ale » proseguì Tony « ha scritto che le eruzioni vulcaniche nascono dal mare! Cioè, ti rendi conto? Poi mi ha telefonato tutto agitato dicendo di aver combinato un pasticcio. E ci credo io! Se fossi il professore, ti boccerei subito ». E scoppiò in una risata fragorosa, insieme agli altri.

    « Tu dici che lo faranno? » domandò un ragazzo magrolino e con un tic agli occhi.

    « Non credo Ale. Lo sai che Tony esagera sempre. Comunque, possiamo cambiare argomento? » e Josephus gettò un’occhiata espressiva a Tony.

    « Eccome! » disse subito l’amico, capendo il suo stato d’animo. « Vieni, vorrei presentarti mio cugino: Dracusu Atturstird ».

    Un ragazzo muscoloso, con folti capelli neri che gli coprivano la fronte, lo salutò porgendogli la mano e guardandolo intensamente con i suoi grandi occhi scuri. A Josephus diede una buona impressione, quel giovanotto vestito come i suoi compagni, ma si pentì quasi subito di aver pensato questo. Nel momento stesso in cui gli toccò la mano, un brivido lo attraversò, e una voce del tutto sconosciuta, esplose nella sua mente.

    " So il tuo segreto ".

    Josephus non capì più niente.

    CAPITOLO 3- UNA RIVELAZIONE INASPETTATA

    Quando Josephus aprì gli occhi, gli apparve tutto un po’ sfuocato. Poi, dopo un minuto circa, cominciò a vedere bene.

    Si trovava in una stanza che non conosceva, molto tranquilla. Era sdraiato su un letto, e nonostante facesse caldo, aveva le lenzuola tirate fino al collo. Sul comodino accanto, c’era una bacinella piena d’acqua e tanti accessori che sembravano pinze e cavatappi. Alcune sedie dall'aspetto comodo stavano abbandonate lì davanti. Tende di ampie finestre erano completamente unite e nonostante ciò, la luce penetrava lo stesso. In generale, quella stanza grande e senza molti arredi, dava una sensazione di pulito e serenità.

    Poi Josephus sentì delle voci che lo fecero sobbalzare. Si accorse soltanto ora che c’erano altre due persone, alzate, che conosceva molto bene.

    Suo padre, che era proprio davanti alla porta chiusa e con la schiena voltata rispetto al figlio, parlava alla moglie « Lo vuoi lasciare in pace? Neanche ti può sentire e vedere che gli pettini i capelli… ».

    Ma la donna, accanto a lui, rispose agitando in aria il pettine che teneva tra le mani « Mica lo faccio per Josephus! Deve essere perfetto ovunque, anche in un fondo di letto. È un così bel giovane e se noi lo valorizziamo ancora di più, porterà sempre orgoglio alla nostra nobile casata! Perché credi che gli compra tante cose? Per fargli tenere quel sorriso tutto denti stampato in faccia! C’è tanta gente a corte, un po’ troppa pettegola, non voglio che pensi che nostro

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1