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PANTERA (Quelli della)
PANTERA (Quelli della)
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Ebook458 pages6 hours

PANTERA (Quelli della)

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About this ebook

Vicissitudini, ricordi e pensieri annebbiati di un ex universitario degli anni 90, anche stralunati, ormai irreali, come se mai vissuti.

Incontri romani fortuiti, cibi magnogreci, ricette apocrife, luoghi dimenticati, storia, storie, riflessioni, curiosità, cicerchie... viaggi, amori, sentimenti...

Un affaccio introspettivo su un tempo sfuggito.
Una storia di chi ha vissuto Roma da universitario, non sempre in goliardia.
Un viaggio ovattato in un tempo erroneamente pensato transitorio e leggero.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2017
ISBN9791220033787
PANTERA (Quelli della)

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    PANTERA (Quelli della) - Paolo Garganico

    copertina

    PAOLO GARGANICO

    Pantera (Quelli della)

    ISBN: 9791220033787

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Prologo

    SVOLGIMENTO

    L’arrivo

    L’appartamento a San Lorenzo

    Una di nome Maruska

    Un eroe inconsapevole

    Ferdinando Murra il poliziotto

    ​ Il venditore di antennine alla stazione

    La Super Economica

    L’autografo

    L’appartamento sulla Tuscolana

    Ladri di baci

    I discendenti di Marconi (e per una volta di Volta)

    Il Codice Teodoro!

    L’uscita con la ragazza

    La pasta e le pizze in casa

    Lo scontro tra Titani

    Il falso coinquilino

    La Divina

    ​ La fraschetta dell’amore

    Le ragazze di Sante

    In ginocchio mani in alto!

    Lo strano incontro

    Il giornalista

    Giovanni

    Il cugino

    Sharon l’amica di un’amica

    Sandro

    Bianchina

    La signora Bernasconi

    Una Madre

    L’autostop scientifico

    ​ Marisa

    Il destino corto

    La vacanza speciale

    Andrea Funten

    La prova di onestà

    Il Gran Premio di San Marino

    ​ La Notizia

    Stude et labora

    La naia uno stop

    Il corso alla Callaghan

    EPILOGO

    Il grande giorno

    Note finali dell’autore

    Prologo

    PROLOGO

    Questo libro, mi dispiace anche dirlo, non è un trattato sui felini e neanche uno studio sul mondo animale (adesso sarà scartato da tutti gli animalisti, veterinari compresi).

    Oddio, aspetta, un po’ lo è!

    Sempre che anche gli altri animali accettino noi uomini nel loro entourage, e ci considerino al loro stesso livello (di bestialità).

    Questo libro è scritto così, alla buona, tanto per... tanto per non perdere i ricordi e, un po’, anche per giocare allo scrittore poco alletterato [1] , o da strapazzo, tanto per dire qualcosa, un po’ alla Nino Manfredi (anzi, alla Petrolini), tanto per cantare o raccontare.

    Ecco, vorrei iniziare a mettere ordine a delle quasi vecchie rimembranze, narrando le cose come se Gennaro, il mio ormai anziano e buon maestro, mi avesse dato l’ultimo compito a casa (altrimenti arrischierò le mani con le sue vecchie bacchettate [2]: dieci a botta!), un compito disgraziato, del tipo di quelli per scompaginare le vacanze estive, quello di narrare ai compagni di classe, con argomenti in fila o a sprazzi, o a come vengono, i fatti salienti di una lunga e tormentata esperienza, a volte.

    Sarà una saga, o una storia, con i suoi capitoli e i suoi protagonisti, anche senza sequenza o come capita, con fatti e ricordi, uno inzeppato nell’altro, come matriosche russe, di quelli che ti si accavallano in mezzo agli occhi e che spingono per uscirne primi.

    Sarà una storia vera... o quasi. A tratti. Per niente. Insomma...

    Bene, se non lo avete ancora chiuso questo e-tomo, l’autore mi costringe [3] (e insiste, pure) che io debba scrivere che vi ringrazia. Fatto.

    Allora continuo... visto che state leggendo!

    Questo libro sulla Pantera è inteso non all’animale (bella questa!), ma a un particolare scorcio storico.

    Forse, illustri studiosi di storia contemporanea storceranno naso e bocca, e ne avranno da dire su questo accostamento, ma noi (cioè io), alla fine di tutto, come nei vecchi telequiz di Mike, compriamo una vocale e saltiamo il fosso (bene, ora vi avrò persi tutti; pace al tomo, amen!).

    Va be’, continuo da me...

    Il periodo storico è riferito tra gli anni Ottanta e Novanta, quello dell’altro secolo, dell’altro millennio [4], quello del Novecento, quello quasi infinito, brutale, tremendo ma, in ultimo, anche bello ( e chi si scorda del giorno della prima comunione di mia cugina!), quando, a un tratto, nei dintorni di Roma, nelle sue verdi campagne, e sulle sue strade provinciali (dicevano tra Zagarolo e Palestrina), è stato notato un felino nero, scappato di gabbia... una pantera! Mizzica!

    Chi diceva da un circo, chi diceva da uno zoo, chi diceva da un recinto privato... Fatto sta che questa impavida bestia, di tanto in tanto, compariva un po’ qua e un po’ là.

    Contadini e pastori, extra moenia, raccontavano di avvistamenti, di galline scomparse (forse era il loro vicino) e di pecore sparite (l’altro vicino, o forse i lupi della Sabina, ultimi discendenti dalla tata di Remo e Romolo), autisti di campagna giuravano (forse bevuti, quelli della domenica) di averla quasi investita.

    A tutt’oggi non si è capito se, poi, quella pantera è stata catturata oppure no, o se è veramente esistita! Il fatto è che, ogni tanto, si sentiva nei telegiornali dell’epoca che era stato avvistato un felino nero: una volta al Centro, un’altra volta al Nord, poi di nuovo più giù... Boh!

    Può darsi che si trattasse di bestiole diverse, di grossi gattacci randagi neri, ma a me piace pensare che sia stata sempre lei, la stessa, forse ancora adesso a distanza di anni, facendo visita a turno tutte le province [5] italiane e che non si lascia acchiappare mai.

    Intanto, un movimento studentesco universitario, per un paio d’anni, adottò idealmente quella pantera, identificando in lei il suo spirito di ribellione e di libertà.

    Sì, belle cose. Storie di galletti scappati dal pollaio. Rivoluzionari allo stato embrionale. Forse perditempo goliardici, sempre pronti a buttarla in caciara per vivere nuove avventure. Tutto pur di non studiare?

    Anche, figurati!

    Era il periodo delle occupazioni delle aule universitarie (non che sia finita) e ci s’incontrava per discutere, esprimere, parlare, contestare.

    Forse anche agire? Bah!

    Mi piacerebbe pensare che quel movimento abbia influenzato qualche scelta politica giusta, che abbia portato a qualcosa di nuovo, di utile, e non sia stato solo un’ingenuità o uno strumento psicosocioantropolitico mal usato ( e se finora qualcuno ha resistito, adesso... può anche vomitare! ) .

    Fatto sta che qualcuno dell’entourage di quel movimento, di cui sto raccontando, e che frequentava quelle aule occupate, indottrinato alla perfezione, poi, a sua volta, cercava di fare proseliti tra i rispettivi amici. Ma gli amici, si sa, un po’ apatici e un po’ sornioni, in accordo o in disaccordo, lo lasciavano parlare, a volte interessati e infoiati quanto lui, in altre divertiti o infastiditi, e in altre ancora semplicemente annoiati.

    Fu così che il nostro frequentatore, Gino, sempre un po’, in apparenza, arrabbiato con tutto e tutti, dagli amici fu chiamato: il Pantera.

    Adesso il lettore si starà spazientendo, dicendo a sé stesso: ma quando inizia la trama, ma dov’è la storia?

    Ecco la storia. Porta pazienza! Una storia leggera. Una storia scritta di getto [6], spezzettata a capitoli, anzi, a ricordi...

    Però, prima di iniziare a farvela sentire, l’autore consiglia di mettersi comodi e ( devo dirlo, in disaccordo con l’editore! ) suggerisce, anche, di fare un mezzo passaggio dalla toilette: il pensatoio per eccellenza. Tipica postazione per gli studenti universitari che, spesso, accalcati in vecchi appartamenti, a volte anche di fortuna, diveniva oggetto di fila e di violente bussate alla porta di quell’unico (nel senso proprio di uno) e atipico luogo di anchilosanti letture, di trepidanti meditazioni, di sofferte contrizioni, ma poi... di serenità e anche, a volte, lasciatemelo dire, di intuizioni straordinarie [7]...

    C’è da dire, a proposito, e scusatemi se mi dilungo su argomenti in apparenza futili, che, all’epoca, un gruppo di ricercatori goliardici, esperti in materia, si riunirono per decidere su un dilemma. In questo gruppo di Roma, chiamato poi i Ragazzi di via Tuscolana (un famoso bacino urbano, secondo solo ai Parioli), con il Pantera (segretario) e un certo Sante (presidente, e che ritroveremo più avanti), c’erano anche altri amici di altre Università italiane, e di tutto rispetto, come quelle: di Bologna (la Dotta, la più antica nel mondo, 1088), di Napoli (fondata da Federico II, nel 1224, la prima in assoluto da uno Stato laico), de L’Orientale di Napoli (la più antica in Europa per lo studio del Mandarino, ecc.), del Politecnico di Bari, di Foggia, di Cosenza, di Palermo, uno dalla Normale di Pisa (quella di Napoleone) e uno anche dalla semplice statale di Pisa (ma molto più antica di quella Normale di Napoleone), uno da Camerino, uno dalla Scuola Medica [8] di Salerno. Ma nessuno dalla Bocconi, la LUISS non pervenuta, e anche uno dalla mitica Scuola per corrispondenza Radio Elettra di Torino (uno zio del Pantera ne aveva frequentato un corso, ma negli anni Settanta era caduto da un tetto, diceva di essersi diplomato là come antennista, ma nessuno gli credeva).

    Così, questo gruppo di studiosi, dopo varie sessioni di lavoro e attente discussioni, voleva candidare all’UNESCO "Il Pensatoio " come: Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

    Sì, lo so! Lasciamo perdere ma, secondo l’autore, anche molti artisti e intellettuali del passato sarebbero stati d’accordo! Forse qualcuno no! Pazienza.

    La cosa poi, piano piano, sfumò e Andreotti alla fine non volle (un loro amico, fuori sede, di Giurisprudenza che doveva presentare la domanda)!

    Ma tornando al nostro racconto, come dicevo, e dopo aver espletato le su citate incombenze, ormai liberi... potrete scolarvi tutto di un fiato le gesta fluide di Quelli della Pantera e di quello che gli succedeva intorno.

    Colui che narra, li conosceva tutti e partecipava a tutte le loro gesta, da testimone o, come si dice adesso, come persona informata dei fatti (in quel periodo che sta raccontando, verso la sua fine, fece capolino un tal Di Pietro, che ai telegiornali andava per la maggiore, e un po’ tutti iniziammo a imparare un certo linguaggio).

    Chi sta scrivendo, essendo stato coinvolto all’epoca, obtorto collo, a torto o a ragione, ne parlerà sforzandosi, da bravo cronista distaccato dai fatti, asettico e neutrale, in terza persona, alla Caio (e Gaio) Cesare Giulio (scusate l’umile accostamento all’autore), il quale era un famoso giornalista [9] inviato di guerra. Soprattutto nei due De Bello [10] .... Anche se l’autore, in alcuni casi, da testimone, non potrà farne a meno di parlarne in prima ( e a seconda...).

    Che casino!

    Insomma, a seconda di come esce meglio ( che il Prof. Sabatini mi perdoni, e anche l’editore! ).

    Il lettore deve avere un po’ di pazienza, l’ho detto: è una cosa senza impegni, tanto per chiacchierare, per ridere, come quelle discussioni accese sullo sport, il lunedì mattina, al bar davanti a un cappuccino o a una tazzina di caffè, inutili nei contenuti ma importanti per gli amici.

    Bene, iniziamo. Il dado è tratto, disse quello un po’ più in alto. I lettori sono avvertiti.

    ALEA IACTA EST!


    Paolo Garganico

    Pantera (Quelli della)

    SVOLGIMENTO

    VOLGIMENTO

    ( A piacere, per una questione di tempo [1] e poi non saprei un modo diverso.)

    L’arrivo

    L’arrivo

    Erano gli ultimi anni di Pertini, come Presidente, poi di Schillaci e Baggio (... Maradona... va be’...), i calciatori, erano gli anni dei non ultimi attentati terroristici interni e di quelli mafiosi [1] , di Falcone e Borsellino (purtroppo), ma anche gli anni di Pavarotti e dei Tr e Tenori a Caracalla e altro...

    L’elenco sarebbe infinito, ma il lettore di una certa età può metterci, come compito a casa, anche del suo: i modelli delle automobili in voga dell’epoca, i nomi degli amici o delle amiche che frequentava in quei tempi, le pubblicità alla radio o alla tivù (è mitica quella dell’uomo in ammollo, di alcuni anni prima), i politici (forse, molti, ancora gli stessi di oggi, i portaborse di allora sono i saggi o i ministri di adesso!), i cantanti del momento [2] , i nomi delle proprie/i fidanzate/i, ecc.

    Rimangono sempre nella memoria: canzoni, musiche, immagini legate a dei tempi precisi del nostro passato, a degli avvenimenti particolari della propria vita.

    Per i ragazzi (non pochi) di questa storia erano gli anni un po’ bui, anzi, delle ristrettezze economiche (non per tutti, ovviamente), dei primi sacrifici esistenziali. Qualche poetastro avrebbe detto bohémien: periodo in cui si narra che grandi pittori, poeti e scrittori degli anni venti o giù di lì, che, per stile di vita o poveri in canna, durante l’inverno per riscaldarsi bruciavano tele e manoscritti. Che falò! Sicuramente un po’ enfatizzato, ma rende l’idea di quello che poteva essere, e passare, nella mente di chi, prima di esser famoso, era stato semplicemente affamato.

    Ma il guaio era che il protagonista di questo libro (oddio, ce n’è più di uno) non aveva opere da bruciare, se non la sua stessa rabbia. Io l’ho conosciuto, frequentandolo per caso, abitando con lui, sempre per caso, lo stesso appartamento, la stessa camera, una doppia, non per caso. A volte diventava anche tripla, apposta, e quadrupla, per necessità. E per non parlare di alcune spassionate invasioni di amici, e di amici di amici, dove di notte non ci si riusciva neanche a mettere un piede sul pavimento, il corridoio diventava una distesa di corpi. Va be’, lasciamo perdere...

    Verrebbe voglia di citare, anche, tutti gli indirizzi dove abitò, o abitarono, lui e la sua schiatta, ma è meglio evitare, altrimenti potremmo incasinare le cose e qualche giornalista (dopo aver letto questo libro, poveraccio) potrebbe andare a curiosare nei quartieri, per le sue gesta. Così, un giorno, anche il sindaco di Roma sarebbe costretto a furor di popolo, ovviamente, a mettere una targa incisa sulla parete esterna di ogni edificio, con scritto: " Qui hanno dimorato, dal... al... quelli della Pantera". E visto che ne avevano cambiate di case, e fatti di traslochi, sarebbe stato una sorta di accostamento al grande Peppe Garibaldi fu ferito 17 , l’eroe dei due monti ( Aspromonte e Montevideo, se non sbaglio...), ma anche dei due mondi (a dire il vero dei due sesti, che non è poco, poi fate voi), il quale pare avesse, però, un parente alla lontana, un marmista [3] , forse un cugino di secondo grado di un suo cognato sudamericano (credo di origini venete-trentine, ma ancora in corso di approfondimenti, forse salentine o, più probabile, calabresi... poi vi spiego...). Questo parente marmista, nel seguirlo in tutta Italia, vendeva ai sindaci delle città e paesi, in cui albergava e sostava l’eroe, anche per una notte, busti, lapidi e targhe già preincise, ad eccezione della data e del nome del luogo che incideva sul posto, mentre, ignaro, l’eroe affaticato dormiva. Pepè spesso gli suggeriva deviazioni, e visite particolari, anche in treno, ad amene cittadine o ville aristocratiche, piazzandoci altri marmi.

    Ma non lasciamoci fuorviare da digressioni storiche, ancora in corso di approfondimenti [4] !

    Nell’ormai lontano settembre 1985, Sante, il secondo nostro protagonista (o forse il primo?... diciamo in ex aequo , va’!), si accingeva a prendere il treno da una stazione ferroviaria di una città del Sud. Non ha importanza quale, l’una vale l’altra. Poteva essere un qualsiasi figlio del Sud (scusate l’enfasi, ma ho ancora in testa le citazioni di un vecchio libro di Giovanni Russo ).

    La città poteva essere Crotone, o Messina, oppure diciamo, a caso, Lecce; tanto potrebbe essere la storia di uno dei tanti che saliva per lo Stivale, per andare a iscriversi usualmente a un’università del Nord, per esempio a Bari (oh, è a nord di Lecce!) o a Napoli.

    Per intenderci, la città era Roma.

    Bella.

    Magnifica.

    Unica.

    Sante c’era già stato a Roma, a fine agosto, per iscriversi alla Facoltà di Ingegneria Civile. C’era stato con il nonno, che già la conosceva dai suoi tempi nella Benemerita, fecero tutto in un giorno, con tutti i documenti pronti, appena depositata l’iscrizione, subito ritornarono a casa, in Puglia. In pratica, arrivarono con il treno alle sette del mattino a Roma e ripartirono con quello delle undici di notte. Quest’ultimo era un interregionale , una specie di tunnel spazio-tempo, c’entravi di notte a Roma e ci uscivi alle sei del mattino a Foggia, però frullato. Nel frattempo nel buio, interno ed esterno, a parte i rumori e le voci, non ti rendevi mai conto dov’eri e, se proprio all’ultimo per la stanchezza ti scappava il sonno, scendevi a Bari. Spesso.

    Questa volta, però, venendo a Roma, portava una valigia robusta, sicuramente piena più di scorte alimentari che di vestiti. Prima della sua partenza, genitori di amici e genitori di amici di amici, di parenti e affini, gli avevano affidato pacchi, pacchetti e buste, o altro, da portare ai loro rispettivi figli, che già stanziavano a Roma da anni, e che dovevano " prendersi una laura... " (scusate, ma qui Totò è d’obbligo).

    Lui non sapeva dire di no e, forse, pensava che questi soggetti studiosi lo stessero tutti aspettando sulla banchina, appena il treno si sarebbe fermato all’arrivo.

    Ovviamente, i colli erano più quelli da distribuire agli altri compaesani che non i suoi.

    Il treno arrivava dalle campagne da sud e, alcuni chilometri prima del suo arrivo alla stazione centrale Termini, nel rumore cadenzato delle rotaie sui binari, Sante, guardando fuori dal treno, fu sorpreso, come ipnotizzato da quegli antichi acquedotti che convergevano dritti sulla capitale, cavalcando quei clivi, tra pini marittimi e campi di grano mietuto, con i loro archi a regolare falcata. Anzi, sembrava come se uno di quegli acquedotti gareggiasse in velocità con il treno, addirittura in un punto gli tagliava la strada, come in un urto annunciato. Oddio!

    Invece, schivandolo per un pelo, correva dall’altro lato dei binari del treno e ancora più veloce lo seminava indietro, scomparendo alla sua vista.

    Così, man mano che avanzava dalla periferia, dopo l’ingresso, decelerando dentro Roma, dal finestrino si scorgeva l’imponenza di Porta Maggiore, un monumento con sopra i canali degli acquedotti [5] , e che aveva quasi messo Sante in uno stato di sogno.

    Pare che in questo luogo convergessero nel tempo fino a otto acquedotti imperiali e, in più, in modo inspiegabile, Sante notò la presenza, in mezzo agli archi, di quella triste e solitaria tomba di un ricco fornaio (Eurisace) e di sua moglie (Atistia), a suggellare quell’eterno patto d’amore con la sua amata, di oltre 2000 anni fa! Costruita ancor prima della Porta monumentale e Claudio

    , l’imperatore, ordinò di non disturbare il loro eterno abbraccio.

    Così, m eraviglia e incredulità si erano impossessate di Sante, agitandolo. Eppure ne aveva visto di foto e letto anche di storia antica. Così, iniziava a meditare, se fosse stato capace di essere all’altezza del compito che si era assegnato, davanti a tanta testimonianza di uomini che avevano cambiato il mondo: prima ladroni e pastori, poi, contadini, guerrieri e ingegneri e, infine, grandi legislatori e civilizzatori ...

    E pensava: ... oh, mica: «... ominicchi, piglianculo e quaquaraquà.» ; avrebbe detto Leonardo [6] .

    Mentre il treno, ora, addentrandosi sempre più nella città, come intimidito, avanzava ancora più lento, quasi ossequioso davanti a tanta maestà .

    Così, ormai agli ultimi metri, come spento, sfilava anche il tempio 7 di Minerva Medica , quello della dea sapiente, cupo, tetro, buio e quasi spaventoso 8 .

    La realtà agli occhi di Sante si poneva come una magnificenza mai vista, sembrava rapito, il suo sguardo assente e la sua mente lontana agli albori di questa nostra, antica, civiltà. Ne era felice, si sentiva fortunato di essere lì. Era a Roma, la Caput Mundi.

    Il treno arrivò in stazione, quindi, in testa ai binari, si fermò. Man mano che la gente defluiva all’esterno, lui iniziò a raccogliere i suoi non pochi bagagli. A terra, sulla banchina, non c’era nessuno ad attenderlo. Che strano. Infine era rimasto solo lui, come un pinguino (nel senso della banchina).

    Eppure, qualcuno doveva esserci.

    - Strano, qualche contrattempo, ora arriveranno...

    Ma niente di niente.

    Di tutti quei pacchi non sapeva neanche a chi andassero, lui si era segnato su un foglio la lista dei nomi e dei pacchi che avrebbe poi distribuito. Ma la cosa lo iniziava a infastidire e gli venivano in mente tutte quelle mamme che si erano raccomandate del proprio p a cco, per i loro figli, dicendo: «... e mi raccomando, daglielo con le tue stesse mani, lui è un bravo ragazzo che studia... » .

    - Te lo do io un bravo ragazzo che studia, qui alla stazione non si vede nessuno!

    A Roma Sante era diretto a casa di un lontano parente, un cugino di sesto o ottavo grado, o giù di lì. Questo lo avrebbe ospitato finché non avesse trovato un alloggio. Almeno questi erano gli accordi.

    A proposito, gli accordi erano stati presi da suo nonno e da un altro parente [9] dell’ospitante (un altro nonno), forse a sua insaputa (spesso era così, i parenti si mettevano d’accordo, ma dimenticavano di riferirlo in modo preciso ai diretti interessati).

    Aveva un numero di telefono, lo fece al primo apparecchio SIP [10] disponibile a gettoni.

    - Pronto, Nunzio? Sono Sante. Sono arrivato or ora alla stazione.

    ~ Sante chi?

    - Come Sante chi? Il figlio di Filomena, mio nonno è Giuseppe, il carabiniere, cugino di tuo nonno Raffaeluccio.

    ~ Hai sbagliato numero!

    - No, aspetta, ma tu ti chiami Nunzio?

    ~ Sì, Apostolico!

    E gli chiuse il telefono.

    - Ma che caspita... e adesso dove vado?

    Ricompone il numero. Risente la stessa voce.

    - Nunzio? Vedi di non fare lo scemo. Ti conosco sai? Ci siamo incontrati una volta a casa di zia Rebecca.

    ~ Ma quando?

    - Tanto tempo fa. E tu avevi un pantalone blu e una camicia rossa!

    ~ Tanto tempo fa?... Fammi pensare...

    ~ Con un pantalone blu e una camicia rossa, hai detto?

    - Sì!

    ~ Aspetta... ah! Deficiente, quello era Garibaldi!

    E gli richiude il telefono.

    - Come Garibaldi?

    Il terrore iniziava a prendere Sante allo stomaco, quello di essere solo in una città sconosciuta, con tutti quei pacchi, e non sapere dove andare, con ogni persona che gli si avvicinava come un possibile mariuolo di cose e, forse, anche di persone!

    - Ma qui sono tutti pazzi. E adesso come faccio e con tutti questi pacchi?

    - A proposito, anche lui ha un pacco.

    Rifà il numero.

    - Senti Garibaldi, tua madre ti ha inviato un pacco e se lo vuoi, mi devi ospitare, come disse tuo nonno a mio nonno, oppure lo butto, anzi lo apro!

    Ora, aprire un pacco altrui, inviato da una santa madre del Sud a un figlio disgraziato più a nord, lontano da casa, era un sacrilegio nel credo studentesco, era come profanare una chiesa, rubare il vino delle messe dall’altare (quello dolce) o rubare a un vecchio vicino di casa, che ti lascia le chiavi in vacanza. Insomma una cosa del genere!

    ~ Ma che apri e apri, oh, non è roba tua!

    Finalmente ha abboccato, pensò Sante.

    E continuò:

    - Sì che lo faccio, anzi, se non mi vieni a prendere in questa cacchio di stazione...

    ~ Piano, piano... Oh! Ancora non sei arrivato e già stai delirando. Calmati.

    ~ Adesso vengo. Fatti trovare sul marciapiede in via Marsala. Chiedila e lì vicino.

    - Via Marsala? Va bene ti aspetto. Nunzio, ma lo sai che sei proprio uno stronzo?!

    ~ Sì, sono d’accordo con te.

    - Veramente? Oh, ma io non volevo offenderti, ma tu mi ci hai tirato per il collo!

    ~ Non importa, tanto io non sono Nunzio!

    - E allora chi cacchio sei? E che cacchio vuoi?

    ~ Te l’ho detto che hai sbagliato numero.

    - Porca miseria. E mi fai perdere tutto questo tempo e adesso come faccio?

    - Sicuramente nonno ha scritto male il numero.

    - Ma tu, allora, come ti chiami? ~ Mi chiamo Gino. Gino era un tipo curioso e sornione, a volte annoiato, a volte arrabbiato, era sempre alla ricerca di un motivo esistenziale, non era cattivo, era uno scrutatore, non nel senso elettorale, ma nel senso che scrutava e analizzava ogni cosa, era sempre dubbioso e meditativo.

    - Ah, piacere Sante.

    - Ma, veramente, verresti alla stazione?

    ~ E perché no. Ormai mi hai interrotto lo studio e visto che mi hai bombardato di telefonate, adesso, sono proprio curioso di vedere la tua faccia.

    - Beh! Niente di speciale, sono un tipo normale. Oh, ma non devi, non preoccuparti, un posto lo trovo...

    ~ E chi ti ha detto che ti ospito? Neanche ti conosco.

    - Ma allora che vuoi?

    ~ Niente, solo perdere un po’ di tempo per distrarmi. Se ti trovo: bene! Altrimenti, buona fortuna. Io arrivo tra dieci minuti.

    Sante era incredulo, anche un po’ timoroso, il nonno gli aveva detto di stare attento e che Roma era una città fatta apposta per imbrogliare i bravi ragazzi, soprattutto le matricolacce universitarie.

    Gli aveva sempre detto di scegliere una città meno grande per l’università. Gli avesse dato retta!

    Ora si sentiva un po’ a disagio e aveva anche un po’ di paura. Si sentiva solo, senza speranza. Per un attimo lo assalì inspiegabilmente il panico! Il mondo lo sentiva ostile. Si guardava da tutti. Si allontanava da ogni possibile contatto con qualcuno.

    Poi, un dubbio:

    - Oddio, non è che quel matto del telefono viene veramente? Quello, mo, sa tutto di me...

    Intanto pensava a qualche soluzione, ad esempio: pagare per una notte una pensione e lì ce n’erano parecchie di insegne, in quelle traverse vicino alla stazione, anche se poco invitanti. Poi si fermava e pensava ai pochi soldi che aveva o che non voleva già iniziare a spenderli a vuoto. Cercò di contattare il nonno, la madre a casa, ma non rispondeva nessuno al telefono, e i cellulari ancora non circolavano.

    Mentre decideva il da farsi, ritenne opportuno mettersi dietro qualche auto parcheggiata, per non essere visto e per tener sotto controllo la situazione.

    Nel frattempo, scrutando la grande stazione, ai bordi della grande galleria quadrata, Sante era come incantato dal flusso delle persone, dal vocio frastornante, dalla gente strana che lui osservava e che lo riteneva strano a sua volta, con quella montagna di pacchi.

    Lo colpì il venditore di antennine tivù e tutti quei barboni, in perenne ricerca di qualcosa, e un tizio, in particolare, che palpava tutte le gettoniere dei telefoni pubblici della SIP, nella speranza di trovare qualche gettone telefonico o monetina dimenticata (e che in seguito lo conobbe anche, alla mensa universitaria, in via De Lollis, un ex studente fuori corso, sulla quarantina, e che tutti chiamavano Ho Chi Minh, per la stretta somiglianza con l’ex capo vietnamita).

    Si era quasi calmato da tutto quel frastuono, ma i suoi pensieri lo riportarono alla realtà.

    Così, a un tratto, intravide qualcuno che andava scrutando tra la folla le persone. Era lui: Garibaldi. Aveva un pantalone blu e una camicia rossa.

    - No, pazzesco !.. Ma ti pare che uno, mo, viene così a cercarti, vestito in quel modo, e senza uno scopo?

    Il sospetto diventava sempre più certezza. I suoi pensieri andavano a mille.

    - Questo è veramente maattoo!

    - Incredibile, ma questo è un’ossessione! Non è che vuole fregarsi i pacchi? Oh, ma chi gli ha detto che ho tanti pacchi? Porca miseria come corrono le voci qua.

    - Neanche dalle nostre parti fanno così.

    Invece non era nessuno, un passante, uno così...

    Poi, di colpo, da dietro:

    ~ TU SEI SANTE?

    - Ma che sei matto, mi hai fatto prendere un insulto al cuore! (ripetendo una frase del nonno, quando si spaventava)

    - E tu sei Gino, ma che sei scemo, mi prendi alle spalle, mi fai prendere un infarto!

    ~ Eri l’unico che si nascondeva dietro le macchine parcheggiate e ho pensato: eccolo là a Marco Polo.

    Si scrutarono per alcuni secondi. Poi, Sante ebbe un dubbio, come una brutta intuizione, e atterrito esclamò:

    - Tu vuoi accalappiare, vai via! Guarda che chiamo i carabinieri.

    Intanto la gente iniziava a fermarsi e a guardarli entrambi.

    ~ Ma che ti gridi, sei scemo? Lo vedi che ti osservano tutti?

    - Meglio, così ho i testimoni!

    ~ Non fare il deficiente, guarda che sono anche quasi fidanzato!

    - Ah, sì e con chi, con quel perfido fuciliere di Bixio?

    ~ No, con una del paese, da circa sei anni, è un po’ indecisa.

    - Ah, come la capisco!

    ~ Senti, sono qui perché mi fai un po’ pena. Ti posso aiutare a trovare il tuo amatissimo cugino, se hai qualche indizio.

    - No, tu mi vuoi fregare!

    ~ Va be’, ciao.

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