La vita inizia quando incontri il lavoro giusto
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La vita inizia quando incontri il lavoro giusto - Tommaso Tentarelli
responsabilità.
INTRODUZIONE
Quella che racconto, non è la mia storia, ma, semplicemente, una storia di lavoro raccontata sulla base delle mie esperienze.
Vuole essere la rappresentazione di una delle tante persone che vivono la propria vita con la fortuna di avere trovato il lavoro giusto.
Vuole essere un messaggio per i tanti giovani che si affacciano al mondo del lavoro e, forse, non ne percepiscono l’essenza, l’importanza.
A chi mi ha chiesto come si fa a capire se il lavoro è quello giusto, ho risposto semplicemente che è uguale a quando si incontra, nella vita, la donna giusta. Come non si incontra mai la donna che immaginiamo nella nostra fantasia, e capisci che è quella giusta perché, tutte le mattine, quando ti svegli non sei mai stanco della sua presenza, così è il lavoro: capisci che è quello giusto quando non ti pesa mai alzarti ed andare a lavorare ogni mattino.
Non dobbiamo, poi, mai dimenticare che, ognuno di noi, se vuole, nella vita può fare qualsiasi cosa. Ma per riuscire a farla bene, dobbiamo considerare il lavoro che facciamo come se fosse quello che abbiamo sempre cercato, il migliore che potevamo fare, il più importante e quello che più ci appaga. Questo non vuol dire che non possiamo cambiarlo, cambiare ruolo, e ricominciare da capo; ma la regola deve essere sempre la stessa, perché, qualsiasi cosa, fra farla bene o farla male, richiede lo stesso tempo.
CAPITOLO 1
Quando lo vidi scendere, sulla scala del supermercato, ebbi un attimo di stupore; avevo cercato di immaginarlo ma non pensavo fosse un omone così grosso; Giorgio Gatti era il capo del Gruppo Gatti, molto conosciuto, nel nostro ambiente, come il re dei supermercati, e stava sviluppando quello che, negli anni sarebbe diventato il Gruppo più rappresentativo e caratterizzante del nostro territorio. Si occupava di sviluppare il business e cercava di comprare le attività che lo aiutavano in questo e, quindi, era per quello che sarebbe venuto; voleva comprare il nostro supermercato.
Il supermercato era stato aperto, nel 1977, da una impresa, diventata famosa a Teramo, come Torrefazione Marozzi; iniziai a fare questo lavoro proprio in occasione dell’apertura del negozio ma, dopo alcuni mesi, fui trasferito negli uffici centrali della Società che, oltre questo, ne stava aprendo altri. Era una idea vincente, in quel periodo, ma dopo alcuni anni, anche a causa di alcune scelte sbagliate, la Società cominciò ad avere problematiche di carattere finanziarie che rischiavano di compromettere la gestione del negozio; per conservarne il valore, proposi di gestirlo insieme ad altri due soci; l’dea fu buone e le cose andarono bene, tanto che ci permise comprare l’attività dopo alcuni anni.
Era diventato nostro da tre anni, e, pensare di venderlo era l’ultima cosa che avrei immaginato, ma, purtroppo, era inevitabile; nella vita ci vuole coraggio e decisioni, spesso, immediate; probabilmente non eravamo pronti per questo e, accettammo l’invito ad un incontro nella loro sede, per discutere e valutare, quindi, il da farsi; erano stati i miei soci, Sante e Guglielmo, a spingermi ad accettarlo e, quindi, ad andare; con me sarebbe venuto l‘avvocato Marcantoni Giuseppe, che avevamo conosciuto qualche anno prima, era sempre presente e ci assisteva, anche, nella soluzione di piccoli problemi; eravamo diventati amici per la sua simpatia e la semplicità con cui intendeva il ruolo; era diverso dagli altri avvocati che avevamo conosciuto e lo consideravo, forse per la sua semplicità e la facilità con cui sorrideva, molto utile ed affidabile.
Arrivammo nella sede del Gruppo con un po’ di anticipo, com’era nostra abitudine, e fummo subito ricevuti; l’incontro avvenne in un ufficio molto grande, almeno per noi, e fui sorpreso dal numero dei partecipanti; non era presente, infatti, solo Giorgio Gatti ma altre cinque persone; breve presentazioni e, scoprimmo che, alla sinistra di Giorgio era seduto un omone grosso, stravaccato sulla sedia e con la mano destra che si reggeva il capo, come se fosse preso da mille pensieri; era il commercialista del Gruppo, Lino Mercuri e, scoprii in seguito, che era una delle colonne portanti; alla destra era seduto lo zio Enrico Palladini, che si occupava di progettazioni e patrimonio ed era considerato una persona su cui il gruppo riponeva una grande fiducia; a seguire Angelo Calloni, segretario di Giorgio e tuttofare nella organizzazione riguardante la parte delle vendite; lo avevo già conosciuto ed era sembrato molto disponibile, calmo, riflessivo e raramente prendeva decisioni senza aver, prima, sentito gli altri; a capo del tavolo era seduto un personaggio di piccola statura, tozzo, con gli occhiali, guardava continuamente i fogli che aveva avanti; fu presentato come dottor Caini di Nereto e mi sembrò strano che prendesse, subito, lui la parola:
-Sappiamo, tutti, il motivo per cui siamo qui e, quindi, cerchiamo di non perdere tempo; io so tutto di Voi e, quindi, non ho intenzione di aprire trattative, cerchiamo di chiudere prima possibile e non prolunghiamoci in discorsi che fanno solo perdere tempo-.
Lo guardavo, ascoltavo e pensavo che o era cretino o fingeva di esserlo, o, forse, l’onnipotenza che, talvolta, prende il sopravvento nella nostra testa, modificando la realtà dei fatti, ci acceca, facendoci fare errori madornali; forse voleva intimorirci ma, noi, se avevamo qualche certezza, era quella che non avevamo, mai, avuto nulla da nascondere e non avevamo, mai, fatto nulla di cui vergognarci; io avevo trentuno anni, ero una persona semplice, trasparente ma molto decisa e, difficilmente, qualcuno poteva spaventarmi; il fatto che quel personaggio cercava di farlo mi irritava molto ma, la cosa che più mi sorprendeva, era il silenzio, strano ed incomprensibile, di tutti gli altri presenti. Risposi, semplicemente:
-Scusi, ma sa tutto cosa, di noi? Non avrà, mica sbagliato persone; cosa vuol dire, quando afferma che sa tutto
? E, poi, vuole forse dire che rappresentiamo per Voi una perdita di tempo?-
Forse non si aspettava questa reazione e, un po' impacciato, replicò:
-So tutto, nel senso, che le cose si sanno, conosco bene gli ex proprietari ed i motivi per cui hanno venduto l’attività-
Era già troppo; eravamo andati solo perché invitati ed erano loro che avrebbero dovuto avanzare qualche proposta; un’accoglienza di questo tipo la ritenevo stupida, irriverente ma, soprattutto, inutile e non meritevole di alcuna risposta. Mi alzai e mi rivolsi al mio avvocato:
-Avvocato, per me possiamo andare via, abbiamo perso, anche, troppo tempo-.
L’avvocato mi conosceva bene, capì subito che aria tirava e si alzò anche lui. Solo a quel punto Giorgio Gatti disse, con molto garbo: