Proprietari e famiglie di Recale (1132-XIX secolo)
By Luigi Russo
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About this ebook
This publication collects studies and research conducted in recent years on the history of Recale, which takes up the publication Owners and families of Recale at the beginning of the 19th century, deepening it and enriching it with new research and studies conducted until 2019, thanks to several important documents State Archives of Naples and Caserta and others at the Library of the Campano Museum in Capua.
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Proprietari e famiglie di Recale (1132-XIX secolo) - Luigi Russo
Luigi Russo
Proprietari e famiglie di Recale (1132-XIX secolo)
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Indice dei contenuti
Introduzione
I. Le riforme del Decennio francese
Note al capitolo I
II. L'agricoltura in Terra di Lavoro
Note al capitolo II
III. Evoluzione storica di Recale
Note al capitolo III
IV. Il Catasto Provvisorio di Recale
Note al capitolo IV
Ringraziamenti
Introduzione
Questa pubblicazione raccoglie studi e ricerche condotte negli ultimi anni sulla storia di Recale, che riprende la pubblicazione Proprietari e famiglie di Recale agli inizi del XIX secolo, approfondendola e arricchendola di nuove ricerche e studi condotti fino al 2019, grazie a diversi documenti conservati negli Archivi di Stato di Napoli e Caserta e altri presso la Biblioteca del Museo Campano di Capua.
Nel primo capitolo sono illustrate le numerose riforme politiche, economiche e sociali attuate nel «Decennio francese» (1806-1815); in questi anni furono intraprese alcune importantissime riforme sostanziali nel campo politico, economico, amministrativo, finanziario, sociale e religioso; tutto ciò fu reso possibile dalla creazione di nuovi organi con poteri distinti e specifici.
Nel secondo è trattato dell'agricoltura nella provincia di Terra di Lavoro all'inizio dell'Ottocento e affronta il tema dell'agricoltura e delle altre attività nel circondario di Marcianise, riportando i dati di Recale, attraverso una relazione circondariale che contribuì alla redazione della Statistica Murattiana in Terra di Lavoro, presente nella sezione manoscritti della Biblioteca del Museo Campano di Capua.
Il terzo capitolo raggruppa diversi contributi all’evoluzione storica di Recale: la questione del toponimo, i primi documenti scritti dal 1132 fino al XVII secolo.
Un altro contributo importante è la pubblicazione della Numerazione dei fuochi dell’Università di Recali del 1665, che riporta il documento in appendice e diverse note sulle famiglie più diffuse, sulle professioni e attività presenti nel casale e sui principali proprietari.
Sempre nel terzo capitolo vi sono due paragrafi che trattano del Catasto onciario del 1754 (si riportano in appendice i contribuenti di Recale) e un altro in cui sono narrate vicende e notizie su Recale nella seconda metà del XVIII secolo agli inizi del XIX.
Il quarto ed ultimo capitolo tratta del Catasto Provvisorio e consiste in un approfondito studio sul catasto provvisorio, che mostra: come erano divise le proprietà, il rapporto fra proprietari residenti e proprietari non residenti, le famiglie più diffuse, il peso della proprietà degli Enti e delle Istituzioni ecclesiastiche dopo le leggi eversive della feudalità, e, infine, individua i primi venti maggiori contribuenti del Comune con le rispettive proprietà.
Le notizie del Catasto provvisorio per i vari personaggi e famiglie sono state integrate, ove possibile, con altre fonti archivistiche e diverse fonti bibliografiche.
I. Le riforme del Decennio francese
1. Una rivoluzione subita
Il periodo denominato «Decennio francese» cominciò con l'occupazione di Napoli da parte di Giuseppe Bonaparte nel 14 gennaio 1806, nominato re il febbraio successivo e rimasto in carica fino al 15 luglio 1808, quando divenne re di Spagna. Al suo posto fu chiamato Gioacchino Murat che rimase al governo fino al marzo 1815.
Con Giuseppe Bonaparte furono intraprese alcune importantissime riforme sostanziali nel campo politico, economico, amministrativo, finanziario, sociale e religioso; tutto ciò fu reso possibile dalla creazione di nuovi organi con poteri distinti e specifici.
Gioacchino Murat completò, specialmente nel campo politico-amministrativo, le iniziative del Bonaparte, preoccupandosi anzitutto della legislazione riguardante la disciplina e l'esecuzione delle norme generali.
I primi mesi dell'insediamento di Giuseppe Bonaparte furono caratterizzati da un'intensa attività legislativa; con il decreto n. 71 del 15 maggio 1806 [1] fu istituito il Consiglio di Stato, che ebbe all'inizio un ruolo prettamente consultivo, esprimendo i propri pareri su qualsiasi argomento, soprattutto in materia tributaria. Successivamente le sue funzioni furono ampliate e con il decreto del 5 luglio 1806 il Consiglio di Stato fu diviso in quattro sezioni: legislazione (giustizia e culto), finanza, interno e polizia, guerra e marina.
I diversi progetti di riforma delle istituzioni, tentati senza successo nella seconda metà del Settecento dai governi ispirati dagli intellettuali illuministi [2], trovarono concreta e rapida attuazione nel «Decennio francese». Tuttavia ciò fu possibile soltanto mediante la forza e la determinazione di una potenza straniera sorretta da un esercito invasore. La comprensione di questo aspetto è fondamentale per riconoscere i limiti delle innovazioni introdotte dai francesi nel Regno di Napoli, che non furono una semplice ripresa delle riforme settecentesche e della Prima Restaurazione, come potrebbe far pensare il coinvolgimento di uomini quali lo Zurlo a Napoli.
Infatti le riforme del «Decennio» [3] furono caratterizzate dalla
«prontezza e la decisione nell'introdurre le innovazioni e la contemporaneità di esse nei vari settori della vita civile, la completezza del modello proposto, già sperimentato positivamente. Il successo di una politica così radicale, rivoluzionaria rispetto alle istituzioni settecentesche, risiede nella forza dell'esercito francese.» [4]
Quindi il limite fondamentale dell'intervento riformatore era costituito dal fatto che, pur rappresentando una chiara rottura con il passato, essendo una trasformazione subita e non intrapresa dalle forze sociali del Mezzogiorno, essa era imposta a una società nel cui seno non si erano sviluppate a sufficienza nuove classi sociali che avrebbero dovuto contrapporsi al ceto baronale, forza ancora dominante e dirigente (insieme al clero e al ceto forense) dell'intero Mezzogiorno [5]. Il baronaggio continuò ad esercitare tale ruolo nella società meridionale, nonostante le leggi del periodo napoleonico, poiché, anche se fu distrutto come ceto, sopravvisse a lungo come forza sociale in grado di condizionare i rapporti produttivi e di conservare, soprattutto nelle campagne, i modelli di relazione e i rapporti politici propri del vecchio mondo feudale. In molti casi anche i ceti borghesi emergenti ereditarono culture e comportamenti politici che erano stati caratteristici del baronaggio.
L'identità sociale e culturale dei nuovi ceti fu veramente fragile [6] se una delle loro principali aspirazioni fu quella di nobilitarsi attraverso l'acquisizione di titoli nobiliari che erano appartenuti alla vecchia aristocrazia terriera. Infatti la «borghesia meridionale cresciuta all'ombra del feudo» [7] non aveva acquisito una forte identità di sé come nuova classe per contrapporsi politicamente e idealmente ai ceti cui subentrava, pertanto non fu in grado di esercitare una vera e propria egemonia sul resto della società.
Inoltre tra gli esponenti della nuova borghesia agraria non si creò una vera coesione; talvolta la loro separazione causò vere e proprie fratture, ciò fu molto evidente nella provincia di Terra di Lavoro [8].
2. La riorganizzazione dello Stato
Nel «Decennio francese» l'organizzazione dello Stato e l'amministrazione civile subirono trasformazioni decisive e durature.
Per rispondere alle esigenze di uno Stato moderno furono create nuove istituzioni per provvedere alla gestione e alla trasformazione delle risorse e delle strutture del territorio [9]. Fondamentale fu la legge n. 130 del 2 agosto 1806 [10] che abolì in un sol colpo la feudalità nel regno di Napoli.
Seguì la legge n. 134 dell'8 agosto 1806 [11] sull'abolizione delle imposizioni dirette sulle persone e sulle cose, sostituite dalla contribuzione fondiaria. Con l'introduzione della fondiaria furono sostituite ben ventitré contribuzioni dirette che in precedenza rendevano farraginosa la macchina dei prelievi. La nuova legge fu presentata con un'introduzione che evidenziava il criterio della giustizia distributiva e l'abolizione delle precedenti tasse. Le proprietà da tassare, in applicazione alla nuova legge, erano terre, case, laghi, canali di navigazione, miniere e cave di pietra, rendite varie e