Dal fondo di un piatto smaltato Poesie d’Amore e d’amori
By Angela Gatto
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illusori
contingenti
mortali i miei versi.
Se Abele avesse avuto una stirpe
i miei versi ne avrebbero fatto parte.
Sono pieni di pudori
hanno il profumo
e il suono del croccante.
Per questo non ne turberò
la compostezza e l’onestà.
Sono versi che amano
un contatto
riservato
e intimo.
Ringrazio
chi vorrà leggerli
e chi saprà
coglierne
il sentimento.
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Dal fondo di un piatto smaltato Poesie d’Amore e d’amori - Angela Gatto
Lee)
Introduzione
Più volte ho accarezzato l’idea di raccogliere in una silloge i miei versi ma, sempre, un indescrivibile sentimento di paura mi ha distolto dal mettere in atto questo desiderio taciuto.
Ho temuto che nel tentativo di manifestarli, avrei impoverito e falsato il significato e il valore dei sentimenti e delle esperienze.
Ho sempre scritto per me stessa e mantenuto nel confronti del passato un atteggiamento religioso, quasi fideistico; per questo mi ha sempre impaurito l’idea di dare pubblicità ai segreti delle mie sofferenze e delle mie gioie.
Solo quando ho capito che tacendoli sarebbero caduti nell’oblio, mi sono persuasa dell’opportunità di pubblicarli e convinta del fatto che dimenticare significhi rinunciare al passato che sempre è fonte di bene, di preziosissimo bene.
Una maniera d’interagire ancora una volta con le mie memorie per non doverle interrogare mai più.
Il timore si è dunque dissolto, solo non hanno cessato di esistere le ragioni che lo hanno determinato.
Per questo mi capita ancora di guardarmi intorno con la sensazione di essere rimasta sola, orfana di qualcosa, di qualcuno, di aver perso dei compagni di viaggio e, comunque, l’illusione di averli avuti.
Ho raccontato l’Amore e l’ho interrogato; io stessa mi sono interrogata insieme ad esso.
Amori diversamente sentiti e vissuti.
Predestinati, ineluttabili.
Era giusto che avessero non solo una genesi straordinaria ed un ineffabile sviluppo, ma anche una sorprendente chiusa.
Ora ho fatto pace con me stessa.
Ho trovato il mio centro e le mie periferie ed ho innalzato una stele votiva sul sepolcro del mio passato, serbando coscienza di un fatto importante:
che un tempo la fiamma ha bruciato e mi ha scaldata.
Angela Gatto
La rocca dei sortilegi
Sono visionarie
le mie poesie
miraggi
di un altro pianeta.
Isole deserte
che non credono
ai continenti
rappresentazioni
che si prendono gioco
dei limiti.
Lassù
dove domina la rocca
dalle origini
oscure ed antiche
una pioggia di coriandoli
accompagna
un suono di violini.
Questa… è opera mia!
Piccolo giubileo
Il cielo è azzurrissimo
il sole è alto assoluto supremo.
È l’ora giusta.
Su un letto di narcisi
adagerò
i miei versi
malinconici e dolenti
e vi spargerò il polline
delle mie poesie
caduche e inconsistenti.
Qualcosa che assomigli
a un giubileo!
Sacra come Betlemme
L’orizzonte ha il colore
del becco di un palmipede
la sera è popolata di draghi
e la ghiaia disegna croci sulla strada.
Le ombre degli uccelli
sono unicorni sui muri
che graffiano le pietre antiche.
Come vapore d’incenso
si leva il profumo dei cedri
e si muovono tra le candele
i veli delle preci.
Sacra come Betlemme
questa notte solenne
potrebbe raccogliere una natività.
Sola e silente
Alleggerita delle mie zavorre
mi lascio spingere dal vento
come un cirro
e mi stringo alla mia ombra
per un bisogno d’abbraccio.
Ho fatto sogni bugiardi
e creduto a menzogne dolorose.
È tempo di chiuderlo
il cofanetto
delle parole migliori…
è tempo
di nasconderne la chiave.
Sono stanchi i miei verbi
a pezzi i qualificativi.
Sono inganni primitivi
i passati remoti e gli imperfetti.
La grammatica non ha voce
sembra sussurrare
e invece sospira.
Stenderò al sole lenzuola bianche
per annunciare la mia resa.
Password: congedo.
Arc en ciel
Soltanto io
conoscevo i tuoi segreti.
Avevo le valigie
piene di speranza
quando ti ho conosciuto
contagiata dal tuo sorriso.
Fu una febbricitante
ininterrotta attesa
il mio starti vicina.
Non ero mai me
mai fui me stessa.
Ero aquila gazzella
cagna gatta
lepre pettirosso anguilla.
Mi restringevo e mi allungavo
nella finzione
fra i tuoi desideri agonizzanti
nelle vertigini della tua depressione.
Furono le tue lacrime
e gli incessanti ahimè
le mie trappole gli ami
le gabbie i ganci le catene.
Ho ingoiato i tuoi deliri dannati
a rischio di strozzarmi
ma non sono mai stata un’eroina
nelle tue antologie.
Sempre marginale e ininfluente.
Quando ho deciso di dire addio
ai tuoi tic e alle tue disattenzioni
hai pensato a un inganno
a una provocazione.
Ho tolto il disturbo
scegliendo sorrisi anoressici
selezionando parole
magre e apatiche come le tue.
Pensavo di perdermi
nei labirinti che avevi costruito
e invece ho trovato subito la strada.
All’uscita
ho alzato lo sguardo
e un arc-en-ciel
mi ha dato il benvenuto.
Pietas
Arriva un suono roco
come il campanaccio
di una mucca.
È la litania
della pioggia
che batte.
Sono assenti le stelle
ma l’aria è diventata
un