1834 metri sul livello del mare Tra le pietre un battito
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Book preview
1834 metri sul livello del mare Tra le pietre un battito - Carlo Contini
fine
Prefazione
1834 metri sul livello del mare. Tra le pietre un battito è il titolo che Carlo Contini, ingegnere informatico con la passione per la scrittura, dà a questo romanzo. Terza fatica narrativa, dopo Un ginepro sotto rete e Bimbi senza volto, narra una storia di violenza subita da una donna e vuole mostrare la forza che le donne sanno avere nel continuare a percorre il cammino della vita nonostante tutto. 1834
potrebbe essere soltanto un numero: l’autore, invece, vuole rappresentare il grado di intensità della forza e, aggiungo io, l’elevarsi a potenza della donna, sposa e soprattutto madre. Altri temi non meno significativi sono presenti quali l’amore, l’amicizia, la solidarietà, il valore della diversità. Vari e diversi sono i protagonisti che si incontrano e interagiscono, descritti con minuzia di particolari, frutto della creatività dell’autore, della sua capacità narrativa e che rendono il romanzo specchio della quotidianità. Esso è semplice e al tempo stesso particolare: in alcune parti è presente l’influsso dostoevskijano (epilogo prima del prologo). Di piacevole lettura e facile comprensione, scritto in maniera scorrevole e chiara, coinvolge il lettore e non lo stanca, ma lo affascina e, nonostante la crudezza dell’argomento, ne stuzzica la curiosità. La protagonista è Adelina una donna come tante che già da bambina, a soli 12 anni, conoscerà la crudeltà della violenza. Ella terrà per sé il segreto e la vergogna e questo la cambierà. Crescendo cercherà di combattere il suo dolore ma la vita non sarà tenera con lei. Possessività, durezza di cuore, inganno, disonore… E dolore materno e solitudine. L’inferno insomma. L’autore, che rivela una sensibilità molto forte ed è capace di emozionarsi davanti ai fiori di un prato o all’immagine di un bimbo che abbraccia la propria mamma, inorridisce di fronte alla violenza che ferirà Adelina nel corpo e che le distruggerà l’anima. Ma Adelina è forte e determinata, non si arrende alle difficoltà nonostante abbia spesso assaporato il gusto amaro del disprezzo e sia stata vittima della violenza morale, fisica e della brutalità. Nasconde abilmente i segni delle sue ferite, non rivela a nessuno le sue paure. Adelina vuole rappresentare tutte le donne vittime di soprusi e di ogni sorta di malvagità che, mai rivelate per vergogna e riservatezza, non di rado strappano loro la vita. La passività e la rassegnazione nell’accettazione del male paiono la stessa dei protagonisti del Ciclo dei Vinti di verghiana memoria. Ma, a differenza dei personaggi verghiani, Adelina non è una vinta, si impone di reagire. Un giorno ha fatto una promessa e la vuole onorare. Ecco che l’autore mette in rilievo quanto importante sia il valore dell’amicizia e la forza della solidarietà che possono salvare tante vite. I fatti narrati sono di pura fantasia ma propriamente attuali; avvenimenti della quotidianità trattati dall’autore con tocchi forti e talvolta leggeri, delicati come le situazioni di violenza richiedono. È tempo che le donne si sottraggano al giogo dell’uomo violento, si difendano con tutti i mezzi che le leggi consentono per avere salva la vita. Il romanzo è un percorso, un suggerimento, un consiglio da accogliere, una speranza da coltivare, affinché tante Adelina facciano affidamento sul proprio coraggio. Non è lei infatti il cosìddetto sesso debole ma l’uomo che, incapace di accettare i fallimenti, riversa cattiveria, brutalità, veleno sulla donna che considera oggetto di proprietà. Adelina è l’esempio da seguire perché nessuna abbia a soccombere sotto la forza bruta di uomini indegni di tale nome. Il romanzo, per la validità e l’attualità del tema, merita di essere letto per trarne insegnamento e acquisire la consapevolezza che la donna, con la sua forza, sorretta dalla fiducia in se stessa, nel prossimo, nel potere dell’amicizia e della solidarietà, può difendere la propria vita. Tutte le donne dovrebbero leggerlo ma anche gli uomini. Per cogliere il grido di speranza che l’esempio di Adelina vuole essere: la speranza che il racconto sia per l’uomo momento di riflessione affinché capisca che la violenza annulla e che la donna non è un oggetto da possedere ma un bene da rispettare e da amare.
Salvatora Miscali
Capitolo 1
La luce è quella tipica di un’alba che, con garbo, chiede alla notte di ritrarsi e andare a riposare. Una brezza leggera s’insinua tra le rocce sussurrando millenarie litanie. Dal sentiero che conduce su in montagna sale il suono dei suoi passi: sono quelli di una donna che procede lentamente. Pochi minuti ancora e i contorni delle cose, resi incerti dalle tenebre, ritroveranno forma svelando il paesaggio che lei conosce molto bene. A questo luogo ha affidato una promessa che oggi è venuta a mantenere. Il vecchio zaino che porta sulle spalle, infatti, oltre a una bottiglia d’acqua e del pane fatto in casa, contiene quanto aveva giurato di portare fin quassù. Punta La Marmora ormai è vicina. Questo è il punto in cui le ultime pietre di quest’isola s’incontrano col cielo. È la vetta più elevata di quest’antica terra in cui i silenzi sanno dire molto più delle parole. Adelina, questo è il nome della donna, il silenzio ha imparato a comprenderlo fin da quando era piccina: per molto tempo è stato il suo rifugio, un luogo sicuro in cui proteggere se stessa. Anche adesso che di anni ne ha quasi sessanta ancora lo rispetta. Giunta a Punta della Croce si siede a riposare. Più su c’è solo il cielo, la croce e dopo l’infinito. C’è stato un tempo in cui Adelina pregava; rivolgeva le sue suppliche a quel senso ultraterreno che le avevano indicato come fonte di salvezza e soluzione degli affanni. Più avanti, negli anni, aveva deciso che poteva farne a meno, evitando d’impiegare il proprio tempo nell’attesa che qualcosa risolvesse i suoi problemi. Non fu proprio un abbandono della fede: decise solo di cambiare il suo rapporto col divino, ritenendolo capace di pazienza. Era certa che spostare in là nel tempo le orazioni non avrebbe compromesso il nulla osta del celeste Onnipotente.
Seduta ai piedi della croce, su cui poggia la sua schiena, lascia che il suo sguardo indaghi l’orizzonte. Là dove le speranze degli umani, impegnate in invisibili battaglie, decidono se trasformarsi in piacevoli realtà o rimanere fantastiche utopie. È in quella immaginaria linea che il dubbio e la fiducia si contendono il diritto di guidare un’esistenza, incitando a proseguire o invitando a rallentare. La maggior parte delle vite sono il frutto di un percorso in cui salite si alternano a discese, fatiche si avvicendano a riposi. Generalmente è un percorso equilibrato grazie al quale è possibile trasformarsi nel meglio che è concesso. Tuttavia, vi sono vite con le quali il destino si diverte a complicare un po’ le cose. Sgambetta di continuo l’esistenza di un umano: a una fatica terminata ne segue subito una nuova, in un vortice che sembra non trovare mai una fine. Sono esistenze in cui l’anima, vestita di sudore, trascina stancamente i propri giorni, nell’attesa che si compia il suo destino. Alcune, purtroppo, vincolate a invisibili catene i cui anelli, più forti dell’acciaio, sono il peggio delle umane debolezze, hanno epiloghi drammatici. Altre invece, pur costrette in situazioni complicate e dolorose, si trasformano in esempi strabilianti: sono vite tanto intense da lasciarci senza fiato. Nonostante la triste condizione in cui si trovano sono forti a sufficienza per sconfiggere le tenebre. Troveranno il sole dove prima era la notte, sorrideranno per far cessare il pianto, si rialzeranno ogni volta che le ginocchia cederanno e parleranno a dispetto di chi vorrebbe costringerle al silenzio. È così, con la forza e la dignità di chi decide di reagire, che il ricordo di giorni pesanti come pietre, può venire un po’ alleviato.
Adelina da bambina con le pietre ci giocava. Suo padre, allora piccolo impresario, costruiva delle case che, affittate, garantivano da vivere. Un lavoro impegnativo che lo costringeva a trascorrere tanto tempo fuori casa. Un uomo semplice, lavoratore instancabile, amato dalla moglie e dalle figlie. Qualche volta, durante i fine settimana, se il tempo era clemente e per creare loro qualche piccolo risparmio, il papà proponeva ad Adelina e le sorelle di aiutarlo. Era un modo per trascorrere più tempo insieme. Era un gioco, quello, in cui si raccoglievano le pietre che poi si scaricavano in cantiere. Altre volte invece il gioco consisteva nel portare mattonelle per accatastarle in vari ambienti in costruzione, preparando così il lavoro per le mani esperte che le avrebbero posate.
Adelina e le sorelle sgambettavano felici, seguendo le istruzioni di quell’uomo tanto forte, il centro della loro vita. Il padre aveva un’anima da artista piegata all’esigenza di creare mura forti intorno alla famiglia. Il suo essere creativo doveva rimandarlo, ma sarebbe giunto il tempo in cui il suo estro sarebbe stato libero di esprimersi, di esplorare.
Case e pietre dunque e, tra le tante costruite, c’era quella in cui, d’estate, la famiglia amava trasferirsi. Il profumo di salsedine, il rumore delle onde non lontane che la notte accompagnava dentro i sogni. Quando a giugno la scuola era finita ci si trasferiva lì per trascorrere tre mesi e mezzo di sabbia, sole, mare e giochi giù in