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Non sai fare altro: Storia di infelicità con rare eccezioni
Non sai fare altro: Storia di infelicità con rare eccezioni
Non sai fare altro: Storia di infelicità con rare eccezioni
Ebook254 pages3 hours

Non sai fare altro: Storia di infelicità con rare eccezioni

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About this ebook

Mario è un uomo di mezza età, incapace di amare, di provare qualsiasi sentimento duraturo. Amare è la sua ossessione, ma non sa farlo. Vorrebbe essere diverso, un uomo affidabile, invece sa solo deludere e mentire. Dopo il fallimento del suo matrimonio qualcosa si è rotto dentro di lui. Si perde dietro al ricordo della donna, dietro al rimpianto, incapace di darsi una spiegazione. Non vuole stare solo, la notte gli fa paura, non riesce a dormire perché nell’oscurità è inesorabilmente costretto a guardarsi dentro. Solo nell’attesa di conoscere un’altra donna, un mondo inesplorato e pieno di promesse, si sente vivo. Questione di attimi. Un percorso emotivo fatto di incontri e di scontri, dove ciò che conta non è la meta ma il viaggio in un mondo popolato da strane creature diurne e notturne, donne e demoni, che lo accompagnano, lo inseguono.
Poi, una mattina, sul litorale romano incontra Chiara, una donna dal temperamento mite e remissivo che si prende cura di un figlio affetto da una grave malattia. Mario la persuade a fidarsi di lui, dimostrandosi seriamente disposto a prendersi cura di entrambi. La sua costante fuga dall’altro, dalle responsabilità, ma anche da se stesso, è senza redenzione o è ancora in tempo per invertire la rotta?
Un romanzo che esplora senza sentimentalismi la solitudine e le relazioni uomo-donna.
LanguageItaliano
Release dateJun 1, 2019
ISBN9788832924695
Non sai fare altro: Storia di infelicità con rare eccezioni

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    Non sai fare altro - Maurizio P. De Rosa

    inizio.

    1

    Chiara

    Il bambino si muove incerto sulle gambe magre, le braccia troppo lunghe appese per sbaglio su di un corpo troppo piccolo. Muove lentamente la testa e lo guarda, i suoi occhi lo fissano. Il bambino apre la bocca, come per parlare, ma non emette alcun suono. Il mare si è ritirato, lasciando dietro di sé una spiaggia piatta e lucida. Nessuna nuvola sporca il cielo azzurro. La luce pulita dell’estate illumina il promontorio macchiato di verde. L’uomo vede il bambino avvicinarsi con la sua testa troppo grande e quelle braccia così lunghe.

    Vieni via, non dare fastidio al signore.

    La donna prende per mano il bambino. Mario non l’ha vista arrivare, è apparsa all’improvviso, e ha afferrato il bambino, come a strapparlo via, come se si vergognasse di lui.

    Mi scusi.

    La donna è piccola, bionda, i seni inesistenti, le labbra sottili, le gambe magre, un costume giallo, intero. Mario non vedeva una donna al mare in costume intero, da anni.

    Ci scusi, non volevamo darle fastidio.

    Parla piano, Mario riesce a sentirla appena. La sua voce è quasi interamente coperta dal rumore del mare. La donna lascia di colpo la mano del bambino.

    Dai, vieni via, dice ancora.

    Il bambino si siede a terra, la testa poggiata sulle ginocchia, stretta tra le sue lunghe braccia. La donna gli accarezza la testa.

    Alza la testa, dai, guarda il mare, è bellissimo.

    Il bambino non si muove, sembra non ascoltare. La donna gli si siede accanto. Guarda! Gli prende le braccia, come a liberarlo. Dai, toglile.

    Ma il bambino rimane lì, la testa poggiata sulle ginocchia, le braccia strette attorno alla testa, indifferente.

    Guarda il mare, guarda il mare. Non fare così, ti prego.

    La donna ora lo implora, poi si siede sulla sabbia, alza lo sguardo verso Mario, ha le mani sporche di sabbia e gli occhi rossi come se avesse pianto.

    È mio figlio, mi scusi. Sono tanto stanca, mi vergogno a dirlo, ma non ne posso più, parla piano, come se parlare le causasse una fatica insopportabile.

    Il bambino alza la testa per un attimo, come accorgendosi che sua madre sta parlando di lui, e la donna inizia a scuoterlo con forza.

    Basta, basta. Ora sta urlando.

    Lo lasci.

    Mario non ha mai sopportato la sofferenza, non capisce a cosa serva. Sente il dolore di quella donna, la sua stanchezza e vorrebbe essere un mago per guarire quel bambino, per vederlo sorridere. Gli vorrebbe gridare alzati, corri da tua madre, non c’è più sofferenza, non incontrerai più il dolore.

    Ma il bambino è lì, le braccia strette sulla testa, la donna seduta immobile, accanto a lui, con i suoi occhi rossi e la faccia stanca. Mario non può fare nulla per loro, per quelle braccia strette su di una testa troppo grande per un bambino, non c’è speranza, non c’è un dio per lui.

    Mi scusi, mi scusi, mi dispiace. Non parlo mai con nessuno, sono sempre sola con lui.

    La donna sembra esausta. Si guardano, a lungo. Mario resta in silenzio.

    Andiamo via subito, non la disturbiamo più.

    No, aspetti. Mario ha parlato senza pensare.

    La donna lo osserva con sorpresa. Perché? dice.

    Il bambino alza la testa e finalmente guarda il mare. La spiaggia è deserta, ci sono solo loro due e il bambino.

    Mario si sveglia di colpo, il ricordo di quell’incontro torna tutte le mattine, appena sveglio, rivede quella scena, attimo per attimo, parola per parola: gli occhi rossi della donna, il bambino immobile a guardare il mare, lo sguardo riconoscente della donna, quando Mario aveva preso ad accarezzare il bambino, dapprima con paura, quasi con disgusto, poi sicuro, come se si conoscessero da sempre. Avevano iniziato a incontrarsi tutte le mattine in spiaggia, era diventata un’abitudine, lei lo guardava in quel modo, come a dire ti prego continua a venire, ogni mattina, ho solo questo . Quelle parole non dette, solo pensate, erano rimaste dentro di lui, lo avevano colpito, non poteva non andare, non poteva deluderla.

    Ogni mattina la spiaggia è deserta, nessuno ha voglia di passeggiare alle sette del mattino. Mario li vede arrivare, lei dà la mano al bambino, quasi a trascinarlo. Il bambino è sempre assente, si siede, poggia la testa sulle ginocchia, le braccia strette attorno alla testa, come a proteggersi da qualcosa che lo spaventava. Rimane in silenzio per tutto il tempo, Mario non ha mai sentito la sua voce. Con sua madre hanno preso l’abitudine di camminare sulla spiaggia, senza allontanarsi troppo dal bambino, che rimane seduto, la testa stretta tra le ginocchia. Lei si volta in continuazione per guardare il bambino, come se temesse che possa accadergli qualcosa. Quel giorno ha cambiato costume, indossa un due pezzi azzurro.

    Venga da noi questa sera, preparo qualcosa, possiamo cenare fuori… Lui non darà fastidio. La donna lo guarda, speranzosa, in attesa di una riposta.

    Mario fa un cenno con il capo, annuisce, come se aspettasse quella proposta. Si salutano con un abbraccio, in silenzio, ed è la prima volta che accade. La donna è così magra che gli sembra di abbracciare una bambina. Poi si allontana, trascinando con sé il bambino, che si muove a fatica. Mario, invece, rimane lì sulla spiaggia a guardarli andare via. Accanto a lui due ragazzi si abbracciano, li sente ridere, poi la ragazza corre verso il mare, il ragazzo le va dietro, la raggiunge, si tuffano in mare, mano nella mano. Mario pensa che il bambino di quella donna non diventerà come quei ragazzi.

    La sera arriva quasi senza che Mario se ne accorga. La casa della donna è al centro del paese, non troppo lontana dal mare, l’odore dei pini corre lungo i due lati della strada. Le case basse, con il giardino davanti, sembrano tutte uguali. Mario cammina senza fretta, una bottiglia di vino bianco sotto braccio e un libro per il bambino, L’isola del tesoro , uno dei libri più belli che abbia mai letto. Apre il cancello, il giardino è curato, le siepi potate, un grosso cespuglio di lavanda accanto alla porta della casa emana nell’aria il suo odore, è buono. Le luci della casa sono tutte spente. Mario suona il campanello, ma nessuno risponde, prova di nuovo, sembra che non ci sia nessuno, eppure la casa è quella, con il suo colore ocra, il cancello di legno rovinato e la targa di metallo con i nomi, Chiara e Nicola , proprio come la donna gli ha detto sulla spiaggia mentre si abbracciavano. Mario rimane lì a guardare il cespuglio di lavanda, incerto sul da farsi, ha quasi voglia di andare via. Forse non sono in casa, la donna ha dimenticato l’appuntamento o non ha più voglia di vederlo. Suona il campanello ancora una volta, e finalmente una luce si accende dentro casa, la donna apre la porta.

    Scusi, non avevo sentito ero di là con il bambino. È venuto, allora è venuto davvero.

    Chiara sembra spaventata, sembra ancora più stanca, i suoi occhi sono gonfi, ma cerca di sorridere. Entri pure.

    Ha pianto? le chiede Mario.

    La donna abbassa lo sguardo senza rispondere, sembra vergognarsene.

    Ha pianto? insiste Mario. Sta bene? È successo qualcosa?

    No niente, davvero, non si preoccupi. Chiara spera che Mario non lo chieda più.

    Ho portato il vino, ma ormai sarà caldo. E un libro, per il bambino. Mario si guarda attorno. Dov’è il bambino? dov’è suo figlio?

    La donna esita a rispondere, lo sguardo rivolto verso il basso. Andiamo di là, avrà fame. Chiara chiude la porta di casa.

    Tutte le case hanno un odore e quell’odore non gli piace. Chiara cammina davanti a lui, la casa è molto ordinata, come se lì non vivesse nessuno.

    Ho preparato dentro, se non le dispiace. Non ho voglia di cenare in giardino, preferirei non prendere l’umido della sera, si metta comodo. Chiara gli indica una poltrona in un angolo della stanza, davanti alla finestra. Vuole qualcosa da bere, mentre finisco di preparare per la cena?

    La posso aiutare?

    No, si metta comodo. Mi dia il vino, lo metto in freezer, mi aspetti qui.

    Il bambino dov’è?

    Chiara non risponde a questa domanda ancora una volta. Vado in cucina, torno subito. Torna con un bicchiere di vino bianco e delle tartine al salmone.

    Le piace il salmone?

    Sì, grazie, è gentile. Ma il bambino? chiede di nuovo Mario, con insistenza.

    Non si preoccupi, è tutto a posto, dopo lo vedrà.

    Mario si accomoda sulla poltrona, dalla finestra può vedere i pini e la notte arrivare, il vino è buono, le tartine al salmone squisite. Si sorprende a immaginarsi sposato con Chiara, con quel figlio, con quel bambino, con quel dolore. La donna entra nella stanza, dopo aver trafficato a lungo in cucina.

    Andiamo di là, è tutto pronto. Lo prende per mano, e lo guida attraverso la casa.

    Ma lei ha le mani fredde.

    Andiamo, dice Chiara. La cucina è grande, la finestra si affaccia sul giardino. Mi piace cenare qui, davanti alla finestra. Anche a Nicola piace molto.

    Ma dov’è Nicola? chiede Mario ancora una volta, preoccupato.

    Sta dormendo, non si preoccupi.

    Ma perché non me ne parla?

    Perché non ho voglia, non posso parlare sempre di lui. Se fosse con lui tutto il giorno capirebbe, non fa nulla da solo. Devo stare sempre con lui, non ho una vita, ho smesso di lavorare, di vedere gli amici, non ho più nessuno, solo Nicola, dalla mattina alla sera. Adesso arriva lei e mi guarda come per rimproverarmi, lei che non sa nulla. La prego, non mi parli di Nicola, non adesso. Sta dormendo, siamo solo noi due, almeno per questa sera, almeno per un’ora. Cerchi di capirmi.

    Mario si alza dalla sedia, si avvicina a Chiara, la abbraccia, la sente ancora più magra della volta precedente. Mi scusi non volevo innervosirla, volevo soltanto starle vicino, interessarmi a voi.

    Non voglio parlarne, davvero, Nicola stasera non esiste.

    Gli spaghetti con le vongole hanno un buon odore, cominciano a mangiare in silenzio.

    Dica qualcosa, non sopporto questo silenzio, non lo sopporto, dice la donna.

    Mario non sa cosa dire. Chiara si alza e John Coltrane inizia a suonare Spiritual.

    Come faceva a sapere che mi piace proprio questa musica?

    Non lo so, piace a me, tutto qui.

    Non ci conosciamo, ma è come se ci conoscessimo da tanto tempo. Possiamo darci del tu?

    Chiara ride. Volevo chiedertelo, ma mi vergognavo. Perché sei venuto? Avevo paura che non venissi, che Nicola ti avesse spaventato.

    Avevo voglia di vederti.

    Non devi dirlo per forza.

    Non faccio nulla per forza, da tanto tempo.

    Allora perché sei qui?

    Ti ho già risposto! Perché volevo vederti, per tuo figlio.

    Ti faccio pena, eh? Ti facciamo pena io e Nicola? Non la voglio la tua pena, non ne abbiamo bisogno.

    Nessuna pena, mi piace questo posto, mi piace mangiare con te, mi piace stare qui con te… Ecco, forse questo non avrei dovuto dirlo, è troppo presto, poi tu chissà cosa immagini, mi stai facendo un interrogatorio… Mario ride.

    Stiamo solo parlando, posso parlare con qualcuno, finalmente… Hai ancora fame?

    E tu hai fame?

    Vado a prendere il secondo.

    Ti aiuto?

    No, voglio servirti, mi piace.

    Ormai è notte, ma John Coltrane continua a suonare.

    Che pesce è?

    Non riconosci una spigola? Sei sempre al mare, cosa guardi?

    Sulla spiaggia non camminano le spigole. Mai vista una spigola camminare sulla spiaggia. Questa l’hai trovata sulla spiaggia?

    Quanto sei scemo!

    Cucini sempre così?

    L’ho fatto per te.

    Per Nicola cucini così?

    Non parlare di lui, non ora, ti prego.

    Si guardano, un istante, in silenzio.

    Ti piace il jazz? le chiede Mario.

    Sì, moltissimo.

    Allora dovevamo proprio incontrarci.

    Anche al padre di Nicola piaceva il jazz…

    Dov’è ora?

    È andato via.

    Mi dispiace…

    È andato via, tanto tempo fa…

    Ne vuoi parlare?

    No, non ne ho voglia. Mario resta in silenzio, consapevole di averla innervosita ancora una volta. Scusami, sono sempre sola, non sono più capace di parlare. Dovrei ringraziarti, sei qui, sei venuto a trovarci…

    A trovarti… Nicola è come se non ci fosse, l’hai detto tu. Ti senti mai sola?

    Secondo te? Sono mesi che non parlo con nessuno, come dovrei sentirmi?

    Ho fatto una domanda stupida…

    Adesso le domande le faccio io: sei solo? Hai qualcuno?

    Che importa?

    Scusami, non sono fatti miei…

    Sono solo, nessuno si interessa a me…

    Sono sola anche io, come te.

    Non sei sola, hai Nicola.

    Ma lui non è come noi. Sono sola, ma tu non puoi capire e ora non ne voglio parlare, scusa. Segue un attimo di imbarazzo, poi Chiara rompe il silenzio. Vuoi il dolce?

    Se lo vuoi tu, lo prendo. Chiara si allontana e torna con una torta al cioccolato.

    Cioccolato, anche se è estate, una scelta curiosa!

    Non ti piace?

    A me piace solo il cioccolato.

    Anche a me. Si guardano, ridono. Il vino è finito, Chiara si alza, va in cucina, torna con un’altra bottiglia, il vino è verde e ha un sapore amaro.

    Vieni? Chiara lo conduce nella stanza accanto. Si siedono sul divano. Coltrane suona Naima. Chiara chiude gli occhi, appoggia la testa sul cuscino del divano, sembra dormire. Mario la guarda, non riesce a distogliere lo sguardo, si conoscono appena, eppure tutto sembra perfetto, la musica, il vino.

    Chiara si addormenta sul divano, il respiro è divenuto lento. A tratti sospira, il viso finalmente disteso. Mario le sistema un cuscino sotto la testa, poi si alza dal divano, spegne la radio, la musica svanisce, John Coltrane non c’è più, rimangono solo il silenzio e il respiro lento di Chiara. Resta in silenzio ad aspettare, non sa quanto tempo sia passato.

    Chiara si sveglia di colpo e solleva la testa. Ho dormito? Dovevi svegliarmi!

    Mi sembravi così stanca…

    Ti preoccupi per me, nessuno si preoccupa per me… Mario inizia ad accarezzarla. Non sono più abituata. Chiara si avvicina, lo abbraccia, è cosi magra, Mario ha paura di farle male.

    Andiamo da Nicola?

    La stanza di Nicola è buia, silenziosa, le finestre chiuse, nonostante il caldo. Chiara accende la lampada sul comodino accanto al letto del bambino, è una lampada verde con lo stelo di bronzo, sembra uscita da un’altra epoca. Nicola è disteso sul letto, finalmente Mario può vedere la sua faccia. Alla luce della lampada, il volto del bambino sembra pallidissimo, le labbra sottili, il naso appena accennato, respira lentamente.

    Dorme, vorrei fosse sempre così tranquillo, dice Chiara.

    Non voglio svegliarlo, facciamo piano.

    Non preoccuparti, non è una di quelle notti.

    Il bambino ha un gemito, un rumore appena sussurrato, piccole bollicine di saliva escono dalle sue labbra. È in quel momento che Mario si accorge che Nicola è legato al letto: due cinghie di cuoio lo stringono all’altezza del petto e delle cosce. Mario si avvicina, le cinghie intorno alle gambe sono troppo strette, la pelle delle cosce è gonfia, le mutandine sono bagnate di piscio.

    Lo hai legato, ma sei impazzita? Perché lo hai fatto?

    Mario prende le cinghie e le apre, prima la cinghia attorno alle cosce, poi la cinghia che lo stringe all’altezza del petto, il bambino geme. Chiara è seduta sulla sedia accanto al letto, piange.

    Ma che cazzo ti è saltato in mente? Perché? chiede ancora Mario.

    Chiara non risponde, continua a piangere, la testa bassa, trema scossa da qualcosa di invisibile.

    Credi che mi piaccia? Credi che mi piaccia vederlo così, vedere mio figlio legato? Tu non sai nulla, non dorme mai, devo stare con lui per ore, per tutta la notte. Quando non ne posso più, quando sono troppo stanca, quando ho bisogno di dormire per non impazzire, per non sentirmi morire, allora devo farlo, devo legarlo, oppure le medicine, quelle siringhe maledette è per quelle siringhe che ora dorme. Chiara piange è un pianto senza freni, poi continua tra i singhiozzi: "Una notte l’ho trovato in piedi, cercava di aprire la finestra, urlava, si è girato, mi ha visto. È stato un attimo, è crollato a terra, ha sbattuto la testa, era pieno di sangue, non rinveniva più, ho avuto paura, ho chiamato la guardia medica. Non si svegliava più, sembrava morto, ho passato la notte in ospedale, ho visto la pena negli occhi dei medici, degli infermieri, ma lì, la notte è un inferno. Mi hanno lasciato sola, la luce bianca del pronto soccorso, da sola, con la paura che non si riprendesse, che non ce la facesse, pensavo di impazzire. E sai cosa hanno detto i medici? Che la notte non deve alzarsi, per nessuna ragione Deve legarlo a letto, può fare qualsiasi cosa se si alza mentre dorme, chiuda le finestre, le porte, non dimentichi mai di farlo. Capisci? Nemmeno loro sanno cosa fare. Chiara non piange più. Nessuno lo sa, lo hai visto come è di giorno, no? È assente, non gli importa di niente. La notte, invece, si agita, dice parole senza senso, urla, con la bava alla bocca. Devo tenerlo per mano per ore, seduta su questa sedia, aspettando che si addormenti. Quando non reggo più, se non si addormenta, devo iniettargli quella roba per avere un po’ di riposo, devo legarlo per essere sicura che non si alzi, che non si faccia male. Anche io ho bisogno di dormire, di riposare, non so per quanto ancora potrò reggere. E se impazzisco lui rimarrà solo, lo capisci?"

    Mario guarda il bambino, sembra dormire tranquillo. Mettiti a letto, resto io qui con lui, sei troppo stanca.

    Vai a casa, non voglio, è troppo pesante per te, vattene via.

    Hai bisogno di dormire, sei stanchissima, non puoi continuare così.

    Ho paura.

    Vai a dormire.

    Però vengo a vedere, ogni tanto.

    Vai a dormire, fallo per lui.

    Chiara esce dalla stanza, Mario si avvicina alla finestra, apre le persiane, spegne la luce sul comodino, il

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