Da rastrellati a partigiani
By Nello Orsi
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Da rastrellati a partigiani - Nello Orsi
BULOW
Il diario di Nello Orsi
Questo racconto che mi accingo a narrare è storia vera, di vita vissuta. Come me migliaia di persone hanno avuto il loro dramma, molti non possono raccontarlo perché non son più ritornati, e non torneranno mai più. La guerra, che la follia imperialista di poche persone ha scatenato nel mondo, lo ha cosparso di lutti e rovine, generando nell’umanità l’odio, la violenza, e la negazione di ogni rispetto umano. La nostra generazione è passata, in un ciclo di appena venti anni, fra due guerre, possa almeno la generazione futura vivere in pace, e non conoscere gli orrori, come noi, di un’invasione.
20 Agosto 1944, nelle prime ore del mattino fui svegliato da un suono di voci gutturali, incomprensibili, mi ci volle un po’ di tempo prima di poter capire la situazione, poi improvvisamente balzai dal letto scossi mio fratello Franco che dormiva poco distante da me: sveglia gli dissi, c’é il rastrellamento, saltò immediatamente dal letto e tutti e due ci precipitammo verso le scale per discendere, ma era troppo tardi, saliva verso di noi un tedesco della S.S. armato fino ai denti, che non appena ci vide, spianò il suo fucile contro di noi, e con un gesto espressivo ci fece capire di seguirlo. Nella corte dove ci condusse trovammo altri amici, i quali erano attorniati dai parenti e dai genitori in lacrime.
Mi misi in fila con loro e dopo dieci minuti di sosta ci avviammo verso il centro del paese, dove ci relegarono in una stalla, in compagnia di altri sfortunati. In quell’ambiente sostammo circa un’ora, poi ci caricarono tutti su di un camion pronti per partire. Fuori vidi donne che piangevano, nel vedersi strappare così i loro cari, bambini che strillavano e chiamavano i loro papà. Ansiosamente io scrutavo tutti i volti per riconoscerne qualcuno noto, e finalmente vidi mio Padre... Non dimenticherò mai la sua espressione, rivedo ancora i suoi occhi lucidi, lo additai a mio fratello e tutti e due gli sorridemmo per infondergli coraggio, egli ci salutò con la mano, poi fece l’atto di avvicinarsi al camion, ma proprio nello stesso momento un tedesco respingeva brutalmente una donna che si era avvicinata per dare un ultimo abbraccio al proprio marito. Pochi secondi ancora, poi il camion si mise in moto, rivolsi un ultimo sguardo a mio padre e ve lo tenni fisso finché non lo vidi rimpiccolirsi e poi sparire.
Ci scaricarono come sacchi alla Casa Pia in Lucca. Indescrivibile il caos che regnava la dentro, centinaia di uomini di tutte le età si muovevano in quelle stanze, in tutti i volti notavo la disperazione ed il timore per la sorte che ci era riservata. Parlai con alcuni di loro, molti si trovavano là già da dieci o quindici giorni, e dicevano che non avevano più la forza di resistervi, altri invece, erano giunti da poco, come noi.
Un’ora di attesa, poi la mia sorte fu segnata. Un Tedesco ci mise in fila, e scrutandoci in faccia con un cenno ci faceva uscire e ci metteva da una parte, venni scelto anch’io e con gioia anche mio fratello cadde nella scelta. Così partimmo, la destinazione ci venne detta in via eccezionale da un interprete, la meta era Diecimo Pescaglia. Vi giungemmo la sera dello stesso giorno. Ci fecero preparare un giaciglio nella stazione Ferroviaria di Diecimo, la quale era praticamente inattiva, e quello doveva essere il nostro alloggio per diversi giorni. Dopo aver dato le nostre generalità subimmo i primi interrogatori. L’interprete traduceva a noi ciò che il Comandante (un Sergente Tedesco) gli diceva, ci invitava a voler collaborare per costruire una linea di resistenza, ed il nostro lavoro consisteva nello stendere tutto un sistema di reticolati lungo tutti i monti di Diecimo e Pescaglia. Disse che contava molto sulla nostra opera, e che se noi gli avessimo corrisposto egli ci avrebbe trattati bene, in caso contrario avrebbe usato la violenza.
Ci avviammo con passo lento, un po’ per la stanchezza, e molto per le emozioni di quella giornata, verso il giaciglio che avevamo preparato, e là trovammo altri amici di sventura che ci avevano preceduto. Mio fratello Franco si sdraiò vicino a me e mi rivolse la parola per commentare insieme i fatti accaduti il giorno, ma fummo interrotti da un grugnito e da alcune frasi che ci avvertivano che era ora di dormire poiché l’indomani mattina ci sarebbe stata la sveglia alle tre. Ci guardammo in faccia e tacemmo.
Il cielo era ancora tutto trapuntato di stelle quando alzati ci mettemmo in fila per rispondere all’appello. Durante la notte quattro rastrellati erano riusciti a fuggire, e già circolavano le voci che il Comandante era furioso e pensava a fare delle ritorsioni sopra di noi, di li a poco egli giunse, e per mezzo dell’interprete disse che il fatto della notte lui lo considerava come un atto di ribellione, e che perciò per dare un esempio la sera stessa avrebbe fatto fucilare tutti coloro che erano giunti la sera precedente, guardai mio fratello, egli guardò me, nei nostri sguardi c’era tutta l’angoscia e la disperazione, il comandante aggiunse che anche coloro che dovevano venire giustiziati avrebbero dovuto lavorare fino alla sera, e sotto buona scorta.
Ci misero sulle spalle due rotoli di filo spinato e due spranghe di ferro che servivano per fissare il filo, e ci inerpicammo sui monti, quando l’ascesa incominciò a divenire più aspra, ansimavo sotto un peso che mai avevo portato e che credevo non aver la forza di portare lassù. Qualcuno cadde e si rialzò con le mani ed i piedi scorticati e sanguinanti, un altro esausto si fermò, depose il pesante fardello per riprendere fiato, ma un tedesco lo vide, e con urli e parole incomprensibili gli fece capire di rimettersi in cammino, egli provò ma le forze gli mancarono e cadde a terra, il tedesco con un cinismo ributtante si mise a colpirlo col calcio del fucile finché non si fu rimesso in piedi.
Io stringendo i denti giunsi alla meta e depositai con le ultime forze rimastemi il materiale che avevo in spalla. Mentre lavoravo trovai il modo di parlare all’interprete, e cercai di persuaderlo di