Nicola Bombacci informatore del prefetto di Torino
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Nicola Bombacci informatore del prefetto di Torino - Guglielmo Palazzolo
633/1941.
Indice delle sigle
Ringraziamenti
Nel presentare questo piccolo contributo storiografico non posso non ringraziare la dr.ssa Luisa Righi per i preziosi suggerimenti e le indispensabili ricerche bibliografiche, che mi ha cortesemente fornito; la dr.ssa Delia Miceli, archivista, per l’interpretazione e la trascrizione dei testi manoscritti; il dr. Alessandro Larussa per il preciso e puntuale lavoro di revisione. Ma devo soprattutto ringraziare Francesco Giasi, direttore della Fondazione Gramsci, che mi ha incoraggiato a riprendere il mestiere dello storico
, da me abbandonato oltre 50 anni fa per quello, non meno gratificante, di insegnante; e mi ha supportato in ogni modo in tutte le fasi del lavoro.
Guglielmo Palazzolo
1. Premessa
Nel settembre 1966, presso le Edizioni del Gallo di Milano, nella collana «Strumenti di lavoro. Archivi del movimento operaio», uscì un quaderno, curato da Renzo De Felice, che raccoglieva una serie di documenti relativi al 1º anno di vita del Partito comunista d’Italia.
Tra di essi n. 18 circolari «riservate» e «riservatissime» relative ai primi due mesi di vita del Partito (dal 31 gennaio al 28 marzo). Scriveva De Felice nella Nota introduttiva:
Di tali circolari sono a nostra conoscenza due serie di copie, una presso l’Archivio Centrale dello Stato, l’altra presso una raccolta privata… Trattandosi in entrambi i casi di copie, manca l’assoluta certezza della loro autenticità. Il problema… fu comunque attentamente vagliato dalle autorità di Ps (Direzione generale della Pubblica Sicurezza) nel corso di un carteggio tra autorità centrali e quelle dipendenti di Torino e di Milano. Alla fine di tali indagini il prefetto di Torino ribadì la sua convinzione circa l’autenticità delle circolari, entrando nei dettagli del modo in cui ne era venuto in possesso… Crediamo pertanto che, salvo prova in contrario, le circolari si possano ritenere autentiche (nella linea dell’Appello ai lavoratori italiani pubblicato dalla stampa comunista il 2 marzo), anche se con un tono esagitato che, per altro, non era estraneo ad alcuni elementi di origine massimalista o astensionista¹.
Per negarne l’autenticità intervenne Umberto Terracini:
Di fatto, neanche sotto la direzione cosiddetta bordighiana, il partito comunista fu mai minimamente affetto da quel morbo dell’avventurismo che, nel primo dopoguerra, si era manifestato in modo virulento, specie nella Germania… E il suo estremismo… mai gli fece perdere l’intelligente percezione… dello storicamente possibile, nonché il senso della responsabilità civile e umana dinanzi agli avvenimenti. E il necessario e possibile nella primavera del 1921 non era certamente la insurrezione coi suoi piani fantastici e le conseguenti balzane istruzioni pratiche, bensì la preparazione del partito alla clandestinità.²
Subito dopo, nel dicembre 1966, intervenne Paolo Spriano, che, ricostruendo il carteggio tra il prefetto di Torino, la Direzione generale di P.S. e il prefetto di Milano, evidenziò che sia il prefetto di Milano che il direttore generale della P.S. avevano ritenuto «apocrife» le circolari; e che quindi appariva illogico il ragionamento di De Felice, che basava il suo giudizio di autenticità sulla opinione del prefetto di Torino ignorando quella degli altri due (ammesso che l’opinione dei prefetti sia mai stata metro di giudizio per lo storico…).
Spriano contestava poi l’affermazione di De Felice, relativa alla consonanza tra l’Appello ai lavoratori italiani (pubblicato il 2 marzo da «L’Ordine Nuovo» e il 6 marzo da «Il Comunista», che era un bisettimanale; di qui l’equivoco sulle date da parte di Terracini e Spriano) e il contenuto delle circolari; e concordava con Terracini (e con la Direzione generale di P.S.) circa il fatto che le stesse erano «apocrife»³
Orbene, giudicando le circolari un falso, sia Terracini che Spriano si posero il problema di chi le aveva fabbricate e consegnate al prefetto di Torino. Ma lo risolvettero senza affrontarlo (Terracini: «la patacca di un agente provocatore»; Spriano: «un informatore torinese»), non tenendo conto del fatto che il Direttore generale della P.S., scrivendo al prefetto di Milano per verificare l’autenticità delle circolari e raccomandandogli la massima prudenza per non rischiare di bruciare il prezioso informatore (da cui si attendevano ulteriori contributi), lo definisce «qualcuno tra gli elementi dirigenti del partito».⁴
Proviamo perciò a riprendere la questione, verificando anzitutto l’autenticità delle circolari attraverso un’analisi più puntuale delle stesse, delle fonti archivistiche e del contesto di riferimento; e cercando di capire chi fosse quel dirigente del Partito che le consegnò (o le fece pervenire) al senatore Paolino Taddei, prefetto di Torino.
2. Le «circolari riservatissime»
2.1 Considerazioni preliminari
Esaminiamo anzitutto nel dettaglio le «circolari», tenendo presente sia la versione pubblicata da De Felice, sia le «copie conformi» redatte a cura della prefettura di Torino e conservate presso l’Archivio centrale dello Stato⁵. Si tratta di 18 note numerate, tutte datate «Milano», che vanno dal 31 gennaio al 28 marzo 1921 (in effetti la n. 1 conservata in Archivio porta la data del 31 marzo, ma si tratta di un evidente errore di trascrizione). Tutte portano in intestazione la dizione «Partito Comunista d’Italia – Sezione dell’Internazionale Comunista», ad eccezione delle n. 11, 12 e 16 (forse per un difetto di copiatura; in effetti nelle note pubblicate da De Felice l’intestazione è sempre presente). Riguardo alla firma le prime 9, fino al 28 febbraio, portano la dizione «Il Comitato Centrale del Partito Comunista», le n. 10 e 11 del 5 e 10 marzo «La C.E. del Comitato Centrale del Partito Comunista», le ultime 7 (dal 15 al 28 marzo), «La Commissione Esecutiva del Partito Comunista d’Italia».
Solo le prime 4, inoltre, portano la dizione «circolare» e recano, accanto al numero, la dizione «riservata» (in effetti la n. 1 conservata in ACS reca la dizione «riservatissima»); dal n. 5 in poi la dizione diventa «riservatissima», ad eccezione della n. 12, che torna ad essere «riservata» (vedremo in seguito che si tratta di una nota che si distingue dalle altre anche per il contenuto); e soprattutto scompare la dizione «circolare». Tra le due versioni c’è poi una differenza sostanziale: le note pubblicate da De Felice sono genericamente indirizzate «Alla Commissione Esecutiva della sezione di…», che nella versione conservata in ACS diventa «Alla Commissione Esecutiva della sezione di Torino». A prima vista la spiegazione della differenza è semplice: la versione pubblicata da De Felice era l’originale che si prevedeva di differenziare nell’indirizzo sezione per sezione, mentre la versione conservata in ACS era la «copia conforme» della nota inviata a Torino e fatta pervenire dal confidente al prefetto Taddei.
In realtà le cose non stanno così: anche nella versione pubblicata da De Felice i riferimenti a Torino sono numerosi e spesso espliciti. E se in alcune (la n. 6 e la n. 9) il riferimento a Torino è sostituito da puntini di reticenza (significativi in particolare quelli della n. 9, che sostituiscono un intero periodo), in altre successive (nn. dal 12 al 17) i riferimenti a Torino (località, caserme, ponti, talora lo stesso nome della città) sono talmente numerosi che appaiono in entrambe le versioni. Illuminante al riguardo la n. 15: i puntini di reticenza per sostituire «Torino» sono usati sia nell’oggetto («in provincia di…») che nel corpo della nota. Ma poi sfugge la frase: «Le armi per l’azione