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Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925)
Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925)
Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925)
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Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925)

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Il primo fascio di combattimento della provincia di Massa Carrara nacque e si consolidò in totale autonomia a Pontremoli, capoluogo del circondario dell'Alta Lunigiana. Il dato è singolare, poiché la regione non presentava caratteristiche simili alle aree di maggior diffusione del fascismo e non offriva le opportunità di successo che esso colse in altre regioni. Dopo una descrizione dell'ambiente sociale ed economico della regione lunigianese e delle correnti politiche in essa dominanti, la ricostruzione del percorso del fascismo in Alta Lunigiana avviene nel contesto degli avvenimenti nazionali e in collegamento con lo sviluppo del fascismo provinciale, in una comparazione che evidenzia le caratteristiche comuni come le peculiarità.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 6, 2019
ISBN9788831622844
Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925)

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    Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925) - Stefano Baruzzo

    Copyright

    Titolo | Fascismi di provincia. Pontremoli e l'Alta Lunigiana (1919-1925)

    Autore | Stefano Baruzzo

    ISBN | 9788831622844

    © Tutti i diritti riservati all'Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    In copertina: Pontremoli, piazza Vittorio Emanuele (primi anni Quaranta). Al centro il monumento ai caduti, inaugurato nel 1924 durante la prima amministrazione comunale fascista; sul palazzo porticato la rituale iscrizione, più tardi negli anni del regime, di uno slogan di Mussolini: Chi non è pronto a morire per la sua fede non è degno di professarla

    Abstract-Autore

    Il primo fascio di combattimento della provincia di Massa Carrara nacque e si consolidò in totale autonomia a Pontremoli, capoluogo del circondario dell’Alta Lunigiana. Il dato è singolare, poiché la regione non presentava caratteristiche simili alle aree di maggior diffusione del fascismo e non offriva le opportunità di successo che esso colse in altre regioni.

    Dopo una descrizione dell’ambiente sociale ed economico della regione lunigianese e delle correnti politiche in essa dominanti, la ricostruzione del percorso del fascismo in Alta Lunigiana avviene nel contesto degli avvenimenti nazionali e in collegamento con lo sviluppo del fascismo provinciale, in una comparazione che evidenzia le caratteristiche comuni come le peculiarità.

    Stefano Baruzzo (Massa, 1960), laureato in Scienze Politiche alla facoltà «Cesare Alfieri» dell’Università di Firenze, scrive su riviste di studi storici («Il Pensiero Storico», «Rassegna Storica Toscana») e su riviste web di divulgazione storica («Fatti per la Storia», «Storia in Network»). Sul fascismo apuano ha pubblicato il libro Al gancio del Negroni. «Il Popolo Apuano» di Stanis Ruinas. Fascismo rivoluzionario e Regime nella provincia del marmo (Solfanelli, 2016).

    Ringraziamenti

    Tra coloro che in vario modo hanno agevolato questo lavoro, desidero ringraziare anzitutto il personale degli archivi citati, che con la consueta professionalità ha aiutato l’autore nella ricerca tra i vari fondi. Per le stesse ragioni, devo ricordare Antonio Rosa del Comune di Pontremoli e la disponibilità della Biblioteca Antica del Seminario Vescovile di Pontremoli.

    Un particolare ringraziamento è dovuto a Giorgio Perrone Compagni, che con signorile e paziente disponibilità ha consentito la consultazione dell’archivio del padre Dino.

    Come sempre, Giuseppe Benelli e Andrea Baldini non hanno fatto mancare il loro incoraggiamento.

    Elenco abbreviazioni

    Abbreviazioni delle fonti documentarie e statistiche:

    ACS, Archivio Centrale dello Stato, Roma

    AGR, Affari Generali e Riservati

    APC, Archivio privato Dino Perrone Compagni

    ASG, Archivio di Stato di Genova

    ASM, Archivio di Stato di Massa

    ASM PO, Archivio di Stato di Massa, Sezione di Pontremoli

    ASS, Archivio di Stato della Spezia

    b., busta

    Cat., Categoria

    CCRR, Carabinieri Reali

    CPC, Casellario Politico Centrale

    DGPS, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza

    fasc., fascicolo

    INEA, Istituto Nazionale di Economia Agraria

    ISTAT, Istituto Centrale di Statistica

    MI, Ministero dell’Interno

    MRF, Mostra della Rivoluzione Fascista

    MVSN, Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale

    P.S., Pubblica Sicurezza

    s.fasc., sottofascicolo

    Sigle ricorrenti:

    ANC, Associazione Nazionale Combattenti

    CdL, Camera del Lavoro

    CGL, Confederazione Generale del Lavoro

    PCd’I, Partito Comunista d’Italia

    PLI, Partito Liberale Italiano

    PNF, Partito Nazionale Fascista

    PPI, Partito Popolare Italiano

    PSI, Partito Socialista Italiano

    PSU, Partito Socialista Unitario

    SFI, Sindacato Ferrovieri Italiani

    UIL, Unione Italiana del Lavoro

    USI, Unione Sindacale Italiana

    I

    L’ambiente sociale

    La pubblicistica fascista riconobbe al fascio di combattimento di Pontremoli la primogenitura del fascismo della provincia di Massa Carrara, fissando la data di fondazione al 13 novembre 1920.¹ Ancora al congresso toscano del movimento tenuto a Livorno il 20 marzo 1921, in mancanza di altre disponibilità locali, venne nominato fiduciario provinciale il pontremolese Ernesto Buttini. I fasci dei centri principali, Massa e Carrara, quest’ultimo presto egemone nel fascismo apuano, apparvero più tardi, il primo costituito il 30 aprile 1921, mentre il secondo fece il suo sanguinoso debutto il 13 maggio successivo. La Lunigiana precedette i fasci dei centri maggiori della provincia anche ad Aulla (3 aprile) e Bagnone (24 aprile). La pubblicistica fascista ricorda anche un fascio di Pallerone, frazione di Aulla (17 aprile). Nel capoluogo del terzo circondario della provincia, Castelnuovo Garfagnana, in una regione che per molti aspetti condivideva le caratteristiche del circondario dell’Alta Lunigiana di cui Pontremoli era capoluogo, occorse attendere il 31 luglio del 1922 per l’apparizione di un fascio di combattimento. Fuori dei confini amministrativi della provincia, ma in un’area limitrofa e comunicante della Val di Magra come Sarzana, dove pure le lotte sociali erano accese, il fascio fu costituito nel maggio del 1921, ma si consoliderà solo l’anno successivo dopo vicende tribolate. Questa sequenza è confermata dalle fonti documentarie.

    La provincia di Massa Carrara era suddivisa nei tre circondari di Massa Carrara, sede di prefettura nel capoluogo Massa, di Pontremoli e di Castelnuovo Garfagnana, sedi di sottoprefetture. Essa forzava nell’unità amministrativa zone assai differenti e alquanto slegate tra loro. La Lunigiana che costituisce la delimitazione geografica del presente lavoro non è quella cosiddetta «storica», la vasta area del comitato lunense dei tempi medievali, che comprendeva terre che andavano dal golfo spezzino alla Versilia e alla Garfagnana, né la regione fisica che si fa corrispondere al bacino idrografico del fiume Magra, divisa tra le province di Massa Carrara e della Spezia. Facciamo qui riferimento a un uso corrente del termine che delimita la parte settentrionale della provincia di Massa Carrara, escludendo la regione marittima (il capoluogo Massa, Carrara e Montignoso) e la Garfagnana (che fece parte della provincia sino al 1923), focalizzando in particolare l’attenzione sui comuni della cosiddetta Alta Lunigiana, che aveva in Pontremoli il suo centro principale (del circondario di Pontremoli facevano parte anche i comuni di Bagnone, Filattiera, Mulazzo, Villafranca e Zeri). Senza scomodare omogeneità storiche e linguistiche peraltro assai meno stringenti di quanto sembri, tale ‘confinazione’ storiografica è giustificata non solo dalla facilitazione che ci fornisce l’unità amministrativa, il circondario di Pontremoli, ma anche dall'omogeneità economico-sociale dell’area, di netta prevalenza rurale, assai differente dalla regione marittima, dove dominava l’industria marmifera, come a Carrara, o viveva un’economia mista come nel massese.

    A dare unità alla delimitazione dell’area si aggiungono le caratteristiche geografiche degli insediamenti, dove a un centro completo nella struttura urbana, facevano da costellazione frazioni, aggregati minori e case sparse su un territorio montagnoso, che tuttavia facevano capo al centro urbano per ragioni economiche (i mercati o le fiere), oltre che amministrative. Inoltre, alla confinazione suddetta contribuiva l’unità ecclesiastica, essendo Pontremoli sede di una diocesi che uniformava nelle cadenze della vita religiosa la stessa vita sociale. Infine, le comunicazioni del pontremolese erano assai difficili con i centri maggiori della provincia, in modo da favorire un distacco che realizzava un’autonomia di fatto della vita politica e sociale dell’area. La principale via di comunicazione, quella ferroviaria, era diretta con Parma e la Spezia, ma non con Massa o Carrara. La stessa comunicazione stradale imponeva percorsi tortuosi e disagevoli per raggiungere il capoluogo provinciale.

    Nella regione così delimitata, il dato della primogenitura del fascismo appare singolare, poiché la società lunigianese e pontremolese in particolare non offriva le opportunità che il fascismo colse nel conflitto sociale del dopoguerra in altre regioni.

    La Lunigiana era un’area in prevalenza agricola, la più estesa della provincia di Massa Carrara, ma la meno produttiva per la conformazione del territorio, prevalentemente montuoso. Nell’Alta Lunigiana (in cui rientrava il circondario di Pontremoli) il seminativo superava di poco il 15% del territorio (nella zona marittima era il 34%, in Bassa Lunigiana il 24%), nel comune di Pontremoli era circa il 12%.² Nelle zone lunigianesi dominava la superficie dedicata alle attività silvo-pastorali, che interessavano oltre il 60% della superficie (contro circa il 27% della zona marittima della provincia). Le tecniche di coltivazione non erano evolute: l’uso dei concimi chimici era poco diffuso, l’impiego di mezzi meccanici era limitato dalla mancanza di mezzi finanziari e dalla natura del territorio, spesso poco adatto al loro uso per eccessiva declività o per mancanza di viabilità adeguata, ed era poco conveniente per il basso grado di utilizzo dovuto all’eccessivo frazionamento dei fondi. L’allevamento animale era un’attività complementare e residuale della coltivazione del fondo e solo raramente costituiva un’attività autonoma e principale, soprattutto per l’allevamento ovino, comunque povero e costituito da greggi con pochi capi. In un territorio in gran parte coperto da boschi e castagneti, con vie di comunicazione difficili, la produzione agraria rimaneva destinata all’autoconsumo e ai mercati locali.

    La società rurale era dominata dalla piccola proprietà coltivatrice. La media proprietà aveva una presenza significativa solo in Bassa Lunigiana, consentendo la formazione di imprese con organizzazione a fattoria, guidate dal proprietario-imprenditore, mai da fittavoli.³ Per quanto riguarda l’appoderamento, solo in Bassa Lunigiana la maggioranza dei poderi aveva un’estensione (dai 5 ai 10 ettari) che, unita alla tipologia delle colture, poteva garantire lavoro e sostentamento a una famiglia colonica. La Bassa Lunigiana riusciva infatti a differenziare meglio la produzione con colture più qualificate, in particolare quella dell’olivo, la cui coltivazione era la più estesa e produttiva della provincia. Nell’Alta Lunigiana la piccola proprietà occupava il 90% della superficie produttiva, per il 60% a coltivazione diretta. Solo in parte le famiglie contadine erano autonome, mentre altra parte, la maggiore, che lavorava poderi di circa tre-cinque ettari, compreso il bosco che riduceva il seminativo, doveva cercare complemento di reddito in occasionali lavori edili o pubblici, nelle piccole attività artigianali o industriali, nel commercio ambulante, mentre le fasce più povere della popolazione trovavano sfogo nell’emigrazione, anche solo stagionale.⁴

    Il frazionamento della proprietà e la natura del territorio non consentivano la formazione di grandi aziende agricole formate da fattorie a moderna conduzione capitalistica; tra i sistemi di conduzione prevalevano quello in economia e in misura minore la mezzadria, mentre l’affitto era quasi inesistente.

    Il quadro dell’agricoltura lunigianese raffigurava un mondo rurale popolato da contadini piccoli proprietari, coltivatori diretti del proprio fondo, per i quali il reddito agricolo non sempre era sufficiente al sostentamento del gruppo familiare e necessitava di complemento di lavoro salariato in altre occupazioni. Il ceto dei contadini medi, capaci di garantire l’autosufficienza della famiglia, era presente, ma non era maggioritario; ancor più rare le realtà capitalistiche del contadino ‘ricco’ e della grande azienda agricola organizzata in fattorie. La diffusa condizione proprietaria nelle campagne era in Lunigiana fonte di status, tanto ambito quanto modesto, più che di ricchezza, spesso inconsistente.

    La mancanza di una grande proprietà accentrata, generalmente di antica origine nobiliare, la diffusione della piccola proprietà contadina e le caratteristiche della mezzadria, relativamente più autonoma di quella tradizionale toscana, disegnavano un quadro peculiare che l’agricoltura apuana condivideva in parte, in Toscana, solo con la provincia di Lucca. Questa caratterizzazione, valida soprattutto per la Lunigiana, poteva «far pensare con qualche fondamento che le province di Lucca e di Massa Carrara non appartenessero, dal punto di vista della loro struttura agraria, alla Toscana».

    All’agricoltura si affiancava un settore manifatturiero che raramente superava la dimensione artigianale limitata alle necessità del mercato locale. In Lunigiana stabilimenti industriali con una produzione capace di superare l’ambito locale e con un significativo impiego di manodopera erano limitati a uno iutificio ad Aulla, appartenente allo Iutificio di Spezia, impiantato nel 1916 con una cinquantina di addetti, a un polverificio a Pallerone (frazione di Aulla), appartenente alla Società Italiana Esplosivi e Munizioni di Torino, costituita appositamente nel 1917 con circa 300 addetti,⁶ ridotto a deposito alla fine della guerra, e a uno stabilimento di produzione di materiali esplosivi a Villafranca di Lunigiana, appartenente alla Società Anonima di Esplodenti e Prodotti Chimici. Nel comune di Fivizzano, a Vinca e Monzone, nella valle del Lucido, l’industria marmifera di estrazione e lavorazione del marmo era attiva fin nelle alte cave del monte Sagro e gli operai del marmo erano il nucleo più numeroso e organizzato del proletariato industriale lunigianese.

    Pontremoli era capoluogo di un circondario rurale: il censimento del 1921 registrò tra la popolazione con più di dieci anni del circondario la prevalenza degli addetti all’agricoltura (56,5%); tra questi i conduttori di terreni propri erano il 61,3%, incidenza nettamente superiore rispetto agli altri circondari, mentre i mezzadri erano il 17,5%, avventizi e braccianti il 19,7%, esigui i fittavoli, inesistenti gli obbligati.⁷ Gli addetti al commercio erano il 3,12%; l’industria nel circondario non superava la dimensione artigianale, gli addetti erano l’8,2%, tra i quali gli artigiani indipendenti erano oltre un quarto.

    Gli addetti all’industria erano sparsi in attività, talvolta stagionali, di lavorazione dei prodotti agricoli o nelle fornaci di laterizi, cui si aggiungevano i tradizionali nuclei urbani di muratori e pastai, mentre pochi riuscivano a impiegarsi nella sviluppata industria metalmeccanica della Spezia, che attraeva forza lavoro più dalla Bassa Lunigiana. L’unico aggregato operaio omogeneo erano i ferrovieri, un terzo di tutti i salariati industriali.

    Il ceto medio urbano (commercianti, lavoratori autonomi, professionisti, impiegati pubblici e privati) era il 5,8% della popolazione attiva del circondario. Nel comune capoluogo ovviamente l’insediamento del ceto medio urbano era maggiore, benché non certo in misura di massa (l’indicazione ci viene dalla rilevazione del numero di famiglie in base alla condizione dei capifamiglia, quelli del ceto medio sono pari al 14,2%).

    Lo status proprietario era più diffuso nel circondario di Pontremoli rispetto agli altri circondari e all'intera provincia: i proprietari erano il 16,25% della popolazione, contro l’11,21% a Massa e il 13,84% a Castelnuovo (12,61% il dato provinciale), benché rispetto al censimento del 1911 Pontremoli segnasse una diminuzione più marcata (nel 1911 i proprietari erano il 19,91% su un dato provinciale del 14,27%).¹⁰

    Rispetto al censimento del 1911, la struttura sociale non risultava nel dopoguerra strutturalmente variata, se non in misura appena significativa nell’aumento dei commercianti e nella diminuzione più marcata degli addetti all’agricoltura (nel 1911 gli addetti al commercio erano l’1,88% e all’agricoltura il 62,20%).¹¹ Queste variazioni lasciano ipotizzare non solo un deflusso non più occasionale verso il commercio, specie ambulante (di antica tradizione nel pontremolese, nel 1921 oltre un quarto del totale del settore), divenuto nel dopoguerra attività principale anche di contadini,¹² ma anche una ripresa vigorosa dell’emigrazione non più temporanea ma definitiva, specie quella di interi nuclei familiari verso le Americhe.

    L’emigrazione riprese subito dopo la fine della guerra: dai 9 emigrati nel 1918, Pontremoli vide emigrare 387 unità nel 1919, 748 nel 1920, 282 nel 1921, anno che registrò un calo dovuto alla chiusura dello sbocco americano (l’Emergency Immigration Act approvato negli Stati Uniti nel maggio del 1921 aveva rigidamente limitato l’immigrazione, sfavorendo quella dell’Europa meridionale).

    In una terra avara di risorse, con un’agricoltura povera e premoderna che dava raramente da vivere e con poche alternative di occupazione in attività industriali, l’emigrazione era l’unica alternativa alla miseria, specie per le genti di montagna del circondario.

    Nel primo dopoguerra, il comune di Pontremoli mantenne il primato dell’emigrazione in provincia.¹³ Alla fine del 1921 gli assenti temporanei dal comune erano l’8,57% della popolazione residente (nell’intero circondario pontremolese l’8,15%, nel circondario di Massa il 3,13%, in quello di Castelnuovo il 9,67%, in provincia il 5,35%).

    La maggioranza degli assenti era all’estero, di questi la massima parte (83%) proveniva dalle frazioni montane: in Valdantena il 17,59% della popolazione residente era assente, a Guinadi il 12,02%, a Gravagna il 10,28%, a Cargalla il 14,54%, a Montelungo il 17,09%, a Bratto il 12,64%. Solo la gran parte degli assenti dal centro urbano era in altri comuni del Regno.¹⁴ Il comune di Pontremoli fu tra i pochi della provincia che registrarono un calo della popolazione residente tra il 1921 e il 1922, pari a 1.365 unità (-8,50%), il più marcato della provincia,¹⁵ dovuto agli emigrati che si stabilirono definitivamente negli Stati Uniti dopo le leggi restrittive adottate nel 1921.¹⁶

    Pontremoli era un centro urbano completo di strutture istituzionali e uffici di governo, sede di sottoprefettura, di tribunale, di una tenenza dei carabinieri e di una delegazione di pubblica sicurezza, fornito anche di un presidio sanitario in un pubblico ospedale. Era sede di vescovado ed era dotato di strutture scolastiche fino ai gradi superiori: i corsi ginnasiali del seminario vescovile, offerti in certo numero anche a studenti esterni, e una Regia scuola normale e complementare, continuatrice dei corsi dell’antico Conservatorio femminile San Giacomo di Altopascio. Dal 1875 era attiva anche una banca locale, la Banca Pontremolese Industriale e Commerciale, alla quale si affiancavano agenzie di altre banche (nel 1921 la stampa rilevava un «pullulare di banche», aumentate da tre a sei).¹⁷ Centro culturale vivace, era dotato di una piccola biblioteca e vi si pubblicavano due settimanali.

    Il tasso di alfabetismo (75% della popolazione superiore ai sei anni) era nel comune di Pontremoli il più alto della Lunigiana, in linea con la media provinciale (74%) e superiore al capoluogo provinciale Massa (67%), mentre il dato del circondario soffriva dell’isolamento dei centri minori (70% di alfabetismo contro il 73% del circondario di Massa e Carrara e il 79% di quello di Castelnuovo Garfagnana).¹⁸

    Benché non fosse il più popoloso (16.068 residenti), Pontremoli era il comune lunigianese con il centro urbano più concentrato, in un territorio dove la popolazione viveva in case sparse o in piccoli agglomerati: nel circondario di Pontremoli il 72,8% della popolazione viveva agglomerata e il 27,2% in case sparse, nel comune capoluogo rispettivamente il 75,7% e il 24,3%. Per un confronto, nel comune più popoloso della Lunigiana, Fivizzano (17.372 residenti), la popolazione viveva agglomerata per l’85%, ma dispersa in numerose frazioni inferiori a 500 abitanti, mentre il centro urbano del comune aveva 1.332 abitanti, un terzo di quello di Pontremoli (3.589).¹⁹ Tuttavia, anche nel comune di Pontremoli la popolazione delle frazioni era riunita in piccoli agglomerati che raramente superavano i 500 abitanti, il cui isolamento era aggravato dalla natura montuosa di un esteso territorio che rendeva difficili le comunicazioni, non aiutate dalla rete viaria: le strade carreggiabili erano il 20% del totale delle vie di comunicazione del circondario (nel comune di Pontremoli il 14,5%), rimanendo il resto delle comunicazioni affidato a mulattiere e sentieri pedonali.²⁰

    Questo sommario excursus di dati statistici non raffigura un teatro simile alle aree di nascita e prima affermazione del fascismo. In Lunigiana e nel circondario di Pontremoli non esisteva un ceto di agrari, fossero grandi proprietari o intraprendenti fittavoli, contrapposto a un diffuso bracciantato, come in Emilia, o a una radicata mezzadria proletarizzata, come in Toscana, regioni dove lo scontro sociale nelle campagne alimentò la reazione squadrista. La stessa frammentata proprietà rurale non era di recente formazione, perché pervenuta per eredità familiare o acquistata con i risparmi derivati da altre attività, spesso svolte all’estero nei periodi di emigrazione, che coinvolgeva i contadini specie di montagna già proprietari e ripresa con vigore al termine della guerra. Lo sviluppo della piccola proprietà nell’area alto-lunigianese nel primo dopoguerra è infatti dovuto all’acquisto di terreni in pianura più produttivi e comodi da parte di ‘montanari’ o di mezzadri.²¹ Era una proprietà ‘stabile’, ma potremmo dire stagnante, conservatrice nella mentalità prima che nell’interesse, soggetta all’influenza del clero e dei notabili cittadini.²²

    Non appare traccia di un ceto di nuovi proprietari con recente acquisizione di uno status autonomo, già indicato da Ivanoe Bonomi e da Arrigo Serpieri come uno degli attori più agguerriti della reazione squadrista in altre aree del paese, specie le campagne emiliane,²³ o di nuovi conduttori (si pensi alla Bassa bresciana), pronti a difendere anche con la mobilitazione diretta il nuovo status conquistato spesso faticosamente²⁴ (ricordiamo che nel circondario i proprietari di terreni tra il censimento del 1911 e quello del 1921 erano diminuiti). Né esisteva un ceto di piccoli e medi imprenditori industriali, nerbo di quella borghesia urbana che nelle piccole e medie città industriali favorì e partecipò direttamente alla nascita dei fasci, come nella vicina Carrara e in diversa misura anche alla Spezia. Non esisteva un proletariato industriale nel senso moderno del termine, concentrato in fabbriche; gli unici nuclei proletari significativi e omogenei erano i ferrovieri a Pontremoli e i cavatori della valle del Lucido, le cui cave rientravano nel distretto minerario di Carrara.

    L’organizzazione di questi gruppi di operai era avvenuta su impulsi esterni al territorio di Lunigiana e di Pontremoli.²⁵ I cavatori erano organizzati per lo più dalla Camera del lavoro di Carrara, aderente all’USI. Nel pontremolese persistevano piccole leghe di nuclei operai urbani (muratori, calzolai, pastai), mentre il nucleo dei salariati più numeroso faceva capo al Sindacato ferrovieri italiani, forte organizzazione corporativa indipendente marcatamente orientata in senso socialista. Nelle campagne, nonostante l’autorità rilevasse nel dopoguerra l’esistenza di una lega contadini affiliata alla Camera socialista della Spezia, dominavano le organizzazioni cattoliche dell’Unione contadini attiva già nel 1910. Pertanto i nuclei operai più numerosi gravitavano per omogeneità di lavoro o per direzione organizzativa all’esterno della vita sociale pontremolese. Nel resto della Val di Magra la Camera confederale socialista della Spezia estendeva la propria influenza in Aulla con la lega operai tessili per la presenza dello stabilimento dello Iutificio di Spezia e a Villafranca con la lega degli operai dello stabilimento di esplosivi.

    Al ristretto ceto dei «signori», possidenti redditieri, ai ceti urbani del commercio, impiegatizi e delle professioni, tra i quali lo strato popolare era rappresentato da piccoli artigiani e bottegai, si affiancava la stragrande maggioranza rurale del «popolo minuto», immerso «in un rilevante analfabetismo o semianalfabetismo, in una penuria cronica di denaro liquido, in un attaccamento profondo… alla religione degli avi e alle tradizioni della propria terra… in una ricerca di attività accessorie… rilevanti talora ma sempre sentite come non alternative… in un uso di cibi variabili da zona a zona, ma tutti riconducibili al concetto comune della povertà, della fame mai interamente saziata, in costumanze arcaiche di vita associata, forse relitti di una passata più vasta solidarietà di classe nient’affatto politica… nel perdurare di pratiche e rituali magici e magico religiosi».²⁶ La cultura dei ceti popolari rurali era tradizionalista, rispettosa delle ataviche gerarchie sociali accettate come ineluttabili quanto il corso della natura. La dispersione della popolazione, i suoi affanni e le difficoltà di comunicazione avevano calcificato tale cultura, coltivata da una Chiesa che era l’unica istituzione a raggiungere con i suoi parroci ogni villaggio.

    La Chiesa esercitava un’influenza favorevole a un orientamento d’ordine della popolazione rurale che rendeva quest’ultima diffidente verso oltranzismi di varia identità e non assecondava la diffusione di propagande attiviste come quella fascista. Non meno subalterni degli operai urbani, spesso anche più poveri, i contadini erano tuttavia gelosi del loro status di ‘ceto’ proprietario che li rendeva ancor più ostili al movimento socialista. I ceti impiegatizi e professionali urbani che si raccoglievano intorno al notabilato liberale avevano per loro stessa natura un orientamento istituzionale. L’assenza di un proletariato industriale omogeneo e di masse bracciantili privava di una base di massa il massimalismo socialista che agitava altrove in Italia città e campagne.

    La struttura sociale del circondario di Pontremoli non generava quello scontro di classe che sconvolse gli altri teatri di elezione del fascismo, piuttosto essa disegnava un quadro conservatore e stagnante della vita economica e sociale. L’emigrazione era lo sfogo delle classi subalterne e povere più dell’impegno nelle leghe sindacali e della lotta di classe. La popolazione aggregata in frazioni di difficile comunicazione o distribuita in case sparse, l’emigrazione che coinvolgeva i capifamiglia o i figli maschi adulti, che si assentavano per periodi più o meno lunghi, quando non definitivamente, come negli anni che andiamo considerando, ostacolavano la formazione di movimenti collettivi di massa.

    In un ambiente sociale e geografico siffatto, la vita politica era destinata a limitarsi all’ambiente urbano del capoluogo, con poca osmosi con il resto del circondario e con le campagne. La partecipazione elettorale, sempre inferiore alla metà degli aventi diritto, era assai bassa nelle sezioni rurali e raggiungeva a malapena il 50% solo nel centro urbano del capoluogo. La lotta politica era ristretta a élites urbane. Con questa realtà dovettero confrontarsi i movimenti politici che miravano a un consenso popolare di massa, dai socialisti ai cattolici sino al fascismo.

    II

    Le correnti politiche

    Lo scorcio di fine Ottocento, quando, dopo i primi successi organizzativi

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