Racconti del cielo, le avventure di un pilota di linea
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Book preview
Racconti del cielo, le avventure di un pilota di linea - Guido Biagetti
VOLO
PREFAZIONE
Sono stati anni di incredibile intensità. Non solo per la cronologia degli eventi, ma per i profondi mutamenti dentro di me.
Sin da ragazzo l'avventura e la voglia di esplorare sono state una impellenza dalla quale era impossibile sottrarsi. Forse la scelta di fare il pilota, nasce proprio dalla necessità di avere una esistenza che ti mette continuamente alla prova, dove ogni giorno nasce con una sfida e un limite da superare. Ma in realtà la vera sfida è esplorare i meandri della propria natura, scoprendo i punti di forza e le tante debolezze. La vita di tutti i giorni e le avventure che cerchiamo nell'ambiente esterno, in realtà sono la palestra e lo strumento con il quale cerchiamo di conoscere chi siamo e a quale natura apparteniamo. Un percorso di studio infinito, dove attraverso l'osservazione di noi stessi, scopriamo le sfumature del genere umano, e comprendiamo le leggi segrete dell'universo.
In questo libro narro della mia esperienza aeronautica, vista come l'opportunità' di confrontarmi con tutti i popoli e la gente con la quale sono venuto in contatto.
Più' che raccontare le rotte sulle quali ho navigato, ho preferito porre attenzione sui miei approdi, e sui tanti e differenti stili di vita da cui trarre insegnamenti.
AB INITIO
Il mio primo lavoro come professionista, fu su un piccolo jet privato utilizzato da svariati businessmen, non solo per questioni di affari, ma anche per qualche piccola scappatella con la segretaria del momento in qualche luogo lontano e discreto.
Il personaggio che lo gestiva, e lo pilotava, era un tipetto sulla quarantina, paffutello e perennemente in agitazione. Era convinto di appartenere ad una categoria superiore rispetto ai piloti, infatti si definiva un imprenditore aeronautico
, giustificato dal fatto che si stava comprando l'aereo a rate.
Il tipo aveva una collezione alquanto variegata di tic nervosi e manie di pulizia prossime al maniacale. Ma io ero lì per imparare, ero appena uscito dalla scuola di volo, dunque mi potevo solo adattare con il massimo della elasticità. In effetti l'indaffarato ometto era capace di procurarsi una miriade di clienti, e si volava davvero tantissimo. Per un pilotino in erba, ciò che più conta e fare esperienza, e noi davvero rastrellavamo tutta
l'Europa e zone limitrofe in lungo ed in largo. Piccolo particolare, l'aereo era suo e ne era gelosissimo, non mi faceva toccare mai i comandi, volava solo lui, e mi permetteva di occuparmi solo delle comunicazioni radio e della navigazione. Va beh è un inizio da qualche parte bisognava pur cominciare. Il comandante self-made aveva tutta una serie di manie in volo alquanto bizzarre. La prima era una totale e assoluta fobia, per le ditate sui vetri degli strumenti di volo. Tutte le volte che mi avvicinavo ad un altimetro per regolarlo o ad un qualsiasi strumento, sentivo i suoi occhietti neri e penetranti, che distolti dalla condotta del velivolo, sarebbero stati pronti a fulminarmi se avessi lasciato traccia di un polpastrello in un qualsiasi punto.
Devo dire avevo momenti anche di grande relax, già quando dormiva.
L'omino a terra era sempre super indaffarato, correva sull'aereo poi telefonava ad un cliente, ordinava il carburante, intanto contattava la banca per ottenere un fido più alto, ed ogni mezz'ora chiamava il commercialista, che probabilmente doveva avere doti da santo, per aggiornarlo di ogni singola e spesso inutile informazione. Dunque se a terra era fuoco a fulmini, come andava in volo, probabilmente esausto dalle mille frenetiche attività, una volta inserito l' autopilota si addormentava all' istante. Non ho mai capito se quel fatidico interruttore, era più efficace nell' ingaggiare un sistema automatico, o ad attivare un sonno istantaneo. E finalmente quando Morfeo se lo portava via, ma soprattutto gli chiudeva la bocca, io diventavo padrone dell' aereo, ed a insaputa del capo dormiente cercavo di acquisire i segreti del piccolo jet.
Le giornate erano lunghissime, seppure da osservatore imparavo molte cose sul volo, ma altrettante che in volo non dovrebbero essere fatte,
l'esperienza in seguito mi ha insegnato a discernere. Spesso la sveglia era anche prima delle cinque, e dopo magari anche tredici o quattordici ore di lavoro, una volta atterrati c'era il rito del ricovero del velivolo, un vero trauma. Tu sapevi benissimo, che anche se eri atterrato alle sette di sera, e teoricamente saresti potuto arrivare a casa per cena, di sicuro prima delle ventidue non avresti varcato la soglia della tua dimora, per poi riuscirne poche ore dopo ancora prima dell'alba.
Il rito del ricovero consisteva prima di tutto