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Le pedine peccatrici
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Le pedine peccatrici
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Le pedine peccatrici

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About this ebook

Cinque anni dopo la traumatica luna di miele, Melania Torre ha un nuovo lavoro ed una famiglia, ed è tornata in apparenza ad una vita normale. Ma le prove cui l'hanno sottoposta le hanno lasciato dei segni che non sono facili da cancellare, non solo nell'animo, ma soprattutto nel corpo e nel carattere. Vive in un costante stato di condizionamento, da cui sembra non vi sia guarigione, quando inaspettatamente rincontra Joseph e da lui scopre che esiste un antidoto.

Per ottenerlo deve però raggiungere Gunther, la causa dei suoi mali, e l'occasione è data da un viaggio in Turchia, dietro cui si cela un nuovo esperimento sociale. Melania è terrorizzata dall'idea di affrontare un altro incubo, ma per un futuro migliore e forte della conoscenza del gioco precedente, accetta la sfida. Sarà però fin da subito un'esperienza molto diversa da ciò che si aspetta.

Il romanzo è caratterizzato da uno stile scorrevole ed elabora diversi aspetti psicologici e interiori, attraverso scenari dettagliati, cambi di prospettiva e inaspettati sviluppi che mettono continuamente alla prova i personaggi e il lettore.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 30, 2019
ISBN9788831622882
Le pedine peccatrici

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    Le pedine peccatrici - Francesco Barbon

    633/1941.

    I POSTUMI DEL VIAGGIO

    No, non è possibile.

    Sfoglia per l’ennesima volta le bozze della nuova edizione, scorrendo rapidamente i testi, e ancora non ci crede. Si alza irritata e spinge con forza la sedia contro la parete divisoria, per poi avviarsi a passo rapido verso il responsabile dell’impaginazione. Perché non c’è il mio articolo!?

    L’uomo si volge a guardarla con calma, sospirando per questa improvvisa interruzione al suo lavoro. Qual è il problema, Melania? Lo sai benissimo che mi limito a impaginare ciò che mi dà la direzione.

    Allora mi sa che non te l’hanno passato o forse ti sei dimenticato di aggiungerlo.

    Qualunque cosa pensi sia successa, è stata approvata dal direttore, per cui se ritieni che ancora una volta i tuoi articoli vengono ignorati prenditela con lui. Il collega sospira stancamente per una situazione che s’è già ripetuta in passato e che la ragazza cocciutamente continua a non afferrare.

    Ho capito. Allora adesso vado a dirgliene quattro, ma tu ferma subito la stampa. Questo articolo dev’essere per forza pubblicato domani. Gli ordina fuori di sé, per poi ripartire come una furia verso l’ufficio del capo redazione, senza lasciar tempo al collega di ribattere.

    Lo sai che non posso fermarla. Anche questo lo devi chiedere a lui! le grida attraverso la porta, per poi scuotere la testa e prendere il telefono.

    Che c’è, Gianni? Sono in riunione.

    Melania ha un’altra delle sue sfuriate e sta venendo lì.

    Ma non siete capaci di tenerla buona, per Dio?! Il direttore risponde scocciato per poi guardare preoccupato l’ospite davanti a sé. Dovete fermarla. Ora non posso proprio riceverla, sono qui col sindaco.

    Temo sia troppo tardi ormai.

    Il direttore guarda oltre la vetrata satinata e vede la segretaria che cerca disperatamente di trattenere Melania. Ti dico che non si può…

    Vai al diavolo! Melania si divincola con uno strattone e punta dritto verso la porta.

    Mi scusi, signor sindaco, ma… Il direttore cerca di trovare un modo per giustificare L’increscioso spettacolo cui dovrà assistere.

    C’è qualche problema? L’amministratore si volta verso la porta percependo il disagio crescente del suo interlocutore.

    Nel mentre la ragazza afferra con forza la maniglia. Dov’è il mio articolo!?

    Melania, per piacere. Ne possiamo parlare con calma più tardi. Ora ho ospiti.

    Lo vedo. Getta uno sguardo rapido al sindaco, senza scomporsi minimamente. Ma non posso aspettare. Il giornale andrà in stampa a minuti e voglio sapere perché cazzo non c’è il mio articolo!

    Melania, cerca di calmarti. Non so se ti rendi conto… Il direttore sprofonda nell’imbarazzo, non sapendo come gestire la situazione nei confronti dell’ospite.

    Sì, mi rendo conto perfettamente, ma penso che quell’articolo abbia la precedenza su tutto. Capirei se ci fossero alternative valide, ma non mi pare proprio che il paraurti ammaccato di uno scuolabus o un masso che cade in un ecocentro lo siano. È morta una persona, cazzo, e non è stato scritto niente di niente su questa storia. Melania si sfoga senza alcuna preoccupazione, confrontando l’importanza del suo testo rispetto a quelli che ha intravisto nella bozza.

    Ne abbiamo parlato nell’edizione nazionale.

    Ah, perfetto.

    Il direttore capisce che la situazione non è risolvibile nell’immediato e dopo una breve riflessione prende la sua decisione. Signor sindaco, mi scusi, ma abbiamo una questione editoriale da vedere urgentemente. Se mi attende un attimo, possiamo finire dopo il nostro colloquio.

    Non si preoccupi. Immagino che non sia facile mandare avanti un giornale. Ci vedremo con calma un’altra volta. D’altronde non dobbiamo parlare di cose urgenti. Il politico si alza dando l’impressione di aver compreso al meglio la situazione. Poi sofferma lo sguardo sulla ragazza. Lei è Melania Torre, vero? Mi piacciono i suoi articoli. Hanno carattere. Come lei, vedo, del resto.

    La ringrazio, ma come vede spesso non me li pubblicano. Coglie l’occasione per lanciare un’occhiata tagliente al suo capo, che ormai non sa più a che santi appellarsi per fermare la sua caduta libera in quest’abisso d’imbarazzo.

    Sul volto del sindaco affiora un leggero sorriso. Queste cose dovete vedervele tra di voi. Io so che anche Bruno fa bene il suo lavoro e che il giornale è uno dei migliori nei dintorni, per cui penso, signora, che dovrebbe avere un po’ più di fiducia e rispetto nell’operato del suo direttore. La guarda ora come un buon padre di famiglia osserva una figlia scapestrata che ha fatto tardi la sera. Ora vi lascio al vostro lavoro. Direttore, se vuole approfondire la discussione, prenda pure appuntamento con la mia segretaria.

    Certo. E mi scusi ancora. Arrivederci.

    Arrivederci. Lo saluta anche Melania, volgendo appena lo sguardo, già pronta a sostenere la sfida con il suo capo.

    Siediti le ordina il direttore dopo essersi assicurato che il sindaco abbia lasciato l’edificio. Ti rendi conto di che figura mi hai fatto fare?

    Non mi pare l’abbia presa così male.

    Hai pure il coraggio di ribattere!? No. In effetti, buon per te, sembra l’abbia presa anche bene, ma stai sicura che le informazioni in anteprima sul nuovo piano della viabilità le pubblicheranno su un altro giornale. Sarebbe venuto fuori un bell’inserto speciale, ma pazienza, lasciamolo alla concorrenza. Che vuoi che sia! Mannaggia a te, Melania, e al tuo schifoso carattere. Ogni volta che mi fai queste scenate non so perché non ti lascio a casa. Ti rendi almeno conto che avrei buoni motivi per farlo? Cerca di persuaderla, sapendo che attaccarla in modo deciso amplificherebbe solo le sue reazioni, come è successo altre volte, con urla e sbattimenti di porte che si sentirebbero per tutta la redazione.

    Sì, lo so che ho un pessimo carattere, ma sapevi quanto ci tenessi a quell’articolo. Una volta che abbiamo un caso interessante in provincia, non lo puoi lasciare alla redazione nazionale. Lo sai sono degli incompetenti! Non l’ho letto, ma penso che sia d’una piattezza incredibile. Coglie l’occasione per lanciare una stoccata a quei colleghi che ritiene ingiustamente più privilegiati di lei.

    Ammetto che non sono bravi a scrivere quanto te, ma hanno il pregio di essere affidabili, di scrivere dei pezzi che vanno sempre e comunque bene. Basilari, ma corretti ed equilibrati. Tu invece… Forse questa volta l’errore è stato mio. Non dovevo affidarti quel pezzo. Dovevo comprenderlo prima che  sei troppo implicata personalmente.

    Ma Melania insiste. Sì, forse è vero: c’ho messo un po’ del mio. Ma perché fare perdere tempo a un altro collega quando io avevo tutte le informazioni?

    Perché almeno avrebbe scritto cose reali, basate su fatti provati.

    Perché, le mie non sono reali!?

    Non lo so se lo sono. Magari sì, ma finché non si hanno conferme da parte della polizia non si possono scrivere. Noi scriviamo fatti, non facciamo ipotesi. Soprattutto sulla colpevolezza delle persone. Ti rendi conto che se pubblicassi una cosa del genere quell’uomo potrebbe querelarti per diffamazione? La mette di fronte ai suoi errori.

    Che mi quereli pure. Tanto non avrà il tempo di farlo, si troverà già in carcere. Non può averla uccisa nessun altro tranne lui. Le ha dato appuntamento a Misurina perché è lì che si sono conosciuti e poi l’ha portata s’una stradina e le ha spaccato la testa. Se solo conoscessero la vicenda sarebbe ovvio come la luce del sole. Sostiene con fermezza la sua tesi.

    Ti credo. Anche perché l’articolo è convincente. Ma sta di fatto che Dallan è solo incriminato e a quanto pare ha pure un alibi.

    Ma quell’alibi è una cazzata! Ci metteranno un attimo a smontarlo.

    Allora lascia che lo smontino e poi pubblicheremo il tuo articolo.

    Ma perché non inchiodiamo prima quel porco!? Faremo un figurone.

    Perché ci tengo alla mia carriera e a questo giornale. Non so se tu sei benestante o hai un buon avvocato, ma questa redazione non potrebbe sostenere le multe che c’arriverebbero per aver intralciato l’attività giudiziaria se anche una sola virgola della tua ricostruzione fosse sbagliata. Se proprio hai voglia di fare giustizia collabora con la polizia e, quando ti confermeranno tutto, e Dallan sarà dietro le sbarre, potrai fare il tuo bel articolo. Ti concederò anche la prima pagina. Anche se dovrai in ogni caso rivedere la cosa con meno coinvolgimento emotivo.

    Cioè?

    Cioè, non puoi scrivere… Aspetta. Cerca tra le carte che ingombrano la sua scrivania per poi estrarre l’articolo incriminato. "Quel porco tornava a casa ubriaco quasi tutte le sere e la picchiava a sangue, prendendola anche a bastonate oppure Quella cretina ne era così innamorata che non hai mai pensato di denunciarlo. Secondo te le possiamo pubblicare su un giornale queste cose?"

    La ragazza fa una smorfia pensosa, per poi ammettere: In effetti forse l’ho scritto troppo di getto, ma penso che la gente apprezzi un po’ di schiettezza. E poi le cose di fatto stanno così e saranno tutti d’accordo con me quando si rivelerà la verità.

    Per dio, Melania! Il direttore butta con stizza i fogli sulla scrivania. A volte mi fai incazzare per quanto sei cocciuta! Lo sai benissimo che non si possono scrivere certe cose su questo giornale. Neanche quando eventualmente sarà confermata la tua versione dei fatti. Certi pareri, anche se veri, non devono entrare qui dentro. Batte il dito nervoso contro i fogli. Lo vuoi capire o no?

    Certo. Deglutisce la ramanzina, capendo di aver oltrepassato il limite.

    L’uomo resta un attimo a fissarla, poi, comprendendo il suo pentimento, sospira e si lascia andare sulla poltrona. Melania, io apprezzo molto il tuo lavoro e per questo mi dispiace ancor di più quando mi combini queste cose. Dopo aver ricevuto il tuo curriculum, ho letto un po’ dei tuoi blog e dei tuoi articoli e, nonostante gli argomenti un po’ frivoli, ho notato subito che c’era personalità nella tua scrittura e per questo non ho avuto dubbi nell’assumerti. Ora vorrei però che questa personalità la contenessi un po’ e ti ricordassi che stai scrivendo per un quotidiano e non un per un giornale di gossip e nemmeno per un romanzo. Ti è… S’interrompe sentendo il cellulare di Melania suonare.

    Mi scusi. Lo estrae dalla tasca del tailleur. È mia madre. Ignora la telefonata e lo ripone. Non vuole proprio capire che non deve disturbarmi quando sono al lavoro.

    Allora è forse da lei che hai ereditato la tua testardaggine.

    Non esattamente. Comunque sì… S’interrompe a un nuovo trillo del telefono. Uff! è ancora lei!  esclama scocciata, rifiutando la chiamata. Scusami, ma a volte è veramente odiosa.

    Melania, sei già andata in ferie?

    Come?

    Siamo a fine agosto e ti chiedevo se sei già andata in ferie.

    Sì, ho fatto una settimana a giugno e ne ho un’altra a ottobre spiega lei, non capendo questa improvvisa curiosità del direttore.

    Così in là?

    Sì. Andiamo in Andalusia e Christian pensa che prima faccia troppo caldo. Ma perché me lo chiedi?

    Perché penso tu abbia bisogno di ferie.

    Che...

    Non so come dirtelo, ma non ti vedo affatto bene. Non so, sarà il caldo, ma mi sembri sempre nervosa. E anche questo articolo ne è la prova le espone con calma, fissando nella reazione di Melania la certezza delle sue impressioni.

    Io non sono affatto nervosa! Si punta sulla scrivania. Questo articolo mi è venuto male perché l’ho scritto troppo emotivamente. Domani lo rifarò in maniera adeguata.

    No. È meglio che tu non ti occupi più di questo caso.

    Cosa!? esplode rabbiosa. Non puoi farmi questo!

    Ne sei troppo coinvolta. È meglio se segui qualcos’altro.

    Allora vuoi lasciarlo a quelli dell’edizione nazionale!?

    Queste sono decisioni che non ti riguardano.

    Maledizione! Batte un pugno sul ripiano. Bruno, non puoi… Il telefono squilla ancora.

    Rispondi. Il direttore le fa cenno, guardandola preoccupato.

    Cosa c’è, mamma!? Lo sai che sono al lavoro.

    Melania, non dovevi andare a prendere Lucrezia?

    No. Oggi è giovedì e tocca a suo padre.

    Di solito sì, ma mi ha detto che oggi non poteva perché era impegnato al lavoro fino a tardi e dovevi andare tu sottolinea la donna.

    Melania se ne ravvede e agita nervosamente il telefono, sotto lo sguardo immobile del direttore. È vero! Oggi aveva un collaudo! Respira a fondo e poi controlla l’orologio sulla parete, realizzando che il nido ha chiuso due ore fa. Ora dov’è?

    È qui. Dove vuoi che sia? La madre non perde occasione per rimproverarla. È possibile che ogni tanto ti dimentichi di avere una figlia? Ti rendi conto che ormai la scuola chiama me piuttosto che voi? Tuo padre n’è anche contento, ma io sono seriamente preoccupata.

    Ho capito. Più tardi vengo a prenderla.

    No, vieni subito, perché anche noi abbiamo i nostri impegni e tra mezz’ora dobbiamo andare via.

    Mezz’ora!? esclama meravigliata, sapendo che le ci vorrà sicuramente più tempo per raggiungerli. D’accordo. Arrivo subito. Melania chiude la telefonata e annuncia al direttore: Devo andare.

    Ho sentito.

    Ci vediamo domani. Sistema la sedia e apre la porta.

    Pensa alla mia proposta la sollecita il direttore , per poi scuotere la testa preoccupato da quanto ha appena visto.

    Al diavolo! Che se la faccia lui le ferie. Lei non ha intenzione di lasciar perdere questa storia. I suoi tacchi risuonano nervosi per la redazione, mentre torna alla sua postazione per raccogliere la borsa. Prende tutto in fretta, alla rinfusa, e s’avvia verso l’uscita. Vai di già? Una collega la ferma, vedendola passare.

    Sì. Devo andare a prendere mia figlia. Ci vediamo domani.

    La oltrepassa trafelata, allargando le braccia di fronte all’ennesimo imprevisto, e corre al parcheggio. Trova l’auto rimasta tutto il giorno sotto il sole e appena vi entra il suo viso si riempie di sudore. Maledetto chi stamattina le ha preso l’ultimo posto coperto. Ora è tardi e non ha nemmeno il tempo di lasciare che l’abitacolo si stemperi un po’.

    Così parte, accendendo l’aria condizionata alla massima potenza. La ventola gira impazzita con un ronzio pesante, così come i suoi pensieri sul discorso del direttore, sulla sua eccessiva esuberanza, sull’odio che a volte prova verso sua figlia e i suoi cari, su ciò che s’accorge essere diventata, sull’auto che si trova subito davanti e procede in modo dannatamente lento.

    La vorrebbe quasi speronare per spingerla in avanti, per dirle che ha dello spazio di fronte, e presto la luce del semaforo davanti a loro cambierà colore e li costringerà a fermarsi per almeno tre preziosissimi minuti. Ma l’altro autista è immune alla sua fretta e, tranquillo, si blocca già quando giunge il giallo.

    È  tentata di premere il clacson, ma si limita a battere i pugni sul volante. Deve controllarsi, deve stare calma. Calma.

    È  di questo che ha maggiormente bisogno.

    Sono passati cinque anni dalla sua tragica luna di miele, ma ancora non riesce ad accettare quanto è successo e la vita che ha ora. C’è un’insoddisfazione perenne, un nervosismo di fondo che non la lascia mai e che non fa certo bene alla sua salute e alle persone che le stanno vicino. Ogni piccola cosa la irrita a dismisura e la porta a comportamenti scellerati, ad eccessi che non riesce a controllare.

    Quando cessano si sente fragile, inutile, pericolosa e scatta la rabbia verso se stessa, verso questo maledetto carattere che non le permette di ottenere quello che vuole, che la porta a rovinare tutto per un nonnulla. Così anche ora con l’articolo sull’omicidio di una vecchia compagna di scuola. Ci teneva, perché conosceva un po’ la sua travagliata storia d’amore, se così si può chiamare, con il marito.

    Li aveva incontrati qualche volta in città e aveva capito subito che razza d’uomo era lui. Il tipico coglione che si sente superiore alla massa, che non si accontenta di lavorare in fabbrica perché ha un’altra idea per fare soldi, un progetto innovativo, una trovata geniale che nessun dottore, ingegnere o chi che sia, ha mai partorito.

    Ce l’ha avuta solo lui e non gli è servito nemmeno terminare le superiori per capire che quella era la strada giusta. Ma ogni grande progetto abbisogna di  finanziamenti e non potendoli ottenere da una banca ha iniziato a cercarseli con il gioco d’azzardo. Gratta e vinci, slot machine, scommesse su ogni cosa.

    Ovviamente spendeva più di quello che guadagnava, ma lui sapeva che il momento giusto sarebbe arrivato. Ma tardò. Tardò tanto che sopraggiunse la delusione, la frustrazione, la necessità di bere e di sfogarsi con qualcuno per questa vita che non andava come voleva, per questo mondo ingiusto che reprimeva il suo genio.

    E invece di buttarsi giù da un ponte come avrebbe dovuto, se la prendeva con la moglie. Dopo aver scialacquato in giro i soldi che lei portava a casa, spaccandosi la schiena dalle sei di mattina alle sette di sera, quando tornava la insultava e la prendeva a bastonate. Le diceva che doveva portare a casa più denaro, che era necessario investire in grandi sistemi per vincere somme importanti. C’erano ogni notte discussioni, urla che riempivano il condominio e alimentavano i pettegolezzi del quartiere, ma la cretina alla fine lo ascoltava. Pensò addirittura di prostituirsi per portare a casa più soldi, ma per fortuna fu fermata da un amico. Fu un incontro casuale e per un istante le aprì gli occhi. La mise davanti ad uno specchio e finalmente si rese conto di cos’era diventata.

    Andò alla polizia a denunciare il marito e lui fu allontanato e rimandato a vivere con i genitori. Da qui la solita storia: frustrazione che aumenta, tentativi violenti di riconciliazione, appostamenti sotto casa, pedinamenti, promesse di cambiamento. La situazione  è rimasta instabile per mesi, in un tira e molla patetico e lancinante.

    Melania uno così lo avrebbe mandato al diavolo subito, ma quella sconsiderata gli è andata dietro per anni e ha continuato a credere fino all’ultimo in un cambiamento, fin quando un escursionista non l’ha trovata morta vicino al Passo Tre Croci. Aveva la testa fracassata e diverse ecchimosi in tutto il corpo. È stata uccisa altrove e trascinata lì, sicuramente da più persone, visto che si trovava a circa 200 metri dalla strada principale, lungo un ripido pendio.

    Lui è stato subito il primo indiziato, ma a quanto pare era in Germania con un amico. Pare ci sia qualche prova, ma comunque un po’ flebile e incerta. Un bel caso da seguire e un’interessante esperienza lavorativa per lei, ma purtroppo se l’è bruciata per il suo maledetto temperamento. Pazienza. Tornerà a occuparsi delle solite noiose notizie di criminalità locale, di rapine alle banche, di litigi tra extracomunitari, d’incidenti stradali. È così che va la sua vita ora, anche se spesso pensa che questo continui da ormai troppo tempo.

    Esattamente un lustro fa stava festeggiando con le amiche il suo addio al nubilato. Le avevano organizzato un week end sulla riviera romagnola. Durante il giorno si erano rilassate al mare e in un centro estetico, la sera però si erano distrutte e le proposte erano cadute inevitabilmente sul piano sessuale.

    Una notte andarono a vedere uno spogliarello, l’altra le fecero addirittura trovare un gigolò in camera. Non sa che intenzioni avessero le amiche: se volessero spingere le cose fino in fondo o volessero solo regalarle qualche emozione; ma per fortuna o purtroppo arrivò all’appuntamento troppo ubriaca, e le uniche cose che si ricorda è che il regalo era ben fatto e che qualcuna lo scartò al posto suo. Non le vollero dire niente, ma dai sorrisi che avevano la mattina successiva, intuì che ne avevano approfittato un po’ tutte.

    Che storie! Era stato meraviglioso quel week end. Era stato l’addio a una vita per un’altra che le appariva ancora migliore. Si sentiva felice, viva. Era piena di progetti, di sogni, e a fianco aveva l’uomo ideale con cui condividerli e realizzarli. Era l’alba radiosa di un giorno magnifico, ma tutto è finito subito in modo così tragico e inconcepibile.

    Dopo poco più di un mese tutto fu cancellato improvvisamente da un folle, che per giunta non ha pagato minimamente per quello che ha fatto. E ora si ritrova qui, nervosa, in mezzo al traffico, con una vita che a volte detesta, con un compagno che non sa se realmente ama, con una figlia che le genera più problemi che gioie, e delle amiche con cui ha passato l’addio al nubilato n’è rimasta solo una.

    Si guarda nello specchietto e si trova invecchiata. Non di cinque, ma almeno di dieci anni. E si chiede una volta in più come è arrivata a tutto questo e se c’è un modo per accettarlo senza più patimenti.

    Non è stato facile riprendersi dopo il viaggio di nozze. Per quanto si sforzasse di essere forte, la mancanza di Luca la ossessionava. Non sapeva darsi pace per quello che era successo. Rimuginava in continuazione su ciò che era accaduto, sulle scelte che avevano fatto, e si flagellava di ipotesi, di scenari alternativi in cui forse avrebbe potuto salvarsi.

    Lo sapeva che era inutile, che il vuoto nelle stanze permaneva, ma era più forte di lei. Ogni volta che si trovava da sola, il silenzio la schiacciava e sopravveniva il dolore, che si tramutava poi in rabbia, e infine inevitabilmente in qualcosa da rompere. L’infrangersi di un piatto o il tonfo di un mobile la riportava rapidamente alla realtà e si scopriva tremante e fragile, ma viva, e quindi con la necessità di riempire di qualcosa di utile i giorni.

    Si dette da fare col blog sul Grande Fratello e intanto inviò il curriculum a vari giornali per cercare uno stimolo nuovo e per allontanarsi dal mondo patinato di cui aveva scritto per anni e che ora sentiva non appartenerle più. Aveva bisogno di qualcosa di diverso, ma soprattutto aveva bisogno di andare oltre e di riempire in qualche modo la voragine opprimente che la pervadeva.

    In questo Christian le fu indubbiamente di grande aiuto. Ottenne dopo pochi mesi il trasferimento a Ponte di Piave e lei fu ben lieta di ospitarlo a casa in attesa che lui ne trovasse una sua. Era una convivenza un po’ strana e a molti appariva più di una semplice amicizia. Anche ai genitori di Melania, che vedevano nel nuovo venuto un prezioso aiuto per la stabilità della figlia.

    E lo era, anche se il coinvolgimento sentimentale non c’era. Almeno da parte di Melania. Dall’altra parte era certamente così, ma lui si sforzò di rispettare quanto si erano detti durante quella giornata al lago, e si limitò al ruolo di sostenitore che lei gli aveva dato. Non era certo facile, ma questa convivenza alla fine era preziosa per tutti e due.

    Entrambi avevano finalmente qualcuno con cui parlare liberamente, con cui togliersi la maschera ed esprimere a parole ciò che realmente provavano, senza che questo fosse un sentimento confuso che rimaneva in gola o dietro le palpebre, soffocato dalla necessità di mentire. C’era finalmente qualcuno che li capiva e dopo mesi d’incomprensione, anche con se stessi, era come raggiungere la superficie dopo un’infinita apnea.

    Melania era sempre nervosa, ma ora i suoi sfoghi si riversavano contro qualcuno che poteva ribatterle, e non s’infranse più niente. Christian non era rigido come un mobile, né fragile come un piatto, assorbiva i colpi come un corpo tenue, e le restituiva con il tempo la comprensione di cui aveva bisogno.

    Lei si rendeva conto che a volte gli faceva male, che gli lanciava contro invettive di cui lui non aveva colpa, e spesso si rannicchiava pentita sulla sua spalla, a chiedergli scusa, e si consolava nel suo calore contro il freddo che ogni tanto tornava a investirla. Sembrava che i ruoli si fossero invertiti, che ora fosse lui la persona che guidava i giochi.

    In effetti Christian si dedicava con assoluta devozione a lei e alla sua felicità. Dava tutto se stesso per contrastare con la dolcezza l’aspro che la vita le aveva lasciato in bocca, e lo faceva senza ricevere nulla in cambio se non la sua compagnia. Ma già questo era molto più di quello che le aveva dato Bianca e alla fine comunque portò i suoi risultati.

    Dopo mesi di fitti dialoghi, di serate passate in lacrime a rivangare in continuazione il passato per trarne qualcosa, arrivò anche la coscienza della necessità di provare ad andare oltre. L’estate portò la voglia di uscire e Melania provò a riprendere in mano le redini della sua vita. Ma, come spesso le accadeva, partì subito al galoppo, prima ancora di essere uscita dal recinto.

    Si schiantò un paio di volte. Cadendo e riprovandoci senza riflettere più di tanto, come usava fare. D’un tratto si ritrovò ubriaca a letto con un uomo. Se ne rese conto entrambe le volte quando si risvegliò e la reazione non fu certo delle migliori. Non riusciva ancora ad accettare che tra le sue lenzuola ci fosse una persona diversa da Luca e constatare che lo aveva concesso ad un individuo di cui non conosceva neanche il nome la mandò in bestia.

    L’intruso fu cacciato malamente, etichettando Melania come una povera nevrastenica, e poi lei si rifugiò pentita tra le braccia di Christian, che, dopo aver subito per tutta la notte le sue urla di piacere, ora doveva pure consolarla e ripeterle che non era questo il modo di ripartire, che per montare un cavallo nuovo bisogna avere pazienza, mettere i finimenti, girare nel recinto, e solo allora uscire all’aperto, per iniziare a correre.

    In effetti era vero. Non poteva permettersi questi eccessi, non ora. Era cambiata e se doveva ripartire, doveva farlo con una persona che le desse fiducia, una persona che sapesse comprenderla e conciliare le sue crisi. Una persona come Christian. Si rese conto che lui era l’unico con cui poteva rifarsi una famiglia, l’unico con cui non avrebbe potuto nascondere il suo passato, con cui non avrebbe dovuto mentire.

    Era così e, se anche avesse avuto un altro uomo, Christian avrebbe dovuto esserci comunque, doveva restarle vicino e poter attingere a lui in ogni momento, come un pozzo d’acqua pura con cui disintossicarsi dall’inevitabile male che avrebbe incontrato nella vita. Anche perché questo male forse non era del tutto naturale.

    Permaneva l’ombra di quell’ultima notte nell’isola. Che fine aveva fatto effettivamente Luca? E che esperimenti avevano fatto su Melania? Erano solo dei test momentanei e poi le hanno ripulito il sangue, come le ha assicurato Gunther, o qualcosa le era rimasto dentro? Si erano interrogati più volte in merito durante le loro cene, e, se da una parte avevano accettato in un modo o nell’altro la sparizione del marito, dall’altro restavano molti dubbi.

    Luca semplicemente non poteva più tornare. Se l’avevano salvato, dovevano averlo fatto subito, e l’avrebbero rimandato indietro, inventandosi che le autorità messicane l’avevano ritrovato, o l’avrebbero sfruttato per i loro esperimenti, come avevano fatto con la moglie, per poi creargli una storia ad hoc, e ora sarebbero di nuovo insieme.

    Contrariamente, nonostante avesse il giubbotto di salvataggio, con quel tempo non sarebbe sopravvissuto più di qualche ora. Sarebbe morto per ipotermia e per annegamento, sempre che prima non l’avesse aggredito qualche pesce. Il personale dell’isola avrebbe allora recuperato con calma il suo corpo e l’avrebbe fatto sparire.

    Una fine orribile, tanto più perché ingiusta. Ancora a Melania sovviene la sua immagine, la sua tremenda desolazione in mezzo all’immensità del mare. Pioggia e vento sopra, l’ignoto sotto. Lo sguardo e le grida che non giungono a niente. I denti che battono, gli occhi pieni di paura, gli arti che si agitano. Attesa, attesa, e poi…

    Di nuovo ci pensa e stringe così forte il volante che sente quasi le dita spezzarsi. Ancora rabbia, instabilità. Certo, quello che l’è successo è duro da assimilare, ma a volte ha come la percezione che le sue reazioni siano esagerate. Fa fatica a controllarsi, anche adesso, a distanza di anni, ma soprattutto fa fatica a riconoscersi.

    È chiaro che non si può sapere a priori come si reagirà di fronte a un lutto o una situazione difficile, ma Melania non si sarebbe mai aspettata di rivelarsi la persona che è ora. Indubbiamente quello che le è successo prevarica ogni immaginazione e ha implicato anche degli effetti difficili da gestire, ma lei non aveva mai avuto simili eccessi.

    Certo, in passato aveva avuto delle discussioni, degli scontri, anche accesi, con Luca o con le colleghe, e le era anche capitato di perdere le staffe. Ma si era sempre fermata alle parole, agli insulti, alle grida. Il resto lo aveva represso dentro, lo aveva spento come un mozzicone di sigaretta in mezzo alla cenere, osservando che era un comportamento inutile, una tensione che faceva solo male sia a lei sia a chi le stava attorno.

    Aveva imparato a controllarsi e a gestire le situazioni contenendo gli impeti di collera e non si poteva certo dire che era una donna nevrastenica, che scattava per un nonnulla, come molte femmine che incontrava in giro.

    Dopo il viaggio invece non è stato più così. È come se il suo corpo non fosse stato più in grado di contenere la rabbia, se la pelle si fosse gonfiata al punto di esplodere. E la sua furia è uscita come un’onda che tracima da una diga, investendo le cose e le persone che le stavano attorno, conducendo le sue azioni ben prima di ogni ragionamento.

    Le era capitato qualche volta da piccola di scattare così, di attaccare tutti come una furia cieca. Era successo con dei bambini più grandi che avevano maltrattato il suo cagnolino e che lei aveva cacciato tirando loro delle pietre, mandando uno di loro pure all’ospedale. Poi con la cugina che aveva staccato la testa alla sua bambola preferita e che lei voleva ripagare con la stessa moneta, cercando di staccare la testa a lei. Per fortuna l’aveva fermata sua zia poco prima che le spezzasse l’osso del collo.

    Ma si sa, questioni che succedono da piccoli quando ti toccano delle cose molte care. Poi sovvengono l’autocontrollo, la coscienza delle conseguenze, e tutto si ridimensiona. S’impara a dare valore alle cose, a essere meno istintivi, ad accettare le persone per quello che sono, a mettere il rancore da parte per un bene più grande o ad accumularlo in un serbatoio per alimentare una vendetta futura. Tratti di maturità che ora invece sembra non possedere più.

    All’inizio aveva pensato che fosse dovuto al dramma che l’aveva investita. La teoria era suffragata anche dalla comprensione di chi le stava vicino, ma non era così logico che questo comportamento durasse per anni, soprattutto per una donna come lei che molti credevano forte.

    No, non è normale. Qualcosa deve essere successo al suo corpo. Gli esperimenti fatti sull’isola devono averle lasciato dei residui, delle sostanze che continuano a interferire con i suoi neuroni. Si ricorda che le hanno somministrato la 5H e che la nuova sostanza è più persistente della 5G. Ma quanto? È possibile che i suoi effetti durino per sempre? Ed è possibile che siano stati tanto avventati da lasciargliela nel corpo? E a che scopo poi, visto che nessuno ora riesce a controllarla?

    Per il lato fisiologico è andata quasi subito a farsi degli esami, ma n’è risultato solo un normale stato di stress. Le hanno quindi prescritto le solite cose: riposo e calmanti. Qualcuno le ha suggerito anche uno psicologo, ma si è guardata bene dall’andarci, per timore che in una seduta le sfuggisse qualche realtà inconfessabile.

    Sembrava tutto a posto, ma non lo era. In qualche forma la 5H l’aveva condizionata, ne era certa. Ma non sapeva come e soprattutto non sapeva come liberarsi dai suoi effetti. Doveva solo cercare di controllarsi, di non farsi innervosire dalle piccole cose. Doveva di nuovo costruire una diga per contenere la sua rabbia. C’era riuscita da bambina e l’avrebbe fatto anche ora.

    Ma non era facile e a quanto pare non c’è ancora riuscita. In dei periodi relativamente sereni ha poggiato qualche pietra, ma poi è stata spazzata via alla prima forte irritazione, ed è dovuta ripartire daccapo. Così, per anni, fino a ritrovarsi qui in auto, in mezzo al traffico, a prendersela con la figlia che s’è messa a piangere. Lucrezia! La vuoi piantare di frignare, maledizione! Lo capisci o no che finché il semaforo è rosso non posso partire!?

    Voglio vedere i cartoni. Me li stai facendo perdere.

    Ti faccio perdere qualcos’altro se non la smetti! Quegli stupidi cartoni te li vedi un altro giorno: tanto le puntate sono tutte uguali. Tambureggia nervosamente sul volante, mentre osserva nello specchietto la figlia seduta nel seggiolino.

    Perché non è venuto papà oggi?

    Perché aveva da fare.

    Ma al giovedì non viene a prendermi lui?

    Sì, ma oggi aveva da fare. Te l’ha già detto la nonna le ripete nervosa, già realizzando un’odiosa verità.

    A me piace quando viene a prendermi papà. Perché non può venire tutti i giorni?

    Per dio, Lucrezia! Te l’abbiamo spiegato milioni di volte come stanno le cose! Lo so che non ti vado bene, ma due volte la settimana ti vengo a prendere io. Che ti piaccia o no.

    Ma con te il viaggio è noioso. Perché non mi canti anche tu le canzoncine? Papà me le canta!

    Papà! Papà! Sempre papà! Maledizione… Si blocca e serra il volante tra le mani per cercare di non andare oltre.

    La verità torna a investirla, inesorabile. Sua figlia la odia e lei odia sua figlia. Riversa per un attimo il capo sul poggiatesta per allontanare questa idea, ma subito un colpo di clacson la richiama all’urgenza di ripartire, non solo per attraversare questo incrocio, ma per andare oltre questa condizione, per trovare un modo per guarire.

    Questo malessere, naturale o indotto che sia, è aumentato dopo la nascita di Lucrezia, e non dà cenno di diminuire. Non l’ha voluta dall’inizio, fin da quando ha scoperto d’essere incinta. Lo sapeva che sarebbe finita così, che non aveva la stabilità per crescerla e per amarla, soprattutto a solo un anno e mezzo dalla scomparsa di Luca.

    Sentiva di dover fare ancora molta strada, di dover raggiungere un equilibrio con cui affacciarsi al mondo in modo autentico, almeno a livello comportamentale. Forse con un po’ d’esercizio poteva farcela. Per quanto fosse persistente la sostanza che aveva in corpo, era sicura di essere più forte e di poterla dominare.

    Forse ce la poteva fare e ora sarebbe con quel tipo che le ha presentato un’amica, di bell’aspetto e di modi gentili. In apparenza un signore che non le avrebbe mai chiesto nulla del passato e con cui probabilmente poteva funzionare. Dopo le uscite folli dal recinto e le rovinose cadute, si era vista un paio di volte con lui, e tutto era andato per il meglio. Nessun eccesso, nessuno scontro.

    Sembrava che a breve la cosa potesse andare in porto. Era simpatico, attraente e aveva il tatto di saperla attendere. Ma poi un evento cambiò tutto. Arrivò la notizia del suicidio del signor Barzi. Una morte strana, che riempì per qualche giorno le pagine dei giornali. L’uomo si era separato poco dopo il ritorno dall’esperimento e aveva preso un appartamento assieme una donna pakistana, molto più giovane di lui.

    Era chiaro che l’esperienza l’aveva sconvolto e aveva perso la testa. Indubbiamente ci sarà stato qualcosa di vero nel suo sfogo all’isola e ormai s’era rotto le scatole della moglie e di quella figlia diseredata, che invece di voler prendere un posto di rilievo nella sua azienda s’era accontentata di fare la barista.

    Anche la vita di quella famiglia è stata segnata profondamente dall’esperimento, e anche loro si saranno serviti di una notevole dose di bugie per andare avanti, forse però avevano sconfinato nella verità. Infatti in quel suicidio c’era qualcosa di strano. L’uomo era caduto dall’ultimo piano di un palazzo storico, in centro a Bassano del Grappa, dov’era andato ad abitare assieme a questa ragazza, dopo la separazione.

    Si era schiantano sul selciato in mezzo ai passanti. Una scena orribile, che però dette modo agli inquirenti di agire subito, di salire all’appartamento e costatare che non c’erano lettere, ma c’erano diverse cose cadute, come se ci fosse stato uno scontro. Poi c’era un testamento, scarabocchiato e mezzo strappato, in cui L’imprenditore attestava di voler lasciare tutto alla ragazza pakistana, almeno nella battitura a macchina, per poi correggere il suo nome con quello della moglie, e provare infine a distruggerlo.

    Il pezzo di carta era lì, a terra, a fianco alla scrivania, assieme ad altre cose cadute dalle mensole. Si pensò quindi subito che Barzi avesse deciso in un attimo di follia di lasciar tutto alla ragazza, ma poi si fosse ricreduto. E quando questo avvenne ci fu uno scontro e lei lo buttò giù dalla finestra. Il discorso filava, ma purtroppo la pakistana era altrove, guarda caso a letto con un altro uomo.

    Fu chiaro subito che il vecchio era stato abbindolato e alla ragazza interessavano solo i soldi, ma finora a carico della giovane non c’era nessun capo accusatorio. Non gli aveva sottratto niente e soprattutto non poteva averlo ucciso perché era altrove. La colpa era solo di Barzi e della sua condizione emotiva instabile e a questo fu imputato anche L’incidente.

    L’uomo infatti prendeva delle medicine, dei forti tranquillanti, e ne fu trovata una dose massiccia nel suo organismo. S’ipotizzava quindi che ne avesse assunto una grande quantità, colto dal rimorso di aver scritto quel testamento, e, nell’intento di voler chiudere la finestra, avesse attraversato barcollando l’appartamento, buttando a terra ciò che era poggiato sui mobili, e poi fosse scivolato giù.

    La ricostruzione chiuse il caso e fortunatamente per la moglie il testamento fu dichiarato irregolare e la pakistana ne uscì pulita, ma senza un soldo. Eppure Melania e Christian sapevano che non era andata così, che una persona per quanto sia in crisi non si inietta una dose di tranquillante nel petto, e che oltre al testamento c’erano altre pagine strappate nello stesso quaderno che non erano una lettera di scuse per la moglie, come molti avevano ipotizzato, ma forse una confessione, una rivelazione di quello che gli era successo qualche anno prima.

    Erano certi che ci fosse una terza mano in quella caduta. Non era stato un incidente, ma un omicidio. L’eliminazione di un vecchio che voleva parlare un po’ troppo. Ma come l’avevano saputo? Lo tenevano sotto controllo? E che fosse così anche con loro? Che ci fossero delle cimici nelle loro case, nei loro telefoni?

    La cosa li terrorizzò. Ebbero la percezione di essere di nuovo dentro ad un grande incubo, che le minacce di non parlare non erano solo parole, ma portavano a delle conseguenze, anche mortali. Erano entrati nell’esperimento e ne sarebbero stati parte per tutta la vita. Come non lo sapevano, ma era certo che non potevano sgarrare, che quell’esperienza la dovevano chiudere in un forziere e seppellire nei profondi abissi delle loro anime.

    Convennero che forse controllavano i loro cellulari. All’hotel glieli avevano sequestrati e sicuramente avevano potuto impiantargli qualcosa. Così decisero di cambiare tutto: telefono, SIM, scheda SD e persino numero. Se poi li controllavano in altro modo pazienza. Non potevano certo chiamare qualche tecnico e chiedergli di bonificare l’abitazione da eventuali cimici. La cosa avrebbe inevitabilmente sollevato troppe domande e li avrebbe messi in serio pericolo. Meglio restare dunque col dubbio e continuare a essere accorti, in casa come fuori.

    In ogni caso non ne avrebbero parlato ad altri, ma costatare che questo poteva avere realmente delle conseguenze li unì ancor di più. Melania decise di lasciar perdere per un po’ il nuovo compagno e si rafforzò in lei il pensiero che l’unica persona con cui poteva stare era realmente Christian.

    Non provava per lui attrazione fisica. Non c’era quel contatto magico che incendiava qualcosa dentro lei. Ma sentiva un affetto che non provava con nessun altro e soprattutto avvertiva di essere compresa e capita nei suoi sentimenti e bisogni, come sicuramente nessuno avrebbe mai potuto fare. Con lui c’era un rapporto autentico, non certo vivo e scintillante come si aspettava dal suo ideale di uomo, ma vero.

    Pensò che fosse maturata in fretta, che gli amori focosi di gioventù erano passati, che doveva pensare alla stabilità, e forse questo era il rapporto giusto per entrambi. Così una sera si avvicinò a lui. Non con L’impeto di un desiderio che non poteva più contenere, ma come una mossa d’affetto, come a volerlo ringraziare di esserci e di starle vicino nonostante i suoi problemi.

    Lo baciò, con grande sorpresa di Christian. Fu una cosa strana ed entrambi si fissarono per capire il significato di tutto questo. Se era un attimo di follia come nella dispensa nell’hotel o valeva la pena andare avanti. Melania non lo seppe mai, ma in quel momento vinse il bisogno d’affetto, la necessità di un contatto caldo, sincero.

    Lei riprese a baciarlo e in Christian si schiusero anni e anni di passione repressa, di desideri ingoiati a fatica, di amore rimasto confinato nella pelle, in una distanza che sembrava insuperabile. Tutti i sensi si misero in moto improvvisamente come una parete che crolla dopo secoli d’instabilità e Melania si  lasciò trasportare, ritrovando un attimo di serenità e piacere nel suo letto.

    Certo, di piacere non ce n’era stato molto per lei, ma sentiva di aver fatto la scelta giusta e ne era felice, ed era quello che contava in quel momento. Non era stato un colpo di testa. Ora al risveglio aveva un compagno vero e voleva condividere con lui i suoi giorni. Si sentiva meglio con se stessa e tutto sembrava finalmente girare bene.

    Avere qualcuno con cui sfogarsi anche fisicamente le era di grande aiuto. Né lei né Christian dovevano reprimersi. Si vivevano a fondo, sia negli atti d’amore che negli eccessi di rabbia di Melania, e oltretutto avevano dei nuovi progetti che riempivano i giorni e allontanavano la mente dal passato. Così stavano meglio pure fuori e poterono ricucire i rapporti con le famiglie, sia con i genitori di lei che trovarono una figlia meno nervosa, che con quelli di lui che riconobbero che il figlio in fondo non era un fallito e che forse Melania era stata un buon motivo per distruggere il fresco matrimonio con Bianca.

    L’improvvisa ventata di serenità cessò però dopo pochi mesi, quando Melania restò incinta. La cosa non era voluta e lei non la prese affatto bene. Si sentì di nuovo in crisi, di nuovo ingabbiata dentro una vita da cui non poteva uscire. Questa figlia l’avrebbe legata per sempre a Christian e, anche se allora andava tutto bene, il solo pensiero la spaventava.

    No, era presto. Maledettamente presto. Lei non era ancora guarita e non poteva certamente badare in quello stato a una bambina. Lo sapeva e faceva bene a indugiare, ma ancora si lasciò convincere dalla dolcezza di Christian e provò a fidarsi dell’immagine d’una vita nuova, d’una realtà che avrebbe messo una pietra decisiva sul passato.

    Ovviamente Melania non visse bene la gravidanza. I dubbi e le crisi si manifestavano a ogni minimo malessere. Tornò di nuovo a essere instabile, nervosa, e l’apice giunse nel parto, dove non risparmiò a nessuno i suoi improperi, inveendo contro la figlia come «piccola bastarda, esci altrimenti ti ammazzo», e altre cose che lasciarono tutti a bocca aperta e di cui ancora si parla all’ospedale.

    Ma comunque poi non fu da meno. Ogni volta che la bambina piangeva la sua pazienza andava in frantumi e più di una volta ebbe delle reazioni esagerate che rischiarono di ledere la salute di Lucrezia. Inveiva contro di lei, la picchiava, e anche in pubblico non riusciva a contenersi. Più la situazione era delicata, tanto prima passava dalle implorazioni, alle minacce e poi ai fatti.

    Ogni tanto Lucrezia era per lei un peso indefinibile e i suoi pianti acuti le rimbombavano nel cervello, tanto che cercava di farli cessarle in tutti modi. Dapprima gridando più di lei, poi strattonandola, fino a minacciare di colpirla con oggetti. Per fortuna c’era stato sempre qualcosa o qualcuno a fermarla prima.

    Raramente la sua coscienza. Il più delle volte Christian o i suoi genitori. Una volta persino degli estranei, quando cercò di colpire Lucrezia con l’ombrello all’interno di un centro commerciale. Quella volta la bambina faceva un sacco di capricci e lei era esasperata. Pioveva, aveva le sue cose, non le avevano permesso di cambiare un cappotto perché lo scontrino si era bagnato irreversibilmente, e lei piangeva, piangeva, piangeva.

    Se non l’avessero fermata forse quella volta l’avrebbe uccisa sul serio. Era completamente fuori di sé, e quando comprese ciò che stava facendo e di avere tutti gli occhi dei passanti su di sé, realizzò la miseria di donna che era diventata, e tutta la rabbia s’instradò verso se stessa per esplodere in un grido e in una spinta ad un enorme vaso pieno di terra, che, non si sa ancora come, riuscì a rovesciare.

    Fu portata via dal personale di sicurezza tra gli sguardi attoniti dei presenti. Fu una scena vergognosa e ancora la irrita il ricordo. Era arrivata al fondo, completamente schiava della sostanza che aveva in corpo. Non riusciva più a controllarsi, perché ogni situazione generava altra rabbia, e, dopo essersela presa con se stessa, se la prese con il pubblico, con le guardie, col responsabile da cui la portarono, finché non fu sbattuta in una stanza in attesa del compagno.

    Solo allora l’allarme scattò nella sua mente, inesorabile e urgente: doveva guarire, doveva liberarsi dello schifo che aveva dentro o almeno non esserne più vittima. Doveva farlo, se non per lei, almeno per la sua famiglia. Per il compagno che aveva comprensione del suo malessere e che subiva ingiustamente buona parte dei suoi sfoghi, e per la creatura che aveva messo al mondo che in fondo le dava molte più gioie che dispiaceri e di cui voleva riconquistare la fiducia, cancellando l’ovvio terrore che ormai Lucrezia aveva per lei.

    Ma ormai questo processo era compromesso e ancor oggi lei figura come la madre severa e la compagna isterica. Anche adesso in quest’auto che sta per arrivare a destinazione e in cui Melania annuncia alla figlia. Eccoci arrivati. Giusto in tempo per vedere i cartoni. Li vediamo assieme?

    No, li vedo con papà annuncia secca per poi scendere appena la macchina si ferma.

    No, Lucre… Si volge a cercarla, ma la trova già vicino all’ingresso, a bussare alla porta e a chiamare suo padre.

    Vorrebbe dirgliene quattro, ma si trattiene. Prende poi con un gesto nervoso la borsa dal sedile a fianco e la raggiunge sulla soglia, nell’istante in cui la porta si apre e la bambina corre ad attaccarsi alle gambe di Christian.

    L’INQUIETUDINE DI ALTRE VALIGIE SULLA SOGLIA

    Deve guarire.

    Questo imperativo la ossessiona perché non sembra esserci via d’uscita e lentamente tutto le sta sfuggendo di mano. In casa sembra diventata una comparsa, una donna di servizio. Man mano che cresce, Lucrezia la guarda sempre meno e lei si sente esclusa dalla complicità che c’è tra la figlia e il compagno.

    Più si sente lontana, più L’instabilità cresce e rischia di allargare ulteriormente questa distanza. Riconosce che la testardaggine di Christian ha originato una bella famiglia, ma lei vorrebbe farne parte per il ruolo che ha e non limitarsi a esserne una privilegiata spettatrice, una comparsa che reclama in modo isterico la sua parte da protagonista, che porta più scompigli che bene.

    Anche con i genitori non va meglio. Hanno assistito a qualche sua scenata e la trattano come una pazza, come una madre affetta da un’eterna sindrome post parto. Per questo le parlano con calma e la tengono all’oscuro di tutte le questioni importanti, preferendo rapportarsi con il genero. Le continuano a ripetere che deve curarsi e la implorano di rivolgersi a psicologi e a preti.

    Preti! Che ne possono sapere i preti del suo male? Che consiglio potrebbero darle? Di perdonare? Di vedere il buono che c’è nella vita? Quale? Una figlia che ti odia e un bastardo che le ha devastato l’esistenza per uno sfizio? No, non c’è nessun rimedio lì fuori per lei, se non forse quello di rivolgersi a chi ha dato origine a tutto questo.

    È balenata anche questa ipotesi nelle eterne discussioni con Christian. Probabilmente dietro certi viaggi si nasconde un altro esperimento e sarebbero di nuovo faccia a faccia con Mister Dark, con la possibilità di chiedergli di liberarla da questa sostanza. Ma vorrebbe dire passare di nuovo altri giorni d’inferno e addirittura essere contaminati da qualcosa di peggiore.

    Oltretutto magari per niente, perché forse non esiste una cura, un antidoto. Forse in ogni caso è destinata a conviverci per sempre. Nel dubbio, meglio allora accantonare certe soluzioni avventate e concentrarsi sul presente, sulle cose certe, trovando un equilibrio unicamente dentro sé. Di nuovo se lo propone, anche questa mattina, dopo aver costatato un altro effetto del suo maledetto carattere.

    Come c’era da aspettarsi, il direttore le ha tolto il caso dell’omicidio del Passo Tre Croci. In sostituzione le ha dato da seguire la serie di furti che stanno avvenendo da qualche settimana presso diverse oreficerie di Treviso. Anche stanotte ne è stata colpita una e ora Melania sta passeggiando lungo il Calmaggiore alla ricerca di qualche informazione.

    Il colpo è stato scoperto da poco e ci sono ancora dei poliziotti che stanno facendo dei rilievi. A prima vista sembra la solita mano: un lavoro pulito, opera di professionisti. Si avvicina a quello che sembra il titolare. Buongiorno. Sono Melania Torre del Gazzettino.

    Oh, hanno mandato lei? L’uomo la interrompe realizzando con meraviglia la sua presenza.

    Sì. C’è qualcosa che non va?

    No, no. È che pensavo che di queste cose s’interessasse Fornasier. Sa, questa è la quarta rapina che subisco da quando sono aperto, e prima è sempre venuto lui a intervistarmi.

    Mi dispiace, ma hanno mandato me. Spero vorrà rispondere comunque alle mie domande.

    Ma certo. Cosa vuole sapere?

    È stato un furto ingente?

    Stiamo ancora controllando, ma pare di sì. Sembra si siano portati via più o meno tutto spiega l’uomo, mentre i poliziotti stanno prendendo una misura con una cordella metrica.

    Mi scusi. Uno dei due invita Melania a spostarsi, passandole il metro davanti ai piedi.

    Lei lo guarda un po’ seccata dall’interruzione, per poi riprendere il discorso. Immagino sia stato un duro colpo.

    Lo è ogni volta. Credo che però questo sia uno dei furti più ingenti che abbiamo subito. Ed è difficile accettarlo anche dal punto di vista psicologico, perché ormai tutte le oreficerie della zona erano state già colpite e per questo avevamo intensificato i passaggi della guardia giurata. Inoltre… Il titolare si blocca accorgendosi che L’interlocutrice sta guardando altrove. Signorina? Mi sta ascoltando?

    Ne fanno molte di visite guidate a Treviso? chiede continuando a fissare un gruppo di turisti che è fermo in Piazza dei Signori ad ascoltare le spiegazioni di una guida.

    Sì, abbastanza spesso. Ultimamente ci sono diversi gruppi di americani.

    Ah, bene. Mi fa piacere. Ho sempre pensato che Treviso dovesse avere un trattamento da importate città d’arte.

    Dunque le stavo dicendo…

    L’uomo riprende a esporre l’accaduto, ma Melania continua a non ascoltarlo. C’è qualcosa di familiare in quel capannello di turisti e non riesce a staccarne lo sguardo. Quei gesti della guida, quei movimenti… Possibile? Mi scusi. Decide d’interrompere il monologo del gioielliere e muove qualche passo verso la piazza, senza neanche guardarlo.

    Signorina… L’uomo la osserva sorpreso, per poi seguire la traiettoria dei suoi occhi allucinati. C’è qualcosa che non va?

    No, no, è che forse ho visto qualcuno che conosco. Mi aspetti un attimo. Decide di muoversi e di verificare la sua curiosità.

    Ma la vuole fare, sì o no, questa intervista? le chiede quando ormai è partita, per poi commentare con uno degli agenti. Cose da matti.

    Melania però non lo sente. Tutti i suoi sensi sono rapiti dall’immagine davanti a sé, dai suoi capelli biondi, dalla voce che ora inizia a percepire. Dubbi che s’incastrano e iniziano a dare una certezza, che arriva appena la guida si volta. Ora andiamo a vedere… Lo stesso stupore è nell’uomo e si ripercuote in tutto il suo gruppo, congelando la piazza in un fotogramma. Me… Melania.

    Joseph. S’affretta a raggiungerlo.

    Ciao. Come stai? Ti vedo bene.

    Maledizione. È da cinque anni che ti cerco. Lo osserva incredula di averlo di fronte. Immutato. Solo i capelli un po’ più lunghi nel cercare di nascondere la cicatrice sul lobo temporale, dove le ciocche non crescono.

    Joseph fa cenno alle persone attorno, indicando che non può parlare liberamente. Davvero? A quanto pare ti è piaciuto un sacco quel viaggio.

    Da morire.

    Beh, se vuoi ne possiamo parlare assieme una di queste sere. Accompagno diversi gruppi a Treviso in questo periodo spiega Joseph, mentre attorno i turisti hanno iniziato a parlare tra loro.

    Davvero? Hai iniziato a interessarti anche all’Italia?

    Per ora solo il Veneto. Ero curioso di vedere com’era e poi ne sono rimasto affascinato. Così ho deciso di collaborare con un po’ di tour operator che lavorano in questa zona.

    E perché non ti sei fatto vivo prima? gli dice sottovoce, afferrandolo per un polso, costatando che nessuno li sta guardando. Io ti ho cercato in tutti i modi, ma a quanto pare sei introvabile.

    Melania, per piacere. Se mi dai modo ti spiegherò tutto le sussurra con uno sguardo teso, per poi aggiungere in tono più alto: Beh, mi ha fatto un sacco piacere rivederti, ma purtroppo ora dobbiamo proseguire con la visita. Se vuoi che ci vediamo più tardi, sono alloggiato all’hotel Magnolia. Chiamami pure lì e fatti passare la stanza 239.

    D’accordo.

    A dopo allora. Le sorride, per poi alzare il braccio e richiamare l’attenzione del suo gruppo. Prego signori, continuiamo con la visita.

    Melania, rimane lì, imbambolata, e i turisti le passano attorno come fosse un lampione. Ha sognato per cinque lunghi anni questo contatto e ora non riesce ancora a realizzare che sia avvenuto. Cosa deve aspettarsi? Saprà davvero dirle qualcosa in più? Forse finalmente qualcosa si muoverà. Qualche tassello usurato dai continui tentativi di posizionarlo troverà finalmente la sua collocazione.

    Deve saperlo stasera stessa. Tra qualche ora lo chiamerà e fisserà un appuntamento, ma prima deve avvisare Christian. Si dirige allora verso una cabina telefonica per chiamarlo in ufficio: per certe informazioni è meglio non usare il cellulare.

    Il gioielliere intanto è rimasto per tutto il tempo a osservarla e ora la guarda parlare a un telefono pubblico dall’altra parte della piazza. La attende finché riaggancia, fiducioso in un suo ritorno, ma poi la giornalista sparisce in una strada laterale. Robe da matti.

    L’incontro è fissato per la sera stessa in un locale lungo il Terraglio.

    Melania e Christian sono lì in anticipo. Impazienti. Sul tavolo un drink già iniziato. Quando Joseph arriva si mettono sull’attenti, capendo che la sua presenza è reale. Ciao ragazzi. Per fortuna stavolta ci siamo incontrati senza intoppi. Ricorda il loro mancato appuntamento all’isola, mentre prende posto. Che bello vedervi assieme. Non pensavo che alla fine vi sareste fidanzati.

    Abbiamo pure una bambina Sottolinea Christian orgoglioso.

    Davvero? E quanti anni ha?

    Tre dice il ragazzo.

    Che bello. Almeno quel dannato esperimento ha portato almeno una cosa buona.

    Sì, almeno da questo punto di vista ci siamo trovati, ma per il resto ha portato un sacco di guai, che penso durino ancora oggi. Melania viene subito al punto.

    Cosa intendi?

    Parlo degli esperimenti che mi hanno fatto quando mi hanno catturato. Mi hanno iniettato una sostanza nuova, completamente diversa da quella che usavano nell’isola. È più forte e più…  gli spiega Melania, ma è interrotta da Joseph.

    È la 5H?

    La conosci? Lei si sistema sul bordo della sedia.

    Me ne ha parlato Gunther. Dopo l’esperimento la voleva testare anche su di me. Voleva farmela pagare per averlo tradito e avervi rivelato delle informazioni importanti sul gioco, ma poi mi graziò, perché in fondo, quello che avevo fatto alla fine s’era girato a suo favore e aveva avuto la possibilità di un incontro ravvicinato con te. Mi spiegò di aver sperimentato la nuova sostanza su di te e che era molto contento dei risultati ottenuti spiega mentre arriva la cameriera per l’ordinazione.

    Melania attende che Joseph chieda una birra. E che altro t’ha detto? Ti ha parlato anche di Luca?

    Sì. Abbassa lo sguardo sul tavolo e stringe con entrambe le mani il bicchiere. Mi ha detto che è semplicemente sparito. Hanno provato a recuperarlo dopo la tempesta, ma non l’hanno trovato. Ha detto pure che gli dispiace, ma che in fondo la colpa è stata vostra che vi siete imbarcati in quella situazione.

    Il respiro di Melania cresce a ogni sua parola per poi esplodere in urlo soffocato. Maledetto cane! Come osa dire che è colpa nostra!? Tutto quello che è accaduto è dovuto solo ed unicamente a lui e di certo non gli è dispiaciuto. Ipocrita figlio di puttana.

    Calmati, Melania. Christian appoggia con timore la mano al suo braccio, per paura che la sua rabbia possa esplodere in modo sconsiderato, attirando la curiosità di tutti i presenti.

    Lasciami. Si divincola nervosa. E non chiedermi di stare calma! Come posso esserlo quando vengo a sapere certe cose!?

    Melania. Per Dio! Siamo in un luogo pubblico.

    Lo vedo.

    E allora cerca di contenerti. Non voglio essere protagonista di altre scenate la rimprovera teso, per poi spiegare a Joseph: Scusaci. Purtroppo da quando è tornata dal viaggio è un po’ nervosa.

    È per via della 5H?

    Crediamo di sì risponde Christian.

    Sì. Sto vivendo con questa cosa in corpo da cinque anni. E non so come venirne fuori.

    E che effetti ha?

    Questo lo volevo chiedere io a te fa presente Melania.

    Io so solo che esiste e che è più potente della versione precedente, ma non so altro. Non ho idea di quanto forti siano gli effetti e in che modo agisca.

    Non lo so neanch’io come agisca. So solo che da quando sono tornata sono sempre nervosa, instabile. Mi arrabbio per un nonnulla e scoppio in modo incontrollato, inveendo, rovesciando oggetti, colpendo le persone. Mi sento sempre addosso una tensione indefinibile e provo fastidio per molte cose. Per il clima, per una coda a un semaforo, persino per questo drink che mi è stato servito senza ghiaccio, contrariamente a quanto avevo chiesto. Qualche anno fa avrei chiamato la cameriera, l’avrei insultata e probabilmente le avrei versato addosso lo spritz. Lo vorrei fare anche ora e mi viene voglia ogni volta che la vedo passare. Segue per un attimo con sguardo torvo la ragazza ferma al tavolo a fianco, suscitando in Christian una viva preoccupazione. Non lo faccio solo perché mi sto sforzando, perché m’impongo di non dare più peso alle piccole cose. Ma ti giuro che non è facile, che ho uno stimolo fortissimo dentro di me. È una cosa così assurda da spiegare, che se la dicessi a qualcuno diverso da voi mi crederebbe posseduta da un demone. E a volte è successo proprio così. È accaduto che la rabbia fosse così forte da non riuscire a contenerla e mi sono trasformata in un vero e proprio demone. Ho distrutto cose, rischiato delle risse pericolose con persone poco raccomandabili, inveito contro i miei genitori e il mio datore di lavoro. Ho picchiato più volte Christian e ho perfino… Si ferma per un instante, portandosi una mano alla bocca: Ho perfino rischiato di uccidere mia figlia.

    È terribile. Dunque sei costantemente arrabbiata, nervosa… Joseph si fa un attimo pensieroso. Poi beve un sorso di birra e le chiede: E hai altri istinti che non riesci a controllare?

    Non mi pare.

    Non lo so. Non ti senti gelosa di tua figlia? Invidiosa delle persone che non hanno i tuoi problemi?

    No. Non avrebbe senso. Non ce l’ho con le altre persone per quello che è accaduto. So già chi incolpare. Lo guarda meravigliata, non sapendo dove voglia andare a parare con le sue indagini.

    E non ti senti nemmeno depressa per questo tuo stato?

    No. Quando mi accorgo di aver superato il limite e di non essermi riuscita a contenere, mi arrabbio  con me stessa. È un fottuto sistema che si autoalimenta e il più delle volte mi calmo solo per sfinimento, solo perché la rabbia mi ha consumato ogni energia. Allora poi giunge la frustrazione di essere sempre allo stesso punto e di non riuscire a trovare un rimedio a questo problema. Ma non mi abbatto, se è questo che intendi. Mi rialzo subito e mi ripeto che non deve accadere più. Anche se lo so bene che non è facile. Si

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