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Design: Una storia sbagliata
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Ebook126 pages1 hour

Design: Una storia sbagliata

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Tutto ciò che non è corpo, è design. Com’è cambiato il nostro mondo dopo l’arrivo dell’industria? Pervasivo, potente, ingombrante, autoreferenziale, esclusivo, il metodo di produzione industriale ha monopolizzato ogni spazio cambiando il nostro modo di vivere e vedere la vita. Oggi, guardandoci intorno, non troviamo più quasi nulla che non sia prodotto industrialmente. Tutto questo è design. Come ci siamo arrivati? Ci fa bene? Ci siamo persi qualcosa senza neppure accorgercene? Possiamo cambiare o finiremo anche noi con l’essere prodotti industrialmente? Cosa ha comportato questa trasformazione, oltre a maestose quantità di rifiuti che cominciano letteralmente a soffocarci? Costruiamo cose da tre milioni di anni e continuiamo a farlo, perché? Una cronaca scritta con il linguaggio dell’inchiesta giornalistica, date, luoghi, nomi di chi ha fatto cosa e perché. Una controstoria del design: segreti, peccati e virtù di una delle maggiori punte d’orgoglio del made in Italy.
Con elaborazioni grafiche dell'autore
LanguageItaliano
Release dateJun 3, 2019
ISBN9788899554316
Design: Una storia sbagliata

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    Design - Maurizio Corrado

    7

    Design

    Una storia sbagliata

    elaborazioni grafiche dell'autore

    Questo libro è dedicato ad

    Alessandro Mendini

    Premessa

    Nel 2015 sono stati scoperti una serie di strumenti di fattura certamente non naturale risalenti a oltre tre milioni di anni fa. Qualcuno costruiva cose già allora; qualcuno che ancora non era Homo Sapiens aveva avuto l’idea di costruire qualcosa e l’aveva realizzata concretamente. Da questo punto di vista, il design è nato prima dell’uomo. Quando noi Sapiens siamo arrivati sulla scena della storia, avevamo già a disposizione una serie di cose con le quali abbiamo confermato un’alleanza che ci precedeva e si era rivelata vincente. Qualche tempo fa qualcosa è cambiato e nell’arco di meno di tre secoli il nostro rapporto col mondo materiale è mutato radicalmente. A partire dal Settecento abbiamo progressivamente affidato l’esclusiva della costruzione delle nostre cose al sistema industriale e all’ideologia che presuppone, con un processo perfezionato durante l’Ottocento e giunto a maturazione nel Novecento. All’inizio del XXI secolo pressoché tutto ciò che forma il mondo occidentalizzato è prodotto con un solo sistema, quello industriale. Da un tipo di vita che comprendeva immaginare, costruire, riparare, scambiare, comprare, si è passati a una modalità che prevede solo comprare, consumare, rifiutare. L’anima delle cose è cambiata. La quantità, la serie, l’identico, sono conseguenze del sistema industriale che ci ha abituati all’uniformità, tanto che il diverso diventa difetto e male. L’unica azione rimasta è l’acquisto compulsivo e perennemente insoddisfatto. Il sistema industriale ha costruito la propria storia narrandola come una progressiva e trionfale conquista, come è accaduto con l’arrivo degli europei nel Nuovo Mondo, ma se si cambia il punto di vista, la conquista si rivela genocidio e l’a vanzata della cultura egemone nasconde l’annientamento delle altre. L’affermazione dell’ideologia industriale ha avuto effetti analoghi, con la differenza che il genocidio rischia di riguardare non un solo popolo, ma l’intera umanità. L’inizio del nuovo secolo è anche il tempo delle urgenze e dei cambi di rotta invocati a gran voce da chi non riesce a chiudere gli occhi davanti a una crisi che coinvolge tutto il pianeta. Allora diventa utile rievocare il percorso fatto col fine di immaginare altre direzioni possibili. La stessa storia, vista da un altro punto di vista, diventa un’altra storia. Questo testo vuole andare nella direzione di chi cerca soluzioni a quella che un poeta avrebbe forse chiamato una storia sbagliata .

    Prima di iniziare è d’obbligo una precisazione sul termine design. Appartengo alla scuola di pensiero a cui piace vedere in Leon Battista Alberti il primo progettista consapevole e quindi il primo designer. Alberti è il primo a considerare finito il proprio lavoro con la realizzazione del progetto, o in altri termini del disegno, starà ad altri realizzarlo. Compito del progettista/designer è fornire un progetto. La dignità del progetto si compie con lui e con il Rinascimento italiano. Il termine design è quindi visto come sinonimo di progetto, idea a cui è abituata la cultura anglosassone. Probabilmente è proprio il progetto come cultura operativa che accomuna architettura e design industriale. Quando si considera la vicenda del design industriale, modalità che necessita sempre di un progetto preciso, si vedrà che chi progetta è sempre stato, nella stragrande maggioranza dei casi, qualcuno con una formazione da architetto. Diventa così inevitabile, parlando di come si è sviluppata la cultura del design industriale, sconfinare nella sorella architettura. Cultura architettonica e cultura del design industriale hanno sempre proceduto insieme, unite nelle stesse figure di chi le pratica, tanto che, perlomeno in Italia, la formazione del designer ha sempre coinciso con quella dell’architetto fino alla metà degli Anni Novanta del Novecento.

    8 settembre del 1784. A 48 anni Ann Lee muore in un piccolo villaggio della Contea di Albany, negli Stati Uniti. Ann pensa di essere l’incarnazione femminile di Cristo ed è a capo di una setta religiosa calvinista puritana, la Società Unita dei Credenti nella Seconda Apparizione del Cristo, altrimenti noti come Shakers, perché quando immaginano stia per giungere lo Spirito Santo, si agitano in estasi mistiche. Nel pur radicale panorama dei puritani, gli Shakers sono estremisti. Vivono in assoluto celibato e, terrorizzati dal contagio del peccato, si costruiscono autonomamente le cose, esercizio che li porta a invenzioni come la prima molletta per i panni, un pezzo di legno con una fenditura nel mezzo poi perfezionata fino a quella che vediamo, brevettata nel 1853 da un certo signor Smith di Springfield, uno dei 146 brevetti per mollette concessi fra il 1852 e il 1887. A loro insaputa, gli Shakers giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo del design industriale. Il giovane Adolf Loos li incontra nel 1892 e, folgorato dalla purezza dei loro arredi, si fa portavoce della filosofia Shakers che vede il decoro come manifestazione di Satana. Il tanfo di questa palude morale impregna fin dall’inizio il Movimento Moderno, che non riuscirà mai a liberarsi dal mefitico influsso di Ann Lee...

    1859. Michael Thonet è un ebanista moldavo, da qualche tempo ha inventato un sistema a vapore per arcuare il legno, sta cercando la maniera migliore per vendere le sue sedie. È convinto che il segreto stia nella spedizione, la sedia deve essere smontata e poi assemblata da chi la riceve, in maniera semplice e veloce. Pochi pezzi, bella da vedere, solida da usare. Fa vari tentativi e finalmente arriva al tentativo numero 14. Sei parti, dieci viti. Meno di così non ci riesce. Dieci anni dopo, la sua è la fabbrica di mobili più grande del mondo.

    Dall'Ottocento al Novecento

    In cui un giardiniere inventa l’architettura moderna, inizia l’Era della quantità e arriva l’elettricità che ci rivoluziona completamente la vita.

    La vicenda del design industriale si sviluppa in maniera significativa a partire dal XX secolo e arriva in un momento in cui, in Europa, sta crescendo un vasto movimento che prende nomi e sfumature differenti nei vari paesi. Il movimento nasce da influssi inglesi, William Blake, i Preraffaelliti, ma più ancora dall’insegnamento di William Morris e John Ruskin. I primi passi in questa direzione vengono fatti in Inghilterra dalle Arts and Crafts. La nuova arte riprende le categorie del bello, dell’eleganza, del decoro, in polemica col naturalismo; si parla di garantire la bellezza moderna a un pubblico esteso; è presente un culto della natura attinta nella sua essenza, nella sua radice profonda, nei segreti processi genetici, patrimonio di strutture fondamentali e sintetiche. L’intuizione di base è che il bioformismo può essere sostenuto in profondità, tanto da assicurare una costruzione unitaria a tutta l’opera, si tratti di un edificio, di un mobile o di un vaso. In Inghilterra la tendenza al livellamento del futuro movimento di massa è troppo contraria al carattere nazionale, che si oppone anche all’eliminazione delle tradizioni, essenziale per la realizzazione del nuovo stile. Così l’Inghilterra, dopo aver dato il via a questo nuovo stile, si ritira in un eclettico neo-classicismo, per le case di campagna si usa il neo-georgiano o il neo-coloniale. Solo alla periferia di Glasgow si forma un gruppo di artisti innovatori. Il maggiore è Charles Rennie Mackintosh. In Belgio la tendenza si chiama Art Nouveau, dal nome del negozio del mercante Bing dedicato a mobili, arazzi, oggetti. Victor Horta ne è il promotore, con la costruzione della casa a Rue de Turin a Bruxelles. Studia una decorazione nuova, ispirata alla natura, allo sbocciare dei fiori, appare la linea a colpo di frusta, gli elementi architettonici – anziché collegati da proporzioni classiche – sono frasi di un discorso continuo, fluente, dominato da linee ondulate e da piani. È una sorta di funzionalismo decorativo, poi ripreso dal suo discepolo van de Velde. Horta dice: «Il cliente di oggi non chiede una casa in stile ionico, ma un alloggio ventilato, riscaldato, pulito e comodo». La rigorosa funzionalità, la sincerità dell’espressione strutturale sono elementi rivoluzionari dell’Art Nouveau.

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