Al Polo Sud e altri racconti
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Al Polo Sud e altri racconti - Edoardo Noseda
casuale
PREMESSA
È il mio terzo libro di racconti, ventotto racconti, in totale poco più di sessanta. Un racconto tira l’altro, come le ciliegie. Questo vale per chi legge ma anche per chi scrive.
Al Polo Sud, il racconto che dà il titolo al libro, è tratto come la maggior parte dei miei racconti da avvenimenti realmente accaduti e da me trasposti nel tempo e nello spazio. Questo approccio, che consente ai soli reali protagonisti di riconoscersi, mi ha consentito di romanzare, se così si può dire, i racconti aggiungendo, oltre a luoghi e tempi diversi, nuovi fatti, eventi e personaggi.
Al Polo Sud narra la storia di Giorgio, noto imprenditore, ammalato di cirrosi epatica, che deve essere sottoposto a trapianto del fegato. È indirizzato da amici a un ospedale americano dove i medici giudicano i tempi non ancora maturi per l’intervento. Ritornato in Italia, la cirrosi progredisce al punto da richiedere il trapianto con urgenza presso un ospedale specializzato. Passato un anno dall’intervento senza complicazioni, Giorgio decide di celebrare la rinascita invitando una ventina di amici e parenti a un viaggio che toccherà Buenos Aires, l’Argentina e l’Antartide, con un’escursione al Polo Sud. È il racconto più lungo del libro e presenta argomenti che possono essere interessanti e piacevoli.
Gli altri ventisette racconti, più o meno lunghi, toccano temi diversi. Avrei voluto raggrupparli cercando un’affinità, ma alla fine ho optato per una sequenza casuale di racconti più lunghi seguiti da due più corti. Mi auguro che la successione dei capitoli trovi il vostro gradimento.
Ringrazio Carlos San Martin, caro amico argentino di lunga data, che ha avuto la pazienza di leggere attentamente tutti i capitoli del libro dandomi utili spunti per l’edizione finale.
AL POLO SUD
Marco, noto giornalista, continuava a non stare bene. La domenica di due settimane prima si era svegliato con mal di gola, poi auto-curato con paracetamolo per tre giorni e antibiotico nei successivi quattro. Aveva interrotto l’assunzione dell’antibiotico per partecipare a un torneo di golf, cui non poteva mancare. Nel bel mezzo della gara si era scatenato un diluvio che gli era costato una grande lavata nonostante l’ombrello in dotazione alla sacca. Negli spogliatoi aveva fatto una doccia calda che non aveva potuto evitare il peggioramento delle condizioni. Rientrato a casa distrutto, dopo essersi preso una girata dalla moglie si era messo a letto per tre giorni pretendendo che gli fossero serviti i pasti in camera, sul vassoio. Fu del tutto inutile perché il mal di gola era peggiorato in un fortissimo raffreddore. Ora si trovava nello studio del dottor Ernesto Mariani, medico internista presso l’Ospedale Molinette, specialista in epatologia, segnalatogli da un primario amico. Al commento sull’esito degli esami ematici e della radiografia al torace aveva fatto seguito una visita accurata. Mentre il medico predisponeva al computer il referto Marco notò una foto incorniciata in un quadretto appeso a una parete dello studio. Rappresentava un campo innevato dove due persone in equipaggiamento invernale tenevano alle estremità uno striscione dove campeggiava in rosso la scritta Ospedale Molinette al Polo Sud. Il medico spiegò che uno dei due era lui stesso, l’altro un suo ex paziente, trapiantato di fegato, che aveva organizzato un viaggio in Antartide con escursione al Polo Sud.
Sollecitato da Marco, il medico raccontò i fatti salienti della storia avente come protagonista Giorgio, il paziente trapiantato, che per testimoniare la sua rinascita
aveva invitato il medico e una ventina di amici e parenti al Polo Sud! Marco commentò al dottor Mariani che la storia meritava di essere fatta conoscere e lo invitò a raccontarla con maggiori dettagli, dettandola a un registratore. Lui stesso si sarebbe occupato di volgere la registrazione in un racconto. Letto e commentato dal dottor Mariani il racconto è di seguito riportato.
Giorgio Benvenuti si era fatto da solo. Giovane perito meccanico aveva iniziato a lavorare presso un deposito di carburanti alla periferia nord-ovest di Milano. Aveva fatto carriera diventando in breve tempo capo magazziniere, poi tecnico incaricato dei rapporti con i fornitori e, infine, responsabile dell’assistenza tecnica ai clienti. Raggiunti i trentacinque anni, un cliente gli propose di entrare come socio nella sua azienda. Giuliano Meroni, il cliente, possedeva un impianto petrolchimico a sud di Torino dove produceva concimi azotati da gas naturale e ossigeno ottenuto da frazionamento dell’aria. Un bell’impianto, ben tenuto, con maestranze capaci e dedicate che Giuliano trattava bene. Anche lui si era fatto da solo e ora, quasi sessantenne, dopo un infarto cardiaco aveva deciso di allentare i vincoli con il lavoro e condividere la gestione dello stabilimento con una persona più giovane, capace e di fiducia. Aveva sempre voluto essere affiancato da un direttore tecnico e, per questa posizione, era certo che Giorgio fosse il candidato ideale. Giorgio ringraziò per l’offerta precisando che non disponeva di un capitale da investire se non quanto era riuscito a mettere da parte in quindici anni di lavoro, circa 200.000 euro, giudicati insufficienti per entrare in società. Giuliano gli disse che non doveva preoccuparsi: avrebbe avuto in regalo una dote pari al 10% delle azioni della società. L’ammontare della dote sarebbe aumentato negli anni seguenti con i bonus e i premi di produzione.
Fu così che Giorgio, trascorsi dieci anni dall’accettazione della proposta, si trovò a possedere il 40% della società che ormai gestiva da solo. Giuliano, ora settantenne, continuava a recarsi allo stabilimento. Arrivava verso le dieci di mattina, andava al suo ufficio, si faceva portare i rapportini di produzione, scambiava quattro chiacchiere con Giorgio e verso mezzogiorno tornava a casa per pranzo, per poi farsi vivo il giorno seguente. Una mattina, in ufficio, Giuliano si è sentì male. Ebbe un secondo infarto e fu portato dal 118 all’ospedale più vicino. Gli inserirono altri due stent e anche quella volta riuscì a farcela. In seguito a quell’evento ridusse le sue visite allo stabilimento a una volta la settimana. Una volta sopravvissuto al secondo infarto, Giuliano depositò presso un notaio il testamento con il quale lasciava a Giorgio un altro 35% della società a fronte di un importo simbolico. Il restante 25% era rimasto alla moglie e all’unica figlia, sposata a un farmacista. Giorgio avrebbe dovuto assicurare loro un dividendo annuale non inferiore a 200.000 euro e comunque proporzionato alla loro quota azionaria.
Un terzo infarto lo stroncò nel sonno qualche mese dopo.
Giorgio assunse, così, una posizione rilevante nella società torinese e in particolare nei confronti delle banche che, dati i risultati molto positivi dell’azienda, erano più che disponibili a finanziere acquisizioni di partecipazioni in altre società e la realizzazione di nuove iniziative. Ormai cinquantenne, sposato con Daniela e con due figli maschi adolescenti, Giorgio era un uomo arrivato con notevoli disponibilità ed entrature. La famiglia viveva in un bell’attico in corso Galileo Ferraris e possedeva una casa a Portofino e una a Chamonix.
Una sera Giorgio fu colpito da un dolore lancinante al fianco destro. La moglie disse che avrebbe potuto essere un attacco di cistifellea, cosa che era capitata al marito di un’amica. Chiamato immediatamente, il medico di famiglia consigliò il ricovero alle Molinette dove, sottoposto a esami e controlli, il dottor Mariani gli diagnosticò una cirrosi epatica conseguente a una epatite di tipo C, asintomatica. Dopo una decina di giorni fu dimesso dall’ospedale con la prescrizione di una dieta e l’elenco delle medicine da assumere nell’arco della giornata. A conseguenza della cirrosi si manifestò un diabete di tipo 2 che complicò il quadro