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Vita sognata e sogni vissuti
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Vita sognata e sogni vissuti

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Con i 44 racconti, stilati e raccolti negli anni, l’autrice ha voluto lasciare una traccia di sè e del suo personale cammino.

Emozioni, osservazioni, riflessioni e ricordi di viaggio sono stati fusi e rielaborati per riempire le pagine con storie da condividere.

Il comune denominatore dei racconti sono i sogni in configurazioni diverse. Diviso in quattro parti, il libro dà modo al lettore di spaziare fra testi di vario genere. La prima parte contiene racconti di fantasia, talvolta estrosi e dai risvolti inaspettati.

La seconda parte presenta vicende sul filo autobiografico, vissute dall'autrice bambina nel difficile periodo del dopoguerra in Germania.

Si tratta di storie che parlano della difficoltà di inserirsi in una nuova realtà, superata grazie a un forte legame fra i familiari scampati al disastro della guerra. La terza parte invece narra storie ispirate alla Sicilia. Esse parlano di antiche usanze e tempi lontani, ma anche di fatti personali e autobiografici della vita siciliana dell’autrice.

La raccolta si chiude infine con tre favole, definite con un ammiccante occhio scherzoso, quasi vere.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 16, 2019
ISBN9788831618175
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    Vita sognata e sogni vissuti - Annerose Czimczik Ragusa

    fmm

    Wuff!

    Dopo aver atteso invano per quasi un’eternità, almeno così gli era sembrato, Max dovette ammettere a malincuore che anche questa volta Verena, la sua ex, non si era degnata di venire all’appuntamento. Riluttante aveva finito per pranzare al suo tavolo solitario, ingoiando le fettuccine ai funghi porcini come una medicina amara, tormentato da pensieri truci e rancorosi.

    Si stava sorbendo l’ultimo bicchiere di rosso, quando uno sciame di persone elegantemente vestite invase il piccolo ristorante. Già finito lo spettacolo al Teatro Brancati, pensò. Si è fatto tardi. Mentre i nuovi arrivati si impossessarono per lo spuntino di dopo-teatro dei tavoli ancora disponibili, entrò ultima in scena una donna di mezz’età. Il corpo formoso avvolto da un costoso visone violet, le dita adornate di brillanti che mandavano scintille in tutte le direzioni. Una creazione complicata di piume esotiche impreziosiva la sua elaborata acconciatura un po’ demodé. La dama, dopo aver adocchiato gli unici posti rimasti liberi, veleggiò con determinazione verso il tavolo di Max. Soltanto allora lui notò l’uomo abbigliato di scuro, dall’aspetto assolutamente anonimo, che seguiva come un satellite la nuvola di visone e Chanel numero cinque.

    Questi posti sono liberi, constatò la dama con una voce abituata ad impartire ordini, guardando dritto negli occhi di Max il quale, ipnotizzato dallo svettare delle piume in cima ai riccioli biondi della sconosciuta, faceva cenno di si. Mentre la coppia si insediava al tavolo, Max, malgrado avesse già deciso di andare via, stranamente restò calamitato alla sua sedia. Probabilmente fu trattenuto dalla voce autoritaria della signora che proferì: Fifì, appoggia il violet sulla sedia libera. Attento, piegalo per bene, con delicatezza. E mentre l’uomo combatteva ancora con il nobile pellame, lo sferzò un imperioso: Platz Fifì.

    Max, già un po’ brillo, era titubante se fidarsi delle sue orecchie. Possibile? La signora non solo aveva chiamato il suo accompagnatore Fifì come un codardo cagnaccio di strada, ma gli aveva anche intimato con un ordine canino in lingua teutonica di obbedirle: Platz, cioè seduto. Dal canto suo, Fifì non sembrava per niente turbato, al contrario, era molto volenteroso di accontentare la donna. Osservando l’uomo con discrezione, Max fu colpito dal fatto che egli in effetti possedeva lo sguardo implorante da cocker spaniel e persino i suoi peli, pardon capelli ondulati, pendevano ai lati del viso simili alle lunghe orecchie della razza canina medesima .

    Quando il cameriere solerte porse il menu alla dama, lei lo studiò a lungo. Dopodiché esternò all’uomo rimasto pazientemente in attesa: Mi porti un prosecchino e un ragout fin di vitello. Fifi prende una birra e due Wurstel con crauti. Lo spaniel arricciò il labbro superiore a mo’ di sorriso. Vado ad incipriarmi il naso. Fifì, tieni d’occhio il visone, tuonò il nuovo ordine. Max avrebbe potuto giurare di aver sentito un timido ringhiare e rimase sbalordito.

    La dama ritardò. I due uomini si squadrarono educati, finché Fifì non aprì bocca. Sapeva parlare il linguaggio umano! Sporgendosi in avanti e fissando Max con insistenza, si confidò con lui: Caro Signore, Lei avrà già inteso la mia natura: io sono un Fifì per vocazione. All’occasione io posso magari fare finta di arrabbiarmi e di abbaiare, ma quando fanno la voce grossa con me, il mio coraggio svanisce e me ne vado con la coda fra le gambe. Invece Pupette, la mia padrona, lei si ottiene sempre quello che vuole. Capirà, con una donna cosi intelligente ad un Fifì come me conviene parlare poco. Ma non si faccia illusioni, in fondo noi uomini siamo tutti dei Fifì. Noi abbiamo un urgente bisogno che le nostre padrone ci insegnino come comportarci, come mangiare senza sbrodolarci, come tenerci puliti. Personalmente, se non avessi Pupette, non mi laverei neanche i denti e diventerei in breve tempo un randagio. Deve ammettere anche lei, caro Signore che, istruiti dalle nostre padrone, riusciamo perfino ad aspettarle da bravi quando lo shopping si protrae per le lunghe e a non grattarci in pubblico per la noia in certi posti. Inoltre loro ci fanno capire che non è conveniente seguire ogni cagna che passa, anche se lascia una scia di irresistibile olezzo. Le confesso che l’unica cosa veramente seccante è dover fare la pipi da seduto per non sporcare il bordo del water. E pensare che alcuni di noi vengono obbligati dalle loro padrone a farla seduti al contrario, rivolti con il muso verso il muro, onde evitare ogni spruzzo fuori posto. Fifì sospirò: Questo atteggiamento non ci è per niente congeniale. In verità è piuttosto avvilente. E poi, se la combiniamo grossa, ci tocca stare sotto il tavolo per punizione. Detto fra noi, prosegui Fifì, dando un’occhiata di controllo al violet, il desiderio di svignarcela, ci assale tutti ogni tanto. Però in fondo, che vuole, la mia padrona è buona con me. Mi coccola e mi accarezza e quando ne ha voglia mi fa saltare sul suo letto, concluse Fifì il discorso, appoggiandosi allo schienale della sedia.

    In quel momento ricomparve Pupette con il make-up ravvivato e accomodatasi a tavola, elogiò Fifì per aver fatto bene la guardia al suo visone. Le preziose piume del suo pseudo cappello stormivano consenzienti. - Wuff! - Aveva sentito bene? Il vino aveva reso Max alquanto insicuro. Era stato veramente un wuff a strapparlo dalla sua meditazione sulle novità appena sentite? Facendo ruotare il rimanente rosso nel suo bicchiere, gli venne in mente, che Verena, la sua ex, lo aveva sempre chiamato tigre, ma la loro relazione non era durata.

    I due commensali adesso stavano cenando. Fifi tagliava garbatamente i Wurstel, intingendoli con grazia nella senape, accompagnando ogni boccone con un paio di fili di crauti appoggiati ordinatamente sulla forchetta. Pupette dal canto suo gustava il ragout fin, alzando il mignolo dall’unghia laccata mentre conduceva sotto lo sguardo adorante di Fifì la forchetta alla bocca dalle labbra color vermiglio.

    Intanto il discorso di Fifì, che dapprima a Max era sembrato assurdo, adesso si insinuava nei suoi pensieri come un serpente strisciante e lo costringeva ad ammettere che neanche la formula tigre era stata perfetta e soprattutto di esito sfortunato. Verena lo aveva piantato in asso. Una sera lei era uscita per non tornare più. Semplicemente cosi, senza drammi ne lacrime e senza sbattere la porta. Un biglietto buttato sul letto lo aveva informato che lui come tigre era stato troppo prepotente, che l’aveva trascinato alle partite di calcio contro la sua volontà e soffocato con la sua gelosia. Quasi mai avevano fatte gite in montagna o picnic al mare che piacevano tanto a lei. Non si era dato mai la pena di accompagnarla al teatro, per i concerti, al cinema o magari a ballare sotto le stelle in estate. Lui, da perfetto egoista, aveva preferito stare in pantofole, sbracato sul divano a guardare la TV. Eppure Max era sicuro di averla adorato. Tutt’ora Verena era presente come un mantra nei suoi sogni notturni e perfino da abbandonato sentiva di amarla ancora alla follia. In questo momento per esempio avrebbe dato l’anima purché tornasse da lui. Che rammarico non potere avere una seconda chance. Max fu inondato da una nostalgia tale di lei che gli parse di avvertire in giro un alito del suo profumo.

    Gli sembrò un miraggio, quando la porta del ristorante si spalancò e apparve lei. Guardandosi intorno scoprì Max al tavolo con la coppia sconosciuta. Fece una falcata con le sue meravigliose gambe lunghe per raggiungerlo. A Max non restavano che due secondi per decidere con che parole accoglierla. Quando Verena giunse al tavolo, dicendo semplicemente: Salve Max, scusa il ritardo. Nevica sai, ti va di fare una passeggiata con me?. Max pose un languido sguardo da spaniel su di lei e lanciò un vibrante wuff in aria. Le quattro lettere rimasero sospese in aria. – Wuff??? sorrise Verena felice. - Di’ Max, sei un po’ brillo?. - Se ne andarono a braccetto. Giunti alla porta, Max si voltò in dietro strizzando l’occhio a Fifì, il quale arricciò il labbro superiore in segno di un sorriso d’intesa. Pupette si concesse un sorso frizzante di prosecco e compiaciuta trovò parole di lode per il suo accompagnatore: Bravo Fifi, ti va un’altra birra?".

    Il violinista

    Da settimane, in pratica da quando Jack era morto, Corrina conduceva una vita da eremita, isolata da tutti, persino dalle persone che le volevano bene. L’assurdità della morte prematura di Jack la rendeva inconsolabile, ma anche furiosa. Senza di lui al fianco si sentiva come amputata e soprattutto derubata del futuro, della vita in comune che avevano progettata e della famiglia che avevano in mente di creare. Le mancava l’allegria di Jack, il suo calore e il suo ottimismo. E anche se non faceva parte delle sue abitudini di credere in manifestazioni paranormali, in cuor suo aveva sperato in un segno che lui fosse ancora lì, con lei, a farle da angelo custode. Però in casa non si erano verificati mai fenomeni insoliti come candele che si spegnevano da sole, strani rumori, porte che sbattevano senza motivo, ombre captate con la coda dell’occhio, correnti impercettibili che tradivano una presenza e non si erano nemmeno presentati sogni consolatori. E considerato che non esisteva la minima prova tangibile che Jack le fosse rimasto vicino, alla fine lei aveva smesso di stare continuamente in allerta. Sconsolata lo riteneva inutile e perfino stupido.

    Successe una monotona mattina - come ormai tutte le mattine della sua vita - che una notizia nella pagina culturale del quotidiano che le veniva buttato ogni giorno di buon’ora sullo zerbino all’ingresso, destò il suo interesse: la città era in effervescenza per l’arrivo del giovane violinista prodigio Dan Gabriel, un musicista senza frontiere che spaziava dalla musica rock a quella classica. In più il suo curriculum vitae era avvolto da un mistero che nemmeno i media, così efficaci nello stanare notizie, erano stati capaci di svelare. Di conseguenza le riviste di gossip erano sempre piene di supposizioni che Dan Gabriel non negava né commentava perché non dava mai interviste. - Jack aveva adorato i concerti per violino. Lui sì sarebbe andato ad ascoltare questo Dan Gabriel. - Se non fosse impossibile trovare un biglietto all’ultima ora, forse anch’io dovrei andarci... in memoria di Jack, pensò Corinna. - E fu un vero miracolo che trovò alla cassa un biglietto restituito da qualcuno. L’uscita sarebbe stata un tentativo di affrontare di nuovo il mondo là fuori.

    Nell’auditorium della filarmonica aleggiava un eccitatissimo vocio. Corinna, seduta nella decima fila della platea affollata, si stava chiedendo se dopo tante settimane vissute in solitudine avrebbe retto all’emozione della musica e soprattutto alla folla. Intorno a lei si parlottava sul fatto che la giovane star durante la pausa sarebbe eccezionalmente scesa nel foyer per firmare i CD ai fans. - E se l’ansia l’avesse assalita durante il concerto?. Corinna era quasi sul punto di abbandonare la sala, quando pian piano le luci fastose si abbassarono, il chiacchiericcio ammutolì e il sipario si alzò.

    Il direttore d’orchestra in frac, accolto da scroscianti applausi, s’affrettò a raggiungere il leggio posto davanti agli orchestrali, rigorosamente vestiti di nero anche loro. Poi, racchiuso dentro un fascio di luce creato dai riflettori, si materializzò Dan Gabriel. Il pubblico andò all’istante in visibilio, mentre lui stava semplicemente lì, nella sua bolla di luce. Alto, dinoccolato, vestito come un ragazzo moderno: jeans neri, sopra la maglietta nera un’aderente giacca di pelle con poche borchie, intorno al collo un laccio di pelle con una croce d’argento. Solamente le sneakers slacciate, i cui alti bordi rivoltati e la lingua della tomaia adagiata sul piede tempestati di strass scintillanti, davano un tocco vezzoso all’ outfit. Sembrava che il ragazzo sostasse su un agglomerato di stelle. I suoi lunghi capelli biondi morbidamente legati sulla nuca, sbucavano dal buio come un’alba. Il velo di barba e la mascella leggermente marcata non bastavano a celare la morbidezza adolescenziale del suo viso. Teneva il mento appoggiato sul suo prezioso Stradivari, fra le dita robuste e allo stesso tempo sensibili, l’arco pronto a iniziare. Il fascino che emanava il giovane, catturò anche l’attenzione di Corinna e l’ansia in agguato svanì. Incredibile, pensò, quante doti si concentrano in questo ragazzo. Non è soltanto bello, ma anche affascinante e al dire di tutti un virtuoso eccezionale del violino.

    Il maestro alzò la bacchetta e l’orchestra in simbiosi con lui lo seguì. Alle prime battute introduttive della Meditazione di Massenet il violinista, prigioniero dell’isola luminosa, si unì a loro. Fondendosi in un tutt’uno con lo strumento, mutò in amante esigente e al contempo schiavo umile del violino. A ogni carezza dell’arco, lo Stradivari ubbidì, arrendevole a ogni suo volere. Il suo canto permeò il bozzolo di luce, librandosi in aria come un’aquila fra catene montuose innevate, trascinando con sé in volo tutti i presenti. La sua voce divenne ora preghiera, ora meditazione, ora linimento per le ferite e brutture del mondo, terapia contro ogni male. Il pubblico stregato, indugiò per alcuni secondi in silenzio, in quella dimensione senza tempo ne spazio, prima di tributare all’artista i dovuti tumultuosi applausi e acclamazioni. Il ragazzo biondo, inondato di luce, accettò l’omaggio con umiltà, inchinandosi con la mano sul cuore.

    Ritornata la calma e cessato il brusio, il concerto proseguì con l‘Humoresque No. 7 di Dvorak. Staccati picchiettati con leggerezza volteggiarono come piume, lievi e infantilmente giocose, dando il cambio a parti dalle arcate vigorose, a volte piene di nostalgia. E di nuovo l’incantesimo si compì, avvincendo la platea. Poi fu la volta della Serenade di Schubert. Adesso vibrarono nell’aria infinite tenerezze di un notturno, inventate forse per un amore secreto e irraggiungibile, toccando corde remote nelle memorie dei presenti. Le dolcezze furono spazzate via dalle arie zigane di Sarasate. E allora divamparono passioni amorose, intercalate da melanconie laceranti e danze sfrenate, straripanti di gioia di vivere, colmando i cuori di emozioni. Prima che l’orchestra tacesse, il violino s’impegnò un’ultima volta a commuovere il pubblico, portandolo con se in un sogno etereo, eseguendo la composizione lirica Vocalise di Rachmaninov, trascritta per violino. La prima parte del concerto si concluse con applausi entusiasti che sfociarono all’unisono in una lunga standing-ovation.

    La platea defluì lentamente dalla sala, incanalandosi verso il foyer. Tutti fremevano di conoscere Dan Gabriel, carpire un suo autografo, toccare questo ragazzo straordinario, capace di ipnotizzare le folle con la sua musica interpretata oltre le convenzioni. I magici suoni erano stati un balsamo per il suo dolore e rimasta in piedi dopo gli applausi, Corinna fu risucchiata contro voglia dalla mischia e spintonata in direzione foyer. - La pausa sarà troppo breve per accontentare tutti i fans, oltretutto io non ho neanche un CD da fare firmare, pensò. Intanto uscire dalla calca era impossibile e così non fece più opposizione al movimento.

    Il flusso avanzò piano ma inesorabile, trascinando Corinna in mezzo alla ressa nei pressi dello stand che offriva il nuovo CD di Dan Gabriel dal titolo Serenade. Due body-guards e un paio di inservienti cercavano di stabilire un certo ordine e di mettere in fila i fans che acclamavano la star: Dan sei fantastico - we love you Dan... sei un grande Dan... suoni come un angelo Dan... Corinna sorrise: Se Dan fosse veramente uno di quei misteriosi esseri celesti alati, sarebbe costretto a viaggiare sempre in incognito. Ormai il personaggio aveva stuzzicato la sua fantasia e si scoprì perfino un po’ dispiaciuta perché con ogni probabilità non sarebbe riuscita a vedere questo mago del violino da vicino. La forza della calca alle sue spalle aumentò tanto da catapultarla bruscamente davanti allo stand. Fatto sta che né in quel momento e neanche piu tardi Corinna poté ricostruire il percorso dell’accaduto. Altrettanto non trovò una spiegazione razionale del perché d’un tratto stringeva in mano l’ultimo esemplare dei dischi in vendita. Anche il gesto del bodyguard che l’agguantò per un braccio, aprendo un varco fra i fans per condurla vicino al tavolo dove Dan stava firmando i CD, in realtà fu inspiegabile. Sembravano coincidenze strane, verificatesi per caso.

    Con il CD stretto al petto per non smarrirlo nella confusione, aspettò paziente il suo turno. La chioma luminosa di Dan svettava come un faro sopra le teste della folla. L’artista, per accontentare tutti, stava lavorando rapido e concentrato. I fans che in flusso regolare tornavano raggianti col CD firmato in mano, comunicavano agli astanti che Dan era un tipo eccezionale che non si dava arie da superstar. Una certa smania di volere appurare s’impadronì di Corinna e quando finalmente si trovò a tu per tu con lui, fu toccata dal suo aspetto candido. Occhi scuri la scrutarono cordiali e nell’istante in cui Dan le sorrise, lei notò le sue labbra piene e ben disegnate. Hello, nice tu see you. Please, what’s your name? l’accolse con una voce ben timbrata. - Corinna, colta da un fremito, non fu in grado di pronunciare altro che: Hi, I am Corinna. Le parve del tutto irreale che Dan annuisse, come se fosse già al corrente. In qualche modo rincuorata gli porse il CD per la firma. Lui lo prese con delicatezza e lo voltò sul retro, dove era incollato uno sticker bianco a forma di nuvola. Con una penna crystal-clic contenente del gel blu elettrico vi disegnò una minuscola stella, dopodiché formulò la dedica rigorosamente in inglese. Corinna osservò lo snodarsi in spire e volute della calligrafia, traducendone mentalmente le parole: A Corinna i migliori auguri per un futuro luminoso dal suo amico Dan Gabriel. Prima di restituire il disco, il musicista le sfiorò con una mano il braccio, come per trattenerla. Corinna disorientata lo interrogò con gli occhi. Ma lui, senza dare spiegazioni, si chinò improvvisamente verso di lei, la baciò sulle guance e sussurrò: Greetings and kisses from Jack. Saluti e baci da Jack???? Sapendola attonita per lo stupore, le sorrise con complicità rassicurante, posando l’indice sulle proprie labbra, come per scongiurarla di non proferire parola con nessuno.

    In quel momento lo squillo del campanello segnalò la fine della pausa. Prima di essere scortato dai due body-guards verso il camerino, Dan si congedò dai fans con un thanks for coming, I love you all, vi amo tutti, stringendo ancora mani protese. Corinna ritornò al suo posto in platea in uno stato di ebrietà trasognata, con il cuore sorprendentemente leggero e l’animo ritemprato. E avvolta dall’amore di Jack si tuffò nei chiaroscuri dell’appassionante Allegro per violino e orchestra di Mendelsohn.

    Liberi arbitrii da salotto

    La giornalista Ada Bramante si stava addentrando al volante della sua vecchia Mini-Cooper nell’ampio viale fiancheggiato da cipressi centenari, perfettamente dritti e immobili come guardie reali. La ghiaia rosata scricchiolava sotto le ruote mentre Ada procedeva guardinga verso Villa Tamarisco che risplendeva festosamente illuminata in fondo al viale. Tulipani ibridi appena sbocciati, giacinti profumati, narcisi e fresie straripavano dalle aiuole, tessendo un incantevole tappeto multicolore intorno a una fontana a forma di conchiglia sostenuta da tre delfini, dentro la quale zampillava un dolce gettò d’acqua. Numerose costosissime limousine cromate stazionavano già nel piazzale antistante alla villa. Per non sfigurare accanto a loro la giornalista posteggiò la sua attempata Mini in una nicchia di verde un po’ appartata.

    Ada Bramante teneva una colonna di costume e gossip nella Gazzetta locale ed era temuta per i suoi commenti spesso taglienti. Adorava intervistare, ma soprattutto osservare personaggi di spicco presenti agli eventi di società. E come capitava spesso di venerdì o di sabato sera, suo capo l’aveva inviata a una festa mondana in veste di osservatrice, incaricata a raccogliere notizie succose per l’edizione della domenica. Spento il motore e tirato il freno, raccolse la borsetta e lo scialle dal sedile accanto al suo e discese dall’auto. Il maggiordomo in attesa degli ospiti al portale d’ingresso la riconobbe subito. Buonasera Dottoressa Bramante, prego si accomodi, la invitò premuroso e non dovette neanche legittimarsi, esibendo il tesserino della stampa.

    Dalle vetrate scostate della villa settecentesca provenivano un gran vociare e risate cadenzate in varie tonalità. Prima di accedere al salone delle feste, Ada si ravvivò i lunghi capelli corvini con le mani e consapevole che il suo vestito di chiffon blu elettrico la rendeva attraente, si fiondò fra gli invitati. Alla ricerca del padrone di casa scoprì molte facce note. Antica nobiltà, politici e uomini d’affari dai nomi importanti, talvolta di fama equivoca, davano lustro alla serata, ostentando lussuosi capi di vestiario, ovviamente firmati. Signori attempati sfoggiavano giovani accompagnatrici biondissime come accessori da invidiare, mentre le compagne legittime di uomini distinti gareggiavano in eleganza e gioielli. L’ospite, Fernando Cruccillà, al quale tutti si rivolgevano con il titolo Commendatore, anche se non gli era mai stato conferito, era un bell’uomo eternamente abbronzato dai capelli brizzolati. Con giovialità strinse la mano alla giornalista: Cara Ada, spero che si diverta, e soggiunse scherzoso ma non troppo: La prego di essere clemente con i miei amici. Ada gli regalò un sorriso: Ci proverò, Commendatore.

    Scambiando qua e là un po’ di convenevoli spiccioli con conoscenti e amici, Ada adocchiò Eros Arbiter, maturo scapolo di cospicui redditi. Conosceva il personaggio da brevi apparizioni a qualche evento culturale ed era rimasta incuriosita in particolare dal suo egocentrismo che usava celebrare come una dote preziosa. Per la gioia di molte signore, Arbiter era dedito a eseguire baciamani impeccabili. Divertenti e spesso argute idee, condite con un po’ di sarcasmo celato, sgorgavano di continuo dalle sue labbra vizze. Di sicuro non esisteva un solo argomento sul quale avrebbe rinunciato a esprimere la sua opinione. Arbiter portava i capelli un tempo nerissimi ed ora striati da mèche argentee pettinati all’indietro, dove finivano sulla nuca in grandi e lucidi boccoli dall’effetto bagnato. Il viso molliccio dalla pelle di grana grossa non sarebbe stato facile da ricordare se non fosse per l’insolito colore ambrato degli occhi, ombreggiati da pesanti cortine di ciglia nere che marcavano con il loro farfallamento i suoi discorsi.

    Per il momento Arbiter si era posizionato su uno dei tanti divani bianchi, strategicamente favorevole a essere notato, e dove dare ospitalità a persone interessate a misurarsi con lui nel ping pong dell’esprit. A distanza apprezzabile l’opulento buffet, curato da un stuolo di camerieri in giacche bianche. In breve, un posto, dove Arbiter non si sarebbe annoiato.

    Prima di calarsi con discrezione nel suo ruolo di osservatrice, Ada, tentata dalle delizie della buvette, si concesse un assaggio di medaglioni di aragosta in aspic, adagiati su dei crostini aspersi di salsa rosa e dei bigné ripieni di caviale persiano. La flute di champagne ghiacciato in una mano e il piatto nell’altra, sfilò davanti ad Arbiter, il quale tuttavia non si accorse di lei. Aveva già attirato due signore dai floridi décolleté e si stava chinando sulle loro mani curate, ornate di anelli appariscenti e fedi costose. Lo sguardo dorato gli si smarrì per un attimo nell’incavo fra le carnose semisfere indifese, prima di accennare graziosamente un baciamano. La giornalista prese posizione su una poltroncina, collocata nel vano di una portafinestra adornata di eleganti tendaggi, di modo che potesse osservare e ascoltare comodamente Arbiter. Constatò che egli non aveva perso tempo a lanciare uno dei suoi argomenti preferiti come esca ed era giusto in attesa che le ignare vittime abboccassero. Il grande tema erano le donne e il loro misteriosissimo universo. Le signore adulate sorridevano lusingate.

    Naturalmente l’uomo dagli occhi ambrati parlò innanzitutto di Mamà e come da bambino era solito accompagnarla in sartoria. Confessò in tono confidenziale che vestito di velluto blu come un piccolo Lord, adorava stare seduto sui morbidi tappeti ai piedi di Mamà, mentre lei indossava una splendida mise dopo l’altra. A dire il vero, Mamà desiderava tanto che intraprendessi la carriera ecclesiastica, ma il fatum - disse veramente fatum - ha tenuto altre vie in serbo per me, sebbene nonostante ciò sento - e qui lanciò uno sguardo devoto in alto - di essere stato incaricato di compiere una missione. Quale restò per ora un mistero.

    Le due signore pendevano ipnotizzate dalle sue labbra. Mamà però non restò a lungo oggetto del suo monologo perché si apprestò a filosofare sull’amore, esternando il suo giudizio in materia: Credetemi, carissime, l’amore più onesto è quello che si compra. Un commercio giusto, merce per soldi. La più matura delle sue nuove amiche tentò di protestare, ma non riusci a intromettersi perché Arbiter la squadrò severo, quasi con risentimento: Spero, non voglia interrompermi?. - La dama tacque sconcertata cosicché egli riprese velocemente: Da adolescente i miei compagni di collegio mi avevano trascinato in un etablissement a luci rosse. Naturalmente ignoravo la natura del luogo. Ricordo una donna elegante con un attillato vestito lungo... . Si soffermò un attimo sognante per poi cogliere le sue ascoltatrici nuovamente di sorpresa con un quesito nudo e crudo: Bellissime, spero che non vi fate mai mancare gli amanti! Non consentì risposte, ma si ripropose in veste di psicologo: Vi consiglio urgentemente di vivere almeno una follia nella vostra vita. Lasciatevi andare almeno una volta, se no, vedo molto, ma molto nero per voi. È assolutamente importante assecondare il lievito che fermenta dentro di noi, raccomandò zelante. A dispetto delle sue teorie, la più giovane delle signore asserì che era davvero felice e contenta del suo matrimonio e che non sentiva la necessità di esperimenti extraconiugali, ma Arbiter, alzando la voce, sentenziò all’istante: "Oh oh, allora la sua situazione è ancora più

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