L'abbraccio della sirena
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About this ebook
7 racconti gialli, dove l’orrore dell’omicidio è attenuato da pennellate di poesia.
7 racconti ambientati sul lago, a volte lucente, a volte cupo, con le sue spiagge nascoste e le profondità segrete, così simili all’animo umano.
Come se un grande specchio d’acqua racchiuso tra le montagne potesse riflettere le mille sfaccettature dei pensieri terreni e trasformarli in realtà. A volte agghiacciante, come il vento freddo che scende da nord, a volte delicata, come quello che soffia da sud.
Una raccolta che non può mancare nella libreria degli amanti del giallo.
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Book preview
L'abbraccio della sirena - Rossana Girotto
ROSSANA GIROTTO
L’ABBRACCIO
DELLA SIRENA
Il fascino oscuro del lago
RACCONTI
ISBN: 978 88 94806 68 7
I Edizione maggio 2019
Questo libro è stato realizzato e pubblicato da
Edizioni Il Vento Antico
www.ilventoanticoeditore.com
info@ilventoanticoeditore.com
Copyright © 2019 Rossana Girotto
All rights reserved
Illustrazioni di Tiziano Riverso
All rights reserved
Indice
Title Page
PREFAZIONE
UNA BRUTTA STORIA PIENA DI BELLEZZA
MA IL LAGO NON CAMBIA
SEPOLCRI IMBIANCATI
NEGATITÈ
DIMENTICARE RANCO
IMMACOLATA CONCEZIONE
LA SIRENA
RINGRAZIAMENTI
ABOUT THE AUTHOR
EDIZIONI IL VENTO ANTICO
Dedico questo libro al lato oscuro di me stessa.
Perché ho avuto un sacco di bastoni tra le ruote,
ma lui li ha spezzati tutti e ne ha fatto falò.
PREFAZIONE
Ti abbraccia una sirena nel fascino oscuro delle profondità del lago e il lago si sa, possiede vette altissime di stretta profondità.
Rossana Girotto è donna d’arte, poetessa e teatrante, guitto introspettivo, poliedrica e bonaria, persino bona direbbe qualche maleducato. Però qui si parla di intelletto, d’arte, appunto, poesia e letteratura, nonostante, come qualcun’altro direbbe, una buona prefazione dovrebbe essere colta e triviale.
Ma questa non è una prefazione, non sono più di tendenza
le prefazioni, trattasi invece di un saluto, un cenno, un abbraccio o un bacio.
E’ così che una brutta storia si colma di bellezza, attraverso lo stolto acume della narrativa.
La Girotto scrive racconti gialli? Chissà, per quanto mi riguarda, colgo tratti di soffice poesia.
Ci sono assassini, commissari, scrittori e fin troppi sigari. I sigari fanno male. I sigari fanno troppo male, non parliamone più. Parliamo di poesia. Penetriamo la Bellezza. Con brutte
storie, polvere di teatro e sepolcri imbiancati.
I racconti di Rossana non si fanno leggere tradizionalmente perché lei ama troppo la libertà per inchiodare parole sulla carta. Questo libro è in effetti una ballata, farfalle nell’aria, un cantico naturale, righe di uno spartito quotidiano, dolci sussurri.
Prima che arrivi la polizia che tutti gli assassini si porta via.
Negatitè è un gioiello di quelli che vende Rossana che ha dovuto litigare con uno dei suoi sogni d’ombra, o meglio con ciò che lei stessa avrebbe voluto diventare e ha così rinnovato l’eterno dramma di tutti. Senza mai dimenticare Ranco. Una cosa stupida? Una fatica inutile? Di sicuro non lo si dimenticherà più. Così come non si scorda mai l’Immacolata Concezione, sacrale e per la prima volta, spettrale, addirittura settimanale. Come la settimana enigmistica, appunto.
Sono stato con una sirena per anni e ora odio le sirene.
Ma amo le parole di Rossana Girotto.
Amo le illustrazioni di Tiziano Riverso, geniale artista e tratteggiatore esistenziale.
Amo il lago come mistero e come meta.
Ma che rimane del lago ora? Non si sa, perché nessuno di coloro che ci vivono e che ne scrivono, te lo confesseranno mai sino alla fine, ma te lo racconteranno all’infinito. Goccia per goccia, in modo impalpabile, infinitesimale, ma mai in maniera naufraga.
Perché una stanza piena di libri è un vascello conradiano.
Tra le nebbie di un lago.
Andrea Villani
UNA BRUTTA STORIA PIENA DI BELLEZZA
In un tardo pomeriggio di giugno, era un venerdì, parcheggiai la mia Focus all’imbarcadero di Stresa.
Con me, Fulvio Bellani, lo scrittore. Era stato mio ospite a Gallarate per la presentazione del suo ultimo romanzo e ora lo avevo accompagnato sul Lago Maggiore, dove l’indomani avrebbe presieduto la giuria della terza edizione di Parole sul Palco
, una rassegna sui migliori testi teatrali dell’anno.
Insieme, in silenzio, ci recammo al Palazzo dei Congressi, passando di fianco allo splendido giardino del Regina Palace, dal quale giungeva la musica di un’orchestrina.
Avevamo appuntamento con la presidente del festival, Elettra De Martini, che ci attendeva nell’ingresso.
Non poteva avere nome più adatto, perché elettrizzava letteralmente i pensieri maschili. Aveva un portamento eretto, splendidi capelli biondi e una bellezza raffinata.
Fulvio, baciandole la mano disse: - vedo che anche il lago ha le sue sirene.
Sospirai rumorosamente a quella frase affettata.
Quando mi presentai, mi riservò uno sguardo sorpreso, che rispostò su Fulvio: - non mi aveva detto di essere accompagnato, signor Bellani.
Senza aspettare risposta, lo afferrò sottobraccio, e cambiò tono: - vi mostro dove si svolgerà la serata.
All’interno della sala, ci presentò le altre persone coinvolte nell’organizzazione: un giornalista, un paio di attori e di tecnici, lo scenografo, tre addetti alla sicurezza.
Arrivò poi la segretaria del premio, che si intrattenne un buon quarto d’ora con Fulvio, per definire i dettagli della manifestazione.
Elettra si avvicinò a me: - Lei pernotterà qui a Stresa insieme al signor Bellani? La sfumatura aggressiva che colsi nel suo tono mi irritò.
- No. Gli ho dato un passaggio, visto che lui non guida. Da Gallarate. E tornerò a casa, tra poco. Mi accorsi che avevo calcato la voce su a casa.
- Oh, benissimo. rispose. Mi sembrò sollevata. Non le piacevo, e ne fui sottilmente contento.
La osservai, mentre raggiungeva il desk della segreteria. Indossava un abito di seta blu, con scollo all’americana. I sandali a listini argentati si abbinavano ai tre braccialetti di Tiffany che le ornavano il polso. All’anulare sinistro notai un cerchietto d’oro bianco con solitario.
Vidi che salutava Fulvio, baciandolo sulle guance. A me riservò un cenno del capo, da lontano.
- Splendida creatura, peccato che abbia già un impegno, per cena - disse lui, prendendomi il braccio e spingendomi all’uscita.
- È fidanzata.
- Per via del diamante, dici? Magari se lo è comprato da sola. Lavora, fa la veterinaria. Perché ti sta antipatica?
- Lei a me? Io a lei, semmai.
- Ci prendiamo un aperitivo, prima che tu vada? - mi chiese, guardandosi in giro.
- Qui vicino c’è un bel posto - risposi. Conoscevo Stresa, frequentavo da anni gli incontri letterari e i concerti di musica classica. Da giornalista, avevo seguito per una rivista di moda il matrimonio del secolo tra una top- model russa e un imprenditore torinese, che si era tenuto in uno dei tanti alberghi da favola affacciati sul lungolago.
Entrammo al Gato Negro. Lo sguardo di Bellani si posò sui numerosi quadri che ornavano le pareti. Paesaggi, ritratti, qualche spruzzo contemporaneo.
Il mio amico amava l’arte, in particolare la pittura. Era un esteta e questo spesso, a torto, lo faceva passare per superficiale. Riteneva la bellezza un valore assoluto, e ai suoi occhi non esistevano differenze di genere. Anche con me: sapevo di essere un bell’uomo, piacevole, elegante; ebbene, egli più volte aveva intavolato veri e propri monologhi, in privato ma perfino in pubblico, sui miei lineamenti che descriveva maschi e perfetti
. In entrambi i casi cadevo in costante imbarazzo.
Descriveva anche le mie capacità letterarie, certo, e non dubitavo della nostra profonda amicizia, ma il pensiero che fosse il mio aspetto esteriore a condizionare tutto il resto non mi abbandonava mai.
Anche lui non era male. Alto e robusto, il viso sempre un po’ abbronzato, circondato da folti capelli castani, aveva un fascino rude che conquistava immediatamente. Dava l’impressione di una persona aperta, solare, ma io avevo imparato a conoscere le inquietudini che gli muovevano l’anima e le ombre che riversava nei suoi fortunati romanzi.
- Dove alloggi?
- Al Bristol.
Tornammo alla macchina per prendere la piccola valigia di pelle di Fulvio, poi io ripartii per Gallarate.
Alle undici di sera, l’aria ancora torrida, lo scrittore Fulvio Bellani uscì dall’albergo, camminò fino alla stazione, svoltò in via Quattro Novembre, proseguì in via Fiume e si fermò davanti a una piccola palazzina dall’intonaco scrostato. Il cancelletto verde, dalla serratura mancante, cigolò.
Attraversò un giardinetto dalle aiuole ingiallite; qualcuno, dall’interno, aprì il portoncino d’ingresso. Salì al primo piano e si diresse alla porta in fondo al corridoio.
Bussò, ma nessuno rispose.
Attese, e bussò ancora. Prese il cellulare dalla tasca e chiamò, a vuoto.
Sbuffò, fece per tornare indietro. Con la coda dell’occhio vide la porta dell’appartamento accanto socchiusa. Si fermò, sorridendo. Entrò nella stanza caldissima, illuminata solo da una piccola abatjour rossa e da qualche candela, e pervasa da profumo d’incenso.
- Adele? - chiamò piano. E lo vide: sotto un grande divano di broccato scuro, steso su un tappeto, c’era il corpo nudo di un ragazzo con la gola tagliata da un orecchio all’altro.
Lo squillo del telefono mi svegliò alle sei del sabato mattina.
Faticai a comprendere le parole del mio amico, impastate da chissà quale diavoleria alcolica. All’inizio pensai a riattaccare, poi le sue insistenze mi convinsero a mettermi in macchina per tornare a Stresa.
Quando arrivai, mezz’ora dopo, lo trovai seduto a un tavolino nel giardino dell’albergo, davanti a una tazza di caffè e a una brioche enorme. Leggeva il giornale, in una tranquillità teatrale.
Aveva vistose occhiaie e il volto tirato ma, per il resto, era in forma. Rasato di fresco, con una camicia di lino color acquamarina.
Io, al contrario, non avevo fatto colazione, mi ero infilato una polo scolorita e avevo guidato come un pazzo sull’autostrada rovente. In pratica, ero uno straccio.
Con gesto da operetta, chiamò il cameriere e ordinò un caffè doppio anche per me.
- Hai l’aria distrutta - mi apostrofò. Ero basito.
La mia voce ebbe una nota isterica: - fammi capire, Fulvio. Solo un’ora fa mi hai chiamato, in preda all’angoscia, biascicando monconi di frasi assurde, implorandomi di venire qui. Mi hai fatto preoccupare!
- Credevo adorassi Stresa! continuò con la sua pantomima.
- Oh, sì. Ma, se vuoi saperlo – imitai il suo falsetto leggero, deciso a stare al gioco – amo l’Isola dei Pescatori. È il mio rifugio. Lo sai che Simenon scrisse proprio là il suo Corte d’Assise? - Rigirai il cucchiaino nella tazza tanto violentemente da provocare uno tsunami di caffè.
Lui si appoggiò allo schienale di ferro battuto e mi diede una pedata sullo stinco, fissandomi negli occhi.
- Dài, scemo. Ho passato una notte d’inferno. Dopo che ti ho chiamato, ho pensato che una doccia e una camicia pulita potessero aiutarmi a schiarire le idee. Mangiati la brioche, che ti racconto.
E raccontò.
Mi sembrava la trama di un brutto giallo. Ma più di ogni altra cosa volevo sapere il motivo della sua visita solitaria nella palazzina dietro alla stazione, a quell’ora tarda. Mi sentivo offeso dal fatto che non me ne avesse parlato.
- E il