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L'ultimo scalpo
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L'ultimo scalpo

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I nativi dell’America del Nord venivano braccati e scacciati dalle loro terre da parte del governo nord americano negli anni ‘800. I valorosi pellerossa dovevano continuamente spostarsi coi loro accampamenti per sfuggire allo sterminio. Le loro vendette si dimostrarono spesso spietate a danno degli eserciti; anche i coloni, che avevano a poco a poco invaso le pianure in cerca di ricchi pascoli e qualche oncia d’oro nei corsi d’acqua, erano in costante pericolo. Le truppe americane, guidate a volte da maniaci comandanti, erano riuscite a sconfiggere varie bande di indiani, ma la sorpresa per loro doveva ancora arrivare.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 23, 2014
ISBN9788891139399
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    L'ultimo scalpo - Fulvio Fusco

    twitter.com/youcanprintit

    Prefazione:

    I pellerossa vivevano in tranquillità, a parte la storica rivalità tra qualche tribù, fin dai tempi antichissimi in ogni zona del Nord America, poi arrivarono i bianchi, e non ci fu più pace.

    Una bella storia che si svolge nel vecchio West, da una parte gli eserciti americani guidati da Scout Cree, Corvi e Apache arruolati, dall’altra molte tribù indiane tra cui i Cheyenne, Arapaho, Sioux ed altre, costrette strenuamente a difendersi.

    Il giovane e valoroso capo Cheyenne Falco Rosso, Cochise, Geronimo, Cavallo Pazzo ed altri, daranno filo da torcere ai comandanti dei Forti delle Giacche Blu; anche un formidabile pistolero dalla pelle bianca starà dalla loro parte, cercando d’evitare molti soprusi contro quei popoli. Questo racconto, frutto di accurate ricerche e ricco di storie veramente accadute, da la possibilità di conoscere più dettagliatamente, per gli amanti del genere, diverse tribù di pellerossa. La storia di Falco Rosso e altri capi indiani, sono fantasia dell’autore.

    Capitolo 1

    La storia del west

    All’indomani della loro costituzione (1787) gli Stati Uniti d’America presero un’importante decisione. Con un provvedimento denominato «Ordinanza del Nord-Ovest» stabilirono infatti che i territori ancora inesplorati e selvaggi che si trovavano fra i monti Allegani e il fiume Mississippi appartenevano all’Unione nel suo insieme e non ai singoli Stati. In questo modo i coloni che si insediavano nelle nuove terre, una volta raggiunti i 60.000 abitanti, potevano costituirsi in nuovi Stati indipendenti, affiancandosi con pari diritti e doveri ai 13 fondatori dell’Unione. Il provvedimento favorì quella che è passata alla storia e alla leggenda come la conquista del Far West («Lontano Ovest»), un vastissimo territorio abitato da tribù di pellerossa nomadi, dediti alla caccia

    del bisonte, animale che allora popolava le immense praterie di quelle regioni.

    Ampissimi spazi si aprirono quindi all’intraprendenza dei coloni provenienti dall’est – i pionieri –, i quali realizzarono quell’epopea della frontiera destinata a caratterizzare la mentalità e la cultura americane, sino a diventare uno dei miti fondativi degli Stati Uniti, celebrato dalla letteratura e dal cinema di quel paese.

    Se inizialmente l’Unione crebbe molto lentamente, nel corso dell’800, contestualmente allo sviluppo industriale del paese e alla crescita del flusso migratorio, la spinta verso Occidente si sviluppò impetuosa, favorita anche dalla grande disponibilità di terre a buon mercato.

    Già nel 1850 l’Unione contava 31 Stati, tra cui la California, dove la scoperta di ricchi giacimenti d’oro aveva attirato migliaia di cercatori, incrementando in maniera consistente la popolazione locale. Nei decenni successivi, sino alla fine del secolo, nei territori delle grandi praterie si costituirono, ai danni delle popolazioni indiane che le abitavano, altri 14 Stati.

    Durante le «guerre indiane», combattute tra il 1862 e il 1890, i soldati americani, le cosiddette giacche blu (dal colore delle loro divise), avvalendosi della loro superiorità organizzativa e tecnologica, spazzarono via le tribù di pellerossa, divise in etnie e gruppi spesso rivali tra loro.

    I trattati che gli yankee imposero ai nativi li obbligarono ad abbandonare non solo i loro territori ma anche le loro tradizioni, trasformando dei cacciatori nomadi in coltivatori sedentari, confinati in apposite riserve.

    Il consueto modo di vita indiano ne risultò completamente stravolto. Insieme ai pellerossa scomparvero anche i bisonti, sterminati dai coloni che li uccidevano per rifornire di carne gli operai impegnati nella costruzione delle lunghissime ferrovie, destinate a collegare il paese da una costa all’altra.

    Lo sterminio deliberato dei bisonti favorì la diffusione dell’allevamento estensivo dei bovini, praticato dai grandi proprietari terrieri spesso finanziati da banchieri e uomini di affari. Contadini e allevatori avevano infatti colonizzato aree sempre più vaste del West, divenendo legalmente proprietari di grandi appezzamenti.

    Già nel 1862, nel pieno della guerra di secessione, il presidente Abraham Lincoln aveva promulgato l’Homestead Act, un provvedimento che consentiva ai capifamiglia che si stabilivano nelle zone di frontiera di acquistare parecchi ettari di terreno a un prezzo simbolico.

    Si scatenò così una vera e propria corsa verso quei territori, che furono progressivamente integrati nel mercato nazionale statunitense e che favorirono lo straordinario sviluppo economico del paese nella seconda metà dell’800.

    Gli indiani e il loro stile di vita furono quindi sacrificati dinanzi al convergere di numerosi interessi, o se si vuole, di fronte allo sviluppo delle forze produttive del sistema economico americano.

    I pellerossa tentarono di resistere, riuscendo a cogliere soltanto qualche parziale successo, come la distruzione nei pressi del fiume Little Big Horn, nel giugno del 1876, di un distaccamento del 7° cavalleggeri guidata dal generale Custer per mano dei guerrieri Sioux e Cheyenne di Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Quella battaglia, dovuta all’ennesima violazione da parte degli Stati Uniti di un trattato firmato con gli indiani, divenne parte integrante della mitologia statunitense, alimentando la leggenda del selvaggio.

    Capitolo 2

    L’esercito delle Giacche Blu

    La paga era misera, il vitto povero, la vita estremamente dura. Si trovavano ad operare in luoghi sperduti, lontani da ogni forma di civiltà, in mezzo a mille pericoli prevalentemente sconosciuti. Le guarnigioni trascorrevano una buona parte del loro tempo nei forti, ma questi non erano i luoghi accoglienti, con alloggiamenti, sala da ballo e belle fanciulle in splendidi abiti di certi film. Si trattava invece di un pugno di baracche di legno, spessissimo esposte su tutti i lati, senza nemmeno la classica palizzata di legno.

    Nei forti bazzicava gente di ogni risma, avventurieri, indiani infidi o in cerca di cibo, coperte e armi, e l’unica consolazione potevano essere - quando era possibile disporne – le prostitute, che contribuivano naturalmente a diffondere malattie veneree, e i liquori, dal classico whisky, alla birra, al vino o persino terrificanti miscugli.

    Molti disertavano perché non sopportavano quella vita, o perché trovavano la possibilità (che talvolta era solo una pia illusione) di impiegarsi in qualche altra attività più redditizia, come ad esempio il cercatore d’oro, il cow-boy o il biscazziere.

    La piaga delle diserzioni era tale che interi reparti partivano con i ranghi completi ed arrivavano a destinazione più che dimezzati.

    Talvolta la diserzione era effettuata da moltissimi uomini contemporaneamente, specialmente nel corso della notte. Questo costringeva ad arruolare nuovi individui che dovevano essere sottoposti ad una formazione lunga e difficoltosa che rendeva ancor più deboli i reparti.

    In queste condizioni, chiaramente, erano pochi i bravi ragazzi che si arruolavano, facilmente erano invece criminali che così sfuggivano alla giustizia degli stati dell’est o, almeno, persone poco raccomandabili.

    Un’alta percentuale era costituita da immigrati che così ottenevano la cittadinanza e cominciavano a inserirsi nel paese: questi però non avevano alcuna idea dell’ambiente che li aspettava, né della gente che vi abitava da sempre, e spesso avevano solo una conoscenza rudimentale della lingua inglese.

    Si aggiunga inoltre che a volte si arruolavano uomini per pochi giorni o per brevi periodi e per compiti determinati. Ad esempio i massacri più infamanti perpetrati contro popolazioni native, furono effettuati (ad esempio, al Bear River e al Sand Creek), da reparti che erano stati formati anche arruolando per pochi giorni una masnada di uomini tutti desiderosi di dare una lezione agli indiani.

    Non mancavano poi gli indiani arruolati come guide: la divisa dei potenti bianchi dava importanza, si poteva continuare a fare in qualche modo il guerriero, si evitava la vita umiliante e deprimente della riserva, insomma, spesso, la scelta di vestire la giacca blu non era considerata una cosa troppo disonorevole.

    I reparti erano guidati da questi scout, prevalentemente indiani o meticci, oppure bianche che avevano comunque una grande familiarità con la vita degli indiani.

    Anche costoro, però, non erano poi tanto affidabili, non si era mai certi della loro lealtà e da che parte stavano e potevano agire per motivi personali di vendetta e quindi dare informazioni false o malevoli.

    Capitolo 3

    In un accampamento Cheyenne delle grandi pianure del Nord America, Falco Rosso parlamentava coi vecchi saggi della tribù, da quando era divenuto capo, dopo la morte del valoroso Alce Veloce, prima di ogni azione di caccia o guerriglia amava sempre consultarsi. Fin da ragazzo aveva dimostrato doti di coraggio, ottimo arciere e imprendibile sul suo mustang (sono una popolazione equina inselvatichita dell'America nord-occidentale, la parola inglese mustang (anche italianizzata in mustango) deriva dallo spagnolo mesteño (o mestengo come si dice in Messico), che significa non domato . Vista la resistenza, la grazia, la velocità e l'indipendenza che li caratterizza, il nome Mustang viene spesso usato per prodotti ad alte prestazioni e per le mascotte sportive. I primi mustang discendono dai cavalli spagnoli portati in Messico nel 1500. Alcuni dei cavalli sfuggirono o furono catturati dai nativi, e si diffusero rapidamente in tutta l'area dell'America nord-occidentale. A partire dalla metà del 1800 il patrimonio genetico dei mustang fu arricchito dal contributo dei cavalli dei pionieri (sfuggiti o liberati di proposito). Molti fattori liberavano i propri cavalli d'inverno, perché pascolassero autonomamente, e ricatturavano loro o altri mustang quando, in primavera, ne avevano nuovamente bisogno. Alcuni proprietari miglioravano i branchi locali sopprimendo gli stalloni dominanti e sostituendoli con soggetti di importazione. Questi miglioramenti erano particolarmente efficaci nelle aree aride, in cui i branchi erano isolati e consanguinei nei periodi di siccità. Nel 1900 si stima che il numero di cavalli inselvatichiti in Nord America fosse di circa un milione. I mustang costituivano una risorsa, perché potevano essere catturati e usati o venduti (soprattutto per usi militari) o macellati, per ottenerne cibo utilizzato, più tardi, soprattutto per gli animali domestici. Venivano anche visti come un fastidio, per il fatto che competevano con il bestiame per i pascoli. Dal 1900 la popolazione dei cavalli selvaggi si è ridotta drasticamente. Oggi, le stime sul numero di mustang liberi sono comprese fra i 40.000 e i 100.000, e la metà è concentrata nel Nevada. Alcune centinaia di mustang liberi sopravvivono nell'Alberta e nella Columbia Britannica. Attualmente, i mustang sono protetti negli USA nelle aree demaniali. È vietato abbatterli o avvelenarli, e le pene per le violazioni sono severe. Tuttavia, si dà per scontato che molti fattori continuino a farlo nelle zone più remote); si era anche distinto in varie imboscate contro gli odiati bianchi, tutto quell’astio derivava dall’uccisione dei suoi genitori, quando era un ragazzino per mano dell’esercito americano (dette giacche azzurre), durante un assalto nel loro accampamento dove la maggior parte erano donne, vecchi e bambini; i guerrieri erano a caccia di bisonti nelle grandi pianure. Lì aveva giurato vendetta, e crescendo il suo odio era divenuto ossessione.

    Il popolo Cheyenne (il cui nome deriva dal termine Sha-hi'-ye-na che in lingua Lakota significa Popolo che parla una lingua strana. Loro invece preferivano chiamarsi Dzi'tsiis-tas, cioè La Gente che è Uguale. Di lingua algonchina, agricoltori ed artigiani, un tempo vivevano nella zona dei Grandi Laghi (Minnesota), ma si dovettero spostare verso le Pianure in seguito alla pressione dei Lakota e degli Ojibway. Vivenano nei Wigwam, capanne fatte di pali piantati nel terreno e incurvati alle sommità e legati fra loro, ricoperte con erba secca e fango e rivestite con corteccia e canne intrecciate. In estate, durante il periodo della caccia, invece conducevano vita da nomadi e le loro abitazioni erano delle semplici tende ricoperte di pelli e trasportate dai cani, animali molto vicini a questa popolazione. Agli inizi del secolo scorso, dopo altri trasferimenti ancora più ad occidente, conobbero il cavallo. E' così cambiata radicalmente la loro organizzazione socio-economica; divennero nomadi delle Pianure e sopravvivevano con la caccia al bisonte, vivendo nei tipici Tepee (le classiche tende coniche). Divennero degli eccellenti cavalieri. Essi si dividevano in due gruppi principali: i Cheyenne settentrionali, influenzati dai costumi e lingua dei Sioux, e quelli meridionali, confinanti con gli Arapaho).

    Per meglio comprendere il popolo dei pellerossa americani, vediamo di fare una sommaria descrizione:

    "Per Nativi americani (chiamati anche in modo più o meno consono Indiani d'America, Pellerossa, Amerindi, Amerindiani, Prime Nazioni, Aborigeni americani, Indios) si intendono tutti i popoli indigeni che vivevano in America del Nord, America centrale e America del Sud prima della colonizzazione degli europei. Il loro sterminio rappresenta uno dei più gravi genocidi della storia dell'umanità, tanto che oggi sono una minoranza nel continente americano.

    L'uso del termine Indian, risale alle prime fasi dell'esplorazione del sub-continente nordamericano. Si giustificava col fatto che Cristoforo Colombo, col suo viaggio transoceanico, intendeva trovare una rotta alternativa per giungere sulle coste del subcontinente indiano, sì da far chiamare Indie occidentali le nuove terre scoperte. Il termine Indios, spagnolo ma anche portoghese, è utilizzato per riferirsi alle popolazioni indigene dell'America latina. Anche questo significa indiani, e deriva dall'errore storico per il quale si confuse l'America con l'India. L'espressione pellerossa, utilizzata, spesso in senso semanticamente negativo, per riferirsi alle popolazioni indigene nordamericane, è oggi considerata non politicamente corretta, in quanto fa riferimento al colore della pelle dei nativi di quell'area del continente. Tuttavia l'origine del nome può anche essere derivato dall'abitudine dei guerrieri di alcune tribù a tingersi la pelle di rosso durante le battaglie (ed in effetti la loro carnagione è oliva).

    I tentativi di definire l'albero migratorio dell'uomo dalla sua comparsa sulla terra a oggi dà comunque e sempre risultati altamente ipotetici, poiché le ricostruzioni genetiche e linguistiche sono poco compatibili tra di loro, mentre le investigazioni sulle diverse culture sono pari a cercare il classico ago nel pagliaio. In base alle ricerche di Luigi Luca Cavalli-Sforza e dei suoi collaboratori si suppone che i primi esseri umani siano arrivati nel continente circa 40 000 anni fa dall'Asia attraverso lo stretto di Bering, via mare. Il modello precedente, il cosiddetto modello Clovis, invece individuava tre ondate migratorie avvenute circa 12 000 anni fa, dall'Asia attraverso le terre emerse dello

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