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Il Gatto: Non si può fuggire a se stessi
Il Gatto: Non si può fuggire a se stessi
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Il Gatto: Non si può fuggire a se stessi

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About this ebook

Dania lo ritiene una star arrogante, indisponente.
Jay Lowell nasconde la sua sensibilità, la sua anima scorticata, sotto mille amate maschere di insofferente cinismo e indifferenza. Ma cos'altro nasconde Jay? Che è successo quando aveva quattordici anni?
Perché tutte quelle strani morti attorno a lui?


EMY BLESIO (MahaMandaleshwar Yogacharini Pandit Gayatri Devi)  
Dopo un passato di pittrice e disegnatrice, si dedica alla Yoga. La sua esperienza in materia di Yoga, Pranayama, Meditazione, Mitologia e Filosofia indiane inizia dal lontano 1965.  Fondatrice di The World Community of I.C.&T.D., C.U.I.D.Y., Suryanagara-Ashram, E.Y.F., W.M.Y.A, nel 2006 Mumbai (Bombay) è insignita del titolo di "Pandit", nel 2008 ha ricevuto il titolo di Mahamandaleshwar ed eletta Presidente dell’International Yog Confederation di New Delhi, nel 2009 è eletta presidente int. WIN Women International Network, nel 2011 diviene AMBASSADOR FOR PEACE dalla UPF (riconosciuta ONU) e in gennaio 2018 le viene conferita, dalla Techno India University West Bengal, la Laurea Honoris Causa di Letteratura.
LanguageItaliano
PublisherEmy Blesio
Release dateApr 26, 2019
ISBN9781095920671
Il Gatto: Non si può fuggire a se stessi

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    Il Gatto - Emy Blesio

    stessi….

    1

    Entrando in quel salone, quattro volte più grande della sua massima aspirazione, Dania si meravigliò di come fosse tappezzato di fotografie, alcune delle quali di dubbio gusto. In fondo, da un lato, sotto numerosi dischi d’oro, di platino, Grammy eccetera, c’era Jay Lowell.

    L’uomo stava mollemente seduto su una poltroncina dorata. Appoggiava il mento, con studiata noncuranza, su una mano dalle dita lunghe e sottili piegate con eleganza. L’altra mano ricadeva indolente su un bracciolo.

    Era attorniato da gruppi di persone bisbiglianti.

    Uno degli uomini che gli stava accanto, un tipo imponente dal viso più scuro di un caffè napoletano, si era chinato su di lui per parlargli. La star non cambiò la sua espressione assente né parve dar peso a ciò che gli veniva sussurrato. La sua attenzione sembrava persa al di là della grande vetrata, per buona parte velata dai grandi tendaggi che coprivano anche tutta la parete.

    La scena veniva replicata dal pavimento lucidissimo, tirato a specchio.

    Sei sicuro che abbia quasi trent’anni? chiese Dania, a bassa voce, rivolta a Claudio.

    Così dicono!

    Chi lo dice?

    Quasi tutti i giornali, puntualizzò con un tono sorpreso che stava a significare: ma dove vivi? "Se poi prendi riviste come Gente o Vanity Fair, vieni a sapere anche la marca dei suoi calzini!"

    Ritornò a osservare l’oggetto di tale morbosità: sempre immobile, sprofondato nella sua studiata indifferenza.

    Non si poteva dire che fosse vestito sobriamente. Alle quattro del pomeriggio era fasciato in un giubbetto con pizzi e lustrini blu, che il sole, filtrando dall’apertura del tendaggio scostato, faceva luccicare a ogni lieve movimento della respirazione.

    Una camicia bianca con merletti contrastava con jeans, scarpe da tennis blu-notte e calze ammonticchiate sulle caviglie.

    Gli occhi erano nascosti da un paio di scurissimi ed enormi occhiali. Alcuni riccioli, neri e gelatinati, gli cadevano vezzosi sulla fronte ambrata e sulla nuca. Le labbra, ben disegnate e diritte, parevano velate di rossetto.

    Le avevano ventilato che fosse gay.

    In effetti, non era il simbolo della virilità visto in quell’atteggiamento ‒e con quell’abbigliamento‒ ma lei non soleva fermarsi alle apparenze.

    Attendeva sempre di saperne di più prima di gettarsi in giudizi avventati.

    Comunque, il fatto che non portasse orecchini, come molti del suo ambiente, era, a suo avviso, un punto a favore della star.

    Carina! la voce di Claudio interruppe il corso dei suoi pensieri.

    Cosa?!? disse guardandolo interrogativamente.

    È carina! ripeté lui.

    Chi, è carina? sbottò impaziente Dania.

    La star. Claudio ridacchiò fessamente a labbra strette per non farsi notare.

    Che stupido! Smettila con ‘sta storia!

    I sorrisetti ironici, le sue allusioni, invece di divertirla la stavano irritando. Già si sentiva estremamente tesa.

    L’afa del pomeriggio californiano aveva influito pure sul suo umore. Di solito il caldo, anche quando era soffocante e torrido, non la disturbava affatto, ma quel giorno aveva le mani sudaticce e un abito di seta che le si appiccicava al corpo più di una tangente a un politico.

    Forse sto risentendo dello sbalzo termico o, forse, e la spiegazione le parve più plausibile, dell’emozione per essere finalmente riuscita a farmi ricevere da questo inavvicinabile uomo-ragazzo.

    Continuava a pensarlo un ragazzo perché, per quanto si sforzasse, non riusciva a vederlo trentenne. Il corpo elastico e snello, senza essere troppo magro, il viso levigato, e pure gli atteggiamenti fluidi, che aveva osservato nel breve filmato propostole dalla sua agenzia in Italia, gli conferivano quella parvenza di eterno ragazzo. E, anche a vederlo di persona, sembrava che, su di lui, il tempo si fosse fermato e non accennasse neppure a voler continuare.

    E poi, se anche fosse gay, è cosa che riguarda soltanto lui! sibilò lanciando all’amico uno sguardo disintegratore.

    L’avvocato Claudio Bertani, che si occupava anche delle sue pubbliche relazioni, oltre alla parte legale dell’agenzia, era un buon amico d’infanzia. Ma il più delle volte, Dania non riusciva a trovarsi in sintonia con lui e se ne rammaricava. Era tecnicamente molto valido e lei, spesso, si serviva dell’amico: soprattutto quando aveva rapporti molto importanti da sostenere. Anche in quella circostanza l’aveva scelto per assisterla alla firma del contratto, secondo gli accordi presi telefonicamente con il manager di Lowell.

    Però ora, Claudio, non la stava proprio aiutando con l’atteggiamento di scherno nei confronti dell’artista. Forse lo faceva per esorcizzare l’emozione ma, in effetti, la irritava. Per giunta, sebbene la stanza fosse provvista di aria condizionata, lei continuava a sentirsi le mani sudate.

    Ebbe la sensazione momentanea e inspiegabile di non sopportare Claudio.

    La censurò subito. Invero non era proprio lui che non sopportava; più precisamente odiava la sua visione delle cose. Il modo in cui, succube di schemi precostituiti si lasciasse così facilmente condizionare dalle convenzioni e dai pregiudizi.

    Sul lato sinistro del salone si aprì una porta che sputò un ometto grassotto dai capelli lunghi e biondicci, legati dietro la nuca.

    Doveva essere Richard Pitt, il manager.

    Si avvicinò a Lowell e, dopo aver dato un’occhiata nel salone, gli parlò all’orecchio. Jay girò impercettibilmente il capo verso di lui. Poi, la sua attenzione si fece strada fra i gruppetti presenti, fermandosi su loro due, immobili a pochi passi dalla soglia. Il suo viso assunse un’aria terribilmente annoiata.

    Cominciamo bene! borbottò Dania, e Claudio la sbirciò divertito.

    Vennero invitati dal manager, con un cenno arrogante della mano, ad avvicinarsi.

    Lentamente, un po’ a disagio, si addentrarono nell’enorme salone mentre l’ometto-palla li squadrava dall’alto della sua bassezza.

    Il volto di Lowell era ritornato a essere enigmatico e distante come se ciò che stava avvenendo nella stanza non lo riguardasse minimamente.

    La signorina è un po’ scocciata, o sbaglio? le bisbigliò Claudio.

    Zitto, ci sta guardando! intimò a denti stretti.

    Mi dici come fai a sapere che ci sta guardando? Se quegli occhiali fossero anche solo un pochino più grandi, non solo gli occhi ci poteva nascondere là dietro, ma tutto il corpo comprese le scarpe.

    Quanto sei spiritoso! ironizzò lei.

    Stavano raggiungendo il gruppetto della star.

    Istintivamente, Dania si asciugò il palmo delle mani sul vestito.

    Il Fenomeno non si era più mosso e non aveva ancora proferito parola in una posizione congelata che aveva indubbiamente studiato, chissà da quanto tempo, davanti allo specchio. Ma Dania sapeva di essere sotto osservazione di quegli occhi che ora percepiva, attraverso le lenti nere, puntati su di lei. Si sentiva penetrare da uno sguardo che non riusciva a distinguere e, questo, le aumentò il disagio.

    Dietro Lowell si erano appostate, coprendo parte dei premi, quattro delle sue guardie del corpo vestite con abiti inamidati come le loro facce.

    Finalmente un laconico saluto, a malapena cortese, uscì dalle belle labbra tirate, e Claudio, volendo strafare, si lanciò solerte in un’inutile e patetica traduzione.

    Fino a lì ci sarei arrivata anch’io! pensò infastidita.

    Non le porse la mano. Un omaggio ai suoi palmi sudati.

    Cominciarono a scambiarsi qualche parola imbarazzata, dapprima a monosillabi, poi, lei e Claudio tentarono di intensificare il dialogo, ma il loro interlocutore rimase sempre molto conciso e scostante. Parlarono un poco di tutto, sui soliti luoghi comuni quali il tempo e temperatura, il loro viaggio, l’Italia e Los Angeles, persino di cucina; ma del trattamento, niente! Ogniqualvolta Dania tentava di portare il discorso sul soggetto che gli era stato proposto dalla ZipZap Magic, Lowell cambiava volutamente argomento.

    Sembrava si divertisse a tenerla sulle spine... pareva gioisse, conscio del proprio potere, a giocare con le sue aspirazioni, e lo faceva con un compiacimento felino.

    Dania avvertiva crescere dentro di sé la tensione. Aveva dato fondo a quasi tutti i suoi risparmi personali per il viaggio e l’albergo. Tra l’altro aveva sfidato anche l’ironia di un incredulo Luca. E, adesso, se solo voleva, quel bell’animaletto da palcoscenico poteva mandare tutto all’aria, semplicemente dicendo: Scusate, ho cambiato idea mmmm e forse anche senza scusate.

    Sperava molto nella realizzazione del progetto proposto, non solo perché era ciò che più aveva sognato negli ultimi dieci mesi, ma anche perché pensava potesse risolverle certi suoi stantii problemi economici.

    Se mi va buca anche questa... Meglio non pensarci!

    Eppure, le premesse, affinché non " andasse buca", c’erano! Per prima cosa era stata ricevuta dal Fenomeno, e poi l’ometto-palla aveva anticipato alla ZipZap Magic, almeno a sentire Zinnia Zani, alcuni dettagli del contratto che, pareva, avessero già steso.

    Furono, comunque, congedati da " Sua Maestà" senza aver concluso niente.

    Mentre stavano uscendo, il manager-palla li rassicurò un poco con un ulteriore appuntamento.

    Alle sette? Dania temeva di non aver capito bene, ma Claudio confermò. Sospirando si abbandonò sul sedile posteriore dell’auto che li stava portando all’albergo.

    Strana ora per un appuntamento. Di solito la gente di spettacolo non è reperibile fino alle prime ore del pomeriggio...

    Già. Claudio tacque meditabondo. Forse stavano pensando entrambi la stessa cosa.

    Non indagò oltre. Non voleva dar corpo ai suoi dubbi.

    Il resto del percorso lo fecero in silenzio.

    Subito dopo cena, dove deliberatamente evitarono di toccare l’argomento, si ritirarono, ognuno nella propria camera.

    Dania non riuscì a chiudere occhio tutta la notte. Gli eventi della giornata le mulinavano nel cervello. Aveva la netta sensazione che Jay Lowell avesse volutamente eluso l’argomento principale godendo un mondo, come un bambino davanti a un nuovo gioco.

    Durante il colloquio ricordava di aver scorto guizzi di furbizia trapelare attraverso le lenti nere.

    E l’insolito appuntamento poi... senza dubbio un altro dei suoi stupidi scherzetti infantili.

    Si sentiva come un gomitolo fra le zampe di un gatto.

    Non doveva permetterlo!

    Anche se molte delle sue aspettative dipendevano dalle bizze di quel " gatto", non si sarebbe sottomessa al suo gioco.

    Gli avrebbe tenuto testa... Non sarebbe rimasta inerte fra le sue unghie.

    Il mattino la sorprese stanca e particolarmente nervosa.

    Alle sette, una Rolls venne a prelevarli per condurli all’appuntamento fissato, dove aspettarono, nella stanza riservata ai visitatori, fino a quasi mezzogiorno senza che nessuno, nemmeno un portaborse, si facesse vivo. Dopodiché, la visione celestiale dell’ometto-palla fece la sua apparizione pregandoli gentilmente di tornare l’indomani.

    Claudio non osò aprire bocca durante il tragitto che li riportava all’hotel. Spiava preoccupato il viso di Dania. Se fosse stata una bomba a mano l’avrebbe scagliata senza preamboli dal finestrino tanto era vicina all’esplosione. E lui non aveva nessunissima intenzione di tirare la sicura.

    Una Rolls! Cafone! Crede di incantarmi con dei pezzi di lamiera. Zotico cafone!

    Ma era una vettura usata solo per abbagliarla? Oppure una gentilezza grossolana per farsi scusare un’altrettanta grossolana scortesia? Poteva forse dubitare delle sfumature ma era estremamente convinta che fosse già stato tutto pianificato dal Gatto o da chi per lui. Ma dove voleva portare tale comportamento? Che fine aveva?

    Cominciava a rimpiangere di essere venuta a Los Angeles e, soprattutto, di aver puntato la sua attenzione proprio su quel presuntuoso quale interprete del suo sensibile e delicato personaggio.

    Il giorno seguente, sempre alla medesima ora e con crescente tensione, si sedettero nella grande stanza con la netta impressione di essere presi in giro. Accanto a lei Claudio la stava guardando visibilmente teso. Non avevano scambiato parola da parecchie ore e intuiva che la calma sul viso di Dania era solo apparente. Vedeva lampeggiare, sotto la leggera frangia, sguardi cupi. Ogni tanto, lei si alzava facendo oscillare la massa di capelli neri che le scendevano soffici fino a metà schiena. La pelle chiara contrastava con le ciglia lunghe e scurissime che velavano occhi castano-dorati. Una spruzzata leggera di lentiggini sul piccolo naso le dava l’aria sbarazzina che lui adorava.

    È proprio deliziosa, si disse Claudio con un sospiro.

    Peccato!

    Per quanto facesse non riusciva ad attrarre la sua attenzione. Lei ostacolava ogni suo approccio.

    Anche quel giorno passò senza risultato. La star era irreperibile e, ogni volta, il manager-palla raccontava di qualche presunto ostacolo che li costringeva a rimandare l’incontro. Quell’andirivieni, la presa in giro del Gatto, l’insicurezza di concludere positivamente, l’attesa, il senso di impotenza, erano stressanti e Dania cominciava a mostrare evidenti segni di insofferenza.

    Ritornarono ancora una volta in albergo delusi.

    Le battute spiritose di Claudio che tentava di risollevarle il morale, non sortivano alcun effetto, anzi, peggioravano la situazione. Dania era refrattaria a ogni tentativo di approccio. Intendeva pensare a ciò che le stava accadendo, voleva capire. Ma più rifletteva sul contegno del... Gatto e meno lo comprendeva.

    Ormai supponeva che, del progetto, non se ne sarebbe fatto niente e la sua conclusione, dettata dall’orgoglio ferito, fu inevitabile: Lowell era un montato.

    2

    Il quarto giorno. Un’altra inutile attesa?

    Forse.

    Claudio telefonò in Agenzia per avere conferma degli accordi presi con Richard Pitt.

    Erano stati chiamati, o no, da Jay Lowell?

    A suo parere, la star non sembrava molto interessata al progetto.

    Zinnia Zani assicurò di avere letto bozza del contratto inviatole per fax.

    Dania, sebbene confortata dalle asserzioni di Zinnia, era ugualmente decisa a non farsi pigliare per il naso. Se non personalmente, quantomeno per procura ma avrebbe detto finalmente ciò che pensava, anche a costo di mandare a monte tutto.

    Claudio tentava di calmarla. Zinnia gli aveva raccomandato di non fare cazzate. Un’occasione così è da pirla sbatterla nel cesso... Sempre fine la Zinnia... ma conoscendo Dania, aveva qualche dubbio sul risultato del futuro incontro.

    Si avviarono all’appuntamento con un Claudio preoccupato e una Dania fumante.

    Attesero fino alle undici aspettandosi, da un momento all’altro, la non proprio celestiale apparizione del manager (o chi per lui) che, con un sorrisetto sornione e la fragranza dei puzzolenti sigari messicani di cui erano impregnati i suoi abiti, li congedasse per l’ennesima volta.

    Invece non si fece vedere nessuno.

    Il grande palazzo sembrava disabitato e regnava un assoluto silenzio; eppure Dania aveva l’impressione che, dietro a uno degli specchi che adornavano il salone o da qualche altra parte, sia pure con una telecamera nascosta, lui, il Gatto, stesse spiandoli, divertito.

    Vorrei tanto avere sotto le dita il collo di quel ‘presuntuoso’. Solo per strozzarlo un poco, appena un pochino, quel tanto che basta per fargli schizzare gli occhi sulla punta delle scarpe, disse stizzita.

    Claudio sorrise suo malgrado. Risentiva della tensione dell’amica.

    Desiderava che tutto finisse per tornarsene in Italia, alle gare di vela, alle serate con gli amici del club. Insomma, alla sua rassicurante, annoiata, vuota normalità. E, soprattutto, staccarsi per qualche tempo da lei. Aveva tanto sperato che con quel viaggio... lontana da Luca...

    E, invece, Dania non si accorgeva nemmeno della sua presenza, anzi, ne sembrava infastidita.

    Un’altra ora... e un’altra ancora...

    Alla fine, dalla vetrata che dava sul parco, Lowell fece la sua apparizione, evanescente come uno sbuffo di vapore, assieme al solito codazzo, con aria altezzosa e indisponente, sempre mascherato dai grandi occhiali. Si fermò a qualche metro da loro come se fosse sorpreso di vederli lì. Anche il brusio del " codazzo" cessò d’incanto.

    Mi dispiace, ma ora sono occupato e non posso ricevervi! Mister Pitt le fisserà un nuovo appuntamento. Dopo un sorriso di formale, quanto spudorata, gentilezza, si avviò, con ostentata insofferenza, verso un’uscita che dava sul terrazzo, dall’altro capo del salone.

    Dania non ne poteva più, non aveva fatto colazione e sentiva lo stomaco sotto la suola delle scarpe. Per giunta, non poteva certo perdere l’occasione di dare al Fenomeno quel che meritava, proprio ora che l’aveva sotto tiro e, dribblando il tentativo di Claudio di trattenerla, sbottò nel suo inglese non proprio di Oxford: Hei, senti... tu... e accentuò il tono confidenziale, è una tua abitudine essere così maleducato, oppure è un trattamento di favore che hai riservato a me, esclusivamente?

    Lo aveva bloccato a due passi dalla portafinestra. Lui si voltò sorpreso e infastidito, ma Dania non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Ormai aveva tracimato come un fiume in piena.

    "È forse un ‘ uso’ californiano accogliere gli ospiti in codesto modo, o è una tua prerogativa? Se mi hai invitata qui per mettermi a disagio, ti confesso che ci sei riuscito!"

    Man mano che parlava, aumentava, insieme con la sua rabbia, anche il tono della voce.

    Tu... tu pensi di poter fare tutto ciò che vuoi perché ti senti la ‘celebre star’! Oh, sì, sì, certamente, tu mi hai attratto come un bel panorama può attrarre un fotografo! peccato, però, che nel tuo caso l’arroganza guasti molto la veduta!

    Il minipubblico non fiatava... Lui socchiuse le labbra per replicare, ma Dania non gli lasciò spazio e, puntandogli contro l’indice, imperversò decisa: Se credi che io desideri questo contratto al punto di calpestare la mia dignità, ti sbagli di grosso! Non ho nessunissima intenzione di farti da zerbino!

    E aggiunse con fredda ironia sul viso attonito della megastar: Ah, dimenticavo... non disturbarti con la Rolls, preferisco tornarmene in albergo con un taxi!

    Dopo quella scarica di parole, Dania girò sui tacchi e si diresse verso dove era venuta.

    Claudio la seguì come un cagnolino, senza fiatare.

    Mentre stavano arrivando all’uscita, furono raggiunti dalla voce di Lowell: Aspetta...!

    Lei finse di non sentire.

    Aspetta, ti prego...

    La voce le scivolava sulla pelle indifferente.

    Ma un Scusami...! la bloccò.

    No, non può averlo detto lui... quel...

    Voltandosi sorpresa, lo vide avvicinarsi con passo veloce.

    Con un leggero gesto della mano, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa, Lowell licenziò, in un colpo solo, tutta la sua corte.

    Silenziosamente, e lestamente, i presenti si eclissarono, tranne l’ometto-palla che si sistemò appoggiandosi allo stipite di una porta che dava all’interno del palazzo.

    Potenza del denaro! I numerosi lecca-lecca sgattaiolavano via ubbidienti a un solo battito di ciglia della star.

    Intanto Lowell l’aveva raggiunta e, con un sorriso dolce, le tendeva le mani.

    Scusami... vuoi? ripeté.

    Lo guardò incredula. Stava recitando? Era forse un altro dei suoi giochetti cretini?

    Lui la prese per mano, incurante del suo accenno di ritirarla velocemente, e con gesto deciso la condusse verso un divano di tessuto verde chiaro come le tende. La indusse a sedere con gentilezza ma con fermezza: classico atteggiamento di chi è abituato a farsi ubbidire. E, questo, diede ancor più sui nervi a Dania.

    Credo di poter rimandare i miei impegni e... se vuoi, possiamo parlare un poco del... di quel film... disse, mal celando un sorrisetto furbesco. Dania tentò di ignorare i gesti che, da dietro il " Gatto", Claudio le faceva per convincerla a mantenere la calma ed esortarla alla resa. Come se fosse facile dimenticare tutto quello che mi ha fatto passare ‘sto str...

    Con gesto ampio, plateale, Lowell si tolse gli occhiali da sole, scoprendo occhi di un nero incredibile.

    Fissandola con intensità, Lowell le sussurrò: Perdonami ti prego.

    Gli occhi di velluto avevano un’espressione talmente disarmante che lei non riuscì a porre resistenza. Dania, in un residuo di giustificato sospetto, respirò profondamente per ripristinare un po’ di inevitabile diffidenza. Era contrariata sia per essere arrivata involontariamente a un tono confidenziale, sia per la sua quasi disponibilità verso un individuo dimostratosi, fino a pochi istanti prima, tanto sgradevole, perciò si costrinse, non senza un notevole sforzo, a mantenere un certo distacco.

    Via via che lui parlava, però, le sue difese si sgretolavano come rocce di arenaria esposte a un vento inclemente e credette di intuire il perché del successo di quell’uomo: era stupefacente notare come, in modo repentino, avesse cambiato radicalmente il suo atteggiamento e come fosse riuscito a cancellare in lei la tensione accumulata nelle lunghe attese. Come se ne fosse valsa la pena, come se dovesse essere necessariamente arduo il percorso per arrivare all’Olimpo della megastar. Pazzesco! E scopriva che la cosa la stava pure divertendo! Infatti, la sua rabbia stava defluendo come se le avessero tolto il tappo.

    Lowell invitò lei e Claudio a fermarsi e, a mano a mano che le ore passavano, Dania gli scopriva un’affabilità e una genuinità insospettate nel manichino di ghiaccio che li aveva accolti.

    In realtà, l’immagine che aveva di lui, ancor prima di conoscerlo, era molto più vicina alla persona che le si stava rivelando ora, dopo che ebbe tolto la veste della Superstar che gli avevano o che si era confezionato addosso. Anche se, Dania si costringeva a rimanere all’erta e sulla difensiva, trovava piacevole conversare con lui mentre passeggiavano nei vialetti della proprietà o mentre pranzavano nella sontuosa sala da pranzo.

    A tratti, alcuni sprazzi di divertita insolenza saltellavano ancora fra i loro discorsi, ma venivano però mitigati da un amabile sorriso.

    Due personalità contraddittorie convivevano in lui e lo scoprirle la intrigava.

    Si congedarono, a malincuore dovette ammetterlo, ormai a notte inoltrata. Stavano bene nel salotto ocra dove, sorseggiando tisane alla frutta, avevano parlato finalmente del progetto comune.

    Tornando in albergo Dania si sentiva, sebbene ancora con qualche riserva, praticamente rilassata, soddisfatta.

    E felice. Sììììììììì. Wooow!

    Sprofondata nei sedili della comoda auto messa a loro disposizione, e questa volta non una Rolls, chiuse gli occhi assaporando l’istante che stava vivendo. Contrariamente alle sue pessimistiche previsioni, il film si sarebbe dunque fatto e il suo sogno realizzato. A meno che... No! A meno che un bel niente! Si farà senz’altro! si disse convinta.

    Erano passate le due del mattino.

    Non attese di salire in camera: Ancora nella hall telefonò in Agenzia per comunicare la bella notizia. Zinnia, tirando un sospiro di sollievo, le aveva sparato entusiasticamente: " L’è fatta, allora! Puttanaeva, è fatta!"

    Dania rise e riattaccò: Zinnia metteva colore anche in un laconico No.

    Riuscì a mandare un bacio anche a Viola, immersa nei suoi giochi, e ad aggiornare un Luca indifferente.

    In Italia, con l’ora legale, dovevano essere circa le nove.

    Deluse di nuovo Claudio, che avrebbe voluto terminare in bellezza la serata visitando con lei la città, ma si sentiva troppo stanca, dopo tante notti insonni, e preferì andare a letto. Aveva proprio bisogno di riposare.

    Tra l’altro, sembrava che Claudio... lì, lontano da casa...

    Si conoscevano da ragazzini e mai si era accorta che avesse interessi particolari su di lei. Non di quel tipo, almeno. Erano buoni amici. A loro attivo, un’antica simpatia e un’adolescenza vissuta insieme, questo sì, ma era tutto.

    Invece, da quando si trovavano in California, aveva cominciato a farle il filo apertamente; la qual cosa la irritava. Sposata da sedici anni, anche se il suo rapporto con Luca non si poteva definire il massimo della vita, non intendeva aprirsi ad altri esperimenti sentimentali. Non perché fosse legata alla convenzione di donna fedele, piuttosto non se la sentiva di affrontare le difficoltà connesse a una relazione extraconiugale.

    Certo che Luca meriterebbe che mi lanciassi in qualche esperienza delirante! si disse con ironia.

    Comunque, in ogni caso, conoscendosi, sarebbe dovuta incappare in una persona per cui ne fosse valsa veramente la pena. E, Claudio, non era certo il tipo che lei avrebbe scelto.

    Indubbiamente attraente, trent'otto anni, capelli biondo cenere, occhi grigi, molto alto ‒ la sovrastava di almeno trenta centimetri ‒ doveva ammettere che, vicino a lui, si sentiva protetta. Sempre gentile e disponibile, soprattutto con lei, le sue manifestazioni di insofferenza contro i diversi, contro coloro che uscivano dagli schemi creati dalla sua mente puritana e benpensante, lo rendevano, ai suoi occhi, decisamente poco interessante. Almeno come partner.

    Si considerava lontana mille miglia dal suo modo di intendere la vita.

    Claudio si lasciava affascinare fortemente da tutti i feticci che tanto peso avevano sul vivere moderno. Perciò, ogni simbolo del successo assumeva su di lui un effetto determinante. Ricordava, a tal proposito, la sua espressione compiaciuta mentre stava stravaccato sui gonfi sedili della Rolls, appagato di quelle estranee e superficiali briciole di " grandeur" momentaneamente assaporate. E come si era stupito nel vedere che lei, al contrario, rimaneva indifferente davanti a tutto quello scintillio, anzi, in realtà infastidita e offesa dall’ostentato e pacchiano sfoggio di ricchezza da parte del... Gatto.

    Non se la sentiva di idolatrare degli status symbol. Fossero anche pezzi di metallo luccicante appartenenti a una Rolls Royce o mattoni di un sontuoso palazzo!

    Però, come scapolo era molto conteso. Quante manovre, povera Luisa Sarti, ricordò sorridendo ‒ una delle sue amiche-si-fa-per-dire ‒ per tentare di alienarle la simpatia del fascinoso collaboratore che rappresentava, così diceva, il più bell’esemplare di fauna maschile da lei conosciuto.

    E, Claudio, decisamente conscio di tanta considerazione presso il gentil sesso, esibiva la sua prestanza fisica, ogni qualvolta gli si presentava l’occasione.

    Infatti, anche poco prima, era lì, davanti a lei con una camicia di lino bianco aperta sul torace, a mostrare i suoi peli biondi arruffati su una pelle di un bel colore ambrato: proveniente dai molteplici trattamenti fra i più apprezzati centri sportivi di Milano e ad altrettanti visite alle Lampados.

    Poteva leggere, sui muscoli, le ore di intenso lavoro con pesi ed estensori che gli davano quell’aspetto vigoroso che tanto piaceva alle sue amiche-si-fa-per-dire.

    Non che lei fosse invulnerabile al fascino di un uomo " piacioso", solo non era sensibile a QUEL tipo d’uomo.

    Gli occhi di Claudio rivelavano frustrazione, che lei finse di non vedere quando si ritirò dandogli la buonanotte.

    Sono veramente una carogna! si disse vagamente irritata, ma, d’altra parte, ognuno di noi ha sempre qualche vittima su cui scaricare i propri fulmini, le proprie tensioni, le disarmonie. Chi il partner, chi i figli, chi qualche animaletto innocente e chi un amico solerte che, nonostante tutto, ti rimane accanto. Povero Claudio! Rivedeva il suo sguardo depresso, da pointer che aveva perso le tracce della selvaggina dopo una lunga giornata d’inseguimento, e si sentì un lombrico. O almeno come pensava si potesse sentire un lombrico.

    Si convinse che stava agendo per altruismo. Così. Per sistemare la coscienza. Lo faceva per il suo bene... Aveva voluto scoraggiarlo, fargli capire che non c’era alcuna possibilità di iniziare una storia con lei. Sicura che, se l’avesse accompagnato nella passeggiata notturna, sotto una luna romantica, avrebbe alimentato false fantasie.

    Ma, in fondo, non la riteneva una valida giustificazione: dopotutto Claudio aveva rinunciato alla sua placida vita per seguirla.

    Si mise gli auricolari e lasciò che dal CD la voce del Gatto le inondasse la mente e, mentre il viso di Claudio si dilatava dissolvendosi in vapori cerulei, si ripromise di riparare alla scortesia l’indomani.

    Invece, l’indomani, e i giorni susseguenti, la loro attenzione venne monopolizzata da Jay Lowell e non ebbero il tempo nemmeno di parlarsi. Ora il loro ospite aveva abbandonato i lustrini a favore di un abbigliamento semplice ed elegante, e non era più guarnito dal suo codazzo osannante ‒ come un arrosto dalle patatine ‒ probabilmente una studiata coreografia per abbagliarla. Il più delle volte rimanevano solo loro quattro nel salotto ocra: il Gatto, Dania, Claudio e... Palletta-di-grasso. Contrariamente alla star, il manager-palla manteneva un look eccentrico che poco si addiceva alla sua mole. Portava un vistoso diamante all’orecchio sinistro e, in mano, un grosso e puzzolente sigaro eternamente spento per non contrariare Jay Lowell che odiava il fumo.

    Lanciava le sue proposte inaspettatamente argute gettando all’indietro, con gesto rapido, una ciocca di capelli conditi con gommina, che ogni tanto gli si scollava dalla testa. L’uomo, che aveva indubbiamente molte qualità organizzative, ma non brillava per simpatia, contrastava in modo indecente con l’aspetto della persona per cui lavorava.

    L’effetto era talmente stridente che a Dania si arricciava la pelle.

    Alla fine si stipulò il contratto. Lowell, con la freddezza di un uomo d’affari, aveva una luce glaciale nello sguardo che contraddiceva l’offerta generosa da Dania intravista nei fogli posati sulla scrivania.

    La sgomentava la facilità con cui il Gatto sapeva entrare, di volta in volta, nel personaggio adatto alla circostanza. Adesso stavano trattando d’affari e lui aveva indossato una veste idonea all’occasione.

    Una nuova performance?

    Oppure la sua capacità camaleontica di interpretare i momenti della vita?

    Lowell volle assicurarsi il soggetto senza dover essere legato a royalties ma fece inserire, dall’avvocato e amico Frank Ingraam, una clausola che la impegnava a seguire il lavoro durante la sceneggiatura e la realizzazione del film.

    Che dispiacere, non sognava altro!

    Dania firmò, con una sensazione simile a un giro in deltaplano ‒ un misto di euforia e di vertigine ‒ i quattro fogli e tutte le copie che le posero sotto il naso, rassicurata anche da Claudio che assentì, dopo aver esaminato attentamente ogni riga.

    Lei avrebbe accettato qualsiasi condizione, e con qualsiasi clausola, pur di vedere realizzato il suo sogno. Ma doveva pensare anche a Luca che, essendo assente, avrebbe valutato la cosa senza la sua emozione.

    Il pensiero di Luca le tolse anche l’ultimo rimasuglio di vertigine.

    Partirono di sabato con la prospettiva, per Dania, di dover ritornare entro la fine del mese per lavorare alla sceneggiatura.

    Lowell intendeva puntare sul Natale e, conoscendo la sua proverbiale mania di perfezione, le dissero, avrebbero iniziato per tempo.

    Nel salutarla, il Gatto la prese in disparte e le pose tra le mani una dorata scatoletta di cartone con tanti fori. All’interno, due scoiattoli con un minuscolo fiocco rosa la femminuccia e uno azzurro il maschietto.

    Per la tua piccola... le sorrise, si chiama Viola, vero?

    Dania annuì ringraziando commossa.

    Quando ritorni porta anche lei!

    Poi, abbassando la voce: È terribile come te?

    Terribile? ...io?... chiese sbarrando gli occhi, sorpresa.

    Beh, non sei andata sul soffice, con me! disse fingendo una contrarietà che era ben lungi dal provare.

    Oh, già, è vero, scusami! Dovevo, invece, aprire una finestra del novantottesimo piano, preoccuparmi di spargere una manciata di chiodi sul marciapiede e dirti: ‘Prego, dopo di lei’.

    Jay rise. I suoi denti brillarono. Ero arcistufo delle pressanti e ripetute proposte del mio manager. A volte è proprio soffocante. Mi spreme come un limone... si giustificò. Con una luce ironica nello sguardo, le sussurrò: Sono stato veramente, hmmm... stronzo, vero?

    Dania strozzò un sorriso. Con quell’espressione, il Gatto era disarmante in un modo commovente.

    Non lo avrei mai espresso in quei termini ma devo dire che hai reso perfettamente l’idea!

    Jay scoppiò in una risata spontanea scoprendo denti candidi e regolari. Poi, quasi volesse cancellare l’istante di intimità, sussurrò frettolosamente: Torna presto!

    Di colpo il suo sorriso si spense come se gli avessero tolta la spina e, con la fronte aggrottata, si allontanò senza più voltarsi, lasciando Dania stupita per quella nuova interpretazione: da personaggio di un copione scritto solo nella sua immaginazione.

    Sprofondata nella poltroncina dell’aereo, Dania riviveva gli ultimi giorni. Soddisfatta di come si erano aggiustate le cose. La stuzzicava, e la incuriosiva, la complessa personalità di quell’uomo che soleva nascondersi in un mare di controsensi, bizze e atteggiamenti imprevedibili.

    Certamente un interessante materiale di studio. Anche se, e Dania se ne rendeva conto, sarebbe stato molto più facile scalare la cima dell’Annapurna in Nepal che le difese che Lowell ergeva fra lui e il mondo esterno. Sembrava volesse, in ogni modo e con qualsiasi mezzo, scivolare fuori dai problemi, per rifugiarsi in sogni realizzati e no. Pareva che l’importante, per lui, fosse gabbare la realtà.

    Dal sedile a fianco le giunse il respiro profondo di Claudio. Si era addormentato.

    Il bel profilo assumeva, nel sonno, un che di antico.

    L’Ermete di Prassitele.

    Alzò le spalle. Peccato! Solo uno stupendo astuccio pieno di... di vuoto!

    Con il passare degli anni, il giovane ed esuberante amico era diventato quel perfetto involucro colmo di se stesso.

    Tornò a guardare attraverso il finestrino.

    Nuvole nere si radunavano a un lato del cielo sotto di loro, quasi volessero prendere una rincorsa. Presto si sarebbe scatenato un temporale. Loro, sopra, potevano scorgere il sole che tingeva di un bel colore aranciato il top di quelle nuvole spesse.

    Le piaceva sorvolare la panna montata e osservare, fra gli squarci, lembi di terra dove le varie città sembravano ammassate a mucchietti come foglie secche da un giardiniere meticoloso.

    Era capace di starci una vita con il naso appiccicato contro il vetro a rubare immagini, ad assaporare ritagli di sogni.

    3

    Malpensa. Mentre si salutavano, Claudio le tenne la mano più del necessario. Dania la sfilò con un filo di imbarazzo lisciandosi il vestito più stropicciato di una coppia di adolescenti tornati da una gita in campagna.

    Fuori l’aspettavano Luca e Viola... e Pulce.

    La piccola le si abbarbicò al collo con una stretta da wrestling insospettabile in una bimba di tre anni. Pulce, nell’entusiasmo, le fece scendere una smagliatura fino alla caviglia. I suoi guaiti raccontavano di abbandono, trascuratezze, torture. In pochi secondi la sua elegante mise e il suo aspetto avevano assunto quello di un’esploratrice appena uscita da una jungla.

    A malapena, riuscì a sedersi in auto, che fu subito sotterrata dai due cuccioli decisi a non perderla d’occhio per evitare un’altra fuga.

    In quel momento si congratulò con se stessa per non aver scelto un San Bernardo o un Terranova quale compagno di giochi di Viola.

    Allora? com’è andata? la voce di Luca si fece strada fra tutti quei riccioli neri e peli fulvi.

    Non poteva andare meglio, bofonchiò mezzo soffocata.

    Spostò cane e figlia da un lato e gli sventolò sotto il naso il contratto con spillato l’assegno, badando a tenerlo lontano dagli aguzzi dentini dello yorki.

    Il fischio eloquente di Luca commentò la cifra. Caz... mmm... caspita! e ti hanno anche già pagato?

    Già, e per evitare di essere vincolati a royalties hanno preferito acquistarsi il soggetto e il trattamento. Io ho accettato subito, dopotutto per me è un inizio.

    Alla faccia dell’inizio! Ma chi è questo qui? Kasoggi? È una cifra astronomica. Non ha, certo, speculato.

    Lo penso anch’io. Tacque pensierosa. Poi soggiunse con entusiasmo: E non è finita qui! Dovrò tornare per la stesura della sceneggiatura e collaborare alla realizzazione. Ci pensi? Vogliono la mia consulenza! Con tutti quei nomi famosi, vogliono la mia consulenza. Se non fosse che l’idea mi eccita da matti sarebbe da crepare dal ridere. Sarà un’esperienza unica. E, inoltre, il che non guasta, sarò retribuita di conseguenza.

    Luca si rannuvolò. Devi tornare in California… un’altra volta?

    Non so se sarà in California... dipende... Forse la stesura della sceneggiatura, si farà lì, ma le riprese non so... Perché?

    ...

    C’è qualcosa che non va?

    No........ niente!

    Fingeva indifferenza ma la nuvoletta nera incombente sulla sua testa lo tradiva clamorosamente.

    Dania alzò le sopracciglia per replicare, poi, invece, rinunciò tentando di appianare la situazione un po’ arricciata: Con questa cifra possiamo risolvere tutti i nostri problemi, non ti pare? lo sbirciava attraverso i riccioli di Viola.

    Boh... commentò lui, lasciando la frase penzoloni come un trapezista spompato.

    Nella vettura calò un pesante silenzio disturbato solo dal rumore del traffico sulla tangenziale-est.

    La fronte corrugata del marito, seminascosta dalla massa di capelli castani, incupiva ancor più gli occhi scuri. Le mani nervose serravano il volante. Le nocche si sbiancarono.

    Siamo alle solite! si disse Dania, scostando dolcemente Pulce che le si era infilato sotto le braccia.

    Suo marito era sempre stato di temperamento difficile. Con un umore mutevole quanto i colori di un semaforo impazzito.

    Molte volte, il più delle volte, lei non era in grado di capire il motivo dei suoi mutamenti. E, forse, neanche lui se li poteva spiegare.

    Quando quei silenzi plumbei calavano fra loro era come se, di colpo, si trovasse immersa nella spessa nebbia dei Navigli, dove si fa fatica a riconoscere anche se stessi.

    Momenti quelli in cui desiderava scappare, e non importava dove, non importava con chi. Poi passava, e tutto tornava come prima. Con lui stava perennemente su un’altalena.

    Andarsene? Liberarsene?

    Era legata a lui. E non per il sottile filo d’oro che le stringeva l’anulare sinistro, né per il residuo di un amore.

    Vincolata forse dall’abitudine? O dal coraggio di affrontare un dovere? Oppure viltà, paura del cambiamento? Forse il timore del salto nel buio, dell’ignoto, la teneva costantemente lì, con lui?

    Voleva evitare di far soffrire la figlia? Oppure Viola era solo un alibi per non essere costretta a scegliere, per non assumersi la responsabilità di una decisione?

    Sbirciò nuovamente Luca.

    Sospirò. Anche lui un artista! Come quelli che l’avevano preceduto nel suo cuore.

    Accidenti agli artisti! Individui egoisti e ricercatori che volendo esplorare se stessi, finiscono con il vivere SOLO di se stessi. E mettendoci anche una grande forza centripeta nel portare tutto verso il proprio nucleo e va a finire che, in questo vortice, non resta posto per nessun altro. Esisteranno certamente delle eccezioni ma Luca non è proprio fra queste.

    Ormai si poteva considerare abituata al suo nervosismo forse dovuto a quella persistente tortura a cui si auto-sottoponeva mentre era in crisi creativa come spesso diceva lui.

    Aveva imparato ad aspettare che sbollisse da sé. Difficilmente lei usciva vittoriosa dalle discussioni, pertanto, molto meglio eluderle.

    A un tratto si ricordò del regalo di Lowell e, facendosi strada fra gli umidi baci di Pulce, che l’aveva scambiata per un gelato alla fragola, estrasse la scatoletta dorata dalla capace borsa.

    "E questi sono per il mio pasticcino-di-cioccolato, da parte di Jay Lowell."

    I gridolini di gioia della piccola, palesemente felice del dono, ingelosirono Pulce, ma riuscirono a diradare i fumi addensati nell’abitacolo e, con grande sollievo di Dania, lisciarono anche la fronte aggrottata di Luca.

    4

    Le settimane si susseguirono nella banalità del vivere quotidiano. Dalla California non le giungeva alcuna notizia. Cominciava a preoccuparsi.

    La fine del mese era passata e stava terminando anche quello corrente. I giorni si susseguivano in un lento strip-tease del calendario.

    Nella ZipZap Magic, c’era tensione e le care amiche con sorrisi comprensivi in bocche rettangolari, le ventilarono che "spesso tutto si può risolvere con l’acquisto del soggetto che viene, poi, regolarmente messo in naftalina e bla, bla, bla. E, non essendo Eta Beta, finire in naftalina" non la poteva certo rallegrare.

    Comunque, visto l’entità della somma versata dalla Lowell Corporation, tentò di recuperare dal cestino le sue speranze accartocciate.

    Finalmente, quando meno se l’aspettava, arrivò la telefonata di Richard Pitt, il manager-palla, che la convocava in California.

    In agenzia scoppiò la febbre pre-partenza. Dania aveva, come limite massimo, una settimana per organizzarsi.

    Si sentiva tesa come la catena di un cane da guardia in azione.

    Sommersa da abiti, scarpe, creme, spazzolini, ascoltava con un orecchio Zinnia che le faceva le solite raccomandazioni: ...stavi mandando tutto a puttane con il tuo caratterino... le stava dicendo, cerca questa volta di essere un filo più diplomatica.

    Dania conosceva Zinnia e decise che l’unico modo per farla smettere di stressarla era non darle corda. Continuò a riempire le valigie di cose superflue che poi, in un saggio ripensamento, ritoglieva per riporle di nuovo nei cassetti.

    ...lo sai che abbiamo fatto miracoli per farti avere un abboccamento con lui! È tanto difficile quella checca! Zinnia imperversava e Dania si morse la lingua per non ribattere. Non sopportava che formulasse giudizi gratuiti su una persona che nemmeno conosceva.

    ... e lo sai che il trattamento iniziale che hai subito non è niente al confronto di quello destinato a un mio amico che voleva pubblicare una sua biografia? fece una pausa cercando di richiamare l’attenzione di Dania.

    Beh, lo ha preso per il culo due anni e poi non se ne è fatto più niente!

    Allora vedi che il ‘caratterino’ è servito a qualcosa?

    Già, vabbé... qui ci sono i biglietti, la guardò sollevando le sopracciglia sottili. In culo alla balena, Dania, e fammi sapere!

    Uscì incrociando Luca.

    Hai preparato le tue valigie, Luca? Dania aveva parlato con la testa nell’armadio.

    Le valigie...???

    Dania emerse fissandolo: Sai quelle cose rettangolariiiiiiii... tutte piene di abitini e giacchetteee... con delle rotelline sottoooo... e un laccio per trascinarle? Hai presente?

    Scema. Rise.

    Vieni anche tu, no? Viola ne sarebbe felice.

    Come faccio con tutto il lavoro che ho? replicò Luca.

    Rimandalo per una settimana... Dipende solo da te, dopotutto! Anche solo una settimana...

    Vedremo...

    Vedremo, che cosa? Forse sarebbe il caso che ti decidessi una buona volta, visto che ho già i biglietti! Dania era irritata e vicina a una scossa tellurica.

    Va bene, va bene, non incazzarti, vengo... disse Luca, insolitamente conciliante.

    Si dovevano sistemare anche le bestioline della piccola.

    Non potevano portarle con loro in giro per alberghi. E, quello, non era certo il problema più grosso: Pulce e gli altri animaletti li avrebbero affidati, come al solito, a Marika, la mamma di Claudio. Il problema grosso fu Viola che, non volendosi separare da loro, aveva infilato, in un momento di distrazione dei genitori, Pulce, gli scoiattoli e la tartaruga nella sua valigetta dei giochi rivelatasi inspiegabilmente pesante e... rumorosa.

    Li tolsero traumatizzati, mezzo soffocati ma, fortunatamente, ancora interi.

    Finalmente, tutta la famiglia partì con un bel carico di bagagli.

    Dania vibrava come un diapason e Viola, influenzata dall’emotività della madre, continuava a chiacchierare e a saltellare come una pallina da tennis. Il continuo cicaleccio della piccola le impediva di pensare e, forse,

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