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Il meccanico di Nuvolari e altri personaggi di genio
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Il meccanico di Nuvolari e altri personaggi di genio
Ebook147 pages1 hour

Il meccanico di Nuvolari e altri personaggi di genio

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Dieci racconti. Dieci storie da raccontare.
C’è il meccanico che salva il Campione dalla sconfitta (racconto vincitore del Premio Cesare Pavese 2018, sezione narrativa inedita - medici scrittori), il pugile suonato che abbandona per una volta i panni della vittima sacrificale, il funambolo che non vuole camminare sul filo e altri personaggi che svelano il loro essere geniale: da perdenti abituali, ribaltano la situazione e affermano la loro sostanziale vittoria, alla conquista di nient’altro che di se stessi e di un armonico spazio vitale.
Dieci storie per un esordio letterario sorprendente che parla la lingua di tutti coloro che hanno sempre tifato per quel genio del Coyote.
LanguageItaliano
Release dateApr 19, 2019
ISBN9788868673758
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    Il meccanico di Nuvolari e altri personaggi di genio - Paolo Pisi

    (2014).

    INTRODUZIONE - CANZONI E RACCONTI

    Ho cominciato scrivendo canzoni. Ero adolescente al tempo in cui essere adolescente significava pensare di avere qualcosa da dire al mondo. Io lo facevo con le canzoni, con le mie band adolescenziali, quando ancora si suonava dal vivo. Prima delle basi, prima del karaoke, prima del liscio, prima delle cover band e delle tribute band.

    Anzi, ho smesso di scrivere canzoni quando non aveva più senso farlo: nessuno faceva più suonare band che proponevano canzoni «originali», così adattammo il nostro repertorio fino ad arrivare alla scaletta attuale con brani di Cochi e Renato, Jannacci e Gaber (perché va bene fare delle cover, ma bisogna avere un po’ di soddisfazione...).

    Un giorno di qualche anno fa, al Festivaletteratura di Mantova, andai a sentire uno scrittore irlandese che aveva appena pubblicato un romanzo in cui narrava vita, gloria e declino di una band lungo venticinque anni di storia.

    «Perbacco!» pensai «Anch’io ho una band da venticinque anni!».

    Così cominciai a scrivere il mio romanzo.

    Ma essendo la band ancora in attività (il nostro attuale slogan è, parafrasando Jannacci, «30 anni senza mai andare a tempo») quel romanzo non è ancora finito.

    Successe un’altra cosa.

    Un mio collega mi invitò a collaborare alla sua band. Questa band ha due caratteristiche: suona esclusivamente per beneficenza e porta in giro uno spettacolo, «900 goodbye», dove canzoni originali sono inframmezzate da letture e dalla proiezione di slides.

    Sollecitato dal leader, mi rimisi alla prova per contribuire con qualche canzone allo spettacolo. Di nuovo «Perbacco!». Videro così la luce alcune nuove canzoni, dopo più di vent’anni dall’ultima che avevo scritto.

    Ma quei testi non bastavano: erano delle storie in embrione che chiedevano di essere raccontate, così nacquero alcuni racconti.

    Scrivere un racconto da una canzone ha i suoi vantaggi, primo fra tutti il fatto che la struttura è già pronta, con l’inizio, lo sviluppo e la fine della storia: basta approfondire qui e là, perdersi un po’ via come ad inseguire dei pensieri e poi rientrare per la conclusione.

    Certo, però bisogna prima scrivere la canzone. E non è in fondo un’operazione banale.

    E ancora più complicato è scrivere una canzone partendo da un racconto, perché una canzone ha le sue regole, il suo ritmo, i suoi accenti, i suoi confini di battute e devi concentrare mille parole in due strofe e un ritornello.

    Fui poi messo in contatto con l’Associazione Medici Scrittori Italiani che, con mia sorpresa ma enorme gratificazione, apprezzò come scrivevo - tanto da commissionarmi una storia per un’antologia di racconti di guerra e di pace - e mi incoraggiò a continuare, suggerendomi al contempo di inviare qualche opera ad alcuni Premi Letterari.

    È successo così che una canzone è stata selezionata come finalista nella sezione poesia del Premio Cronin e che un racconto ha vinto un premio ancor più prestigioso, il Premio Cesare Pavese, nella sezione narrativa inedita-medici scrittori.

    Quel racconto viene recensito, finisce sulla stampa locale e comincia ad essere apprezzato, tanto che mi vengono chieste letture pubbliche.

    Nasce così l’idea di mettere a punto un reading da presentare nei Circoli o nelle Associazioni Culturali: si leggono alcuni racconti e si suonano - dal vivo, con la band - le canzoni che li hanno originati.

    Il reading si chiama «Canzoni e racconti: dalle canzoni nascono racconti, dai racconti nascono canzoni».

    E, ancora con mia grande sorpresa ma profondo orgoglio, la formula funziona benissimo, tanto che si stanno moltiplicando le repliche.

    Non tutte le canzoni però diventano racconti, nè tutti i racconti diventano canzoni.

    Ma è giusto così: canzoni e racconti non sono la stessa cosa, anche se qualche volta nei loro percorsi possono fare un pezzo di strada assieme.

    In questa raccolta ci sono i racconti nati da una canzone e quelli che forse un giorno diventeranno una canzone. C’è anche un pezzettino del romanzo che ho cominciato a scrivere sulla mia band che poteva funzionare come una storia a sé.

    Perché, in fondo, occorre avere una storia da raccontare...

    È il mio primo libro. Spero davvero che vi piaccia!

    Buona lettura!

    Paolo Pisi

    Il meccanico

    di Nuvolari

    IL MECCANICO DI NUVOLARI

    Mi chiamo Decimo e… no, non ho nove fratelli più grandi… mi chiamo Decimo e ho una storia da raccontare.

    Faccio il meccanico, aggiusto i motori e, lasciatemelo dire, sono un mago. E poi sono veloce, ho il colpo d’occhio e quello che io chiamo, modestia a parte, «il genio», ovvero la capacità di adattare quello che trovo a quello che mi serve.

    È un dono.

    Tutti noi abbiamo dei doni ed è quello che almeno in qualcosa ci fa essere più bravi degli altri.

    Una volta che scopri qual è il tuo dono sei a posto, perché ringrazi di essere il migliore a fare quella cosa e, con umiltà, accetti che tutti gli altri siano più bravi di te nel resto, ognuno con una sua eccellenza.

    Io sono bravo a fare il meccanico.

    Mi sarebbe piaciuto fare il pilota. Certo, so guidare auto e moto e ho la sensibilità di capire cosa non va in un motore dal suono che fa, così lo aggiusto e lo riprovo per sentire se quel rumore è diventato musica.

    Ma non sono capace di fare il pilota, quello che vince le corse perché è più bravo degli altri a guidare, quello che ha il dono del pilota.

    Conoscevo uno che aveva quel dono, era nato anche dalle mie parti. E lui aveva capito che io avevo quell’altro dono, quello del meccanico, così abbiamo fatto un pezzo di strada assieme.

    Oddio, a dire il vero, di strada ne abbiamo fatta tanta, chilometri su chilometri reali, perché a quei tempi le corse non erano tutte in un circuito lungo solo qualche chilometro, ma si andava di città in città. Senza tanti box se si spaccava la macchina. Così pilota e meccanico erano talvolta tutti e due a bordo, con un borsone coi ferri minimi per le riparazioni improvvisate lungo la strada: uno guidava e l’altro, se necessario, riparava quello che si rompeva.

    Ma dicevo che avevo una storia da raccontare…

    Anno il 1931.

    Il mio amico, quello col dono del pilota, viene da me in officina.

    Io lo so che è il più forte, lo ha già fatto annusare con le moto, ma adesso vuole essere il primo anche con le macchine.

    Lo conosco fin da bambino, fin da quando suo zio lo mise su una motocicletta per la prima volta.

    Aveva appena smesso di avere paura. E la paura lui l’aveva conosciuta: aveva una fifa blu dopo aver preso un calcione da un cavallo cui si era avvicinato troppo, nella sua incoscienza di bambino.

    Bene, da quel giorno tutto lo spaventava: un trauma infantile, come lo chiamerebbero oggi, che poteva davvero compromettergli tutta la vita. Ma suo papà e quel suo zio la sapevano lunga.

    Da giovani erano stati due buoni ciclisti e a correre in bici ci vuole coraggio, non si può avere paura; così il padre lo portò dove c’erano i cavalli e buttò una moneta di grande valore proprio lì in mezzo. «È tua se la riuscirai a prendere!», disse il padre.

    Quel bimbo prima scappò via - aveva anche riconosciuto il cavallo che lo aveva colpito - protestando e strepitando quasi fino alle lacrime, ma il padre riuscì a farlo sentire così mortificato che qualcosa scattò e così cominciò ad avvicinarsi alla moneta già semisepolta tra i garretti dei cavalli.

    Finte, controfinte, scatti, blocchi… dribblò come nemmeno Mumo Orsi aveva fatto mai, schivando calcioni ed entrate da dietro, sembrava danzasse quasi col suo corpicino filiforme.

    Ma alla fine, sporco in faccia e nel corpo come uno spalatore, afferrò la moneta lanciandosi in scivolata nell’unico attimo in cui l’equino lasciò aperto un varco, poi rialzandosi corse fuori dal recinto. In quel momento smise di aver paura. Per sempre.

    Ripulito, lo zio lo caricò sulla sua moto sul sellino anteriore; salì dietro e gli disse: «Adesso vai!».

    Come dicevo, quel giorno del 1931 - agosto, me lo ricordo bene; un caldo schifoso come solo noi della bassa conosciamo, coi vestiti che si appiccicano addosso, tanto più se hai una tuta da meccanico incollata sulla pelle - arriva in officina. Ha un’aria strana, che non gli conosco.

    Mi racconta che l’ha chiamato l’Enzo e gli ha offerto una macchina della sua scuderia per fare un circuito locale. Da quanto ne so l’Enzo è un tipo un po’ strano, che nessuno ha messo ancora bene a fuoco; so che fa

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