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Ti racconto una storia
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Ebook152 pages2 hours

Ti racconto una storia

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About this ebook

Questa è una storia che nasce e termina nello stesso giorno, all’interno della quale, si dipanano le vicende di tre generazioni. Nella prima parte c’è la tragedia della guerra e la voglia di ricostruzione del dopoguerra, visti dalla parte della gente comune. Persone che vivono privazioni, paure, ma anche amore e impegno. Quando manca anche il necessario, l’essere umano tira fuori risorse che non immaginava di possedere, condivide con gli altri il poco che ha. Il benessere sembra allontanare la solidarietà. La seconda parte si svolge ai giorni nostri, con i problemi comuni a molti e termina nello stesso giorno in cui è iniziata la storia: il 31 dicembre 1999. Vi è venuto il dubbio che si tratti di due racconti? Non è così perché, alla fine, scoprirete cosa lega le due parti di questa storia.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateNov 27, 2018
ISBN9788827857526
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    Ti racconto una storia - Laura Renzi

    giornata.

    PRIMA PARTE

    CAPITOLO 1

    ROBERTO

    1949

    La giornata di giugno era calda, Roberto, dopo aver attraversato piazzale Jonio, si avviava verso casa percorrendo via di Valle Melaina.

    Non c’era alcun soffio di vento e dalla strada sterrata si alzava una lieve polvere, che sporcava le sue scarpe marrone scuro.

    Erano il primo paio di scarpe civili che aveva potuto comprare, dopo la fine della guerra.

    Era una bella sensazione percorrere quella strada conosciuta, dove i segni lasciati dalla guerra erano ancora evidenti e vedere le finestre delle case aperte, per fare entrare aria e sole.

    I giorni in cui si viveva nelle case con le finestre sbarrate era, finalmente, un ricordo.

    Cominciava, finalmente, a essere cosciente che le bombe non cadevano più, che quando suonava una sirena non si doveva correre a nascondersi nel rifugio più vicino e che gli abiti civili erano gli unici che avrebbe dovuto indossare. Giurò a se stesso che non avrebbe mai più messo una divisa.

    Eccolo là, sulla destra, il rifugio: l’apertura alla base della collinetta sembrava l’ingresso di una grotta, ma la storia raccontata non aveva nulla di avventuroso.

    Nei lunghi anni della guerra aveva rappresentato la casa, la salvezza, per qualche ora oppure per una notte intera, per tutti gli abitanti della zona. Alcune persone ci lasciavano addirittura qualche oggetto, quasi per definire gli illusori confini di quella che, si fingeva, fosse un’altra casa.

    Nelle lunghe ore trascorse lì dentro si parlava, le donne si portavano qualche lavoro da fare, ci si stringeva, senza dirlo, gli uni agli altri, per esorcizzare quella paura che attanagliava le viscere, che faceva sperare di sentire la sirena del cessato allarme, contenti di essere sopravvissuti ancora una volta, ma con l’angoscia di scoprire cosa era successo fuori.

    Qualcuno, al ritorno a casa, trovava pareti crollate, mobili caduti o qualche persona cara, che non aveva fatto in tempo a ripararsi, morta.

    Ora, dove era ancora presente l’apertura della grotta, avevano costruito una specie di grande portone di legno, forse per dimenticare, ma tutti gli abitanti della zona ogni volta che passavano davanti, non potevano fare a meno di girarsi a guardare quell’ingresso con la tristezza negli occhi.

    Dalle finestre aperte delle case, che affacciavano sulla strada, giungevano musica e aromi di pomodoro e basilico; questi erano proprio i segni della voglia di vivere, che sembrava esplodere nell’animo della gente.

    Per Roberto, invece, come per tutti quelli che, come lui, avevano lottato per la libertà perdendo la gioventù o la vita stessa, era stato difficile reinserirsi nell’ambito civile, che lui aveva lasciato soltanto sei anni prima; ora, a venticinque anni, si sentiva estraneo a quel giovane di diciannove, che era stato arruolato a luglio del 1943.

    Nello spazio di quei sei anni c’erano decenni, secoli, vite intere.

    C’erano uomini morti, uccisi davanti ai suoi occhi in modo atroce, amici perduti nello scoppio delle granate; c’erano innocenti che avevano perso la vita, famiglie che erano morte per la fame e gli stenti, bambini che non erano sopravvissuti all’infanzia, per le malattie causate dalla denutrizione. Seguendo i suoi pensieri, si accorse di essere arrivato a casa, si fermò davanti al portone del palazzo, dove abitava ancora con la sua famiglia.

    Si fermò un attimo a osservare gli otto piani e il ricordo tornò a quando, ormai militante nella resistenza con le forze alleate, tornava di nascosto a casa per portare qualche razione di cibo.

    Più di una volta era capitato che, nonostante tutte le precauzioni, qualche spia avvertisse la milizia fascista.

    Sua madre, allora, lo faceva uscire velocemente nelle scale, da dove lui saliva di corsa sui tetti dell’enorme complesso e, mentre lei intratteneva con aria umile e dimessa i temibili agenti, lui scavalcava i muretti che dividevano i terrazzi di ogni singola scala e arrivava sulla strada parallela alla sua, dove scendeva nella via e, dopo essersi accertato che nessuno lo stava aspettando, si dileguava nel buio.

    Oggi, a due anni dall’uscita dall’ospedale, dove era rimasto dal 1944, stava lentamente tornando a vivere, ma dentro di lui si stava facendo strada sempre di più la necessità di aiutare i più deboli a risalire la china, di combattere le ingiustizie e le sopraffazioni.

    Voleva sentirsi, nella sua vita un granellino che, insieme ad altri granellini, avrebbe formato un macigno di amore e di solidarietà.

    Mentre attraversava la strada vide sua sorella, che parlava con una vicina, quando la vide girarsi verso di lui, richiamò la sua attenzione con un cenno della mano: <> la salutò sorridendo.

    <> gli rispose lei <>

    Risero insieme mentre si avviavano verso casa.

    Attraversando il cortile, Roberto staccò un fiore da un cespuglio e, quando entrarono in casa, andò alle spalle di Caterina, l’abbracciò sollevandola da terra mentre lei protestava e le porse il fiore:

    <>.

    Lei gli sorrise mentre Ginetta li osservava, erano così diversi: lui alto, moro così elegante e lei così minuta, con i capelli grigi legati in una treccia arrotolata sulla nuca. Entrambi possedevano quegli occhi incredibilmente azzurri, che esprimevano quello che avevano nel cuore, tra loro esisteva un legame speciale.

    Si misero tutti a tavola, sembravano di nuovo una famiglia, anche se il posto del papà era vuoto.

    Caterina aveva chiesto a Roberto di sederci lui, come figlio maggiore, ma lui non aveva voluto:

    <>

    Quel giorno a tavola erano in cinque, perché due fratelli erano al lavoro; guardarono con ansia l’insalatiera piena di pasta condita con il pomodoro e profumata con il basilico, pensando che non sarebbe bastata a saziare la loro fame.

    Caterina versò la pasta nel primo piatto e, con una leggera esitazione, lo porse a Roberto.

    Lui sorrise e guardò Ginetta, che sorrideva anche lei, avevano capito il significato di quel gesto: Caterina serviva sempre il marito per primo, ed in questo modo voleva dimostrare al figlio il suo rispetto.

    Roberto aveva preso da sua madre la dolcezza e la fede nelle proprie convinzioni, era un amore profondo il loro, lui per quella piccola donna avrebbe dato la sua vita e lei avrebbe sempre potuto contare su di lui.

    Mentre bevevano una tazzina di caffè, Caterina gli chiese: <>

    <>

    <> chiese sua madre.

    <>

    <> chiese lei.

    <>

    <>

    <> sorrise Roberto <>

    <>

    CAPITOLO 2

    CATERINA

    Dicembre 1943

    Caterina camminava veloce, si guardava intorno per accertarsi che nessuno l’avesse vista uscire dalla casa.

    La strada era deserta, ma per sicurezza tagliò per le vie minori e raggiunse rapidamente Piazza Ungheria.

    La sua ansia era aumentata dal fatto che, quel giorno, il suo referente l’aveva incontrata velocemente in giardino, giusto il tempo necessario per consegnarle il messaggio, la lista dei destinatari e le istruzioni.

    Generalmente questi incontri avvenivano in una stanza dell’appartamento, al riparo da sguardi indiscreti e lei aveva il tempo necessario per nascondere il materiale, ma gli ultimi eventi li avevano costretti ad accelerare i tempi, così lei doveva raggiungere velocemente la sua casa, nascondere i messaggi, usare le solite precauzioni e mettersi in viaggio.

    La sua attività di staffetta consisteva nel consegnare i messaggi ai destinatari, nascosti nei casolari in varie località della Sabina.

    I soldati americani, giunti a Roma da un paio di mesi stavano mettendo su un gruppo di resistenza ai nazifascisti.

    Tra loro c’erano molti disertori, soldati che non si erano ripresentati dopo l’otto settembre e sulla cui testa pendeva il rischio dell’esecuzione, se arrestati.

    Di questi faceva parte anche Roberto, il suo adorato primogenito, con cui condivideva anche la lotta per la libertà.

    Era immersa nei suoi pensieri e scrutava la strada davanti a sé e non si accorse dell’uomo che la superò e le sbarrò il passo.

    Era un soldato tedesco che, con modi bruschi, le stava chiedendo il nome ed i documenti.

    Il cuore sembrava volerle saltare fuori dal petto, mentre cercava un modo per uscire da quella situazione, tanto imprevista quanto pericolosa, pensando all’elenco che aveva con sé.

    Alzò lo sguardo verso di lui, fingendo di non aver capito, mentre il soldato ripeteva la domanda in modo più aggressivo e in quel momento incontrò lo sguardo molto vivo di una donna bionda, che era alle spalle

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