Musicoterapia: Ritratto di una professione
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Musicoterapia - Marzia Da Rold
tendiamo.
I - Sentire
LA MUSICA CHE SIAMO
C’è un tempo molto lontano in cui pensavo che la musica fosse solo un’arte da esibire, anche se questo pensiero era soltanto frutto della convinzione comune e condivisa del mondo intorno a me, da cui mi sentivo profondamente lontana e verso cui percepivo il distacco totale. Ho iniziato ad ascoltare, ascoltare davvero, ho iniziato ad ascoltarmi ed ho sentito che io stessa ero una musica che suonava, continuamente. Ho percepito dei suoni farsi strada dentro di me, vibrazioni che avevano continuamente vita e che non smettevano mai di risuonare. Si adattavano alla mia vita, anzi, la mia vita era in quegli stessi suoni, e ne riproduceva il ritmo, la melodia, le vibrazioni lunghe e cristalline come luce bianchissima.
Ho cominciato a sentire musica intorno a me, nelle persone che mi circondavano, ad individuarne la qualità sonora, la pulsazione, ed immediatamente comprendevo quale potesse essere il loro sentire, la qualità delle emozioni, dei pensieri, la vibrazione particolare della loro anima. Era così facile sapere con chi poter stare o non stare, comprendere la sintonia armonica di una persona con un’altra e ovviamente con me. A volte mi sono ingannata, o piuttosto mi sono forzata nel volere a tutti i costi risuonare con qualcuno o qualcosa che fin dal principio sapevo distante dalla mia musica, o ancor più totalmente dissonante. A volte ho percepito la bellezza straordinaria della musica di un’anima, una totale connessione, un’unità così forte che niente e nessuno ha mai potuto cancellare. Non so se il corpo che risuonava di questa musica ne fosse consapevole, o se la sua bellezza era talmente grande da diventare per se stessa insostenibile…
Ho capito che la mia musica rimane quella, sempre. Assume delle variazioni, dei cambi di tonalità, si costruisce dei ritornelli, modula la sua struttura, accelera, rallenta, aggiunge o toglie degli strumenti, insomma fa la sua strada e così deve essere. Ma rimane sempre se stessa. Posso fare il giro del mondo per cercarne un’altra se per un motivo o per l’altro non mi piace più, ma alla fine è sempre lei che in qualche modo mi trova. Assume forse un timbro diverso e mi rassicura che è giusto che le cose si evolvano, ma mi dice anche che non devo avere paura della vibrazione della mia anima, perché quella musica è ciò che sono.
Anche se si nasconde in istanti di buio può squarciare il velo del dolore e dargli una forma che può essere riconosciuta. Arrivano risonanze che mi riportano a lei, ed attraverso di lei posso cogliere il suono sottile di ciò che mi vibra accanto. Ed è la mia storia di vita.
IL RITMO SEGRETO DELLE COSE
C’è un ritmo che associamo alla musica, che incornicia le note, che si compone di strutture stabili nello spazio e nel tempo, che ci fa muovere braccia e gambe, che ci insegnano a seguire per rispecchiare la cadenza regolare del tempo. In modo spontaneo o forse goffo possiamo comprenderlo intellettualmente e rispecchiarlo nel nostro corpo, lasciandoci guidare da un impulso esterno per poi farne esperienza. E c’è un ritmo che ci appartiene indistintamente, che pulsa flessibile, inafferrabile, nella vita. E’ il ritmo naturale, segreto, che abita in noi, in tutti gli esseri e in tutte le cose. E’ ciò intorno a cui gravitiamo, è un andare e venire, un’ondulazione intimamente radicata nelle nostre cellule. E’ nel cuore di respiri, battiti, forme, direzioni, pensieri, movimenti: siamo noi.
Il ritmo è l’oscillazione periodica intorno ad un centro. Il gioco della vita è lasciarci cullare intorno a questo centro, dove né passioni, né emozioni, né oscurità, né illusioni ci possono toccare. Lì è il nucleo del nostro essere, continuamente pulsante. È chiarezza cristallina, equilibrio, stabilità, armonia. Consapevolmente o inconsapevolmente, siamo continuamente coinvolti in quei ritmi a noi esterni a cui la vita e le sue necessità contingenti ci costringono o ci inducono, sequenze irrigidite in strutture, movimenti costanti nello spazio e nel tempo che spesso sono estranei a noi, al nostro ciclo vitale unico ed essenziale. Entrare nel nostro ritmo naturale è seguire pienamente un moto naturale. E’ fiducia, flessibilità, autenticità che dovremmo poter vivere in modo autenticamente libero, non costretto, quasi inconscio. E’ il nostro porto sicuro, da cui veniamo e a cui ci orientiamo. E’ essere ancorati ad un centro stabile di equilibrio attorno al quale oscilliamo continuamente. Ritrovarlo è ricomporci nella nostra prima cellula pulsante che è stata il nucleo della nostra vita, continuamente vibrante e in movimento, e che nel suo sviluppo si è trasformata in chi siamo.
La Vita pulsa, si incammina verso il suo sviluppo a cicli, mentre l’essenza delle cose si manifesta progressivamente, stabilisce il suo divenire, il suo essere.
Il ritmo è nell’essenza delle cose. La nostra pulsazione si interseca continuamente con miliardi di pulsazioni che attraversano natura e l’universo, e ad esse è indissolubilmente legata. Anche nella relazione tra le persone, come nella relazione tra i fenomeni: quando percepiamo questo ritmo comune siamo interamente e reciprocamente connessi ad uno stesso centro, che può renderci partecipi gli uni con gli altri, interagire nei pensieri, collaborare nelle azioni, sperimentare o comprenderci nei medesimi sentimenti, aspirazioni, aneliti di vita. Sfuggire a questa comunanza ci rende estranei, diffidenti, separati.
Quando studiavo pianoforte ero spesso soggetta ad una profonda frustrazione dovuta ad un’imposizione innaturale del suono in me, i miei ritmi sconnessi con altri ritmi forzati, distanti, quasi soffocanti. Ora, che un po’ più saggia riesco a riconoscere il ritmo che mi abita, ho maturato anche la capacità di fluire nei ritmi delle musiche che incontro con uno sguardo meno condizionato, come se fosse possibile penetrare nella loro pulsazione segreta per unificare le mie risonanze con le risonanze di tutti quelli che già le hanno vissute, suonate, composte prima di me.
E questo è un processo vitale incessante nonché fondamentale in Musicoterapia, dove la costante attenzione a cogliere il ritmo interno dell’altro in un ascolto continuo è quell’arte che fa da sfondo ai processi trasformativi, perché ciascuno possa riconoscere ed esprimere se stesso e incontrare il mondo.
Vivere ritmicamente significa onorare la verità e confidare umilmente in un centro ideale; perché senza questo centro ideale nessuno riesce a stabilire una relazione autentica con se stesso o con il mondo che lo circonda