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Come viandanti
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Come viandanti

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About this ebook

Attraverso l'espediente letterario della riscoperta di due quaderni anonimi da parte di uno zelante archivista, si raccontano la vicenda umana ed il profilo psicologico di Matteo.

Egli è un un ragazzo del Duemila, appassionato di filosofia e del superomismo nietzchano a cui è dedicata un'operetta filosofico-morale che occupa la prima parte del libro.

Nella seconda parte, sono riportate invece le piccole e grandi difficoltà quotidiane e le riflessioni del protagonista, annotate diligentemente in forma di diario.

In compagnia della sua amata che rimane sullo sfondo di tutta la narrazione, Matteo risponde progressivamente alla chiamata ricevuta fin da bambino alla conversione del cuore, ritrovando la sua fede e le "somme speranze", quel traguardo di pace per molti anni agognato e capito solo dopo un lungo viaggio di riconciliazione con Dio.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 21, 2019
ISBN9788831612784
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    Book preview

    Come viandanti - Marco Calabrese

    EPILOGO

    PROLOGO

    Rovistando tra i materiali d’archivio con l’intenzione solerte di liberare spazi per le nuove proposte editoriali, ho posato fugacemente lo sguardo su una coppia di quaderni congiunti da una cordicella annodata a fiocco. Da un’ispezione più attenta, i testi risultavano anonimi e fascicolati dal precedente collega con dicitura Errores in iudicando.

    Incuriosito dalla scoperta, nell’ozio delle pause pranzo consumate frugalmente presso un piccolo desco nascosto nel labirinto delle scaffalature, fingendo forse uno zelo ed una dedizione al lavoro che non mi appartengono, mi sono immerso nella lettura. Scavando a poco a poco nel pensiero di questo Matteo e del suo Zarathustra ho tratto un tesoro di insegnamenti che trovo quanto mai attuali, soprattutto in questo tempo di crisi, al punto che è sembrato opportuno alla nuova direzione di questa pia casa editrice, su mia insistente segnalazione, portarli all’attenzione di un pubblico più vasto.

    Prese separatamente, sono due storie incompiute, con livelli narrativi e registri diversi, ripiena di suggestioni tragiche ed aforistiche la prima, autobiografica e maggiormente prosaica la seconda. L’operetta filosofico-morale iniziale è dominata dalle ombre del dubbio e dal buio della ragione, buio trafitto però da una luce di riscatto che si delinea poi, per chiaroscuri e cromature improvvise, nel resoconto successivo. Forse per questo ed a causa dell’omonimia del personaggio ritratto, questo racconto mi richiama alla mente il quadro caravaggesco della vocazione del santo pubblicano. Visti infatti insieme, l'uno come completamento dell'altro, come due atti di una medesima storia, assumono un significato più alto da cui traspare un lungo cammino di conversione di un ragazzo del Duemila, Matteo appunto, amante della filosofia e della vita.

    Non aggiungo niente al pensiero dell’autore ignoto, se non queste poche parole che, insieme ad una breve appendice, ne costituiscono una ben modesta cornice, chiedendovi di non giudicare pregiudizialmente, ma di guardare piuttosto con semplicità ed interesse ai pensieri ed i moti d’animo che queste pagine vorranno suscitarvi.

    L’archivista

    "Tuttavia per commiato ti do questo insegnamento, o folle: dove non si può più amare, bisogna PASSARE oltre!

    Così parlò Zarathustra e passò oltre la grande città ed il folle." F. Nietzsche

    ARCHÈ

    EPIFANIA

    A mezzanotte dell’Ultimo Giorno, un urlo profondo scosse la terra, ed il cielo della terra. La vita, assonnata e stanca, ebbe un sussulto; presa da terrore disperò, ma, dopo un attimo, richiuse gli occhi, perché anche la disperazione affatica.

    Ma dal silenzio che seguì si levò una voce, non umana, e disse: "Io sono Zarathustra, io sono il nunzio dei nuovi rivolgimenti, il filo che si disbroglia da solo, io sono un colui che viene dopo. E Zarathustra rise della sua fierezza e aggiunse rivolto a levante: Vedete, la freschezza dell’alba non sempre aiuta il risveglio, eppure io sono un messaggero di leggerezza.

    Io sono un vento del mattino che arriva e come ogni vento trascino le vecchie polveri e porto notizia di cose nuove; io sono una freccia del desiderio di creazione scoccata contro il domani; io sono un’armonia di suoni sconosciuti e di note mai udite; io sono un torrente che precipita per poter tornare all’elevatezza delle sue sorgenti; io sono un’aquila che vede lontano e che dove non può vedere immagina secondo la sua fantasia: ecco, in me c’è grande desiderio di volare e precipitare e, lì dove non riesco a farlo, di danzare sulle ali di uno spirito nuovo, lo spirito di leggerezza. Quel demone è risorto con la morte dell’ultimo dei vecchi dei. Quel lamento era infatti la passione di un dio morente; lo colse la mia vista negli ultimi attimi di agonia. Era vecchio e barbuto e con la fronte corrucciata al comando e consumato dal troppo amore per gli uomini. Un amore che non aveva saputo guardare al di là del peccato e della penitenza. Ora il suo viso copriva la terra, le sue dita graffiavano il terreno, quasi a voler scongiurare la fuga di un’eternità. Ma tutto ciò che vola e che danza liberamente non vuole conservarsi perché, in realtà, ama la terra ed il senso della terra; quel dio invece non sapeva volare".

    La folla ascoltava stupita quando un tale, all’apparenza un timorato di Dio, lo interrogò: Tu vieni da chissà dove a parlarci di leggerezza mentre il nostro Buon Pastore e Giudice è morto senza eredi. Chi erediterà ora il gregge? È risaputo infatti che un gregge senza guida facilmente si disperde ed ogni pecora vaga senza principio per la sua strada. L’interrogato rispose: Ognuno per la sua strada. Così sia! e congedò la folla, che già la sicumera del suo cuore si tramutava in dubbio.

    Ognuno per la sua strada? È forse veramente giunto il tempo dell’individualità?. Così dubitava nello spirito e per molte lune non mostrò il suo viso che ai luoghi desolati in cui abitava.

    Questa fu l’Epifania di Zarathustra.

    L’OSTERIA

    Era lungo il cammino di ritorno alla sua fresca spelonca quando sopraggiunse alla città di Mucca Pezzata, che già tempo addietro aveva avuto modo di conoscere. Un’atmosfera frenetica fluiva per le vie ed i viottoli e la gente vi camminava a testa bassa. Intanto sopravanzò l’imbrunire, sicché Zarathustra decise di ricoverarsi presso un’osteria per prendere congedo dalla sua stanchezza; sentiva infatti ancora addosso il peso delle sue parole e gli sguardi inquisitori della folla.

    Mentre onorava in disparte un pasto frugale adatto al suo stomaco di uccello, un uomo, ubriaco, gli rivolse sguardo e parola: Salute a te, genio del male! Sei tu il grande assassino: l’uccisore di Dio? Sconvolgesti tu i disegni divini e te ne prendesti gioco? Infinitamente grazie! Ci hai regalato un motivo per poter compiangere, altro pane per la nostra fame, e dolci lacrime per la nostra sete: in verità, tu hai allungato la nostra esistenza.

    Ma Zarathustra fulminò con gli occhi il suo interlocutore e ribatté: "Sciagurato poeta! Chi ti ha concesso tanta stoltezza di lingua? Le tue parole hanno il sapore dell’amaro veleno; ancora è lontano per te il tempo in cui passerai il ponte delle future speranze. Tempo fa scesi tra di voi e mi accoglieste come si accoglie un predicatore, e cioè nell’indifferenza. Portai fra voi l’idea di un’esistenza superiore, di un sentire più alto perché era già giunta alla mia mente notizia della morte di Dio: questo più alto sentire lo battezzai oltre-uomo. Ma voi faceste di tutto per zittirmi e coprire di fango i miei pensieri. Demonizzaste il superuomo e così credeste, nella mediocrità, di quietare il senso della terra. Io vi dico che gettaste solo limo per le mie sementi; così, quando, dopo un altro periodo di isolamento, ridiscesi fra voi, vinsi anche l’ultimo dei miei peccati e, con esso, il sentimento di peccato stesso: superai la compassione per i miei figli. Le mie vecchie battaglie sono ora ricordi di trionfi, ma adesso occorre che dipani qualcosa di diverso dal tramonto verso l’oltre-umanità. Occorre che mi affoghi nel senso delle mie parole, che avverta, anche su ogni mia infima fibra, quale profondità nasconda la frase senso della terra. Il dubbio della mia parola, alla quale presto fede incalcolabile, mi è ancora di scrupolo".

    L’ubriaco rimase inebetito da tale eloquio; Zarathustra invece, riassettate le vesti, andò a riposare le membra.

    Mentre il sonno prendeva lento dominio del suo corpo, un pensiero fece capolino al suo cuore e volò incosciente nel mare della memoria, con la spossatezza mista a spensieratezza di chi si addormenta: In verità, grandi passi ha compiuto l’Umanità verso il suo Oltre: anni fa mi avrebbero deriso; ora in loro c’è un po’ di odio e molto rancore. E si addormentò.

    LE ESEQUIE DI DIO

    L’indomani, tutto era pronto per il grande rito funebre nel ricordo della morte di Dio. Nelle chiese si respirava un’aria stantia ed il caldo umido di quella pianura opprimeva ancor più della calca disordinata della folla che si ammassava in quei luoghi.

    Zarathustra, cui la curiosità precedeva sempre il pensiero, si confuse tra la gente e queste furono le parole che udì da uno degli officianti: "Fratelli, voi avete udito lo schianto del Divino sulla nuda terra e, giustamente, ne soffrite. Ma avete visto le Sacre Membra? Il vostro occhio ha incrociato il Suo, spento? No, non potete averlo fatto perché Lui non è carne, né membra, né occhio, né voce. Quello che avete udito è stato il grido di vergogna delle vostre anime. E come potreste veramente sentire Lui? Non ha ragione di meditare, nella Sua infinita bontà, il giusto compenso per anime ottusamente disperse e cioè l’apparente momentaneo abbandono, la prolungata lontananza? Effimera è diventata la vostra esistenza: non si è più capaci di soffrire, né di gioire completamente, ma si scelgono tanti piccoli godimenti momentanei e si prolunga di attimo in attimo, con fare zoppicante, una vita che non va al di là dell’oggi e dell’immediato domani. È grande la stupidità di chi, di fronte alla possibilità di scegliere tra l’incertezza del momento e la sicurezza dell’eternità si faccia sviare verso la prima dagli istinti più blandi ed animaleschi; ma Dio vi chiamò ad essere animali? Vedete: la Rivelazione è e resterà un mistero di Grazia scolpito nei caratteri dell’imperscrutabile; certamente essa si pone come assurdo, ma lo fa per vincere un’assurdità più forte che è la contingenza della nostra parentesi terrena.  Che senso avrebbe se i nostri ricordi, dai più intensi ai più leggeri, il nostro quotidiano tirare avanti, i nostri affetti fossero tutti destinati a richiudersi in un nulla che è buio, inconsistenza e oblio? Che senso avrebbe costruire, affaticarsi, scoprire nel mondo se poi, di tutto questo, non tornasse niente in nostro favore? Ecco, io vi dico: tutto questo abominio si può evitare; ma per farlo occorre un gran salto e questo salto si chiama Fede!".

    Zarathustra avvertì un brivido lungo la schiena e inorridì. Voltosi verso l’uscita, scappò via per raggiungere il più presto possibile i suoi monti.

    IL RICOVERO

    A sera, giunse affamato alla nascosta spelonca; qui i suoi animali lo accolsero muovendogli molte domande: Zarathustra, solida roccia, stanco è il tuo volto e preoccupato. Quale potente scalpello ha scalfito il tuo animo bronzeo?. Ma Zarathustra non faceva motto e, inabissatosi nei suoi pensieri, pose a sedersi su uno sperone di roccia al limitare della caverna.

    Gli uccelli, il serpente e l’aquila non osarono avvicinarvisi, solo il suo cane gli si accucciò davanti e sembrava interrogarne gli enigmi del cuore guaendo e fissando con i suoi grandi occhi queruli quelli del suo fedele compagno. Ed egli ricambiò, distratto e dubbioso insieme, carezzandone il muso e lasciando che quello gli leccasse le dita intorpidite; e lacrime cominciarono ad irrigare il suo volto. E più carezzava, più copioso e liberatorio scendeva quel fiume di dolcezza e sconforto finché, casualmente, una lacrima cadde vicino ad una formica operaia che quasi ne annegò. Questa, rivoltasi furente verso l’alto, profferì: Sciocco di un essere che sei! Se mi fosse concessa la tua grandezza, userei più riguardo per le mie lacrime!, e se ne andò. 

    Zarathustra però rimase colpito e disse a sé stesso: Vedi, anche la più insignificante creatura giustamente ti deride; essa infatti, pur nella sua piccolezza, ha espresso inconsapevolmente un desiderio: quello di essere grande come me. A questo punto balzò in piedi e disse raggiante come un bambino: È questo ciò che sconfigge l’assurdo: il desiderio! In ogni desiderio c’è un Io che vuole creare per sé, c’è un volere nuovo che si impone e dove c’è volere o desiderio, lì c’è il riso ed il riso accompagna ogni leggerezza. L’assurdo finisce là dove inizia il nostro modo di vedere, di capire e di trasformare il mondo. E chi altri se non il proprio Io è responsabile del senso che per noi ha tutto ciò che ci circonda?. Il suo volto si schiarì e ritornò a lumeggiarvi il sorriso; quindi disse al suo cuore: Buona pesca ha fatto oggi Zarathustra. Eppure, di quel soffio vitale che turbolento agita le profondità della mia anima ancora non carpisco che l’esteriorità, le briciole e la mia sete non è mai pienamente placata!.

    Così parlò Zarathustra.

    DELLA CATTIVERIA CHE LIBERA

    Una sera, mentre il cuore contento godeva, vicino ad un fuoco, il frinire delle cicale, Zarathustra notò delle ombre che s’ appressavano alla sua capanna e soavemente disse loro: Se il pudore non vi impedisce di mostrare i vostri volti, accostatevi al fuoco: anche lui è mio amico ed ospite!. Quando i riflessi sanguigni rischiararono un po’ quei lineamenti, Zarathustra vide e si emozionò; poi, ricomponendosi riprese con voce metallica: Invero vi aspettavo da tempo, miei figli! Vi ho svezzato che eravate neonati, ma non vedo ancora fili di barba sul vostro viso. Eppure siete belli così come vi avevo desiderati, belli come vostra madre Terra. Poi, chinato il capo fra le ginocchia, assorto come chi ha paura di pronunziare parole troppo grandi per la sua anima, continuò: "Tutte le cose eternamente cambiano; ogni giorno che passa canti diversi

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