Autismo. Comprendere la persona autistica
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Autismo. Comprendere la persona autistica - Susanna Battipede
633/1941.
INTRODUZIONE
Un modo di pensare alternativo.
E’ il senso di questo libro. Comprendere la persona autistica significa comunicare in modo differente ma anche un modo di pensare alternativo.
La comunicazione rappresenta un valore fondamentale, un diritto di tutti, affinché possa esserci un armonico sviluppo cognitivo, relazionale ed emotivo della persona.
Il presente lavoro nasce proprio da un’analisi del valore della comunicazione
Le persone che non possono parlare rischiano di sentirsi escluse, anche se oggi abbiamo una chance in più, perché siamo a conoscenza di altri sistemi di comunicazione, che possono essere usati in casi di assenza di linguaggio verbale.
In questo libro vengono messi in risalto i punti più importanti del disturbo autistico.
Verranno presi in considerazione gli aspetti generali, evidenziando qual è la vera condizione che vivono quanti si trovano a dover affrontare tali problematiche.
Vengono ripercorsi e approfonditi importanti ricerche, condotte da autori importanti quali: Kanner e Asperger, che hanno analizzato i deficit centrali dell’autismo, e gli studi di Lorna Wing sulla triade, che insieme ad alcuni suoi collaboratori, cercò di mettere a fuoco la qualità di questo disturbo specificando tre tipologie differenti quali: riservato; passivo; strano.
Si prenderà in considerazione la Teoria della mente e gli studi condotti da Uta Frith, tra le più autorevoli studiose al mondo, per le sue significative ricerche in campo autistico.
Il tema legato alla Teoria della mente sta a significare, una mente in grado di leggere tra le righe, di andare oltre, soffermandosi su uno schema mentale, che è proprio quello che manca alla persona autistica e che va ad influenzare altri fattori quali: l’identificazione delle intenzioni e la comprensione del linguaggio figurativo.
CAPITOLO 1
AUTISMO E SOLITUDINE
Il requisito indispensabile per un professionista che lavora
nell'autismo è molta immaginazione, e la capacità di mettersi
nei panni della persona affetta da autismo, perché le persone
affette da autismo hanno un pensiero diverso dal nostro, e un
buon professionista deve essere in grado di calarsi nel loro
modo di pensare. Quanto più noi riusciamo a metterci nei
panni della persona affetta da autismo, tanto più riusciamo a
capire i motivi dello stress e dei problemi di comportamento,
e quali sono gli ostacoli che li causano e come rimuovere
questi ostacoli: solo facendo così, mettendoci il più possibile
nei panni della persona affetta da autismo, possiamo fare un
piano educativo veramente individualizzato e su misura".
Theo Peters
1.1 L’osservazione di Kanner
Kanner fu il primo che cercò di dare una definizione più appropriata e
precisa al termine autismo. Era il 1943, e le sue ricerche lo portarono ad individuare, a studiare le caratteristiche e i sintomi più evidenti per cercare di dare un’identità all’autismo. La sua osservazione era rivolta a pazienti con disturbi dell’età evolutiva e si concentrava principalmente sul comportamento che lo portarono a trarre conclusioni significative, valutando un certo numero di bambini che si presentavano con sintomi particolarmente enigmatici e di cui lo studioso ne evidenziò alcuni tratti, quali:
- un importante deficit nel linguaggio: disturbi nell’espressione
Verbale; area della comunicazione compromessa, con ritardo o assenza dello
sviluppo del linguaggio e della mimica, difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale;
- un evidente e compromessa interazione sociale: con incapacità di stabilire un contatto con le persone e con il mondo esterno, assenza di contatto oculare, un mancato interesse per la condivisione di emozioni ed interessi;
- problemi dell’area dell’immaginazione: oltre alle attività ripetitive, una carenza nell’ambito del gioco spontaneo e repertorio di interessi e comportamenti ripetitivi seguiti da rituali elaborati, movimenti e gesti stereotipati, interessi non modificabili.
Una sintomatologia che fino ad oggi viene presa in seria considerazione, per avere un quadro completo ai fini di una attenta valutazione e per effettuare precisa diagnosi di autismo.
Per fare diagnosi sicura, devono manifestarsi almeno due sintomi specifici
che rientrano a far parte dell’interazione sociale, e uno per ciascuna delle rimanenti due aree, quali: linguaggio e deficit d’immaginazione.
Il dato rilevante è l’età in cui si manifesta la sintomatologia: i primi trentasei mesi di vita sono quelli più importanti. Un disturbo inizialmente di difficile identificazione e con gravi conseguenze d’integrazione nella vita adulta. La caratteristica più rappresentativa e più evidente sottolinea la Frith, (1989), docente di sviluppo cognitivo all’Institute of Cognitive Neurosciences dell’University College di Londra, nonché tra le più autorevoli studiose al mondo, per le sue importanti ricerche sull’autismo, è ‹‹l’incapacità dei bambini di rapportarsi nel modo usuale alla gente e alle situazioni sin dai primi momenti della vita››, (Frith, 1989, p. 9).
La parola autismo deriva dal greco (autòs) e sta a significare se stesso, proprio perché, si evidenziano in maniera esponenziale: isolamento; insofferenza affettiva; difficoltà psico-motorie; assenza dello sviluppo del linguaggio. Coniato da Eugen Bleuler, tra i fondatori della psichiatria
moderna, il quale se ne interessò, definendola: chiusura autistica, proprio per evidenziare, la difficoltà, partendo da considerazioni prese in esame sui soggetti affetti da schizofrenia, verso qualsiasi tipo di relazione sociale. Una chiusura descritta come allontanamento da ogni tipo di relazione.
Comportamenti disturbanti e fortemente disabilitanti, e in tutto questo lo si
può identifica, come afferma Bleuler, anche per soggetti con sindrome autistica, un’importante incontinenza emotiva: manifestazioni di urla, corse senza fine, molto spesso seguita da aggressività, angoscia e terrore.
Il bambino autistico, secondo il punto di vista di Uta Frith (Frith, 1989), ‹‹colpisce chi lo osserva per la sua bellezza incantevole, un po’ da altro mondo. E’ difficile immaginare che dietro quell’immagine da bambola si celi un’anomalia neurologica sottile ma devastante», (Frith, 1989, p. 3).
Sin dalla prima infanzia s’iniziano a notare gli effetti causati