Underworld - Il mondo invisibile
By Manuel Mura
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Underworld - Il mondo invisibile - Manuel Mura
633/1941.
Prologo
Il giovane Daniel tremava non tanto per l'umidità di quel piccolo stanzino che fungeva da prigione quanto per la consapevolezza di essere finito in quella maledetta situazione da cui non era certo d'uscirne vivo.
Nelle due o più ore che era rimasto rinchiuso lì dentro non aveva fatto altro che maledire la sua stupidità. Si era fatto convincere dagli amici a passare la giornata esplorando le fogne e i condotti sotterranei che l'avevano portato fin troppo in profondità.
Mentre lui si era stufato di quella farsa dopo un istante i suoi due amici avevano insistito per continuare l'esplorazione di condotti maleodoranti con solo qualche topo a far loro compagnia. L'avevano apostrofato vigliacco e via dicendo così li aveva seguiti anche perché non sapeva come uscire da quelli che si erano rivelati più di semplici condotti delle fognature.
Nulla confronto a quello che aveva visto dopo. L'aver messo un piede in fallo, su delle travi malferme per attraversare un condotto che non presentava altre possibilità d'uscita, l'aveva fatto cadere per molti metri nell'arco di un attimo. Malgrado le urla di spavento non si era fatto veramente male perché si trattava di condotti di scolo pieni d'acqua che avevano attenuato la caduta. Non di meno si era perso in un condotto sotterraneo, senza più la torcia e separato dai suoi amici, una cosa di cui non aveva sentito la mancanza, almeno all'inizio.
Dopo aver vagabondato per un tempo infinito in quei condotti, illuminati solo dalla fievole luce prodotta dall'orologio da polso, era scivolato nuovamente ritrovandosi in una serie di tunnel che da quel poco che scorgeva non sembravano opera della natura.
Sperando fosse una qualche galleria che l'avrebbe riportato in superficie li aveva seguiti cercando di capire se c'era un'uscita che non aveva trovato. Al suo posto c'era un labirinto di tunnel lunghi e stretti che si intersecavano con altri all'infinito senza arrivare mai a uno sbocco.
Al colmo della disperazione aveva scorto una luce più avanti che sembrava prodotta da una lanterna o qualcosa di simile. Incoraggiato e speranzoso di essere in salvo era corso in quella direzione ritrovandosi in quella che sembrava una modesta stanza scavata nella roccia occupata da sei uomini. Erano vestiti con pochi stracci ma tutto sommato curati e l'espressione che avevano sul volto era di puro stupore.
Prima che potesse solo aprire bocca l'avevano preso e portato in quello stanzino che fungeva da prigione. Ricordava un uomo anziano piccolo e minuto dire che sarebbe rimasto lì fino a nuovo ordine.
E lì era restato fino a quel momento e non era detto ne uscisse mai.
Non l'avevano trattato male ma solo il fatto di essere prigioniero senza prospettive d'uscita gli metteva addosso un'angoscia indescrivibile.
Ripensava ai suoi genitori che si sarebbero preoccupati nel non vederlo tornare e nemmeno voleva pensare al dispiacere che potessero provare se mai ci fosse tornato.
Ma a pensarci cosa voleva quella strana gente da lui? Che male gli aveva fatto?
Nessuno che sapesse, nemmeno li conosceva né sapeva di una simile comunità sotto la grande città metropolitana in cui abitava, anzi con ogni probabilità nessuno ne era a conoscenza. Compreso questo fu certo della fine. Di sicuro non avrebbero mai permesso che uscisse con il rischio di rivelare il loro segreto. Anche se non l'avessero ucciso l'alternativa di passare lì il resto della sua esistenza gli appariva ancora peggiore. Inoltre anche in quel caso non c'era certezza lo trattassero sempre bene anzi il futuro poteva riservargli un destino peggiore della morte. E nessuno sarebbe venuto a salvarlo dato che nessuno sapeva che era lì né dell'esistenza di quella comunità.
Cominciò a tremare sempre più: avrebbe voluto gridare e a dire il vero lo fece. Dopo vari urli si fermò comprendendo che era inutile e doveva rimanere calmo: non ci riusciva.
Doveva morire così giovane o rimanere per sempre prigioniero in quel buco sotterraneo: si sentì disperare.
Maledisse ancora una volta i suoi amici che l'avevano trascinato lì ma soprattutto la sua stupidità nell'essersi fatto coinvolgere in quella follia.
Come la porta si aprì di scatto facendolo trasalire fu certo che la sua fine era giunta: entrò la morte in persona.
La donna della morte
Il giovane Daniel guardò ancora una volta la strana donna appena entrata nel suo alloggio prigione ferma a un passo da lui, sicuro fosse la personificazione della morte.
Era davvero molto alta e molto magra con lunghi capelli bianchi lisci che la facevano apparire più vecchia di quel che il suo giovane e delicato viso diceva. Ma l'attenzione andava subito agli occhi dello stesso colore così vuoti e inquietanti e allo stesso tempo penetranti da lasciarlo spiazzato.
Distolse subito lo sguardo puntando il corpo atletico ma scarno, le cui forme anche se ben fatte erano appena accentuate e non raggiungevano livelli migliori nemmeno nei fianchi. Erano sicuramente meglio le lunghe gambe coperte, come il resto del corpo, dal completo nero semplice ed elegante.
Di sicuro aveva gusto nel vestire dimostrando un perfetto abbinamento di colori come una finezza intrinseca che si scontrava con l'inquietudine della sua figura.
Non portava bastone o altro con cui reggersi e non sembrava nemmeno averne bisogno. La sua postura fiera e compatta la faceva apparire come una donna seria e audace a cui erano sconosciuti sentimenti come indecisione e paura.
Quest'ultima la lasciava agli altri che incrociava trovando terreno fertile nel giovane Daniel bianco in volto e immobilizzato sul posto dal terrore della morte che quella donna suscitava in lui.
Si sentiva come un animale in gabbia che sta per essere mangiato e in quegli attimi che precedono la morte può solo disperarsi nella consapevolezza di non poterle sfuggire.
Lui si sentiva nulla di fronte a quella donna che sembrava una regina.
Era alto il giusto e piuttosto magro con capelli castani tendenti al biondi: corti e ben curati. Aveva occhi verdi scuro e un naso poco più grande del dovuto ma pur sempre accettabile nel viso tutto sommato ben fatto. Non aveva addominali scolpite o spalle larghe preferendo di solito l'ozio alle attività troppo faticose o alle gite fuori programma come aveva fatto stupidamente in quella maledetta giornata.
Tuttavia non trovava giusto morire così giovane e senza aver fatto nulla di male: come vide le mani della donna scivolare sul suo viso fu sicuro della fine. Ma morte non ci fu, sostituta da un contatto gelido che gli mise indosso un'indicibile inquietudine che non sembrava aver mai fine.
Le gelide mani si mossero rapide sul viso per poi passare alla testa e al busto, scivolando solo leggermente verso il basso per poi allontanarsi dal giovane e tornare al fianco della proprietaria.
La donna rimase ferma davanti a lui, immobile come non fosse viva. In effetti più la guardava più le sembrava un morto che cammina e non un essere vivente.
A ogni modo non l'aveva ucciso e questo lo confortò anche se non riusciva a togliersi di dosso la paura ormai entrata nell'animo.
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La sua voce era forte e armoniosa conferendole ulteriore forza d'animo e possanza.
Daniel si sentì soggiogato da quella presenza così forte e terribile.
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La donna non batté ciglio e continuava a fissarlo con quegli occhi inespressivi che allo stesso tempo sembravano scrutarlo dentro.
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Quelle parole gli aumentarono l'inquietudine: tremava come una foglia e non sapeva cosa fare per uscire da quella maledetta situazione. Provò a dire qualcosa ma non uscì che aria dalla sua bocca.
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Daniel cercò di respirare nuovamente e far tornare la ragione e la lucidità in sé ma riuscì solo a stento nella prima delle tre cose.
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<<È il nome che i miei antenati hanno dato a questo luogo, infatti questo è il mondo di sotto, il regno sconosciuto a coloro che vivono in superficie.>>
Questo mise ulteriore paura a Daniel che comprese quanto fosse solo e disperato: nessuno sarebbe venuto in suo soccorso.
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La donna si distanziò leggermente continuando a guardarlo in quel modo che gli metteva indosso un terrore folle. Paura accentuata dal fatto di trovarsi in un mondo sconosciuto e pericoloso: dentro di sé si sentì morire.
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Non riuscì a terminare quella frase, consapevole che la sorte non sembrava aver alcuno sbocco. Tuttavia realizzò quanto appena detto dalla donna.
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Preso alla sprovvista da tale domanda rimase un attimo bloccato per poi parlare tutto di getto raccontando del gioco fatto con i suoi amici e la sua disavventura nelle fogne che l'aveva portato fin lì, dovunque fosse.
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La donna si avvicinò nuovamente facendo scorrere le mani gelide sul volto del ragazzo per poi staccarle subito.
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Il ragazzo cercò di riordinare le idee comprendendo bene che le prospettive di salvezza erano minime.
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La donna annuì. <
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Daniel non comprese ma era certo quella donna fosse dalla sua parte.
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Quelle parole suonavano minacciose ma ora che sentiva di poter contare su di lei anche la paura era molto scemata.
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La donna annuì e al ragazzo sembrò di vedere un piccolo sorriso sul suo volto impassibile.
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Con quelle parole enigmatiche lo lasciò, sparendo alla sua vista come non fosse mai esistita.
In effetti era stata così rapida nell'aprire e richiudere la porta che nemmeno se n'era corto.
Pensò d'averla solo sognata e lo stesso tutto quel luogo non fosse che un brutto sogno però non si svegliava mai.
Rimase seduto a terra a pensare.
L'unica cosa che aveva capito da quella strana donna era di non mentire alle domande che gli avrebbero fatto.
Sperò solo non lo picchiassero o ancora peggio torturassero a morte per estorcergli le parole. A ogni modo era prigioniero e non gli restava che affidarsi a quella donna e sperare lo salvasse: le sue speranze di vita erano rappresentate dalla donna della morte.
Consiglio in guerra
Il consiglio dei Dieci era ormai un nome di comodo dato che di fatto erano sei gli uomini che si radunavano attorno al tavolo circolare fatto di pietra. Gli altri quattro erano morti da tempo e i possibili sostituti sempre occupati come in quel momento così che tutte le decisioni le prendevano quei sei uomini, soprattutto l'anziano Gregory.
Anche se in teoria avevano pari potere in pratica era quell'uomo ancora vigoroso e risoluto a prendere le decisioni più importanti del mondo di sotto, insieme al suo antagonista Victor.
Entrambi erano uomini risoluti e ancora pieni d'energia malgrado l'età ma se nel primo saggezza e caparbietà la facevano da padroni nell'altro predominavano impulsività e testardaggine.
Erano anche molto simili d'aspetto tanto c'era chi diceva fossero fratelli quando in realtà non avevano alcuna parentela, almeno a quel che ne sapevano loro dato che entrambi erano orfani.
Gregory era leggermente più alto di Victor anche se entrambi non superavano la media mentre la corporatura robusta era molto simile. Il primo aveva viso pieno ma ben fatto coperto da una folta barba grigia, dello stesso colore erano gli occhi e i capelli ancora fluenti che crescevano solo in altezza. Victor al contrario ne era quasi privo se non per qualche ciuffo bianco ricciolo sparso qua e là ai bordi del cranio. Il viso era pieno, i tratti marcati e il naso a patata, caratteristiche che non lo facevano spiccare per bellezza ma si rifaceva con gli occhi chiari magnetici che riflettevano la sua grande volontà con cui sapeva imporsi sul prossimo.
Entrambi dotati della stessa risolutezza e carisma erano in perenne disaccordo e il