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22QMashiach - Il Giusto perfetto
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About this ebook

22QMashiach – il Giusto perfetto costituisce il racconto di alcuni momenti della vicenda di Gesù rivissuti, percorrendo i luoghi che hanno visto duemila anni fa la sua presenza e l'avvio della sua missione, attraverso le intime convinzioni ricevute nel cuore da Gabriella Pasquali Carlizzi nel corso dei suoi viaggi in Terra Santa fra il 1993 e il 2010. Non si è inteso certo qui ripetere, con parole diverse, quanto già è scritto grazie all'ispirazione di profeti e santi, e alla dottrina degli studiosi. Ma si è voluto affiancare agli eventi, come sinora conosciuti, la cronaca drammatica e rivelatrice di circostanze non propriamente note, che narrate sotto una luce interamente nuova esaltano ancor più il mandato di Gesù, a volte solenne e a volte semplice, come quello conferito ad un qualsiasi uomo. Anche mediante l'intenso dialogo con il Padre Celeste, con la Madre, con gli amici, con i discepoli, con la gente e, naturalmente, nel riportare gli aspri scontri con Satana. Nei suoi colloqui e nelle sue riflessioni Gesù delinea il senso della missione in Terra d'Israele e pone le basi di quanto lui stesso condurrà, fisicamente presente, presso tutti i popoli senza soluzione di continuità fino ad oggi, allorché è giunto il tempo di scoprire il sito virtuale che nascondeva, custodendoli, i misteriosi rotoli di Qumran che lo riguardano, e finalmente comprendere nella sua pienezza la misericordia di Dio contenuta nel progetto di redenzione iniziato con l'invio del Verbo. Che si realizzerà solo quando "la Parola tornerà a Lui avendo compiuto ciò per cui è stata inviata".
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 18, 2019
ISBN9788831610230
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    22QMashiach - Il Giusto perfetto - Carmelo Maria Carlizzi

    Gabriella

    INTRODUZIONE

    Questo scritto come anticipa il titolo trae spunto dai messaggi di rivelazione ricevuti per la via cosiddetta carismatica da Gabriella, in particolare durante i suoi numerosi viaggi in Terra Santa dal gennaio 1993 al gennaio 2010, per raccontare ancora una volta, in una forma che appare romanzata – ma che romanzo non è – la breve eppur intensissima pagina della vicenda di Gesù che va dalla Domenica delle Palme all’Ascensione, poi quella meno breve della nascita della prima comunità cristiana sino alla conversione di Saulo sulla via di Damasco e quindi quella che vede il dischiudersi della missione di Paolo nel mondo.

    In tale arco di tempo si verifica la maggior parte dei momenti essenziali e fondanti del Cristianesimo, che di lì proseguirà ulteriormente il proprio sviluppo e la propria influenza nel corso dei secoli fino ad oggi.

    Quello che però qui è narrato propone alla religione cristiana quale espressione dell’insegnamento di Gesù Cristo e a quella ebraica quale espressione della Torah – avendo ambedue in comune l’Antico Testamento – quanto si evince dalla lettura dei suddetti messaggi, innestato nella storia da noi conosciuta per mezzo delle Sacre Scritture. E con un esito del tutto nuovo e inaspettato per il lettore.

    Ma questo non attraverso il mutamento delle loro vicissitudini millenarie, bensì nella consapevolezza che Gesù appartiene indissolubilmente al popolo ebraico, così come con la sua nascita diviene cristiano, e nella consapevolezza che la misericordia divina prevede un tempo e una ragione per ogni cosa.

    Altresì tale opera, tramite Gabriella, offre nelle mani di Ebrei e Cristiani la chiave con cui porsi nella convergenza, assieme alle varie fedi religiose, verso un comune cammino teso a raggiungere l’obiettivo della instaurazione del Regno di Dio sulla Terra, con la progressiva e definitiva sconfitta del Male.

    Processo che non potrà mai avvenire senza una rivisitazione della realtà dei fatti allora accaduti e che sono uguali per tutti: Cristiani ed Ebrei intanto. E così pure delle attese ancora in essere. Mentre le due fedi continuano ad avere certezze e attese totalmente differenti. Contrasti che non si conciliano con il piano di Dio, che è uno ed uno solo per ogni uomo e popolo, e che ha individuato sin dal principio negli Ebrei il popolo eletto, ma attraverso l’ebreo Gesù l’elezione dei Cristiani e poi degli uomini di tutte le religioni ad un’era nuova di Giustizia.

    Lo scritto, il cui fine era quello della redazione di un soggetto di base per un film o per una serie di episodi televisivi da sottoporre all’attenzione di produttori e registi, man mano che procedeva ha visto delineare il suo impianto con le caratteristiche di un vero e proprio racconto, quello che è appresso sviluppato.

    I distinti messaggi, o brani di essi, ricevuti da Gabriella in circostanze diverse, hanno suggerito una loro aggregazione e collocamento nella dinamicità di una narrazione che non è storica in senso stretto, ma che alla storia si rifà proponendo scene, ambienti e personaggi, e ad essi legandosi in un tutt’uno che in una serrata drammaticità va a illustrare l’inizio dell’Era Cristiana, e altresì a istituire, con un salto di duemila anni, oggi le basi di una Nuova Era di pace e di giustizia.

    22QMashiach – Il Giusto perfetto è il coronamento dell’intento di diffusione che Gabriella avrebbe fortemente voluto realizzare, ma che era stato interrotto dalla malattia e dalla sua scomparsa a Roma l’11 agosto 2010. Si riprometteva infatti di divulgare taluni di quei messaggi che per la loro specificità sapeva che dovevano essere conosciuti subito dall’intera umanità. Nel curarne il riordino, ne ho presi in considerazione molti, condensandoli poi nel racconto che costituisce la presente pubblicazione.

    La sigla 22QMashiach è strutturata in conformità a quelle usate dagli studiosi per catalogare rotoli e frammenti di rotoli: 22 è il numero sequenziale assegnato al sito in cui sono state trovate le giare contenenti i rotoli di cui si dice nel libro e che erano lì riposte da duemila anni, Q indica che si tratta di rotoli recuperati a Qumran, Mashiach è Messia in ebraico e dice che sono scritti attribuiti al Messia.

    22 sta naturalmente qui a significare un sito virtuale, ben diverso dagli altri 11 scoperti dall’aprile 1947 ad oggi dai pastori beduini, i cui reperti ivi rinvenuti sono tuttora studiati da archeologi e scienziati. Ma pur sempre una grotta e pur sempre un luogo segretissimo per la custodia di documenti preziosi, sino a quando il Signore ha ritenuto i tempi ormai maturi perché fossero portati alla luce e ne fosse svelato il loro contenuto.

    Luoghi, percorsi, distanze, comparse, usanze, e quant’altro concorre alla cosiddetta scenografia, sono nel libro liberamente assunti e trattati, e non vogliono essi rappresentare fatti e realtà storiche, poiché sono solo funzionali all’inserimento dei messaggi nella dimensione a cui fanno riferimento.

    Carmelo Maria Carlizzi

    PARTE PRIMA

    I LA SOLITUDINE

    II LA CONVALESCENZA

    III IL COMPLOTTO

    IV LA MISSIONE

    V BETLEMME

    VI LA PASSIONE E LA CATTURA

    VII IL PROCESSO E LA CONDANNA

    VIII LA VIA DOLOROSA E LA CROCIFISSIONE

    IX LA DEPOSIZIONE

    X IL SEPOLCRO

    XI DA BETANIA A QUMRAN

    XII IL PROGETTO DEL PADRE

    I

    Un uomo coperto di polvere percorreva spedito il sentiero sassoso che in salita, allontanandosi dalla fascia piana e verdeggiante dei campi che costeggiano il Mar Salato, porta poi su verso Qumran non appena giunti in prossimità delle rocce imponenti che annunciano la congiunzione con il Deserto di Giuda. Nella sinistra stringeva le briglie di un asinello grigio assai carico e con la destra si appoggiava ad un lungo bastone. A tracolla la bisaccia e alla cintola la borraccia dell’acqua.

    Proveniente da Betania e dopo un giorno di cammino, per osservare se era stato seguito aveva deviato trascorrendo la notte nelle vicinanze di Gerico. Al mattino confondendosi fra le gente che si recava al mercato o al lavoro, si era rimesso in viaggio cambiando di proposito più volte direzione.

    Aveva lasciato la strada principale e il Mar Salato era ormai alle sue spalle. Passo dopo passo si addentrava fra le prime frange del deserto montuoso segnate in più punti da grotte.

    In un attimo di sosta per una lunga sorsata di acqua, scostando il lembo del copricapo che scendeva a proteggere il viso dalla sabbia sollevata dal vento e volgendo lo sguardo alle costruzioni in cima alla rupe di Qumran che incombevano a strapiombo dalla parete anteriore, fissò in particolare alcune finestre che sapeva appartenere alla casa ove abitava la persona che doveva incontrare e che gli pareva quasi di intravedere affacciata. Si volse indietro per accertarsi che anche se solo in lontananza non vi fosse alcuno che procedesse nella sua stessa direzione. Nessuno lo stava seguendo.

    Richiusa con cura la borraccia il viandante si rimise sollecito in cammino come chi ha un compito importante da svolgere, ma anche pensando alla cena che sicuramente avrebbe gustato a sera dopo il suo arrivo.

    Dalla finestra di un edificio in cima a quella rupe si godeva tutt’attorno di una natura dai forti contrasti. Da lassù la montagna con le sue propaggini si distendeva nel deserto che avvolgendola si interrompeva di colpo nei campi rigogliosi che da sinistra correvano sino a Gerico, mentre di fronte e da destra raggiungevano il Giordano e lo specchio del Mar Salato. Ma la vista si perdeva sconfinando molto al di là, sino alla catena dei monti Abarim fra i quali si distinguevano il Pisga e il Nebo dominanti il territorio di Ruben.

    Una figura d’uomo, alta, con i capelli sciolti sulle spalle e indosso una lunga veste candida di lino, stagliandosi davanti alla finestra scrutava all’esterno quasi accarezzando la natura sottostante. I suoi occhi su quel paesaggio che sembrava immobile si andarono a fermare sull’uomo che andava procedendo in salita per il sentiero assieme al suo asinello. Lo riconobbe, era Barnaba, stava venendo per incontrarlo.

    «Maestro!…», esclamò la voce discreta di qualcuno che si era affacciato sulla soglia della camera.

    L’uomo si girò: era Gesù!

    «Maestro, sta arrivando Barnaba che tu attendevi, lo hanno visto poco fa avviarsi per la salita che conduce qui, arriverà circa all’ora nona…».

    «Sì, l’ho visto anch’io», rispose Gesù, «penso di andargli incontro fra poco».

    «Ma sei tanto debole, Maestro, aspetta almeno che arrivi alla porta di Qumran».

    «Sei davvero buono, Ariel, ma non ti dare pensiero, ormai sto molto meglio, e camminare mi gioverà, e poi non uscirò subito».

    «Maestro ti prego, prendi l’asino, lascia che lo selli…».

    «No, stai tranquillo, non mi stancherò e sento che anzi il vento mi farà bene. Non mi allontanerò molto, l’asino non serve proprio».

    Dopo aver guardato di nuovo Barnaba che però stava sparendo dietro una curva, Gesù si diresse al tavolo posto nel centro della camera dove c’era sopra ben aperto un rotolo su cui prima stava scrivendo. Si sedette e rilesse quanto aveva appena scritto.

    Voglio qui raccontare la mia solitudine, poiché fu quella e solo quella la vera croce per la quale il Padre mio non permise che coloro che pure di me avevano preso tutto, tutto l’amore che diedi senza limite, soddisfacendo l’incredulità che diveniva fede, seppur pronta a crollare al primo dubbio, soddisfacendo la curiosità che rallegrava i cuori e infondeva la speranza, non permise che costoro continuassero ad avermi fra loro.

    Io ero perfettamente consapevole, a volte, di essere considerato come un mago e non certo come il Figlio di Dio Onnipotente e operante attraverso la mia fede.

    Ecco, furono i comportamenti di quanti dicevano di amarmi che costruirono la croce della solitudine, e da quella croce io sarei scomparso verso Cieli Nuovi e Terre Nuove. Per lenire le piaghe e il dolore di tanti, e per provocare ovunque l’ira di Satana, al pari di quanto era avvenuto sino ad oggi nella mia terra natale. Per predicare non dei peccati che pur offendono Dio ma che si originano dalle fragilità dell’uomo di fronte alle insidie di Satana, bensì dei peccati di coloro che inchiodano i propri simili sulla croce della solitudine, poiché costoro non vedranno mai la luce del Signore e di certo tra i morti dell’Inferno proveranno la solitudine di Dio.

    È solo questo il peccato che porta l’Agnello sulla croce, poiché si giunge a lasciare un’anima nella solitudine quando non si ascolta, quando non si è umili, quando si approfitta, quando si è accecati dall’egoismo, dalla sopraffazione, dalla indocilità.

    Questi gli effetti che si scatenarono a causa della solitudine in cui fui lasciato, poiché per quanto recassi i segni della sofferenza per le estenuanti lotte contro Satana, nessuno mi risparmiava, nessuno rispettava il mio raccoglimento, ma tutti chiedevano, ciascuno per sé, tutti volevano da me ciò che invece avrebbero dovuto darmi.

    La solitudine fu il mio vero martirio, la mia vera passione, non furono le offese, le flagellazioni, e lo dissi chiaramente che quel sacrificio che avrei sopportato lo offrivo sì per l’intera umanità, ma precisai che questa offerta era anche per loro, i miei Apostoli, per i loro peccati, i peccati che di lì a poco avrebbero commesso.

    È vero, io ero esangue e il mio spirito di vita apparve lontano dal mio corpo lacerato, e si sentenziò così la mia morte terrena, e quella fu la mia seconda condanna a morte, mentre mia Madre, nel suo cuore, sentiva ancora caldo il mio corpo. Fu lei l’unica a credere che il Figlio di Dio, generato per opera dello Spirito Santo, non sarebbe morto senza aver compiuto il suo stesso mandato, per il quale il Padre Celeste volle dargli sembianze umane per i poveri di spirito.

    Come si era potuto pensare che il Padre mio avrebbe permesso la mia morte? E se davvero il mio risveglio fu resurrezione perché mai non proseguii la mia missione terrena condividendola con il mio popolo e con coloro che si erano mostrati fedeli al mio insegnamento?

    Quanti dei miei Apostoli credettero veramente che il Figlio del Padre era ancora tra di loro, al punto da cercarmi ovunque, tanto da chiamarmi, da sollecitare nei più increduli quello che avrebbe potuto rigenerare la fede e la speranza, proprio come quando si cerca un tesoro?

    Nulla di ciò si verificò, ed io me ne andai in altri luoghi, attraverso infiniti deserti, tanta fu la mia solitudine quando constatai che erano appena trascorse poche ore da quella che apparve come la mia morte e già ci si consolava per il tempo a venire sicuri che un giorno comunque sarei tornato prima del giudizio del Padre mio.

    Io non me ne andai mai, ma fu come se fossi morto poiché tutti si allontanarono dalla mia presenza fisica, quella non serviva più, e nulla compresero che nel mio saluto vi era solo e soprattutto la consapevolezza della solitudine in cui sarei stato lasciato.

    Quando spezzando il pane dissi Farete questo in memoria di me, l’unica spiegazione che fu data, pur nella sofferenza, fu quella della ormai inevitabile morte fisica, nessuno mi concesse in un atto d’amore la possibilità di proseguire altrove la mia missione e mai fece su di sé quello che lasciai come l’insegnamento più sublime, Farete questo in memoria di me, e chi mai offrì se stesso come accettai io sulla croce, ricordandosi il mio martirio?

    Io volevo dire: Resistete, non cedete, fatevi martoriare come tra poche ore faranno a me, poiché coloro che si saranno riconosciuti come me, figli dello stesso Dio, non moriranno, e il corpo tornerà ad essere Pane della Vita, alimentato dal Vino, dal Sangue rigenerato da un atto di fede straordinario.

    Ma chi mai comprese il mio invito applicandolo su di sé, chiedendo ad alta voce, al tribunale che condannò me, ai giudici, al popolo: Ed ora mettete tutti noi sulla croce, poiché noi siamo in lui e lui è in noi?

    Chi dei miei Apostoli, dei miei discepoli, del mio popolo, manifestò l’offerta sacrificale di sé, dopo la mia apparente morte? Nessuno! E allora, non era forse venuto il tempo – e dissi chiaramente È giunta l’ora – che io cercassi nel mondo terre fertili per il messaggio d’amore che venni a portare sulla Terra, e non certo per poi morire e abbandonare la speranza altrui?

    Io dissi: È giunta l’ora. E dissi: Qualcuno di voi mi tradirà. Subito si pensò come unica conseguenza alla mia morte, non si sospettò nemmeno che il comportamento di ciascuno, totalmente inadeguato al grande dono della mia presenza, avrebbe orientato altrove i miei passi per volere del Padre mio.

    Nessuno pensò che quelle mie parole di commiato potevano e dovevano indurre in loro una rivisitazione spirituale che ponesse una domanda: Forse io non merito più di condividere perfino la mensa con il Maestro?. O anche: Forse è stanco di me, della mia inettitudine, e vuole andare in altre terre?.

    No, l’egoismo umano accecò gli occhi e gli spiriti, come se il Padre mio e dell’umanità avesse concepito la mia venuta sulla Terra per soddisfare un solo popolo e di questo popolo la poca fede – semmai fu vera fede – di un pugno di uomini!

    E il resto dell’umanità che colpe aveva per restare orfana della mia presenza fisica? O al massimo per essere chiamati alla fede della mia presenza mediante la commemorazione simbolica dello spezzare il pane?

    Eppure una creatura prediletta, in futuro, nell’intero corso della sua vita terrena, si domanderà: Ma se Dio nella sua onniscienza sapeva che tutto si sarebbe svolto in modo così tragico, perché lo ha permesso? In fondo era suo Figlio!.

    Il Padre mio non mi richiamò mai a Sé, io rimasi e rimarrò sulla Terra fino alla fine dei tempi, manifestandomi a quanti lo meriteranno e in ogni luogo secondo il calice che conterrà la fede, non nelle mie apparizioni, ma la fede nella mia presenza fisica, diversa sicuramente di volta in volta, di tempo in tempo dalle tante immagini che si è preteso mi rappresentassero.

    Dissi: Ritornerò. Non dissi: Ritornerò dall’aldilà. Questa fu la deduzione dei poveri di fede, ma io sarei potuto tornare in questa mia terra natale anche dopo aver percorso altre vie del mondo.

    Quello che avrei poi fatto con molte anime. E torno a chiedere, se fu concesso a Lazzaro di tornare in vita, perché mai il Padre Celeste, che pure mi aveva mandato, non avrebbe dovuto concederlo a me?

    Ma prima Lazzaro e poi io, morimmo veramente o fummo addormentati dalla non fede altrui, e risvegliati dalla potenza dell’Altissimo?

    L’Altissimo volle che il ritorno alla vita di Lazzaro fosse attribuito al mio carisma, proprio per preparare coloro che nel momento del mio martirio avrebbero dovuto applicare quell’atto straordinario di fede che applicai io stesso per risvegliare Lazzaro.

    Al termine della lettura era rimasto profondamente assorto con la schiena all’indietro appoggiata alla spalliera avvolgente della sedia.

    La camera era ampia, e tuttora fresca nonostante il sole che sin dal mattino aveva investito la parete esterna e il vento caldo che entrava dalla finestra. L’arredo assai scarno consisteva di pochi elementi: al centro e di fronte alla finestra un lungo tavolo di legno sostenuto da due cavalletti di ferro battuto, alla parete a sinistra del tavolo il letto e una cassapanca con il piano apribile per contenere indumenti, poi oltre alla sedia su cui era seduto Gesù, vi erano anche un paio di sgabelli. Alla parete opposta a quella della finestra vi era la porta da cui si era affacciato Ariel. Sul tavolo, a sinistra, era poggiato un candeliere con tre candele ora spente residui della veglia notturna di preghiera. Alla parete di fronte a quella del letto e alla destra del tavolo era collocata una rastrelliera con varie decine di rotoli di pergamena inseriti in verticale e più sopra si apriva una nicchia con all’interno una menorah. Sempre sul tavolo, accanto al rotolo aperto, un grande calamaio contenente un inchiostro viola e alcune penne.

    Sul davanzale venne a poggiarsi una colomba scuotendo con il suo verso gutturale Gesù dalle sue riflessioni, che finalmente si alzò e si diresse fuori dalla casa.

    Sotto il portico che si affacciava sul piazzale appena lo videro uscire gli si avvicinarono deferenti molte persone che prima erano intente alle proprie faccende, donne e uomini, alcuni dei componenti della comunità essena. Molti si inginocchiarono per baciargli il lembo della veste, ma lui li fece alzare mentre volevano accostarsi anche tanti bambini chiassosi che però vennero subito quietati dalle mamme perché non lo stancassero. Per ciascuno ebbe una parola affettuosa e una carezza per i bambini, ma poi quando tutti premurosamente si ritirarono, si diresse a passo svelto verso la porta che conduceva fuori, nel deserto.

    Era di nuovo solo e appena all’esterno respirò il vento a pieni polmoni avviandosi lentamente lungo la discesa dove avrebbe incontrato tra poco Barnaba che stava per sopraggiungere. Percorsi un centinaio di passi si fermò a riposare sedendosi su uno spuntone basso di roccia ad attenderlo.

    Il silenzio era assoluto. Solo il sibilo del vento secco che a Qumran soffiava sempre con insistenza infilandosi fra le rocce e le mura delle costruzioni. Il suo sguardo si proiettava nuovamente fino al Mar Salato e oltre. Pensieri e ricordi recenti e dolorosi si affollavano nella sua mente.

    D’un tratto dietro di lui una torma di bambini urlanti un’allegria che ruppe quel silenzio, ma non l’armonia in cui era immerso, uscì da Qumran correndo giù per la discesa: «Gesù, Gesù, è arrivato Barnaba, eccolo…». Si capiva che i genitori non erano riusciti a trattenerli.

    E mentre Gesù girandosi verso di loro e sorridendo felice si alzava in piedi allargando le braccia pronto ad accoglierli, i bimbi continuando a strillare gli indicavano: «Eccolo, guarda Gesù, ecco Barnaba». Infatti eccolo dalla curva apparire e venire su, poi fermarsi sollevando le braccia col bastone e le redini in segno di saluto, e anche l’asinello alzò la testa quasi avesse avvertito l’atmosfera.

    I bimbi sempre saltandogli attorno, lo tiravano per la veste sospingendolo incontro a Barnaba e altri correvano più avanti strillando a festa. Barnaba, lasciate redini e bastone ai fanciulli, corse svelto in direzione di Gesù gettandosi ai suoi piedi e abbracciandoli forte: «Maestro, eccomi finalmente, ho notizie urgenti e importanti…».

    Chinandosi, Gesù lo afferrò costringendolo ad alzarsi. «Barnaba, grazie d’essere venuto, ora vai subito a rifocillarti, poi verrai da me e parleremo», disse ponendogli il braccio destro sulle spalle e guidandolo su alla porta di Qumran.

    «Maestro, prendi, devo darti questa, è di tua Madre, l’ha scritta perché sapeva che ero stato inviato da te e mi ha chiesto di consegnartela… Lo so è stata un’imprudenza, ma lei mi ha detto di obbedire assicurandomi che non sarebbe accaduto nulla», e così dicendo prese dalla bisaccia, porgendoglielo, un piccolo rotolo di papiro legato da un nastrino azzurro.

    Intanto erano uscite all’esterno anche le mamme che s’erano viste scappare i bambini e con loro c’erano i mariti, e tutti si affollavano attorno ai due cercando di quietare il chiasso dei figlioli e ricondurli dentro. Nei pressi della porta s’era radunato un folto gruppo di anziani, uomini e donne, anche loro richiamati dagli strilli dei bambini per l’arrivo di Barnaba.

    Una volta che

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