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Mare rosso
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Ebook369 pages5 hours

Mare rosso

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About this ebook

Sulla scia dell’ebola e dell’immigrazione, un medical thriller avvincente, dove a salvare l’umanità sono i geni di un ragazzo di colore, l’unico che nel suo sangue ha la cura per la malattia che affligge il mondo intero.Il passato e il presente spesso sono più vicini di quanto noi possiamo immaginare. Patrizia Savasta, archeologa subacquea, lo scopre insieme a Roberto Grimaldi, direttore dell’istituto di oceanografia. Un viaggio in Argentina li fa entrare in possesso di uno scettro reale che Patrizia comprende subito essere molto prezioso, sia per il valore storico, sia per quello che vi è inciso.Purtroppo una grave epidemia sta devastando il mondo occidentale e devono rientrare velocemente in patria per cercare una cura.Un ricercatore tedesco si immerge nella loro realtà. Il sangue che ricopre le strade e il loro futuro, il crollo della civiltà che conoscono, possono essere fermati. Ma devono credere nei sogni di una vecchia, nella potenza dell’amore. Una strada difficile da percorrere per degli uomini di scienza.


Roberto Squillante. Laureato in medicina e chirurgia nel 1978, specializzato in Neurologia.La scrittura è stata sempre la mia passione. All’età di 18 anni una mia commedia «Baba Jaga» è stata rappresentata in teatro.La medicina mi ha assorbito totalmente fino a due anni fa, quando ho ricominciato a scrivere e ho avuto la sorpresa di vedere un mio romanzo arrivare tra i finalisti di un concorso letterario «Uno Nessuno Centomila», quindi «Alga Bruna» è stato pubblicato dalla casa editrice Astro edizioni, con ottime recensioni anche dall’Ansa.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateMar 12, 2019
ISBN9788867829279
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    Mare rosso - Roberto Squillante

    Roberto Squillante

    Mare rosso

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d’Adda-Mi

    Tel 02.90970439

    www.gdsedizioni.it

    www.gdsbookstore.it

    DISPONIBILE ANCHE IN FORMATOE-BOOK

       Copertina di Rubini Elio

       TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    ROBERTO SQUILLANTE

    MARE ROSSO

    Venga tu dall’inferno o dal cielo, che importa,

    Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,

    se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta

    m’aprono a un Infinito che amo e non conosco?

    (I FIORI DEL MALE)

    Il pittore, Elio Rubini, nasce  Roma dove vive e lavora. Inizia in giovane età ad entrare nel mondo dell’arte come musicista componendo  musiche  al  pianoforte,  successivamente  si  dedicherà  alla  pittura.  Numerosi  i  premi    ricevuti  e  le partecipazioni  a  mostre  ed  esposizioni  nel  corso  della  sua carriera.  Dal  premio  artista  dell’anno,  al  premio  artista  di Montmartre,  al  premio  omaggio  a  Paul  Cezanne.

    Sono  profondamente  grato  ad  Elio  per  avermi  concesso l’utilizzo  di  un  suo  quadro  per  la  copertina  di  questo  libro.

    PROLOGO

    La pianta cresceva nel clima caldo umido di quel lembo di terra. Sola, in una grande radura. I suoi rami si inerpicavano verso l’alto, per portare le sue rade foglie a catturare la luce del sole.

    Una linfa bianca scorreva pigramente al suo interno.

    I grandi terremoti ancora dovevano venire. Il mondo che la ospitava doveva subire le grandi metamorfosi dei giovani.

    Ancora molta vita doveva nascere e morire, grandi animali svilupparsi e scomparire, i continenti cambiare forma, i vulcani scuotere la terra e il cielo con il loro cupo brontolio.

    Era ancora giovane, ma già la sua corteccia era solcata da rughe profonde.

    Le sue radici scendevano in profondità e si allargavano. Nessun vento l’avrebbe mai sradicata. Il suo posto era quello.

    Svettava in un mondo popolato da felci.

    Mentre la foresta cresceva a coprire l’orizzonte, la sua radura rimaneva controllata dalle sue radici.

    I pipistrelli arrivarono a popolare i suoi rami.

    Il gioco della natura si stava compiendo. Un percorso di secoli.

    Un umile viaggiatore, un giorno, si sedette a suoi piedi a incidere il suo cammino. A intagliare nel legno la sua storia. Un uomo che amava.

    Il suo amore rimase impresso nel legno insieme alla sua arte. Quella storia, questa storia, è solo un racconto, dove l’amore cammina insieme a chi scrive. Anche se la morte a volte sembra dominare la scena.

    Capitolo 1

    Roberto Grimaldi era immerso nello studio di una nuova proteina ritrovata in mare, al largo della costa argentina. Era nervoso perché i risultati non erano quelli sperati.

    Il suo centro di ricerche bio-marine, i suoi scienziati, cercavano nuove molecole da utilizzare come antibiotici. Il mondo medico ne aveva bisogno e i ricercatori si erano rivolti al mare, per avere un aiuto dalle sue profondità.

    Molte delle malattie che erano state sconfitte in passato, tornavano ad affacciarsi. La tubercolosi, la sifilide, e altre comuni infezioni batteriche erano ricomparse e mietevano vittime innocenti.

    L’uso continuo aveva reso inefficaci la maggior parte degli antibiotici. I batteri avevano, affinato le loro armi e negli ospedali i medici, impotenti, guardavano i loro pazienti morire senza poter fare nulla.

    L’istituto di oceanografia stava svolgendo il compito per il quale Roberto l’aveva creato, carpire al mare i suoi segreti. Un tipo di ricerca molto impegnativa, le profondità alle quali lavoravano erano un altro pianeta. Le pressioni enormi, la mancanza di ossigeno e di luce, le temperature estremamente basse, tutto sembrava cospirare per rendere difficile quelle esplorazioni. Ma era di quello che avevano bisogno, un altro pianeta da esplorare e dal quale prendere nuove risorse.

    Fortunatamente la tecnica era progredita e macchine diverse li aiutavano in quel lavoro: ROV, Remotely operated vehicle, con la possibilità di sopportare pressioni enormi e agire con i loro manipolatori, oltre a catturare immagini pressoché perfette nella loro definizione; sonar sempre più precisi, con la capacità di esplorare il fondo del mare in tutte le sue sfaccettature, e in alcuni casi scendere anche sotto il primo strato e delineare relitti sepolti sotto la sabbia; mute subacquee composte da materiali, leggeri, flessibili e dotate di una resistenza altissima; miscele di gas studiate per permettere agli uomini di raggiungere profondità incredibili e farlo in relativa sicurezza; tutto supportato da computer con capacità di calcolo sempre maggiori, in grado di prevedere e prevenire mille diversi tipi di incidenti. Le navi oceanografiche avevano sale di controllo che assomigliavano a quelle delle navi spaziali, descritte nei film di fantascienza.

    La società di Marco Geraci, l’armatore, amico di Patrizia e suo, ne aveva diverse, ma la Madeleine, quella che operava al largo della costa argentina, era la migliore e la più attrezzata. E questo rendeva quel fallimento ancora più difficile da digerire.

    La proteina, che all’inizio sembrava potesse essere il capostipite di una nuova classe di farmaci, si era rivelata inutilizzabile per le sue proprietà tossiche. Riusciva a bloccare ogni funzionalità epatica già alla seconda somministrazione.

    Roberto, insieme ai biologi e ai chimici del suo centro, aveva cercato una soluzione, ma il rapporto finale era scoraggiante: non c’era modo di separare gli effetti dannosi dalle proprietà terapeutiche.

    Adesso bisognava decidere cosa fare; inizialmente aveva appoggiato gli scienziati, che volevano rimanere per continuare la ricerca.

    Avevano scelto quella zona spinti da uno studio condotto, sei mesi prima, da una nave spagnola, che, aveva esplorato una lunga serie di siti. Uno studio veloce di fattibilità, condotto con ROV di ultimissima generazione, capaci di rilevare in loco e trasmettere alla nave madre la presenza o meno di vita biologica o di minerali utili. Solo per permettere a navi più attrezzate, come la loro, di avere un’idea delle difficoltà e delle possibilità per un lungo lavoro di ricerca e analisi.

    Il fondale al largo della costa argentina era stato definito il più promettente: ricco di vita biologica, colonie batteriche e sostanze proteiche non meglio identificate. Roberto aveva riletto almeno diecimila volte quella frase, contattato di persona i ricercatori, il suo centro si era mosso di concerto con il loro.

    Nessuno riusciva a spiegarsi quel mistero. La ricerca condotta dagli spagnoli si basava su di un assunto ritenuto fondamentale, da tutti gli studiosi: i fondali marini, non si modificano nell’arco di sei mesi. Le condizioni di sopravvivenza sono talmente difficili che ci vogliono millenni prima che la situazione si stabilizzi, e una qualche forma di vita compaia. Per lo stesso motivo è difficile o almeno molto improbabile che quella stessa vita sparisca da un giorno all’altro.

    La Madeleine, invece, non trovava nulla, tranne quella maledetta, inutile, frazione proteica.

    Roberto si alzò per sgranchirsi le gambe. Era troppo tempo che stava seduto a quel tavolo. Andò in bagno per darsi una lavata al viso, lo specchio gli rimandò l’immagine dei suoi occhi rossi e gonfi per la stanchezza. Aveva cinquanta anni, un fisico asciutto, con dei capelli bianchi e lunghi, che ne delineavano il viso, gli occhi marroni, con dei riflessi verdi che vedeva solo Patrizia. Era un po’ giù di forma, purtroppo il lavoro lo stava assorbendo totalmente e il tono muscolare ne risentiva, anzi tutta la sua vita ne stava risentendo. Che avesse creato una delle più belle realtà che studiava il mare, e poi non avesse neppure il tempo per vedere la donna che amava, era la cosa che gli dava più fastidio.

    La ricerca era finanziata in larga parte dal suo istituto. Non era preoccupato dei soldi, ma i dati, erano troppo discordanti, come se gli spagnoli e loro parlassero di due zone di mare completamente diverse. Ne andava della reputazione del suo istituto. Qualche ricercatore aveva già mosso dei dubbi sulla loro capacità di prelievo e analisi. E quella era una cosa che lo faceva infuriare.

    Era, infatti, attraverso i loro studi che era stata valutata la necessità di mantenere il materiale prelevato in un ambiente che riproducesse le identiche condizioni di pressione, temperatura, illuminazione. I contenitori adeguati erano costruiti secondo loro precise specifiche. Utilizzavano, quindi, le tecniche più recenti, e tutta la strumentazione a bordo della nave era la migliore in commercio.

    Marco Geraci era un fissato e ogni sei mesi rimodernava l’intera flotta, aggiungendo tutto quello che la scienza metteva a disposizione, sempre con un occhio attento alla sicurezza dell’equipaggio e degli scienziati.

    La ricerca sui fondali marini era un campo eccitante ma pericoloso. Ne avevano fatto esperienza l’anno precedente, e Roberto ancora non riusciva a togliersi di dosso tutta la tensione che aveva accumulato in quel periodo. Spesso seduto nel suo studio ripensava a quello che era successo. E forse quelle critiche lo colpivano proprio perché riaprivano quelle ferite, quei ricordi dolorosi. Un momento della sua vita in cui aveva rischiato di perdere la donna che amava.

    Le alghe ritrovate da Patrizia, e successivamente studiate dal suo centro, avevano contribuito a salvare città e a debellare alcune malattie genetiche. Ma avevano cambiato la sua vita.

    Dopo le vicende del campo di alghe, il suo centro di ricerche biomarine, già conosciuto a livello mondiale, nell’ambito specialistico, era finito sulle pagine della cronaca. I giornalisti volevano continuamente intervistarlo. La televisione aveva dedicato diversi servizi alle sue sedi, rendendole famose, e appesantendo il lavoro di Wolf, l’addetto alla sicurezza.

    Roberto, pur essendo un carattere tranquillo per natura, era infastidito da tutta quella notorietà, tanto che alla fine aveva trasferito la sua sede operativa da Roma a Mazara.

    Lì era molto più facile sopravvivere. Conosceva ormai tutti e tutti avevano già parlato con lui, per cui lo lasciavano in pace, limitandosi a salutarlo.

    Patrizia era felice della sistemazione perché quella era la sua città, dove aveva le sue amicizie, le sue conoscenze e inoltre, finalmente, lei e Roberto potevano vivere insieme.

    *

    Paolo, l’amico di Roberto, con il quale aveva fondato il centro di Roma, era l’unico che si lamentava un po’ di quella soluzione, costretto a trasferirsi a Mazara, aveva perso le sue abitudini e la vista del Tevere, dalle finestre del suo centro informatico sull’Aventino.

    Brontolava, ma, a dire il vero, il laboratorio costruito per lui a Mazara era altrettanto bello, con le vetrate panoramiche fotosensibili, che gli permettevano di vedere il mare, con i suoi tramonti rosso fuoco o le scure nuvole delle tempeste invernali, con i fulmini che si delineavano nel cielo notturno e illuminavano le onde nere e spumeggianti.

    La sua vita era nelle macchine, per cui non aveva lasciato nessuno a Roma, a piangere la sua partenza. E anche lì, quando il lavoro frenetico del giorno si calmava, e lui si lasciava cullare dal ronzio sommesso dei computer, era riuscito a creare programmi informatici di una purezza assoluta.

    In quella sala enorme, davanti alle finestre, aveva lasciato un piccolo spazio libero dai computer. Un divano di pelle, di colore arancio, due piccole poltrone e un tappeto grigio perla creavano una zona accogliente, nella quale si lasciava andare. L’angolo di Paolo, lo aveva chiamato. Dormiva, mangiava, camminava in quell’angolo, oppure stava semplicemente seduto a guardare i tramonti e pensare al futuro. Aveva cinquantadue anni, capelli castano chiari, con una leggera stempiatura, occhiali dalla montatura coloratissima, il suo unico vezzo, un po’ di pancia in un fisico sostanzialmente sano. Stava troppo tempo seduto alle sue macchine, ma erano la sua vita. Roberto lo rimproverava sempre per questo, più di una volta lo aveva incoraggiato a uscire, a cercarsi una donna, a crearsi una sua realtà. Lui viveva nei computer. Se il centro era diventata una delle strutture più contattate al mondo era anche merito suo. Organizzava e supportava, dalla sua postazione, il lavoro di tutti. Milioni di dati e documenti erano archiviati nei suoi elaboratori e chiunque poteva accedervi. Aveva fatto sua la filosofia di Roberto, della scienza condivisa.

    La persona con cui aveva maggiore affinità culturale era Pietro Xavier, un archivista bibliotecario greco di ottanta anni. Una delle persone più erudite che avesse mai incontrato. Pietro, perso nei sotterranei della biblioteca di Atene, aveva studiato, catalogato, scannerizzato per tutta la sua vita una quantità enorme di documenti, ai quali aveva aggiunto le conoscenze nascoste negli archivi di Paolo. Nel tempo, i due avevano sviluppato una profonda amicizia, stima e rispetto.

    Insieme formavano una squadra formidabile. I loro amici potevano contare su di loro per qualsiasi ricerca.

    Anche quel giorno i due amici erano in collegamento e si scambiavano idee e informazioni.

    «Senti, Pietro, per quanto tu possa sostenere che i Fenici abbiano attraversato l’Atlantico a bordo delle loro barchette, non è possibile che siano arrivati in America e l’abbiano colonizzata. Se mi dici che qualche tempesta ce li ha trasportati posso crederti, ma più in là non vado.»

    Pietro scosse la testa passandosi una mano tra i capelli bianchi, era tutta la vita che combatteva contro lo scetticismo e la mancanza di conoscenza del passato.

    «Come al solito ti fai guidare dall’ignoranza della tua giovinezza. Se non mi credi, ho un po’ di carte da inviarti – disse, indicando un faldone poggiato sulla sua scrivania – e vedrai che le loro navi erano in realtà l’ideale per affrontare le tempeste dell’oceano. Avevano l’elasticità e la robustezza necessarie. Costruite in legno di cedro, che abbondava nella loro regione. Un legno molto resistente e con il grado di elasticità utile a sopportare la violenza delle tempeste. Inoltre per le traversate oceaniche utilizzavano delle vele rinforzate da strisce di pelle, adeguate a resistere alla forza dei venti. Erano marinai provetti, capaci di fare il punto nave. Hanno aperto rotte commerciali in ogni parte del mondo. Tutto entro certi limiti, ma credimi se ti dico che ci sono arrivati, ne ho le prove scritte.»

    «Nessuno storico te le appoggerebbe.»

    «Certo, nessuno storico legge più documenti in formato cartaceo. Nei miei anni di permanenza nei sotterranei della biblioteca di Atene, circa sessanta, sai quanti sono venuti a chiedermi di consultare delle carte? Nessuno. Solo la tua amica Patrizia. Come pensi che possano sapere la storia se non la leggono?»

    «Dai, non esagerare, ci sono molti storici degni di rispetto.»

    «E chi dice di no? Io rispetto tutti. Solo che non sanno.»

    Paolo non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, era certo che se il suo amico diceva una cosa ne aveva le prove, ma gli piaceva provocarlo. Pietro si accorse della sua smorfia; si alzò, dando le spalle alla videocamera del pc, fece due passi, raccolse il suo inseparabile bastone, e fece finta di colpire lo schermo.

    «Maledizione, mi hai fregato ancora una volta, vero? Lo sai che ho ragione e mi stai dando torto, solo per stuzzicarmi.»

    «Sei troppo divertente, quando ti arrabbi perché sei sicuro di una cosa, e io faccio finta di non crederti. Ma mi stavi dicendo che hai le prove che i Fenici siano arrivati in America? E, non solo, ma che vi abbiano anche fondato delle colonie? Perché, allora, nessuno ci crede? Avrai documenti, carte, resoconti di viaggi, di quello che affermi.»

    «Semplicemente perché non vogliono vederle, queste prove. Neppure cercarle a dire il vero, visto che dovrebbero scendere nei sotterranei e sporcarsi le mani. È molto più comodo seguire la corrente di pensiero dominante.»

    «Dovrai farmele vedere queste carte; vorrei parlarne con Patrizia.»

    «Quella è una donna che rispetto molto. Una ricercatrice seria, che, quando vuole una cosa, è disposta a rischiare in proprio pur di arrivare alla verità.»

    Patrizia Savasta era veramente come Pietro la descriveva, una donna molto bella, con i capelli neri come i suoi occhi, sempre piena di vita, un carattere ribelle, siciliana di origine, testarda, ostinata. Se una traccia, proveniente dal passato, la incuriosiva, era capace di girare il mondo pur di arrivare alla verità. Innamoratissima di Roberto, con il quale condivideva la passione per il mare e per la ricerca.

    «Certo che l’anno passato è stato un anno molto pesante per lei – disse Paolo – a un certo punto pensavamo di averla persa. Non ho mai visto Roberto così disperato.»

    «Sono felice di averla conosciuta, ha portato un po’ di vita dentro la mia casa. Lo sai che appena può viene a trovarmi?»

    «Sì, me lo dice sempre, vorrebbe spingere anche me, ma lo sai che non posso lasciare la mia attività. Dalla scoperta delle alghe e del vaccino di Arnaldo, il lavoro si è decuplicato. Il centro di Roma va a pieno regime, e questo stiamo già pensando di ampliarlo. Roberto lavora dalle sei di mattina alle undici di sera. A volte è così stravolto che mi fa pena. Se non la smette, mi toccherà buttarlo fuori a calci per fargli prendere una vacanza.»

    «Siete saliti all’onore della cronaca in tutti i paesi del mondo.» disse Pietro

    Paolo rimase pensieroso un momento prima di rispondere. La loro vita era cambiata profondamente rispetto all’anno precedente.

    «Quello è un altro problema, perché fino a quando eravamo conosciuti solo nei centri di ricerca, tutto andava bene, adesso che ci conosce il grande pubblico, non sappiamo più dove nasconderci, per evitare di essere intervistati o peggio ancora fermati per strada da perfetti sconosciuti, con idee rivoluzionarie per curare le malattie più improbabili.»

    «Però avete salvato un numero enorme di esseri umani da morte certa. San Francisco è ancora una città popolosa per merito vostro.»

    «Pietro, non nasconderti dietro di noi. Anche il tuo contributo è stato fondamentale in quella storia.»

    «Ci sareste arrivati lo stesso…»

    «Non sminuire la tua importanza, è grazie al tuo lavoro che tante persone sono ancora vive. Hai reso anche me una persona migliore. Da quando ti conosco, ho riscoperto il valore di tante cose. Un nuovo modo di vedere come la realtà che ci circonda, sia collegata al nostro passato. Sei un po’ come la voce di quel padre che non ho mai incontrato.»

    «Per un archivista questo è il più bel complimento che potevi farmi – disse Pietro con le lacrime agli occhi – che stupido, in vecchiaia sto diventando sentimentale.»

    Paolo era affezionato a quel vecchio, lo aveva conosciuto diversi anni prima, mentre faceva delle ricerche su un tratto di mare dell’Egeo. Pietro in quell’occasione era stata una voce amica, l’unica che gli avesse dato attenzione. E, in breve, attraverso antichissimi resoconti di viaggio, di commercianti greci, risolto il suo problema.

    Da allora la loro collaborazione si era infittita, fino al giorno in cui aveva scoperto che era stato mandato in pensione di autorità.

    Dispiaciuto, gli aveva telefonato, solo per scoprire che, abbandonato da tutti, mandato in pensione per la sua età e con pochi soldi, Pietro stava meditando di morire insieme alla moglie gravemente ammalata. Era partito subito per Atene. Lo aveva aiutato senza chiedere nulla in cambio ed erano diventati amici per la pelle.

    Ormai stavano tutto il giorno in contatto. Più di una volta Paolo lo aveva invitato a trasferirsi da loro, ma non era mai riuscito a convincerlo, solo perché Pietro non voleva lasciare la sua casa e la possibilità di andare tutti i giorni a trovare la moglie nel cimitero vicino.

    Internet e la versione di Skype, modificata da lui, erano diventati la loro seconda casa. Tutto il giorno si parlavano in quel modo. Anzi il collegamento era sempre aperto. In qualunque momento potevano scambiarsi idee e informazioni. La loro collaborazione giovava a tutti e due.

    Il lavoro di ricerca di Paolo era diventato estremamente più veloce, appoggiato dalla cultura enciclopedica di Pietro. L’archivista aveva trovato una seconda ragione di vita e la possibilità di ampliare i confini della sua conoscenza. Con l’aiuto di Paolo aveva infatti integrato molti dei suoi documenti, con informazioni provenienti dalle biblioteche di tutto il mondo. E viceversa tutto quello che negli anni aveva letto e scannerizzato era conservato nel centro informatico di Mazara.

    *

    «Ciao Paolo – disse Roberto, entrando – vedo che Pietro è sempre con noi. Ciao Pietro, come va?»

    «Se non fossi vecchio come Matusalemme andrebbe meglio, ma non mi posso lamentare» rispose Pietro.

    «Vecchio è una parolaccia detta da te, hai una mente che dovrebbe fare invidia a molti dei nostri ricercatori più giovani. Inoltre sei sempre al lavoro. Sembra che la natura ti abbia fatto arrivare a una certa età e poi si sia fermata.»

    «Sempre buono con me, Roberto. A proposito di bontà, devi piantarla di mandarmi soldi. Non so come spenderli.»

    «Nulla di più di quello che diamo ad altri consulenti, che fanno la metà del tuo lavoro. Tranquillo, il reparto ragioneria è gestito da un cerbero che non regala una lira a nessuno – rispose sorridendo Roberto – e comunque, sei la prima persona che si lamenta perché lo paghiamo troppo» aggiunse divertito.

    Poi rivolgendosi a Paolo: «Scusa ma ho bisogno di altre informazioni sull’Argentina, in particolare sul tratto di mare dove è la nave di Marco. Le loro ricerche non stanno producendo i risultati sperati. Dobbiamo decidere se spostarla in un altro punto o annullare del tutto la missione. Mi servono tutti gli studi eseguiti in quelle zone, dall’esercito o da chiunque. Non riesco a capire perché i nostri dati e quelli degli spagnoli siano così diversi.»

    Paolo squadrò il suo amico dall’alto in basso, non lo vedeva così affaticato da molto tempo: gli occhi rossi, i capelli arruffati, le spalle ingobbite.

    «Facciamo così, Roberto, io ti cerco le informazioni che mi chiedi e tu ti organizzi per andartene in vacanza qualche giorno. Oppure blocco tutto il centro e non se ne parla più. Ti sei guardato allo specchio? Sembri uno zombie. Da quanto non vedi Patrizia? O non ti fai una doccia?»

    «Troppo, hai ragione. Ma ci sono sempre un milione di cose da fare. Non posso lasciare. Quella nave ci sta costando un sacco di soldi, di tempo e di reputazione. Inoltre una buona parte dei nostri ricercatori è là sopra e il resto del lavoro ne sta risentendo.»

    Paolo scosse la testa. Non si sarebbe fatto convincere questa volta.

    «Allora, vuoi informazioni sull’Argentina? Facciamo così, ci vai in vacanza con Patrizia. Vi organizzo un tour che vi farà rilassare come non avete mai fatto in vita vostra – una piccola pausa per vedere come il suo amico reagiva, – sai cosa è il treno delle nuvole?»

    «No, mai sentito». Roberto aveva risposto in automatico, come era sua abitudine, quando aveva altri pensieri per la testa. Doveva averlo incuriosito, ma non voleva dargli troppe informazioni.

    «Bene, vedrai che tu e Patrizia vi divertirete e tornerete al lavoro carichi come non mai.»

    «Veramente non posso, ho troppe cose in sospeso – iniziò a dire Roberto – questa ricerca, in particolare, mi sta facendo impazzire. Ci servono come il pane nuove molecole da studiare. Sai quanto tempo occorre per trarne dei farmaci. Da quando studio i fondali oceanici, è la prima volta che trovo una zona di mare così priva di vita. Un motivo dovrà pure esserci. Anche solo capire perché potrebbe aiutarci nella scelta di altre aree.»

    Roberto prendeva tutto come se fosse una sfida. In questo lui e Patrizia erano molto simili. E rendeva il lavoro del centro molto stimolante. Anche se rendeva molto pericolosa la loro vita.

    Paolo annuì, ma promise ancora una volta a se stesso che non si sarebbe fatto convincere. Era preoccupato per il suo amico, sembrava avesse perso la capacità di delegare. Doveva verificare tutto di persona. Non era in quel modo che aveva creato quel centro. Le persone che lavoravano per lui erano tutte sinceramente motivate, non avevano bisogno della sua continua sorveglianza.

    «Scusami, Roberto, se mi intrometto ma fattelo dire da un vecchio come me: il tuo amico ha ragione – disse Pietro – domani – aggiunse – avrai un giorno in più e meno voglia di fare quelle cose che si fanno da giovani. Il lavoro che fai è importante e lo hai dimostrato a tutti. Ma anche la tua vita lo è, io ho passato tutta la mia sottoterra e fra un po’ ci ritorno per sempre.

    Hai vicino a te una donna stupenda, non lasciare che il lavoro vi divida. Avete bisogno di condividere molto di più, di quello che fate ora.»

    Le sue parole fecero breccia nella riluttanza di Roberto ad allontanarsi. Paolo sapeva di avere ragione l’anno precedente, solo la decisione di lasciare il lavoro aveva salvato Patrizia e chiarito cosa stava succedendo. Tutti facevano riferimento a Roberto, ma in quel modo non poteva andare avanti.

    «Vi siete messi d’accordo? Ok, Paolo, ne parlo con Patrizia e, se a lei va bene, ci organizzi il viaggio.»

    «Certo che mi va – disse Patrizia, entrando nella sala e strizzando l’occhio a Pietro – sono due giorni che ti aspetto a casa e tu neppure una telefonata. È vero che sei preso dal lavoro, ma questa è un’esagerazione. Sei un essere umano e io sono una donna.»

    Patrizia era vestita in modo semplice, come sua abitudine: una camicetta e un paio di jeans. Eppure, entrando nella stanza aveva portato una ventata di freschezza. I suoi capelli neri le scendevano morbidi sulle spalle, gli occhi scuri, come le profondità del mare.

    Paolo vide il suo amico rimanere perplesso davanti a quella nuova versione di Patrizia, era la prima volta che li sentiva litigare. E notò che lei si mostrava arrabbiata per il poco interesse che Roberto le dava. Poi finalmente lo vide riflettere, chinare la testa e dire quello che sperava di sentire.

    «Avete ragione tutti, e io sono uno stupido. Ok, Paolo organizza quel viaggio. Abbiamo bisogno entrambi di rilassarci e stare un po’ insieme. E, magari – aggiunse con noncuranza – di’ a Marco che passiamo a trovarlo.»

    «Sulla nave in Argentina? Certo che sei un bel tipo, Roberto, non so come faccia Patrizia a sopportarti – rispose Paolo scuotendo la testa.»

    Patrizia adesso rideva insieme a Pietro. «Come faccio a non amarlo? Lo vedi? Per farmi contenta mi porta in Argentina, e per farmi arrabbiare si porta dietro il lavoro.»

    Roberto si guardò intorno perplesso. «Allora era tutto preparato, bravi, bella cosa da fare a un amico!»

    «Ma ti rendi conto che non puoi continuare così? – disse Paolo. – Lavorare quarantotto ore al giorno è folle e basta. »

    «Non posso lasciare. Ho troppe persone che fanno affidamento sul mio lavoro.»

    «Il centro ormai è una realtà, Roberto, ben strutturata. Sopravvivrà alla nostra morte – disse Pietro – crescerà nel tempo. Tu ancora non credi in quello che sei riuscito a realizzare, forse è questo il problema.»

    «No – iniziò Roberto, poi si fermò – forse, come sempre hai ragione. È tutto troppo bello, mi sembra una favola e ho paura che possa crollare tutto, senza la mia presenza.»

    «Hai degli scienziati di primo ordine – riprese Pietro – li hai scelti con cura. E molti sono venuti a lavorare da te, di propria iniziativa. Per il mare, per quello che gli offrivi. Si impegnano dieci volte di più che in ogni altra struttura di ricerca, che io conosca. Non cercare di imbrigliare il loro lavoro. Lasciali crescere. La favola vera è il rapporto che hai con Patrizia. La donna che hai vicino. Quella fa la differenza.»

    Paolo, guardò il vecchio amico, sullo schermo non si notava, ma lui aveva sentito la voce incrinarsi. Non disse nulla, ma si ripromise di andare a trovarlo.

    Roberto rimase in silenzio, passò un braccio intorno alla vita di Patrizia. Aveva capito cosa voleva dire Pietro, lo aveva fatto con la sua tipica delicatezza, ma il messaggio gli era arrivato.

    «Avete ragione. Da domani io e Patty siamo in viaggio di piacere.»

    Patrizia sorridendo lo abbracciò e, mentre si baciavano, Paolo e Pietro si strinsero virtualmente la mano.

    Capitolo 2

    Un antico rito stava per compiersi.

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