Parlannu Nissenu e Cico e l'Animalità
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Parlannu Nissenu e Cico e l'Animalità - Nino Lacagnina
youcanprit.it
Prefazione
Nel raccontare ciò che quasi si sta perdendo, si fa più pressante nella raccolta di episodi e poesie di Parlannu Nissenu
di Nino Lacagnina, il bisogno di lasciare qualcosa che segni il passaggio della lingua italiana al dialetto in genere ed in particolare a quello Nisseno.
Uno dei punti fermi del dettato dialettare del nostro autore, si riscontra quando mette in evidenza il suo stato d’animo, il suo presente e il suo passato.
Consapevolmente ci trasporta tra storia di cronaca e poesie in mezzo ai ricordi sopiti
ma mai dimenticati.
Scrivere in dialetto , non è cosa semplice, anzi, forse è meglio scrivere in lingua ed è per questo che la sua opera è da considerarsi con la massima attenzione.
Volutamente nelle sue esternazioni, per rendere la lettura più agevole possibile, ha rinunciato a scrivere le frasi e i versi con segni diacritici che tra apostrofi, dieresi, accenti tonici e via dicendo avrebbero compromesso una facile lettura.
L’autore in questa sua opera ha voluto precisare e mettere in evidenza le nozioni fonetiche, grafiche e grammaticali con dovizia di particolari che arricchiscono il nostro dialetto.
Dialetto che tra tantissimi dialetti Siciliani è uno dei più difficili poiché non è come quello Palermitano che espone la sua parlata con espressioni che arrotondano le parole, né quello zuccherino
della parlata della chiana
di Catania, e nemmeno quella musicale Agrigentina.
Il nostro è molto spigoloso, tutte le vocali sono chiuse e abbondano di espressioni che il Pitrè definiva molto aderente con il carattere dei popoli dell’entro terra Siciliano ed in particolare quello Nisseno.
Leggendo con attenzione si vede che egli adopera parole proprie del nostro parlare
ad esempio scrive cilu, timpu
, senza cercare di smussare gli spigoli come certuni che avrebbero scritto celu, tempu
.
Una osservazione è d’obbligo, cos’è che spinge il nostro autore a scrivere e ad esprimersi in una forma che è poco usata, desueta?
Penso che lo faccia per un intimo bisogno esistenziale, per ritrovare le proprie radici e per ritrovare e riscoprire il valore di un linguaggio, che per citare il famoso poeta dialettale Ignazio Buttitta perdì ’na corda di viulinu a ogni jurnu
.
Nel suo raccontare delle tradizioni nissene, egli ci conduce con dolcezza verso luoghi e personaggi che come detto dianzi pensavamo di avere dimenticato, ma è bastato leggere qualche pagina ed ecco d’incanto tutto ritorna in mente.
I quartieri, i giochi, i mestieri, la strada come svegliati da un sogno profondo, rivivono di nuova luce e il dialetto Cartanittisi
, emerge prepotentemente coinvolgendo il lettore, portandolo alla propria infanzia quando ognuno di noi, per strada passava intere giornate a giocare con i compagni.
Voglio qui citare una espressione di P.V.Megaldo che è senz’altro condivisibile che dice: Non c’è poesia dialettale senza conservazione della memoria, e cioè senza infanzia
.
L’autore, infatti cita compagni di gioco con cui ha passato l’infanzia, amici che poi non si scordano mai, inoltre in alcuni episodi ricorda personsggi nisseni da noi conosciuti, e il lettore trascinato da un vortice nostalgico rivive, respira, odora quei momenti.
Tra le pagine sono descritti pure eventi che riguardano da vicino la nostra storia e precisamente quello riferentesi al regno delle Due Sicilie il dialetto in queste pagine, infarcito da espressioni particolari rende in maniera molto autentica i fatti narrati.
D’apprezzare molto le poesie, che assumono una sonorità specifica, i versi rimano con efficacia e i contenuti danno alla lettura una piacevole sensazione.
Quello di Nino Lacagnina dunque è un insieme di episodi e di poesia che illumina ed è illuminata in un contesto cha va a braccetto con il nostro dialetto il tutto privo di formalismi di maniera che molto spesso sanno di retorica.
Per ultimo si può dire che il nostro autore, consapevole che il dialetto in genere sta battendo in ritirata, e che scriverlo è come gareggiare per mantenere l’ultimo fronte, ci dà una magnifica dimostrazione di fiducia perché nel mutare della storia, ciò che adesso è pregnante di oblio, chissà che sia una anticipazione di un futuro più felice per il nostro dialetto.
Ad Majora
MARIO AMICO
nino.lacagnina@liberi.it www.ninolacagnina.com
Parlannu nissenu
I sancatallisi chiamanu i nisseni Maounzisi pu fattu ca, sicunnu iddri, nu 1820, l’abitanti di Cartanissetta si cumpurtaru cumu Ganu di Maganza o Magonza nu persunaggio da Chanson de Roland
.
Gano jera u patrignu di Orlando e quindi cugnatu di Carlo Magno ppi essirisi maritatu ca matri di Orlando, Berta, suru di Carlo Magno duppu a morti do marito Milone ppi mano saracina.
Pa so natura farsa, c’uppuru ca jera un paladinu do re, Gano tradisci a so patria facinnu sapiri e saracini a manera di cogliri di surprisa a Roncisvalle a retroguardia francisi di ritorno da Spagna. Accussì i francisi vinniru sconfitti e tutti i paladini, compresu Orlando, muriru cummattinnu eroicamenti.
Gano, pu so tradimintu ‘nfami, vinni doppu squartatu vivu e u so corpu abbrusciatu e ghittatu o vintu.
Ppi sancatallisi a storia di Gano currispunni a disonestà di tutti i magunzisi e nni sta manera vinni cuntata dde cantastori ca firriavano pi strati nzinu a na ventina d’anni fa.
Stu fattu però picca havi a chi fari chi nisseni pirchì all’urtimu, no 1820, l’accusa cchiù ranni ca ficiru a iddri jera di esseri tradituri e nfami pirchì vulivanu ristari fedeli o regno de Du Sicilie e u so re borbone mentri u principi Salvatore Galletti di Fiumisalato, avia dicisu di cumannari a rivolta di l’autonomisti siciliani contro i borboni.
Nunc’è dubbiu ca sta posizioni pigliata di sancatallisi e du principi Galletti contru l’ordini costituitu di dru timpu, ca jera rapprisintatu da monarchì borbonica, po jesseri intisa a so vota da antri cumu nfami e traditura.
Ma lassammu perdiri, a storia no Munnu a statu sempri accussì – cu perdi avi sempri turtu e cu vinci sempri rraggiuni.
Turnannu e fatti do 1820, nill’esercitu do principi Galletti c’era n’zocchiegghiè: abitanti di San Catallu, eroi, malacunnutta, sediziusi, latri di gaddrini, violenti di strapazzu e mbriacuna chiamati inzimi anchi di paisi vicini.
Nuddu diddri sapiva cumu cunnuciri na battaglia, ma tutti jeranu cumminti ca bisugnava assicutari i borbonici fori da Cartanisetta.
In un primu momentu, duppu na para d’uri di guerriglia, ducintu sancatallisi si pigliaru u monti Babbaurra e si prepararunu ppi lanciare l’attacco finale u jornu apprissu.
A Cartanissetta intantu l'intendenti da provincia, Luigi Gallego Naselli, caputu lu virsu scappà ccu 150 fanti cumannati do comannanti o colonnello Favalli.
U jurnu duppu i nisseni senza cumannanti, ccu scantu d’ncuddru ma fedeli o re di Napoli, si riorganizzarunu e mentri mannanu un certo Giovan Tommaso Anzalone, patri dominicanu, cumu ambasciaturi di paci presso u cummentu de monaci Cappuccini unni si truvava u principi Galletti, un drappellu di quattrucentu nisseni, vanniannu nfami, traditura
, assartaru di surprisa i sancatallisi appustati a Babbaurra! Nill’attaccu ca nun s’aspittavanu, i rivultusi sancatallisi saddifinniru cumu puttiru ma a fini rinculannu rinculannu sarriduciru e porti di San Catallu ncapu o belvidiri di unni un mezzo foddri e mbriacuni currinnu contro u nemico spunnò a testa a tre fanti cco calcio du fucili, prima ca fu ammazzatu de borbonici.
E mentre i truppi di Cartanissetta timpureggiavanu in attisa di rinforzi, u principe Galletti, ca jera scinnutu a patti cull’inviato cartanittisi, patri dumenicanu Tommaso Anzalone, cull’antisa ca i nisseni avianu a cunzignari Gallego, i magistrati istigaturi da risistenza, tuttu l' arsinali cu l’armi, 16 mila onze ppi li spisi di guerra e a garanzì scritta dill'adisiuni a rivoluzzioni palermitana, dicidi di mannari Giuseppe Gravina a Cartanissetta ppi protistari contru u comportamentu tradituri de cartanittisi. Duppu i du uri stabiliti, nun vidinnu turnari u Gravina, pinsaru ca l’avissiru ammazzatu.
A sta nutizia, u popolo sancatallisi furiusu cumu n’armali, a li vuci di «nfami e traditura!» pretenni a minnitta.
U principi Galletti allura cumannà u contrattaccu e duppu na feroci battaglia l’esircitu di San Catallu si piglià Babbaurra. Duppu du uri occupà a muntagna di San Giuliano e piglià pussissu do munasteru benedettinu di Santa Flavia ca jè ncapu a muntagna chiù antica di Cartanissetta. O tramuntu i surdati sancatallisi grapunu u fucu ncapu a città. Un munziddru di genti s’ammucciano scantati intra i chisi. A città jè misa a firru e fucu nzina a quannu ca Salvatore Noto chiantà a bannera dill’indipennenza. E’ all’ura ca l'aquila siciliana svintulià incapu a tutte l’alture da città borbonica mentri cumincià u saccheggio da fedelissima Cartanissetta.
Ma u saccheggiu cchiù ranni, divastanti e difinitivu fu chiddru subitu du populu di tutto u territoriu du Regno de Du Sicilie pi opra du Statu Piemontisi ca cu farsità e minzogni arriniscì a trasmettiri n’immagini da Storia du Regnu Borbonico accussì arritrata tanto c’ancora oggi borbonico
è ntisu cumu inefficienti e arritratu.
Cosa completamenti farsa.
A nascita du Regno di Sicilia, cu capitali Palermo, fu no 1130 ca cumparsa di Ruggero II ca si prisintò cumu u liberaturi di tutti i pupulazioni do Sud dall’Arabi, da i Bizantini e de Longobardi e ca dissi accussì o munnu a nascita d’un