Particolari senza storia
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Book preview
Particolari senza storia - Giovanna Chiarlo
© 2018 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it – info@europaedizioni.it
ISBN 978–88–9384–811–4
I edizione ottobre 2018
Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è puramente casuale.
Particolari senza storia
a Melchiorre...
Il carillon
A volte entro in una casa vuota. Vuota di affetti.
Per la precisione è colma di mobili, mobili che non sono stati scelti da qualche designer o architetto.
Sono un caos, un contrastante equilibrio. Forse descrivono al meglio la mia vita.
Sono stati portatori di grandi speranze, mentre, in realtà, sono testimoni di grandi tragedie.
Io li amo e li odio.
Non riuscirei mai a staccarmene, a disfare quel bellissimo orrido insieme.
Ogni tanto aggiungo qualcosa, quasi a non rassegnarmi che tutto lì è finito, si è concluso.
Vivo con loro in quella casa qualche giorno ogni tanto, ed il dolore che sento è così grande che penso spesso di liberarmene, ma ritorno sempre sui miei passi.
Ecco l’armadio dei miei genitori, con il cappotto marrone di mio padre.
È liso, ruvido. Lo abbraccio, a volte, e piango.
L’anima si divide dal mio corpo, mentre mi sento sanguinare.
C’è persino la canottiera che indossava l’ultima notte.
È macchiata di sangue.
La loro stanza anni Sessanta, con il letto a conchiglia.
Povera mamma. Guardo le tue borsette chiedendomi cosa pensavi mentre le indossavi.
Quando hai saputo di essere condannata, così giovane, così vecchia.
Il rapporto poi più morboso è con un carillon.
L’ho sempre conosciuto.
È a forma di dado, avorio con i puntini neri...
È abbastanza grande, foderato in velluto rosso, con la parte interna del coperchio rivestita di specchio.
Ha contenuto il mio primo contratto di lavoro, quello che svolsi per poco tempo durante l’università, ha ospitato un disco di cartone con l’indicazione della mia pressione arteriosa.
Qualche collana di plastica, un cagnolino di peluche.
Ha una musica dolce, forse stucchevole, si è conservato intatto, in mezzo a tanta distruzione.
Piaceva tanto a mia madre.
Mentre mangio lo osservo e stabilisco con lui un rapporto di intesa.
Non lo porterei mai via, magari per portarlo nella casa dove risiedo.
La sua vita è lì.
Ha stabilito un rapporto forte con la casa.
Se potesse parlare, manifesterebbe tutta la preoccupazione di un eventuale allontanamento.
Chissà cosa gli riserverà il futuro?
Visto che io non riesco a decidere, chi deciderà per me?
E tutti i sogni e i pensieri delle persone che non ci sono più, dove li porteremo?
Sono contenuti in questi oggetti, in questi mobili, in questo carillon?
O forse sono lontani da qui, o forse distrutti, disintegrati con il vento, con le parole o con il dolore?
Le banalità della vita, i piccoli piaceri, dove potremo trovare un contenitore che possa arginare i nostri giorni?
Basterà un piccolo carillon?
Il ritardatario
Sono sempre arrivato tardi.
Non so perché.
Le cose che ho ottenuto nella vita non sono poche, ma sono sempre arrivate quando non le desideravo più.
Da ragazzo amavo, desideravo con tutto me stesso, una particolare bicicletta da corsa.
Non potevo permettermela.
Probabilmente, se la avessi chiesta a mia mamma, me l’avrebbe comprata, anche con grandi sacrifici.
Non osai mai chiedergliela!
Il desiderio mi rimase intatto, fino a che, all’età di circa trent’anni, divenni molto benestante, e non riuscii a comprarne non una, ma circa una decina, costosissime...
Non fu la stessa cosa.
Ormai il desiderio era rivalsa, e la soddisfazione cenere...
Quando persi mia madre mi accorsi troppo tardi quante parole, quanto affetto avevo tenuto per me.
Inespresso il mio amore, tanto da sembrare anaffettivo.
E in modo insano passai notti e notti a parlare sottovoce fissando il nulla, solo nel mio letto da single, stupidamente ripetendo frasi d’affetto ormai scadute...
Probabilmente la mia immagine, nella fanciullezza, era associabile ad un brutto anatroccolo.
Non posso dire di aver subito vessazioni dai miei compagni, ma non riuscivo a stabilire con loro un rapporto come da me desiderato.
Ricordo una mia festa di compleanno dove vennero solo due ragazzini della mia classe, mentre li avevo invitati tutti!!!
Venivo visto come strano
, particolare.
Il mio modo di parlare era diverso.
Non amavo le banalità che facevano impazzire gli altri.
Questo mi allontanava da loro.
La mia forza di carattere mi portò a non snaturare me stesso.
Mi trasformai da ragazzino problematico a ragazzo bello ed interessante.
Non cambiando nulla, cambiò tutto.
Avevo amici in ogni angolo, le ragazze erano molto disponibili.
Tutto questo però mi annoiava a morte.
Avevo imparato ormai l’arte di vivere con me stesso.
Troppo tardi l’affetto ed il coinvolgimento dei miei simili mi aveva avvolto.
Senza drammi, riesco a gestire il mio tempo con gli altri. Posso anche sembrare divertirmi.
Spesso spero solo che gli amici
spariscano...
Oggi Alessandra, la ragazza che frequento da circa un anno, mi ha detto che sono