Inside the Trap. Incursione sociologica nel mondo "trap"
By Umberto Pagano and Barbara Servino
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Inside the Trap. Incursione sociologica nel mondo "trap" - Umberto Pagano
bibliografici
1. Introduzione. Di cosa parliamo quando parliamo di trap
e altre questioni preliminari.
Non si può incolpare il rap: Eh voi eravate quelli col messaggio e adesso non c’è più niente
. No, non c’è più niente. Punto. Non è il rap.
(Paola Zukar, 2017)
Per la cultura hip hop, fin dalle origini, costitutiva e fondante è la giustapposizione degli opposti fra il concetto di "keep it real e quello di
makin’ it". Da un lato il rimanere fedeli al proprio vissuto, raccontandosi con saldo ancoraggio alle radici, alla zona di provenienza, con l’obiettivo principale di preservare il più possibile la propria autenticità; dall’altro la voglia di riscatto sociale, di ascesa, di vittoria sul fato avverso. A partire dal 2015 in Italia è andato diffondendosi un sottogenere di rap, detto trap, che sembra aver messo in discussione questo equilibrio dicotomico e più in generale le regole di ciò che estimatori e appassionati chiamano rap game. Quella che definiamo Trap music è una produzione che vive di contraddizioni e che sta facendo storia in quanto fenomeno di tendenza: amata, odiata, ma soprattutto seguita, e merita dunque un approfondimento critico che possa darle rilievo nel panorama di studi socioculturali attuale. "Sfera Ebbasta piace a tutti come il Mcdonald" decreta lo stesso rapper nel brano "20 collane", e tutto potrebbe riassumersi così, perché la trap, nata come sottocultura nelle periferie di Atlanta è allo stato attuale un prodotto globalizzato votato al consumo di massa (statistiche diffuse dalla piattaforma di streaming musicale Spotify evidenziano come, nel 2017 il genere abbia visto un incremento degli ascolti del 74%) declinato in forme e varianti ampiamente eterogenee e dunque difficile da inquadrare con immediatezza. Banalizzando, i tratti distintivi di questa nuova wave musicale sono le sonorità accattivanti, la notevole attenzione data all’immagine (Gué Pequeno, nome altisonante della scena rap italiana l’ha definita musica da guardare
), i costanti riferimenti al profitto, al crimine, al consumo di droghe, alle griffe di moda, ad una concezione sessuocentrica ed edonistica dell’esistenza.
Col presente articolo si intende indagare quanto e in che modo seguire uno stile
e sentirsi parte di un fenomeno connotato da tratti contro-culturali (o presunti tali) possa incidere nel processo di costruzione della propria identità e come possa impattare sui pattern valoriali e comportamentali del singolo e del gruppo. Quanto potrebbe ritenersi fondata l’ennesima ondata di panico morale che sembra aver coinvolto l’opinione pubblica dopo gli scetticismi sul punk, il satanismo e la violenza nei videogame?
L’immaginario criminale e nichilista proposto dalla trap costituisce un potenziale pericolo per chi l’ascolta e ne segue i dictat (se li segue)? Alla luce del fatto che (a quanto risulta dall’analisi della letteratura) non ci risultano altri contributi accademici sul tema, intendiamo fornire un quadro di riferimento sul fenomeno che possa rappresentare un punto di partenza esplorativo, quantomeno sul caso italiano, per più approfonditi studi. Il testo parte da una ricostruzione storica e socio-estetica delle forme e dei contenuti della trap, per poi esporre i risultati di una ricerca etnografica condotta a Catanzaro da marzo a fine dicembre del 2018, attuata su trentacinque soggetti a vario titolo coinvolti nel fenomeno (produttori, compositori, consumatori di musica trap), nel tentativo di fare il punto della situazione su un fenomeno tanto diffuso quanto poco discusso in termini sociologici.
I post-subcultural studies hanno posto le basi per una totale revisione dell’approccio strutturalista nello studio dei fenomeni sociali marginali e periferici
, liquidando difatti le impalcature teoriche della tradizione di Birmingham in favore di prospettive più dinamiche, incentrate sulla molteplicità e frammentazione delle forme contemporanee di identità e appartenenza: acquisite
e fluide
anziché ascritte
e solide
(Maffesoli, 1988, 40-41). Non più erano da ritenersi costitutivi e fondanti elementi quali il luogo di provenienza o la classe sociale, né tantomeno l’ideologia intesa