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Beethoven - L'uomo: Con 15 tavole fuori testo
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Beethoven - L'uomo: Con 15 tavole fuori testo

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Davanti al cosciente valore umano della sua arte e al dovere sentito come un comando, di rendere di pubblico dominio la ricchezza del suo animo, Beethoven ebbe la percezione di ciò che occorreva agli uomini per trovare un'ora di raccoglimento; un punto di richiamo e di contatto. Fatto meraviglioso questo del genio che conosce, che sa la necessità della propria creazione, più imperiosa d'una guerra, per la conquista d'una coscienza superiore, d'una elevazione e d'un conforto a traverso i secoli.

Non è vanagloria, è suggello divino!

Eppure mai lo potremo percepire come assolvo; sebbene soltanto in relazione al nostro tempo, al nostro grado di cultura, che decideranno anche del nostro tributo di devozione e di comprensione.

Le feste beethoveniane del 1927 furono d'un significato più alto che nell'anniversario della nascita (1870), perché di più vasto consenso. L'appello di tutto il mondo civile fu ora più diretto all'ammirazione dell'eroe uscito vittorioso dal proprio disperato destino. Ma questo omaggio universale fu assai più che semplice ammirazione: fu il sentimento di profonda devozione, che in ogni individuo suscita il nome di Beethoven. Più grande di significato che dopo la guerra del 1870, perché la distruzione, il flagello e il dolore furono immensurabili! E la necessita che ognuno ha sentito di non rimanersene silenzioso o estraneo al ritorno della data memorabile é forse, senza saperlo, senza avvertirlo, l'avvicinamento di cui ogni uomo ha bisogno; è la tenerezza fraterna ricacciata in fondo al cuore; smarrita, ma non perduta, non morta!

Nel desiderio che oggi è in tanti d'una nuova ascesa, d'una vita nuova, si delineano più netti i valori cui Beethoven rimase fedele e che lo sostennero nel duro glorioso cammino. Si comprende l'atteggiamento fondamentale del suo spirito: Forza! Ecco la morale degli uomini, ed è anche la mia!

Soprattutto la nostra epoca, aperta a tante speranze e a tante aspirazioni, ha bisogno del suo ammonimento: spiriti forti e vigorosi che sappiano flagellare i traditori del umanità, il falso e il disonesto, per spingere gli uomini su quella via ascendente la cui cima che Egli raggiunse attraverso il suo martirio ed suoi trionfi.
LanguageItaliano
PublisherStargatebook
Release dateFeb 20, 2019
ISBN9788832522570
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    Beethoven - L'uomo - A. Albertini

    Beethoven - L'uomo.

    Con 15 tavole fuori testo

    A. Albertini

    Fratelli Bocca Editori – Prima edizione digitale 2017 a cura di David De Angelis

    INDICE

    Al Lettore

    Prefazione

    Capitolo I. — Bonn e la prima giovinezza.

    Capitolo II. — Vienna - Gioventù - Crisi - Vittoria.

    Capitolo III. — Possente maturità e trionfo.

    Capitolo IV. — Tutela del nipote.

    Capitolo V. — Apoteosi e morte.

    Illustrazioni

    Al lettore

    Questi brevi Cenni biografici di Beethoven, l'Uomo, formano il I vol. della modestissima opera con cui non intendo certo di aver fatto lavoro esauriente su la personalità beethoveniana.

    Quando si potrà e chi potrà dire l'ultima parola sul magnanimo Genio di Bonn, sull'Uomo Buono?

    Sebbene intendo mostrare come vedo e sento questa immensa figura nella vita e nell'arte, dopo averne studiato con assiduo e cosciente amore le opere e la vita, e dopo aver assorbito parola per parola ogni frase espressiva del carteggio e del brevissimo diario.

    Ora, se il mio umile lavoro potrà suscitare negli ancora profani un vivo desiderio di avvicinarsi con devota coscienza e intelligente affetto al divino Poeta immortale, la mia amorosa e lieta fatica sarà pienamente ricompensata.

    Licenziando alle stampe la nuova dizione del mio libro Beethoven, L'Uomo, mi è grato porgere un ringraziamento a tutti coloro che alle prima edizione mi seguirono con attento interesse e con gentile consiglio. Soprattutto amo esprimere il mio grato animo e la mia ammirazione agli editori Bocca di Torino, per l'intelligente e cordiale comprensione con cui incoraggiarono il mio modesto lavoro.

    Alcuni ebbero a dirmi allora che forse era troppo l'apprezzamento umano del Genio; poichè, secondo loro, sta il fatto che se Beethoven non avesse scritto la sua musica, oggi Egli sarebbe dimenticato.

    Non mi meravigliò questo modo di pensare, giacchè prevaleva sempre l'idea di considerare Beethoven soltanto dal Iato dell'arte. Prima del nostro conflitto mondiale, prima del Centenario ultimo, si parlò e si scrisse in lungo e in largo su Beethoven artista. Ma ora l'indirizzo della letteratura beethoveniana è. quasi totalmente mutato.

    Tutto ciò che fu detto e scritto a Vienna per il congresso del 1927 venne a dare, per così dire, ragione al titolo del mio libro, che nel 1924 presentò Beethoven prima di tutto come Uomo.

    Anche se è vero che l'arte è imperitura e la vita del singolo individuo è passeggera, pure, quando si tratta d'una personalità di tale elevatezza morale, e dirò di tale importanza morale, la considerazione umana prende il primo posto. In Beethoven il piedestallo umano é di troppo valore per non prenderlo come base fondamentale' della sua opera d'arte, ch'Egli stesso sintetizzò con queste semplici parole: «Arte... arte... solo per servire a Lui, detto con ragione l'Altissimo... Portar sollievo all'umanità sofferente... Gioia, pura gioia imperitura...».

    E ciò ch'io scrivevo per il Centenario nel Pensiero musicale di Bologna sta quasi a sintesi di ciò che fu detto e scritto al congresso di Vienna il 1927 dai luminari della letteratura beethoveniana, fra cui, per nominare solo i maggiori: Guido Adler, R. Rolland, Ludwig Schiedmair, Sandberger, Orel, Paul Bekker, Hermann Abert... E di quest'ultimo amo riportare alcune parole ch'Egli scrisse pochi mesi prima che la morte immatura privasse la scienza musicale di così alto intelletto: "Il più edificante spettacolo si presenta ai nostri occhi in questi giorni. Dopo cent'anni dalla morte tutto il inondo civile si raccoglie intorno a un Maestro. Veniamo a Lui senza alcuna spinta esteriore; senza l'aiuto di società: per puro impulso intimo e libero. un tempo in cui in tutti i paesi ancora si so fica ferita; per un antico dissidio. Che Beethoven possa apparire per noi oggi un vero Benedictus inviato da Dio ad annunciare al mondo il Vangelo consolatore! Tutti gli uomini siano fratelli! Ma come? Beethoven l'annunciatore della pace? Prima della guerra non si pensava così. Non era Egli forse il combattente, l'eroe? Noi tutti abbiamo l'impressione che l'immensa svolta del mondo in questo ultimo decennio non abbia lasciato intatto nemmeno la nostra intima relazione con i nostri grandi geni. Anche nella storia dell'arte, davanti al Beethoven, è stata aperta una pagina nuova; ed è oggi nostro compito decifrarne lo scritto. Non per Beethoven, perché Egli non ha più bisogno d'un nostro sostegno; ma per noi. E appunto l'intima relazione nostra di fronte a Beethoven è un'eccellente misura non per la condizione dell'arte musicale, sebbene per la condizione morale d'una generazione. Ed anche noi, generazione del giubileo, dovremo rendere ragione alla storia dell'atteggiamento che abbiamo preso, non esteriormente, ma nella nostra intimità di fronte a Beethoven....

    Beethoven è ormai un problema — io scrivevo nel periodico suaccennato; — un problema non risolto ancora e forse mai risolvibile. Ogni età ed ogni popolo avranno un Beethoven proprio, a seconda del grado di coltura, di potenzialità affettiva e intellettiva, diciamo, di religione. Ogni epoca, come ogni individuo, sentirà in Beethoven quel tanto che la sua capacità concede di sentire.

    Tutti gli scritti del Centenario ebbero un sincero carattere di ricerca per chiarire questa immensa figura. Ognuno ebbe la sua parola da dire; come ognuno ha il proprio problema di fronte a questo genio, la cui fisonomia non è resa dallo studio degli avvenimenti se non si estrae dai fatti la loro ragione d'essere. Forse verrà un giorno in cui potremo ricostruire in noi la sua vita.

    Davanti al cosciente valore umano della sua arte e al dovere sentito come un comando, di rendere di pubblico dominio la ricchezza del suo animo, Beethoven ebbe la percezione di ciò che occorreva agli uomini per trovare un'ora di raccoglimento; un punto di richiamo e di contatto. Fatto meraviglioso questo del genio che conosce, che Sa la necessità della propria creazione, più imperiosa d'una guerra, per la conquista d'una coscienza superiore, d'una elevazione e d'un conforto a traverso i secoli.

    Non è vanagloria, è suggello divino!

    Eppure mai lo potremo percepire come assolvo; sebbene soltanto in relazione al nostro tempo, al nostro grado di coltura, che decideranno anche del nostro tributo (:i devozione e di comprensione.

    Le feste beethoveniane del 1927 furono d'un significato più alto che nell'anniversario della nascita (1870), perché di più vasto consenso. L'appello di tutto il mondo civile fu ora più diretto all'ammirazione. dell'eroe uscito vittorioso dal proprio disperato destino. Ma questo omaggio universale fu assai più che semplice ammirazione: fu il sentimento di profonda devozione, che in ogni individuo suscita il nome di Beethoven. Più grande di significato che dopo la guerra del 1870, perché la distruzione, il flagello e il dolore furono immensurabili! E la necessita che ognuno ha sentito di non rimanersene silenzioso o estraneo al ritorno della data memorabile, é forse, senz.-.7 saperlo, senza avvertirlo, l'avvicinamento di cui ogni uomo ha bisogno; è la tenerezza fraterna ricacciata in fondo al cuore; smarrita, ma non perduta, non morta!

    Nel desiderio che oggi è in tanti d'una nuova ascesa, d'una vita nuova, si delineano più netti i valori cui Beethoven rimase fedele e che lo sostennero nel duro glorioso cammino. Si comprende l'atteggiamento fondamentale del suo spirito: Forza! Ecco la morale degli uomini, ed è anche la mia!

    Soprattutto la nostra epoca, aperta a tante speranze e a tante aspirazioni, ha bisogno del suo ammonimento: spiriti forti e vigorosi che sappiano flagellare i traditori del umanità, il falso e il disonesto, per spingere gli uomini su quella via ascendente la cui cima Egli raggiunse attraverso il suo martirio ed suoi trionfi.

    PREFAZIONE

    Il carteggio di Beethoven è una delle facce della sfinge; uno dei lati dell'immensurabile prisma, che è d'uopo conoscere e meditare se vogliamo spiegarci il grandioso fenomeno della sua personalità e della sua arte. Perché, dato il fondamento morale che Beethoven attribuisce all'arte, e ch'egli stesso vi sente e vi coltiva, lo studio della sua personalità è la via per giungere alla soglia del tempio, dove Egli sta nume onnipresente e agente.

    Tuttavia il carteggio è tenuto da alcuni insufficiente per lo studio dell'Uomo e dell'Artista. Ciò potrebbe apparire vero ad una prima lettura superficiale e specialmente se lo confrontiamo coi molti carteggi di poeti, che in essi rifusero il loro pensiero e la storia della loro vita.

    Ma chi ha la grazia di possedere un culto per questo Prometeo vincitore, e legge con acceso intelletto d'amore, avidamente teso a rintracciare in ogni lettera un segno che sia rivelazione del suo mondo, vede balzare fuori parole, frasi, anche brevi, anche aspre e contorte, gettate qua e là alla rinfusa con scorci audaci e talvolta sibillini, che lo colpiscono come sprazzi di luce improvvisa nell'abisso del suo essere; o, come note dominanti, lasciano intuire che cosa fosse l'arte per Lui e quale fosse la vita del suo mondo inaccessibile. Possiamo chiamarle commento ad accordi della sua lirica musicale; basso fondamentale donde essa fluì continuamente.

    Ci confermano come il segreto della sua musica non fosse che l'immenso palpito umano del suo cuore ardente e vigile — (ciò che ho nel cuore deve uscire! esclamò un giorno) e come lavorasse instancabilmente per rendere in modo concreto la voce di quella umanità che sorgeva o si ripercuoteva in Lui.

    Il titano che sentiamo ognor presente nel fondo della sua opera, nell'epistolario ci sta dinanzi con viva immediatezza; lo vediamo anche in scorcio agire, muoversi, parlare, aspirare, soffrire. Soprattutto soffrire e gioire! Gigante personificazione dell'idea e della forza nella totale indipendenza dell'arte e della vita; sprezzatore d'ogni mezzo termine; assoluto, magnanimo, sovranamente autocrate, tutto fatto d'arte, di natura, di umanità. La libertà e il progresso sono scopo dell'arte come di tutta la vita scriveva all'Arciduca suo allievo. E mentre nelle lettere lo vediamo da un lato atleta che non si piega nè retrocede, fermo col pugno serrato a vibrar colpi di maglio al destino perché non lo pieghi, e vincerlo non solo per sè, ma per il trionfo del bene; dall'altro lato lo scorgiamo mite nell'intimità, ingenuo, pieno d'un caldo sentimento purissimo per la famiglia e l'amicizia, e rigorosamente fedele ai suoi principi. Giacchè, se, conscio della sua superiorità, volle una libertà illimitata di vita e di pensiero, ne sentì e ne sostenne la responsabilità e i doveri.

    La natura gli aveva dato un dovere da compiere ed egli lo compì fino in fondo, onestamente. La natura gli aveva dato un immenso tesoro da elargire agli umani, — ed egli lo gettò a piene mani nel mondo, prendendolo dal suo cuore come da una polla viva, alimentata dal suo perenne amore all'arte e agli uomini, che portava al limitare dell'infinito: «Noi esseri finiti con uno spirito infinito, non siamo nati che al dolore e alla gioia, e si potrebbe anzi dire che gli eletti giungono alla gioia a traverso il dolore.

    Beethoven, laconico per natura, poco espansivo a parole e timidissimo per quanto riguarda il suo Io interiore, avverso a scrivere oltre ad essere poco esperto, riesce sovente contorto e prolisso; e, maneggiando la penna, si dibatte non di rado fra l'intrico di regole della sua lingua materna; ma se ispirato e commosso, per quella legge che lo fa sempre e sovranamente maestro di poesia, allora sa vincere anche le manchevolezze stilistiche e sa essere preciso, conciso, incisivo.

    Però, dato il suo carattere, anche se più esperto, non avrebbe lasciato maggiori notizie e ragguagli su la sua intimità affettiva e intellettiva. Di sè parla diffusamente solo in poche lettere, che restano veri documenti della sua vita intima. In tali altre parla anche del suo grande amore all'arte; ma sull'arte proprio non si sofferma o non pronuncia che qualche rarissimo giudizio.

    Forse l'arte era Lui, troppo tutto Lui, per poterne scrivere. Si sentiva acceso come un infiammato cuore di profeta o di apostolo, cui non la parola scritta, ma solo la voce viva poteva essere il mezzo di espansione.

    E la sua voce viva non fu che la musica.

    Tutti conosciamo il gentile quanto caratteristico episodio con la baronessa Ertmann. Quando essa perdette l'unica bimba che Beethoven amava assai, questi, solo un mese più tardi potè rivedere l'amica; le strinse la mano in silenzio, e, sedendosi al piano disse soltanto: Ora parleremo in suoni. Suonò. Quelle note non furono mai scritte; sgorgavano spontanee dall'anima angosciata di Lui, che adorava la vita; di Lui che aveva tanto sofferto quando la morte gli aveva strappato la madre... Suonò per un'ora. La signora ascoltò come solo una madre sa ascoltare una voce ultraterrena che parla del figlio, passato al mistero dell'eternità...

    Beethoven, dopo aver dato così il suo compianto alla infelice e alla bimba scomparsa, si allontanò in silenzio com'era venuto.

    Letterariamente fu piuttosto autodidatta che allievo d'una, scuola. Tuttavia con l'immenso abbraccio del suo genio accoglie in sè un'essenza di cultura, breve di cognizioni, è vero, ma viva e vasta di contenuto, assorbendo dai grandi d'ogni età, che aveva consuetudine di leggere, le verità affini alla sua mente.

    Me lo figuro come una potente forza centrifuga, ove si imbattono e sfociano correnti di passione che in Lui si traducono immediatamente in idea musicale. Ma il suo "attimo a; quello che Goethe aveva tanto atteso e colse alla fine della vita, egli Io cercò tutta la vita con tenacia, e lo scopri in sè. Lo aveva scovato con assidua meditazione di sotto la zavorra che il mordo getta su tutte le cose, per cantarlo con l'èmpito dell'uomo-umanità, che risolve e placa l'enigma della propria esistenza attraverso un'intensa vita intima e sfrenata, ma sempre ritmica come una manifestazione di natura. Qui lo seguiamo passo passo nelle sue creazioni, fra le quali, se le sonate emergono come pagine autobiografiche, come confessioni del suo Io, le composizioni orchestrali (il suo vero mondo) emergono come travolgente passione di un'intera umanità, bisognosa di esaltazione e di vittoria.

    Ma di quale forza ebbe d'uopo il genio per giungere a questa vittoria? Nelle lettere ai due più cari amici, Amenda e Wegeler, e in quella ai fratelli, detta il Testamento di 1-leiligenstadt (e non inviata mai), lo vediamo prima e dopo la crisi del 1802.

    A mano a mano che il destino batte inesorabile alla sua porta, egli sale passo passo su dalla profondità del suo essere, finchè ci sta dinanzi in tutta la sua prodigiosa bellezza.

    Sono commoventi le prime timide confessioni intorno alla minaccia della sordità, sussurrate prima in segreto ai due amici; poi le angosciose alternative; poi lo scoppio finale, l'atroce certezza e la disperazione.

    Cupa, terribile disperazione fino alla minaccia di suicidio. Ma breve! Nel passaggio, è vero, gli strizzò il cuore a sangue e non guarì più; ma la forza rinacque, si temprò e vinse.

    L'arte e l'amore agli uomini gli avevano ridato il coraggio e la volontà di vivere.

    L'arte: l'ardente e prepotente amatrice, dopo che la sordità gli aveva chiuso alle spalle un mondo triste, circoscritto e smorto, gliene apriva uno sereno sconfinato e luminoso, nelle superne altezze dello spirito. Grata di quel sacro amore nutrito con così ferma fede, essa fu la Liberatrice del suo demonico genio creatore. Poiché egli, palpitante solo in un arcano mondo trascendentale, quaggiù rimaneva pur sempre tra il dissidio della sua vita vera interiore, e la fittizia esteriore, l'eterno divino fanciullo inesperto, l'eterno ingenuo tormentato nel labirinto delle piccole irritanti necessità d'una esistenza, fatta con gli anni maturi più misera, affaticata e faticosa.

    L'amore agli uomini gli aveva imposto: non si deve morire finché si può fare una buona azione. E tale amore alzò un tempio nel cuore di questo Uomo buono.

    Uomo di razza forse scomparsa, razza ciclopica; uno di quei rari campioni venuti a mostrare il miracolo della creazione. Un primitivo dalla forza erculea e l'anima divina, balzato su da un mondo incandescente con volontà di vittoria, egli stesso commovente immagine del massimo dono: la bontà.

    Perché Beethoven che mise il cuore e l'arte al servizio degli uomini, prima che genio della musica fu il genio della bontà.

    Ma bontà — leva d'ogni grande azione, somma .dei beni che una Mente infinita affida all'Eletto perché ne faccia dono ai mortali e ridesti le migliori energie smarrite; bontà — la grandiosa, la sublime, la incorruttibile dinamismo di poesia e di etica bellezza; nucleo del contenuto spirituale da cui viene quel profondo senso umano che nella sua musica palpita con noi in un affiato di finito e infinito; pieno di desiderio d'una grande anima libera, che supera e risolve il suo dolore terreno meditando sulla verità della spirituale origine umana e del suo alto destino.

    Perché dal fondo ove il genio circospetto e chiaroveggente stava in attesa di scoprire la ragione dell'essere suo e degli umani, salivano alla coscienza, già negli anni giovanili, i primi bagliori su la legge divina, per cui Iddio, non agli aspri stridenti disaccordi del male e del dolore, non a una deforme caducità mortale condannava i suoi figli, ma li consacrava all'eterna armonia e alla bellezza, sinonimi di gioia. E queste cantò come inno di fratellanza e di liberazione dalla schiavitù della corrotta interpretazione e del corrotto senso dell'esistenza.

    Già fin da ragazzo aveva detto di sé:

    "Non sono cattivo — il sangue ardente è la mia cattiveria — il mio delitto la gioventù. No, cattivo non sono, certamente no!

    Anche se emozioni sovente turbolenti mi agitano il cuore — il mio cuore è buono. — Fare del bene dove si può — amare la verità sopra tutto — non rinnegare mai la verità, nemmeno ai piedi del trono.

    Più tardi esclamerà: Plutarco mi ha portato alla rassegnazione, perché negli spiriti magni del passato aveva trovato la conferma delle verità intuite in gioventù e sentite poi nei suoi fieri colloquii con l'Invisibile: l'eletto puro di cuore può — se vuole — essere tramite di conforto e di elevazione fra gli uomini, trascinandoli verso un sublime ideale di perfezione.

    E dichiarerà: solo la virtù è fonte di felicità, non la ricchezza; e: Forza! Ecco la morale degli uomini che li distingue dagli altri, ed è anche la mia. Ma Morale per Lui ebbe il vasto significato di larga onestà, di dominio su di sè e i casi della vita. Perché essere o non essere non era per Lui problema superficiale o indifferente, sebbene necessità assoluta e imperiosa di vivere, per dare tutto ciò per cui si sentiva chiamato.

    Negli ultimi anni scrisse al Municipio di Vienna le memorabili parole: Voglio provare a tutti che chiunque agisce bene e nobilmente può sopportare persino l'infelicità. E a una bimba che gli offriva un piccolo ricamo: Non riconosco altro segno di superiorità nell'uomo che la bontà.

    Tuttavia non sono rari in Lui gli scoppi di collera violenta: dotato di un temperamento eccessivamente impressionabile e impetuoso, la collera esplodeva improvvisa come rombo di tuono. Immagino i lampi su quella fronte formidabile! Il tumulto di quel cervello vulcanico! Ma subito rappacificato correva egli primo a chiedere perdono e per lo più non vi era misura fra il pentimento e la piccola offesa. Gli amici lo sapevano e non gli serbavano rancore. Alcuni gli furono anche fedeli; ma con quei pochissimi, legati a Lui da vera amicizia basata su una comunanza d'intendimenti e di onestà, non sorse mai alcuna nube ad offuscare quel sentimento in Lui così generoso.

    Fu più tardi ombroso e diffidente. Non era facile il compito di chi gli stava intorno. Ma è anche vero che con la sua più che squisita .sensibilità metteva a nudo il cuore e non ammetteva nemmeno la p;e1 piccola mancanza di schiettezza. Fu inoltre insofferente di qualsiasi vincolo (all'infuori del nipote); intollerante di compagnie importune quando non servissero per aiutare un amico v un artista in bisogno; nè sempre seppe astenersi da giudizi forse avventati, affrettati o impulsivi.

    Ma che cosa erano queste antinomie, questi contrasti rispetto al vero Beethoven? Quali e quante asperità inconcepibili a noi il genio doveva subire al contatto di tanta volgarità, quando tutto si opponeva all'appagamento delle sue giustissime brame: aver sicuro il domani; darsi solo all'arte; non vedersi negato ciò che era per Lui nutrimento vitale, avere un focolare col figlio adorato (il nipote), che voleva allevare laborioso e onesto, puro di cuore e di costumi?

    Negli anni virili aveva esclamato quasi con orgoglio: "Sono io il Bacco

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