Eleinda - La Formula dell'Immortalità: Romanzo Urban Fantasy con i Draghi: Eleinda 2

sempre.

RINGRAZIAMENTI

La prima persona in assoluto che mi sento di ringraziare per questo libro è mio figlio, nato all'inizio del 2018 e che mi ha concesso dei momenti da dedicare a questa mia sempreverde passione! Mi dicevano che non ce l'avrei fatta, essendo così piccolo, ma io ho fiducia in te e nelle nostre capacità di sincronizzazione (tu dormi, io mi dedico ai libri... oppure tu giochi e io ti seguo con il Kindle in mano per apportare correzioni al dattiloscritto)! Ti amo più di ogni altra cosa al mondo, e di questo enorme regalo che mi hai fatto sono certa che ne risentiranno tutte le mie opere future.

Ringrazio mio marito per essere sempre accanto a me in quest'avventura, per essere obiettivo quando gli faccio leggere qualcosa e mi dici sinceramente che effetto gli fa (perché io gli faccio mille domande a proposito!) ma soprattutto per essere con me nella nostra vita straordinaria.

Ringrazio la nostra piccola pelosa di casa, Leeloo, che in questo esatto momento sta comodamente sdraiata sul letto mentre io scrivo per terra (divano occupato da mio figlio). Oltre che a essermi sempre utile per riordinare le idee su Eleinda quando la porto fuori (o è lei che porta fuori me/noi? Ho sempre questo dubbio...)

Grazie a Dario De Vito per l'illustrazione di copertina: se vedo Alessandro e Alizarina perfetti insieme è anche grazie al tuo fantastico disegno! E grazie a Giulia Iori per l'incredibile lavoro di grafica fatto anche stavolta: sai valorizzare l'opera di Dario e siete la squadra che ogni autore desidera, soprattutto perché siete degli amici fidati per me; mi avete anche spronato a creare una migliore sinossi del libro!

Grazie agli iscritti alla Newsletter Eleinda Books che rispondono alle mie email confidandosi, quando abbiamo qualcosa in comune, o quando semplicemente facciamo quattro chiacchiere sui libri o sui telefilm: è come avere degli amici di penna (esistono, è solo cambiato il mezzo)! Un infinito grazie a chi, tra voi, decide spontaneamente di fare passaparola su Eleinda nei vari social o sui blog.

Grazie ai book blogger che sostengono Eleinda: tra recensioni, menzioni nelle occasioni più disparate e iniziative speciali pensate per la serie mi fate sentire davvero coccolata. Ringrazio in particolare Ilaria Vecchietti (che è sua volta autrice fantasy; ve la consiglio!) del blog Buona Lettura, Gioia blogger delle Twins Books Lovers, Laura Buffa della Rivista Fralerighe, Miriam Mastrovito (a sua volta autrice; leggetela!) del blog Il Flauto di Pan, Linda di Pagine a Merenda, Emanuela Navone (autrice ed editor) per la rubrica Io leggo self, Teresa Anania de Il Mondo Incantato dei Libri, Alessio Del Debbio (autore di tantissimi romanzi urban fantasy; per tutti i gusti!), Leacomy in Wonderland, Mikla tra i Libri, Franci di Libri, Libretti e Libracci, Lyra del blog Flowerstardust, Frankie del blog FantasyAmo, Elsa de La Cercatrice di Storie, Emili di L per Libro... e tanti altri!

Anni fa non avrei mai pensato di scriverlo, ma ringrazio infine la mia malattia, l'endometriosi. Mi ha aperto sul senso della vita. E mi ha concesso di approfondire un personaggio condannato come il dottor Brandi. Il fatto che l'abbia superata la rende protagonista di un altro libro, ma ha lasciato un segno così profondo che ha già condizionato la trama di Eleinda 3.

Il Grazie più grande di tutti va dunque alla Vita.

E a tutte le persone che fanno parte della mia.

PROLOGO

APPUNTI IN UN FLOPPY DISK

Mutazione del DNA.

Introduzione all’argomento.

Tale appendice nasce dal progetto TS/0. Uno scienziato sa che gli esperimenti possono essere soggetti a variabili; quel che conta è arrivare allo stesso risultato.

Il mio studio sulla mutazione del DNA è la tecnica utile all’annientamento del soggetto precedentemente trattato con la clonazione, congiuntamente al trasferimento del progetto TS/0 in un altro soggetto.

Nel corso del processo iniziale (clonazione) si è rivelata una risposta positiva nelle cellule sottoposte a interazione con altre cellule; non solo tra le appartenenti alla medesima e complessa struttura, poiché il coinvolgimento riguarda anche quelle contenute nel classico DNA.

Il DNA è suscettibile.

L’alterazione del materiale genetico può provocare una mutazione.

La mutazione è distinguibile in: puntiforme, se altera una sola base, oppure cromosomica, se altera struttura o numero dei cromosomi. Quest’ultima rappresenta un’alterazione di grandi porzioni di DNA e può essere originata da inversioni (nel caso in cui la rottura del cromosoma sia saldata nell’orientamento sbagliato), delezioni (con perdita di un tratto di DNA), traslocazioni bilanciate (rotture che vengono saldate in cromosomi sbagliati) o inserzioni (una porzione di un cromosoma viene inserita all’interno di un altro cromosoma).

Qualora la mutazione sia prodotta dall’azione di particolari agenti fisici o chimici (agenti mutageni, come il nostro caso), trattasi di mutazione indotta. Tale mutazione può prevedere: la sostituzione delle basi con molecole di struttura analoga a quelle comunemente presenti nel DNA; l’aggiunta di gruppi sostituenti alle basi azotate; il danneggiamento delle basi (rompendo legami o aggiungendone di nuovi rispetto alla condizione normale); l’inserzione o le delezioni di basi.

Gli agenti mutageni si distinguono in fisici e chimici: quelli fisici sono soprattutto radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi gamma) e non ionizzanti (raggi UV) mentre gli agenti chimici sono molto numerosi e appartengono a diverse classi di composti. Un’importante differenza tra mutageni fisici e chimici è che i primi agiscono indipendentemente dall’organismo; i mutageni chimici, invece, possono avere effetti diversi in funzione del sistema biologico. Gli effetti possono essere notevolmente diversi secondo il tipo di mutazione e della posizione in cui questa si verifica.

Conclusioni.

Una mutazione può anche portare a nessuna conseguenza, ma nel caso in cui la mutazione vada ad alterare i geni, si verificherebbe una variazione nel tipo o nella quantità del corrispettivo prodotto genico; tale fenomeno è definito come mutazione biochimica.

Se la mutazione biochimica porta a una variazione visibile del fenotipo, si parla di mutazione morfologica.

PARTE PRIMA

TRA IL BENE E IL MALE

1. Distanza di sicurezza

Lasciò libero il fiato e tornò a respirare.

Ci era mancato poco.

Nell’oscurità della sua stanza, aveva percepito i passi di Salvo sostare a lungo dietro la porta, dopodiché li aveva sentiti riprendere la direzione delle scale.

Ora poteva tornare alla sua ardua missione e, considerati i rischi e le possibili conseguenze, era piuttosto pericolosa.

Rimase un attimo immobile, le orecchie tese all’ascolto: il silenzio era denso come velluto, e l’unica stonatura era il ronzio di una zanzara, ultima superstite di una calda estate. Erano passate settimane dal suo rientro a Villapace, e si era ripresa dallo stress e dagli impegni lavorativi dell’associazione World is our Heaven. Don’t turn it to Hell. L’indomani la aspettava una conferenza sulle auto a energia solare, il traguardo più importante che avesse raggiunto, un passo enorme verso il futuro, eppure, lì a Villapace, erano le cose più semplici a fare da padroni.

Interruppe il flusso dei pensieri: non era il momento di distrarsi.

Spostò nuovamente le coperte con delicatezza, lasciò scivolare le gambe nude sulla sponda del letto, e a piedi scalzi, con passi dotati di buona memoria, stavolta raggiunse l’uscita senza inciampare. Aprì leggermente la porta per esaminare il corridoio: regnava la stessa atmosfera della sua stanza; silenzio e oscurità. Perfetto.

Camminò tastando le pareti finché non distinse un materiale diverso, quello del legno, dunque accarezzò la superficie alla ricerca della fredda maniglia in allumino; prestò attenzione nell’aprire la porta il più silenziosamente possibile, e come guadagnò uno spazio appena necessario a far passare la sua figura, s’intrufolò oltre. Sentendosi ormai al sicuro, proseguì il cammino verso la meta, ma, d’improvviso, il suo piede destro schiacciò un oggetto molliccio come gomma, da dove uscì un suono acuto: Squiiiuuu.

Sentì i versi gutturali di una risata trattenuta a stento, ed Eleonora soffocò malamente anche la sua, portandosi una mano alla bocca.

«Ma che accidenti è?», bisbigliò divertita.

«Solo un piccolo scherzo.»

«Ale, sei fuori! Ho fatto tanto per non farmi sentire e mi lasci delle trappole in giro?»

«Shh! Dai, Ele, vieni qua.»

Eleonora allungò le braccia fino al letto; le coperte erano già pronte ad accoglierla, così come quel bacio. Strano, pensò. Per un attimo, le sembrò come se fosse la prima volta che sfiorava quelle labbra, eppure si muovevano esperte, e ad affiancare quel solito desiderio c'era un'insolita frenesia, un'urgenza passionale che appartiene solo a chi conosce bene il corpo dell'altro. Schiacciò il petto contro il suo torace nudo, mentre Alessandro allungava le mani fino ai fianchi e la invitava a salire cavalcioni su di lui. Eleonora si gettò nuovamente sulle sue labbra mentre lui le accarezzava la pelle sotto la camicia da notte, sollevandola delicatamente fino a scoprirle le cosce, il ventre, e infine la pancia. Poteva sentire il suo desiderio crescere, trattenuto a stento nei boxer. D’un tratto, Alessandro la ribaltò contro il materasso e le sussurrò nell’orecchio: Ora sei mia. Prese a baciarla, e dall’orecchio scese sulla spalla, sul capezzolo ancora coperto, dopodiché quel bacio curvò verso l’interno, dentro l’ombelico, e scostando ogni tessuto arrivò fin laggiù.

Una vocina nella sua testa le diceva che era sbagliato, un’altra pensava di approfittarne mentre il corpo era avvolto da una sensazione d’estasi totale, un piacere sempre più intenso, alto, vivo. Così reale.

La porta si spalancò all’improvviso.

«Non in casa mia!»

∞

Eleonora aprì di colpo gli occhi e sobbalzò dal letto con la voce di Salvo che le rimbombava ancora nelle orecchie. Era stato solo un sogno, e gradualmente le orecchie smisero di pulsare. Diversamente da loro, l’altro organo coinvolto faticava a tornare alla normalità.

Lo desiderava.

Continuava a desiderare Alessandro dentro di sé.

Provò vergogna. Come poteva un sogno averla sconvolta così profondamente? Non le era mai successo di provare una sensazione così viva del piacere, per lo più durante un sogno.

Io... con Alessandro.

Si lasciò andare contro il materasso e si coprì con quella trapunta leggera fin sopra al naso. Il calore che provava sulle guance significava che stava arrossendo, e in effetti si sentiva ancora accaldata.

Sentì bussare. E bisbigliare.

«Ele... Ele...»

«S... sì, Salvo?»

«Non è oggi che avevi quella conferenza sulle automobili a energia solare? È la seconda volta che ti chiamo e Ale ti sta di nuovo scaldando il latte, ma se vuoi riposare e ci siamo sbagliati sul giorno...»

«No-no, hai ragione!» Il suo tono di voce si era alzato, fino a diventare stridulo. Lo schiarì. «Arrivo subito, grazie.»

Posò i piedi a terra, infilò le ciabatte e andò ad aprire le persiane. Fece un ampio respiro: l’aria frizzantina seppe calmare ogni fibra del suo essere, ma dovette sforzarsi di pensare al discorso della conferenza per ingannare la sua mente da quello che in realtà stava ricordando.

Si girò verso l’armadio, aprì le ante, fissò i suoi vestiti ben ordinati divisi in abiti, maglie, jeans, gonne... aveva una vasta scelta, per non parlare della varietà di colori disponibili.

Che indecisione. Non c’era pace per i suoi tormenti.

∞

In cucina, Salvo scaricava i piatti dalla nuova lavastoviglie — comprata su insistenza del nipote — mentre Alessandro era ancora a tavola.

«Pensavo avevi finito», così non avrei dovuto affrontarti, pensò, guardando la nuca del ragazzo; appena si girò verso di lei, incontrando i suoi occhi, Eleonora provò un brivido così profondo che si sedette pesantemente sulla sedia.

«Ahi. Che ti dicevo, nonno? Dovremmo mettere dei cuscini; queste sedie sono troppo dure. Se poi ci aggiungi Ele-grazia-di-un-elefante...»

La ragazza immerse un biscotto nel latte e cercò di controllare il tremolio nella mano.

«...Com’è che non sento una delle tue risposte a tono?»

Continuò a inzuppare il biscotto.

«Ma cos’ha fatto? Si è svegliata male?»

Salvo fece spallucce, mentre la ragazza continuò a tacere e a rendere quel biscotto sempre più molle.

Fissarlo, doveva fissare quel latte e non lui.

«Ele, tutto bene?»

Sussultò e il biscotto si ruppe a metà, affogando nel latte.

«Ma sei scemo? Ti avvicini così di soppiatto e mi urli nelle orecchie?»

«Sei tu che urli! Io ti ho bisbigliato dolcemente...»

Dolcemente.

Eleonora si riscosse dopo aver avuto una pausa; gli occhi incantati sulle sue morbide labbra.

«Sei rossa... tremi... non è che hai la febbre?»

Alessandro posò il palmo della mano sulla sua fronte, ma lei lo scansò bruscamente, alzandosi dalla sedia e spingendo il ragazzo lontano; tuttavia sentiva che quelle mani, anziché respingerlo, avrebbero voluto afferrare il suo busto e attirarlo con altrettanta foga su di sé.

Come sempre.

«Lasciami stare!»

«Ma cos’ho fatto?»

«Niente... ecco, sì, niente!»

«Ti sei svegliata proprio male, oggi, eh?»

Eleonora, che nel frattempo aveva aggirato il tavolo e ripreso il latte per berlo tutto d’un sorso, quasi si strozzò.

«Senti. Stamattina non ho per niente voglia dei tuoi soliti giochini. Sono agitata per la conferenza.»

«Okay, bastava dirlo.»

«Basterebbe essere un po’ comprensivi. Non ti devo sempre spiegare tutto. Ciao Salvo, io vado!»

«Sì! In bocca al lupo, Eleonora!», gridò l’anziano mentre la ragazza era già fuggita verso la porta.

«Ehi...» si sentì afferrare per un braccio. «E a me? Non mi saluti?»

«Che cosa dovrei fare, darti un bacio d’addio? Guarda che torno.»

«Non voglio che te ne vada così, col muso, che sembra che abbiamo litigato.» Di colpo, si mise a ridere.

«E ora che c’è?»

«No è che... certo, il tuo è un bel musino. Però non è molto presentabile, sai...» così dicendo, le prese il mento fra il pollice e l’indice, e con quest’ultimo le accarezzò la pelle tra il labbro superiore e il naso. Inevitabilmente, il dito le sfiorò anche le labbra. «Ecco, così va meglio.»

Il suo tono si era fatto serio: «Avevi... avevi ancora del latte.»

«Ah.»

«Già.»

Rimasero lì in silenzio, come tantissime altre volte era successo da quando era tornata a Villapace. Esattamente la stessa scena: i loro occhi si sfuggivano, non si soffermavano mai; quando uno fissava l’altro, l’altro si spostava altrove.

«Allora... io vado. Ciao.»

«Aspetta, ti accompagno». La prese per mano. Quella forma di contatto era sempre stata l’unica concessa.

«No», disse la ragazza. «Grazie», aggiunse, addolcendo il tono. «Vado da sola; so badare a me stessa.» Gli fece l’occhiolino, cercando di sembrare tranquilla e sicura, come se non ci fosse nulla che non andasse.

Aveva appena cominciato ad allontanarsi.

«Lo so che ti manca!»

Eleonora bloccò il passo. Persino Alessandro lo aveva capito. Ecco cos’era.

Ecco cosa non andava. Lui l’aveva abbandonata.

Se l’aveva fatto lui, chiunque altro avrebbe potuto fare lo stesso. Perciò era meglio fare così: non lasciarsi più avvicinare da nessuno.

«Io sono qui se hai bisogno di parlare...»

«Lo so, Ale.» Si voltò verso di lui. «Grazie.» Gli sorrise. Ma era un sorriso a metà, piegato all’ingiù dal lato sinistro.

Notò la distanza tra loro: Alessandro là vicino al casolare, Eleonora lì sulla passeggiata che conduceva verso l’entrata della proprietà. Con l'altro era stato diverso, non esisteva il concetto di distanza poiché erano uniti nello stesso punto, nello stesso attimo, e dentro la stessa coscienza.

Ma ora non più.

Ora era sola con se stessa, e a dire il vero non aveva voglia di fare i conti con quella ragazza complicata.

D’improvviso, sentì un fruscio alla sua sinistra, lì dove c’erano gli arbusti da siepe che incorniciavano la passeggiata. Per un momento incrociò lo sguardo stupito di Alessandro, poi tornò nuovamente a fissare il brusco movimento tra i piccoli rami.

«I... Indaco...» Le rispose il nitrito di Lola, che immediatamente dopo, fece la sua comparsa lungo il vialetto.

Il sorriso della ragazza assunse di nuovo quella smorfia, mentre Alessandro era andato incontro al cavallo e le affondava le dita nella soffice criniera. Quando lui incrociò nuovamente il suo sguardo, Eleonora lo distolse, consapevole della delusione che si era dipinta sul suo volto. Era stata la prima volta dopo un anno e nove mesi: aveva pronunciato quel nome ad alta voce.

Aveva smesso di farlo anche col pensiero.

Del resto, a cosa serviva?

Non c’era più nessuno in grado di percepirlo.

∞

Era chiuso nel carcere di massima sicurezza, le braccia legate intorno al corpo e le mani serrate dietro la schiena: la camicia di forza gli impediva di muoversi, ma non di dondolare.

Avanti e indietro, avanti e indietro.

Non era stata tra le migliori l’idea di mordersi il labbro fino a sanguinare, e usare quel sangue per scrivere sulle pareti, ma era l’unica alternativa che era riuscito a trovare in mancanza di penna e gessetti: la prima era ormai preclusa a qualunque detenuto per paura che potesse essere usata come arma contro le guardie, mentre gli altri gli erano stati confiscati dopo che il secondino si era accorto che li aveva frantumati fino a renderli polvere, nonché materiale per un possibile esperimento. Gli avevano tolto qualsiasi oggetto perché riusciva a ingegnarsi con i pezzi della radio, lo spazzolino, e persino il sapone.

Il detenuto-modello con il carrello dei libri vecchi non passava più davanti la sua cella, il che lo faceva sorridere perché, se non altro, gli avevano portato via anche la Bibbia; tutte quelle grida sulla sua inutilità e la continua preferenza di un trattato scientifico, fosse pure quella vecchia teoria di Darwin, avevano portato la guardia di turno all’esasperazione. Sicuramente si era anche infastidita nel vedere il dottor Brandi strappare quelle pagine a morsi: avevano creduto fosse preda di un raptus di follia; in realtà aveva solo trovato un altro modo per pulirsi i denti dai resti di quella coscia di pollo secca e insipida, che puntualmente servivano in mensa.

L’unico suono in quella stanza asettica era lo strisciare del camice avanti e indietro sul pavimento, e l’unico odore, quello acido del disinfettante.

Sollevò lo sguardo sulla parete insanguinata, su quelle formula scritta con caratteri storti, usando il labbro ferito. Si chiese quando sarebbero passati a ripulire, ma quel che contava era che ora, scrivendola, era riuscito a ricordarsela interamente; presto gli sarebbe tornata utile.

Era bene prepararsi.

Lui lo sapeva.

Sapeva che quella ragazza non poteva più vivere senza l’esperimento, ma soprattutto, sapeva che il drago non sarebbe resistito lontano da quella ragazza, non dopo tutte quelle connessioni che si erano stabilite fra loro.

Lo scienziato, responsabile degli esperimenti su Indaco fin da quando era un embrione, non poteva credere alle notizie dei media che affermavano che la ragazza e il drago si erano separati e che lei non sapeva dove fosse; era illogico. Quasi gli veniva da ridere.

Indaco aveva una madre e un padre, ma in fondo era lui, il dottor Brandi, il suo creatore, e lo conosceva bene: sapeva che era ormai nella sua indole, nel suo istinto, nella sua nuova natura e indispensabile per il suo essere, stare insieme a quella ragazza.

Era convinto che quella furba mentisse: se davvero il drago le si era allontanato per un po’, poi, comunque, doveva essere tornato.

Non un’ipotesi, si trattava di logica.

Restava da chiedersi quando ne avrebbe avuto la conferma.

Riprese a dondolare.

Avanti e indietro, avanti e indietro.

2. Il ritorno

La presentazione della prima vettura a energia solare, a uso comune, si svolgeva nel primo pomeriggio al Parco Sempione. Eleonora era fiera d’aver contribuito alla realizzazione del progetto diventandone la portavoce; la conferenza iniziava con le sue parole.

«Benvenuti a tutti. Quando si tratta di ambiente, non c’è cosa migliore che parlarne nei luoghi verdi, ampi e arieggiati; aiuta a immergersi nell’atmosfera, e ciò che ci circonda basterebbe già a spiegare il motivo di questo progetto.»

Tra il canto degli uccelli e il chiacchiericcio delle papere, dal microfono si amplificava la voce di Eleonora.

«Fin dalla sua nascita, l’associazione World is our Heaven auspicava a questo: sostituire definitivamente il petrolio a favore di un’energia pulita come quella solare. Abbiamo superato la lunga burocrazia, gli ostacoli e le denigrazioni; abbiamo ricevuto anche qualche minaccia, ma ce l’abbiamo fatta. Questo è un grande passo per l’umanità.»

Approfittò degli applausi per riprendere fiato.

«Noi siamo gli ospiti della Terra. Siamo noi i suoi responsabili. L’ambiente non è una cosa diversa da noi; noi ne facciamo parte. Il suo futuro dipende dalle nostre azioni; non dovremmo mai dimenticarcene.» Detto questo, si mise una mano sul petto e trasse un profondo respiro, gli occhi lucidi si alzarono al cielo, e la mente guizzò tra ricordi lontani: «Ognuno, nel suo piccolo può fare qualcosa.»

Ci furono altri applausi, e la ragazza riuscì a continuare il discorso prima che i pensieri le sfuggissero dal controllo.

«Quando mesi fa mi è arrivata un’email dall’ingegnere Purelli, ho pensato che la sua fosse un’idea geniale, giusta, che aveva bisogno di tutto il sostegno possibile. Siamo riusciti a portare a termine l’impresa con le donazioni, e in parte anche grazie ai finanziamenti pubblici; la raccolta firme è stata più volte fondamentale. L’auto è stata progettata da un italiano, supportata da una grande compagnia statunitense, e ci hanno lavorato gli operai del nostro Bel Paese unitamente ai meccanici giapponesi. Con tutte le forze coinvolte possiamo affermare che nella Leaf ci sia un po’ di ognuno di noi.» Gli operai, nelle verdi divise da lavoro che riportavano il marchio, sollevarono insieme il telo che ricopriva la vettura: era una due posti, di colore metallizzato tra il grigio scuro e il blu, coi finestrini neri, e aveva un taglio netto e lineare che si arrotondava leggermente solo alle estremità del cofano e del baule. Luccicava, abbagliata dagli scatti dei giornalisti.

«Ecco Leaf. Il suo nome, dal suono melodico, significa foglia e come un albero attinge all’energia del sole. È lui che le da vita. Il suo tettuccio è composto da tre pannelli solari, circolari, capaci di ruotare e inclinarsi per esporsi meglio alla luce, proprio come i girasoli; non a caso la loro forma ricorda quella di una corolla. Il serbatoio della Leaf è un boiler da duecento litri, e per evitare che riempisse tutto lo spazio è stato inserito strategicamente come base dell’auto: centrale, tra le quattro ruote. Non preoccupatevi del suo peso: grazie alla c.lunar, l’ormai celebre lega scoperta sulla luna che ha la proprietà di alleggerire i pesi, abbiamo ovviato il problema inserendone più del sessanta per cento nella composizione del contenitore. La temperatura del boiler, inoltre, d’inverno non scende mai sotto i 55°C, garantendo così una funzionalità costante. Non dovrete temere il buio o le giornate di pioggia: l’unica necessità della Leaf è restare sempre parcheggiata all’aperto. Ma per i dettagli lascio la parola ai tecnici e ai meccanici che l’hanno realizzata. Buon proseguimento!»

Uscì dietro le quinte, poi scese dal palco.

Si stupì nell’incontrare Salvo e Alessandro; non ebbe bisogno di parlare e li abbracciò a turno, riconoscente che si fossero presentati; sicuramente il ragazzo aveva detto al nonno che l'aveva vista andar via sconvolta.

«Vorrei tanto farci un giro», disse Alessandro, spostando subito l’attenzione su argomenti più leggeri.

«Manca solo una settimana e potrai farlo!» Spiegò Eleonora.

«Sei sicura che le compagnie petrolifere si siano arrese?» Chiese Salvo.

«Come sai, nonno, grazie a quel patto non hanno più ragione di opporsi.»

«Già, imporre un prezzo d’acquisto così elevato... i clienti ne saranno scoraggiati.»

«Però, quest’auto consuma di meno. Si risparmiano i costi del carburante», disse Eleonora. «È un investimento a lungo termine, ne giova sia l’ambiente sia il portafogli.»

«Cosa che ai petrolieri non piace...»

Salvo fu interrotto dall’arrivo di una coppia di mezz’età. «Scusate l’intrusione, vorremmo parlare con la signorina...»

Disse l’uomo.

«Pa...» Eleonora non fece in tempo a parlare che la donna le gettò le braccia al collo.

«Eleonoraaaaaa!»

«Mamma? Papà?»

«Perché non ci hai mai telefonato, tesoro, eravamo preoccupati!»

«Non rispondevi alle telefonate, né al cellulare né all’appartamento; fortuna che ti abbiamo vista in televisione», disse il padre.

«Be’, quel cellulare l’ho perso... poi ne ho comprato uno nuovo, ma avevo così tante cose a cui pensare che...»

«Ah, ora lo sappiamo!»

«Una telefonata avresti anche potuto farla... credevamo che andassi ancora all’università, invece un giorno ti vediamo al telegiornale e scopriamo che sei diventata la presidente di un’associazione».

«A proposito... non ci andrò più all’università. In effetti è un bel po’ che non ci vado.»

«Allora cosa continui a stare qui? Torna a casa con noi a Verona! Potrai continuare a fare la presidente a distanza.»

Intervenne il padre: «Almeno non dovrai più pagare l’affitto.»

«Ah, giusto, ci sarebbe un’altra cosa: non vivo più in quell’appartamento, ora abito a Villapace, in un casolare. È sempre vicino a Milano... è una piccola frazione.»

«In un casolare?»

«Sì, ed è lì la nuova sede dell’associazione; non aveva senso te-nere un ufficio in affitto a Milano. È una storia lunga... comunque vi presento