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Il passato di Lisa Krall
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Il passato di Lisa Krall

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About this ebook

Ci sono tanti modi per amare, per essere donna, per essere madre. Lisa Krall è una donna affascinante, ricca, decisa. Una donna che, dietro un'apparente sicurezza, nasconde segreti dolorosi e insicurezze. Fragilità sopite che si manifestano, in tutta la loro forza disarmante, quando sulla propria strada Lisa incontra Martino Taldi, pittore di talento e uomo dalla profonda sensibilità, che ben presto la coinvolge in una storia d'amore intensa e totalizzante. Una passione che, tuttavia, si scontra con il passato irrisolto della Krall, con i suoi fantasmi, con un'immagine pubblica da mantenere di fronte agli occhi della Milano-bene, dei pettegolezzi, del mondo dell'arte cui Martino, suo malgrado, appartiene. A volte la felicità si manifesta in modo insolito e serve tempo per comprenderla, per accettarla. Altre volte basta abbandonarsi a essa, fiduciosi. Altre volte ancora, prima di essere felici bisogna perdonare se stessi, convivere con quanto è accaduto, imparare ad amarsi, oltre che ad amare.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 15, 2019
ISBN9788827869239
Il passato di Lisa Krall

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    Il passato di Lisa Krall - Marisa Giaroli

    twitter.com/youcanprintit

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO 1

    Martino Taldi non amava le grandi città. Non le amava perché in esse si sentiva sempre stordire dalla confusione. In quel momento odiava Milano e non vedeva l’ora di raggiungere la stazione per ripartire. Stava calando la sera e una fitta nebbia biancastra aveva ricoperto la città. Nella vecchia zona residenziale dove si trovava, le ombre si allungavano sopra gli alberi del viale, causandogli quel vago senso di oppressione che si prova solitamente quando si è in un luogo che non si conosce bene. Ore prima, quando era arrivato, tutto era stato semplice. Dalla stazione aveva preso il tram, era sceso a un centinaio di metri dall’abitazione del critico d’arte da cui era atteso e in pochi minuti si era trovato davanti alla casa. Ora le cose era no diverse. Con tutta quella nebbia non ricordava nemmeno da che parte fosse sceso: da destra o da sinistra? Si avviò verso destra e dopo un centinaio di metri si accorse di essersi sbagliato. Vide un’ombra trapassare la nebbia e cercò di fermarla, ma l’ombra, spaventata, si allontanò velocemente. Minuti dopo intravide un’altra persona e fece un secondo tentativo, ma quella gli rispose che non era di Milano. Lo prese una stizza improvvisa. Nella sua città si sarebbero fermati per dargli un’indicazione! Si accese una sigaretta e la stizza diminuì. Fu proprio in quel momento che vide avanzare tra la fitta cortina di nebbia due occhi gialli. L’improvvisa apparizione del taxi lo sorprese, facendogli perdere dei secondi preziosi. Sì, perché quando si rese conto che quel mezzo poteva servirgli per andare in stazione, il medesimo stava già rimettendosi in moto. Con un balzo in avanti prese a correre nel tentativo di raggiungerlo.

    «Taxi, taxi, ferma!» gridò gesticolando, ma fu inutile.

    Nella foga inavvertitamente urtò la persona scesa poco prima dall’auto. La vide girare su se stessa, vacillare. Riuscì ad afferrarla un attimo prima che cadesse a terra. In quell’abbraccio pieno di disagio incominciò a farfugliare parole di scusa. Poi zittì di colpo. Nello scompiglio alla sconosciuta era scivolato sulle spalle il cappuccio del mantello. Due occhi carichi di paura erano puntati su di lui. Il suo sguardo si trasformò in difesa e cercò di liberare le mani che Martino ancora stringeva tra le sue.

    L’ho spaventata pensò.

    «Mi dispiace. Volevo servirmi del taxi... non sono di Milano». Si scostò da lei e le parlò con dolcezza, cercando di dissipare il dubbio che l’aveva presa. «Tranquilla! È stato solo un banale incidente».

    Lei lo scrutò con attenzione fino a quando, rendendosi conto di non essere vittima di un’aggressione, parve rasserenarsi.

    «Abita qui?» le chiese Martino segnando la palazzina alle loro spalle. Lei annuì col capo.

    «Su, l’aiuto» mentre ancora parlava, si chinò per raccogliere la cartella che era sfuggita di mano alla donna.

    Lei aprì il portone d’ingresso, entrò, poi con un gesto fulmineo cercò di richiuderlo.

    Martino aveva previsto la mossa e il suo piede l’anticipò. Nell’ampio ingresso rimasero un attimo a fissarsi. Lei sempre sospettosa, lui quasi divertito.

    «Mi creda, non ho nessuna intenzione cattiva. L’ho seguita perché volevo chiederle di chiamarmi un taxi e accertarmi che non si fosse fatta male». Inarcò le sopracciglia, la fissò negli occhi e continuò:

    «Vuole vedere i miei documenti?».

    «Le chiamerò un taxi» acconsentì.

    Il tremito nella voce era scomparso. Prese a salire la stupenda scala di marmo bianco. Giunta a metà si girò verso di lui.

    «Per favore, chiuda il portone. Anche la mia mamma è emiliana» concluse sorprendendolo.

    «Potremmo essere parenti» commentò lui scherzosamente. Lei sorrise fugacemente. «No. Non credo. Buon rientro».

    Avrebbe voluto trattenerla, ma le parole non gli vennero, pertanto rimase a guardarla mentre saliva le scale: era sofisticata, magra, di statura superiore alla media e con due occhi bellissimi. Il trucco discreto ma efficace la rendeva una donna di classe, una donna che sicuramente incuteva soggezione.

    In strada la nebbia era sempre fitta. Nell’attesa del taxi lesse i nomi sui campanelli dell’abitazione. Nel primo c’era scritto Lisa Krall, nell’altro Famiglia Nicola Krall. Dopo averci pensato su, concluse che la sconosciuta doveva essere Lisa Krall.

    ***

    Aspettandola con quelle rose color blu tra le mani, Martino si rendeva conto di essere oggetto di sguardi curiosi, ciò nonostante continuava a camminare su e giù lungo il marciapiede. Quando, un’ora prima, aveva suonato il campanello dell’abitazione, la domestica gli aveva risposto che la signorina Lisa era dalla parrucchiera, ma che sarebbe rientrata presto.

    «Vuole lasciare un messaggio?» aveva gracchiato al citofono.

    «No. Aspetterò».

    Ora, quella lunga attesa stava affievolendo l’euforia che lo aveva riportato in quel luogo. Che cosa avrebbe pensato lei rivedendolo? Stava calando la sera, nel viale si erano accesi i lampioni e le persone camminavano frettolose.

    Non la sentì arrivare, se la trovò improvvisamente al fianco. Superandolo, lei buttò un’occhiata alle rose blu.

    «Signorina Krall!» la trattenne.

    Lei rallentò il passo e lo squadrò incerta.

    «Sono quello che quindici giorni fa l’ha quasi gettata a terra. Si ricorda quella sera di grande nebbia? Il taxi?».

    Lei ora ricordava e lo espresse con un leggero sorriso.

    «Volevo assicurarmi che stesse bene».

    «Sto benissimo» tagliò corto la donna.

    «Sono per lei, per scusarmi» nel dirlo le allungò le rose. Lei rimase un lungo momento con gli occhi fissi su quei fiori, forse sorpresa dal colore. Infine le accettò.

    «Non doveva disturbarsi» osservò conciliante.

    «Mi era parsa spaventata...».

    «E chi non lo è di questi tempi?».

    «Ha degli impegni per questa sera?». Lei lo fissò sorpresa.

    «Sono pittore e volevo invitarla all’inaugurazione della mia mostra» s’affrettò a spiegare porgendole il dépliant d’invito.

    Lei cercò di leggerlo, ma era troppo buio. Allora aprì il portone d’ingresso e accese la luce. Con grazia sistemò le rose e la borsetta su di una cassapanca antica, poi esaminò il cartoncino. Sulla facciata era riprodotto un quadro; all’interno erano elencate le opere esposte, mentre nel retro c’erano notizie personali. Martino Taldi ha insegnato per molti anni Disegno e Storia dell’Arte nei Licei statali. Ora, in pensione, si dedica completamente alla pittura.

    Alzando gli occhi su di lui osservò:

    «È una persona fortunata. Non è da tutti poter andare in pensione così giovane per dedicarsi a ciò che più piace».

    «Non sono poi tanto giovane» mormorò confuso.

    «Si sente vecchio?».

    Avrebbe voluto spiegarle perché si sentiva vecchio e non vecchio allo stesso tempo, ma riuscì solo a dire:

    «Quando esco con il mio nipotino mi sento vecchio».

    Lo sguardo un po’ sorpreso della donna sostò su di lui alcuni istanti.

    «Ho due nipotini. Il bambino ha tre anni, la piccola tre mesi. Ho due figli».

    Smise di parlare perché si era accorto che stava sudando.

    Lisa rigirò tra le mani il cartoncino e rispose che per quella sera aveva un impegno. Il tono era di congedo, ma lui voleva trattenerla ancora.

    «Sono vedovo».

    E si vergognò della sua voce così strana.

    Lei, che aveva preso a salire, si girò verso di lui e lo scrutò pensosamente.

    «Come le ho detto per questa sera ho un impegno. Mi dispiace. Auguri per la sua mostra».

    Gli fece un cenno di saluto con la mano.

    «La mostra rimarrà aperta quindici giorni» l’informò.

    Lei sorrise lievemente. Salendo le scale si trovò a riflettere e a chiedersi se si sentisse attratta da lui.

    Non poteva permetterselo.

    CAPITOLO 2

    Martino esaminò con attenzione i conti che Gioconda Resi, proprietaria della galleria d’arte, gli aveva allungato.

    Complimentandosi, la gallerista gli disse:

    «Non è andata male, credimi! Vendere quindici quadri in una città dove si espone per la prima volta è un successo!».

    «Mi fido!» rispose Martino alzando gli occhi su di lei.

    «Ne è rimasto uno da consegnare» gli ricordò. «È stato commissionato per telefono da un’azienda. Da qualche parte devo avere l’indirizzo...».

    La donna frugò tra i fogli sparsi sulla scrivania e alla fine trovò ciò che cercava. Nel porgerlo al pittore, gli chiese se conoscesse qualcuno nella ditta che lo aveva ordinato.

    «Mai sentita nominare» ribatté dopo aver letto l’indirizzo. «Che quadro hanno scelto?».

    «Non hanno precisato» rispose la gallerista con un’alzata di spalle.

    «Ma come si può acquistare un quadro in questo modo... per telefono?!».

    «Probabilmente uno di loro avrà visitato la mostra o sentito parlare di te».

    «Da che parte della città si trova questa via?».

    «Ci passerai vicino mentre ti dirigi verso l’autostrada».

    «Allora lo consegnerò di persona. Sono proprio curioso di sapere chi lo vuole».

    Lo disse in tono quasi irritato.

    ***

    Un’ora dopo Martino era pronto a partire; sul sedile posteriore della vecchia Volvo familiare aveva sistemato i quadri non venduti. Qualcuno era finito anche sul sedile anteriore. Prima di salire in auto si avvicinò a Gioconda e le disse:

    «Non ho parole per ringraziarti. Senza di te...». Lei lo interruppe:

    «Lascia perdere. Ti ho solo messo a disposizione la galleria».

    Rimasero alcuni istanti l’uno di fronte all’altra, poi lui si chinò e la baciò sulle guance:

    «Ti telefono appena arrivo a casa».

    Quando se ne fu andato, lei rimase a guardare le pareti nude. Si scosse quando s’accorse di avere gli occhi umidi.

    Ora non fare la vecchia sentimentale. Lo hai avuto accanto per quindici giorni si disse ricomponendosi. Quel periodo era volato e invece lei avrebbe voluto averlo accanto per tutto il tempo che ancora le restava da vivere.

    ***

    Nel parcheggio dello stabilimento, Martino esaminò i quadri. Quale scegliere? Sbirciò il biglietto che la gallerista gli aveva dato: non era stata concordata nessuna cifra. Con risoluzione afferrò quello che riteneva il meno riuscito. Provando una certa soddisfazione, decise di alzarne il prezzo.

    «Devo consegnare questo quadro» disse all’uomo seduto in guardiola.

    «Ora m’informo» rispose quest’ultimo. Dopo aver parlato al telefono, fece scattare la serratura della porta. «Salga al primo piano e chieda della dottoressa Crucci» comunicò indicandogli l’ascensore.

    Al primo piano, un usciere lo scortò fin davanti all’ufficio della donna che gli era stata nominata.

    Questa, dopo averlo salutato, prese il blocchetto degli assegni e gli chiese quale importo dovesse scrivervi.

    Incredulo, Martino sbatté gli occhi. «Non vuole vederlo prima?».

    «No. Non è per me!» spiegò. «Lo appoggi sul quel tavolo». Lui eseguì, poi le disse il prezzo del quadro.

    «Mentre preparo l’assegno, lei firmi questa ricevuta».

    «Chi l’ha ordinato?» volle sapere il pittore, inquieto. La donna alzò gli occhi su di lui.

    «Non la riguarda. A chi devo intestare l’assegno?». Rabbrividendo per reprimere la collera Martino decise in un attimo.

    «A nessuno. Me lo riprendo!».

    Infastidita e divertita allo stesso tempo da quell’atteggiamento, la Crucci esclamò: «Ma cosa le salta in mente! Lei aveva solo il compito di consegnarlo!».

    «Si dà il caso che io ne sia l’autore, e poiché sono una persona curiosa desidero sempre conoscere chi acquista una mia opera». S’interruppe e sfornò un sorriso. «Se vuole il quadro, deve dirmi chi l’ha ordinato».

    La donna soffocò malamente la risata che le era salita alla bocca, si alzò dalla scrivania e s’avvicinò all’alta figura dell’uomo, poi lo esaminò con curiosità.

    «C’è poco da ridere e da guardare» la rimproverò lui. «Non mi era mai successo di vendere un quadro per telefono. Non si acquista un’opera in questo modo. È quasi offensivo. Desidero sapere chi l’ha ordinato». Non si era accorto di aver alzato la voce.

    «L’ho ordinato io!» dichiarò una voce alle sue spalle. Si girò di colpo.

    Lisa Krall era davanti a lui e reggeva, senza battere ciglio, il suo sguardo furioso.

    «S’accomodi, signor Taldi» lo invitò scostandosi.

    Lui esitò un attimo poi, sempre con il quadro tra le mani, la seguì nel suo ufficio. Era sorpreso e in collera, ma fece di tutto per superare quel momento.

    «Lavora qui?» chiese per guadagnare tempo.

    Lisa Krall annuì col capo. Per alcuni minuti lui vagò con lo sguardo nella stanza lanciando occhiate alla finestra.

    «È un ufficio molto accogliente. Una stanza piena di luce».

    In quei minuti lei aveva potuto osservarlo bene e alla fine aveva convenuto che quell’uomo magro, dalle lunghe gambe, con due occhi neri che sembravano pungerti dentro, non era niente male. Sotto il montgomery indossava un paio di calzoni di velluto marrone; sopra la camicia, di cui si vedeva solo il colletto, un maglione di lana nocciola; nell’insieme un abbigliamento molto sportivo.

    A sua volta Martino, pur dimostrando interesse per la stanza, non aveva smesso di osservarla. La figura raffinata di quella donna lo aveva affascinato fin dal loro primo incontro. La sua eleganza, unita ai modi freddi e composti, lo faceva pensare a una persona che voleva apparire più vecchia e irraggiungibile di quanto non fosse. Anche in quel momento, nel tailleur grigio, appariva molto austera. Perché voleva dimostrare più anni di quanti ne aveva? A una prima occhiata potevano sembrare coetanei, ma a guardarla bene lei era sicuramente più giovane. Senza nascondere il suo interesse, l’uomo ammirò con calma quel viso dalla carnagione chiara senza rughe, ammirò i capelli lucenti, raccolti sulla nuca: capelli di un biondo scuro, ramato. E poi quegli occhi... Erano di un grigio intenso o blu? Non aveva mai visto un colore così.

    Dopo essersi scrutati a vicenda, fu lei a parlare.

    «Signor Taldi, vogliamo concludere?».

    «Zitta!» l’interruppe. I suoi occhi si restrinsero in uno sguardo pensieroso. «Zitta. Rimanga ferma così!».

    Lei non si mosse. La luce che aveva scorto nei suoi occhi, ma ancor più la concentrazione dello sguardo, che lo rendeva assente e presente allo stesso tempo, le impedirono qualsiasi movimento. Per assurdo, non reagì neppure quando lui, dopo averle messo una mano sotto il mento, le fece ruotare delicatamente il viso.

    «Vorrei poterla ritrarre così» mormorò con una fiamma negli occhi.

    Era furiosa, con se stessa e con quell’uomo. Si allontanò da lui di alcuni passi.

    «Insomma, vogliamo concludere una buona volta?».

    L’espressione gioiosa di lui vanificò l’indignazione di lei, che per un attimo perse il suo abituale autocontrollo. Imbarazzata e lusingata, rimase a guardare quelle sopracciglia folte sotto le quali spiccavano gli occhi scuri, i capelli arruffati che rendevano quel viso giovanile e carico di vita. Per una misteriosa forza si sentì attratta da lui e quando si mosse pensò che stesse facendo qualcosa di sconveniente, ma Martino prendendo il quadro e reggendolo disse: «Non posso lasciarlo!».

    Lei lo fissò sorpresa. Allora Martino in tono ironico chiese:

    «Lei acquista sempre la merce senza vederla?».

    Si sentì arrossire. No, non era sua abitudine, e lo disse scusandosi. Usò un tono molto gentile, poi prese il quadro dalle mani del pittore e ne tolse il leggero imballaggio. Allora Martino riprese:

    «Ecco, vede... non posso lasciarlo perché non è una delle mie opere migliori...» poi, sempre più a disagio, continuò: «Ero un po’ irritato per il modo con cui è stato acquistato e ne ho aumentato il prezzo». Questo particolare, confessato in un evidente imbarazzo, scucì un sorriso a Lisa, che si trovò a pensare che l’uomo che aveva davanti fosse intelligente, onesto e pulito.

    «Quando sorride, i suoi occhi...» non gli riuscì di dire altro. Rimase a guardarla. Lei ignorò il complimento.

    «Accetti pure l’assegno» si fermò un attimo come se volesse proseguire sul pagamento, ma poi spostò l’attenzione sul quadro e lo esaminò con interesse. «Perché si sottovaluta? Il quadro è interessante». Ne era convinta.

    Seguirono alcuni istanti di silenzio, poi guardandola con simpatia lui chiese: «E lei perché vuole apparire più vecchia?». Vedendo che non replicava, Martino continuò: «È un vero peccato!».

    Lisa aggrottò la fronte, prese il quadro e andò ad appoggiarlo a una parete. Lui si avvicinò e le fece osservare che non era quella giusta. Senza darle il tempo di rispondere, recuperò il quadro e andò ad appoggiarlo a quella opposta. «Starà meglio qui. Guardi come i colori risaltano in questa luce».

    «Ha ragione» convenne la donna dopo averlo studiato.

    «Con lei non me ne va una per il verso giusto!» borbottò Martino fissandola. «Posso invitarla a pranzo?». Gli occhi neri illuminavano il suo viso.

    «Non è possibile. Dovrei essere già a casa. Devo recarmi a Londra in giornata per lavoro. Ho un aereo da prendere tra poche ore». S’interruppe di colpo. Perché stava dando tante spiegazioni a uno sconosciuto? Per quale motivo stava perdendo con lui minuti preziosi?

    «Mi scuso per averle rubato tanto tempo. Posso accompagnarla a casa. Ho l’automobile qui sotto».

    Non voleva accettare, ma forse era l’unico modo per liberarsi di lui.

    «Non avevo previsto di avere un passeggero» si affrettò a dire quando giunsero davanti all’automobile. «Faccio in un attimo». Dopo aver tolto i quadri che ingombravano il sedile, Martino estrasse da un sacchetto un plaid e lo mise con cura sul sedile. «Ora può accomodarsi tranquillamente» disse aiutandola. Lei gli indicò la strada e gli chiese come fosse andata la mostra.

    «Direi bene. Ho venduto parecchio. Anche la gallerista è stata soddisfatta». Poi in capo a qualche minuto riportò il discorso su di lei:

    «Rimarrà a Londra per molto tempo?».

    «Sarò di ritorno tra un paio di giorni».

    «Accompagna uno dei suoi capi?».

    Lisa Krall girò la testa verso di lui, lo osservò un attimo e sorridendo annuì.

    «È sposato?».

    «Ha importanza?» domandò fingendosi scocciato. In effetti si stava divertendo.

    Lui, imbarazzato per questa sua evidente curiosità, disse: «È bello il suo ufficio. Mi ha fatto piacere vederla in un ambiente pieno di luce. Se così non fosse stato, avrei protestato con il suo capo. Non ci crede? Giuro, lo avrei fatto!».

    Lisa scoppiò a ridere. Una risata carica di vita che fece spalancare gli occhi a Martino, che esclamò:

    «Ma allora sa ridere! Cominciavo a dubitarne. Pensavo che avrei dovuto insegnarglielo io!».

    Dio mio, da quanto tempo non rido così si disse lei, nel frattempo. Intanto erano arrivati.

    Martino spense il motore e rimase un attimo pensieroso, poi si girò verso di lei:

    «Dovrebbe farlo più spesso... ridere, intendo».

    «Guardi che ho un carattere allegro!» protestò.

    «Veramente?» le sfiorò la guancia con la mano. Lei arrossì e gliela afferrò per allontanarla.

    «Sant’Iddio che mani fredde! Ora le scaldiamo un po’!» incalzò invece Martino che, anzi, le prese anche l’altra e se le accostò al collo. I loro volti erano vicinissimi e lui avvertiva, attraverso i polsi che teneva stretti, il cuore della donna battere, ma non gli riuscì di decifrare la strana espressione che attraversava quegli occhi blu.

    «Mi lasci andare! La prego. Sono in ritardo» protestò Lisa cercando di svincolarsi.

    Martino la lasciò immediatamente e lei, scesa dall’auto, si affrettò verso casa senza voltarsi.

    CAPITOLO 3

    Quella mattina l’atmosfera natalizia stava raggiungendo il culmine: era, infatti, la vigilia di Natale. Libera dagli impegni di lavoro, Lisa Krall stava preparandosi per raggiungere la famiglia sulla Costa Azzurra. Ogni anno, a novembre, i genitori si trasferivano nella villa che possedevano a Capo Mele, dove soggiornavano fino alla fine dell’inverno, e ogni anno lei, alla vigilia di Natale, li raggiungeva. Nonostante i non facili rapporti tra loro, quella di trascorrere le festività insieme era una specie di dovere al quale non si era mai sottratta.

    Mentre terminava di preparare la valigia, le cadde lo sguardo sull’orologio: mancava poco a mezzogiorno.

    Devo sbrigarmi pensò, poi chiese alla domestica se avesse preparato i vasetti di marmellata da portare alla madre. Annette le rispose di averli già sistemati nell’automobile, con i panettoni, e lei tirò un sospiro di sollievo: aveva dimenticato di ricordarglielo. Quella di portare i panettoni era un’incombenza che ogni anno la infastidiva, ma non c’era niente da fare, a sua madre piaceva solo quella marca.

    «Capirai, con tutti i panettoni che ci sono in commercio!».

    La conversazione

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