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Il malefico Gelo delle Streghe: Le Croniche del Malalbero
Il malefico Gelo delle Streghe: Le Croniche del Malalbero
Il malefico Gelo delle Streghe: Le Croniche del Malalbero
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Il malefico Gelo delle Streghe: Le Croniche del Malalbero

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About this ebook

Miki Mich trascorre una vita tranquilla. Dopo un’uscita scout in tenda, dove a momenti ci rimette la pelle per colpa di un fulmine, trova anche un misterioso amuleto antico nello studio del padre. Da quel momento gli piomberanno addosso misteriosi fenomeni paranormali che gli faranno credere di essere stato maledetto.
Sarà costretto, malgrado la sua innata fifa, ad andar via di casa per affrontare insieme agli amici Max e Fischietti un vero e proprio incubo. La strada verso la salvezza non si rivelerà facile, perché non avendo poteri magici dovrà vedersela con un’invasione di zombie, famelici mostri, un giudice pazzo e una banda di briganti.
Tuttavia un altro “piccolo” impedimento gli complicherà la vita: l'amuleto appartiene alle Janare, pericolosissime streghe che rapiscono bambini. E pare che lo rivogliano indietro...
LanguageItaliano
PublisherCibbiK
Release dateFeb 13, 2019
ISBN9788832515244
Il malefico Gelo delle Streghe: Le Croniche del Malalbero

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    Il malefico Gelo delle Streghe - Cibbik

    CibbiK

    Il malefico Gelo delle Streghe

    Le croniche del Malalbero

    UUID: b4a6611a-4c1f-11e9-825c-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Sommario

    Le tombe violate

    Fulmini e saette

    Lo studio di papà Antonio

    Le zingarelle

    Ombre

    Il tatuaggio

    La parola misteriosa

    Il marchio della strega

    I Maledettissimi

    A zig zag nello smog

    Il Professor Altero

    Al campo degli zingari

    Aldia

    In viaggio coi cadaveri

    Il Giudice Freisler

    Il Sogno

    In viaggio sul Torpedone Volante

    Fara

    Due cipressi e una falce

    La Manolonga

    La Smorfia

    Necrofundiis

    Il Sospiro della Janara

    Pioggia Mortale

    La vecchia Amalbertina

    L’Ordine del Sacro Baluardo

    Fuori dal buco

    Odore di casa

    Le tombe violate

    1

    Il giro di perlustrazione era quasi concluso, l’ultimo prima della chiusura al pubblico. Pala in spalla, Lara passò in rassegna le porte d’ingresso delle cappelle cimiteriali. Un folto mazzo di chiavi, grosse e arrugginite, le penzolava al collo emettendo un monotono tintinnio metallico.

    Si infilò in un viale ombreggiato, che si inerpicava sulla collina tra filari di cipressi, in direzione dell’area monumentale del camposanto, dove riposavano le più importanti famiglie nobiliari.

    Le tombe erano tutte rivestite di marmo bianco, verde, rosso o nero. Statue di varie dimensioni e portavasi in rame rifiniti con foglie di edera ornavano gli ingressi. A seconda della famiglia cambiava lo stile architettonico. Alcune, posizionate su balze del terreno, erano cinte da balaustre sormontate da pignoni di pietra. Ricordavano i templi dell’antica Grecia con piccoli colonnati - che giravano intorno alla struttura - e l’ingresso sovrastato da un frontone.

    Altre richiamavano lo svettante stile gotico e il romanico. Quasi tutte erano racchiuse in un piccolo giardino impreziosito da folti cespugli di margherite e crisantemi.

    Dopo aver percorso uno dei lunghi viali, costeggiati da serpentoni verdi di bosso, Lara si diresse verso la zona delle cripte al centro del cimitero. Dove da secoli, si accatastavano i teschi orfani di famiglia in lugubri piramidi. Non avendo più un parente che venisse a trovarli, la Confraternita del Buon Riposo si dedicava alla loro cura. Si trattava di un gruppo di pie donne che, di tanto in tanto, organizzava giornate di lucidatura dei crani.

    2

    Il vecchio Liberius era il becchino del paese. Sedeva su una panchina all’ombra di un leccio. Leggeva l’ Araldo del Meriggio con cupidigia tale da non accorgersi della nipote, che gli stava transitando davanti con passo ciondolante. I lampioni alimentati a gas cimiteriale si accesero tutti insieme. Segno che da lì a qualche minuto il sole si sarebbe nascosto dietro la collina.

    Lara si fermò e chiese: <>.

    Il vecchio non le prestò attenzione. Si aggiustò gli occhiali sul naso e continuò con i suoi occhi piccoli e azzurri a divorare riga per riga le pagine del giornale. Aveva superato da un po’ la mezza età. Era un uomo di grossa mole dal passo lento con due mani ruvide e callose, portava i radi capelli sottili, ordinati con una scriminatura a destra. Le unghie erano diventate gialle per i tanti anni trascorsi a fumare.

    <> ripeté Lara con fare scocciato per la scarsa attenzione ricevuta <>.

    <> tagliò corto il vecchio con voce rimbombante senza distogliere lo sguardo dal foglio.

    <>.

    <>.

    <>.

    <>.

    <> sbuffò.

    <>.

    <> scrollò le spalle <>.

    <> il vecchio la zittì sventolando la mano aperta con movimento dall’alto verso il basso <>.

    <>.

    <>.

    3

    Liberius rimase in silenzio per tutta la durata della cena. Poi si alzò senza aprire bocca e affondò nella poltrona dallo schienale alto e imbottito. Posta davanti al camino dove giacevano i residui di legna bruciati nell’ultimo inverno.

    Il vecchio non aveva un buon carattere. Spesso poteva sembrare brusco ed andava con facilità in escandescenze, ma non era mai violento. Nonostante fosse una persona poco loquace e a cui piaceva stare per conto suo, sapeva essere gentile e capace di gesti di profonda umanità. Aveva sempre parole di conforto per i parenti del defunto, ma mai scontate e melense: piuttosto preferiva rimanere in silenzio.

    La pendola sul muro segnava le 9.27 e, allo scoccare del ventottesimo minuto, un tuono ruppe il pesante silenzio nel soggiorno e annunciò l’arrivo del temporale.

    Lara si attardò nello sbrigare le ultime faccende domestiche. Sparecchiò la tavola e lavò i piatti: un’incombenza di cui si occupava sempre il nonno, ma non quella sera. Chissà cosa gli passa per la testa pensò la ragazza. Il comportamento gli risultò inconsueto: era dal pomeriggio che il vecchio non apriva bocca. Salvo qualche grugnito, alternato a cenni del capo in segno di assenso o diniego.

    Passando vicino alla madia, scorse il giornale che il nonno aveva letto poche ore prima e ne sfogliò alcune pagine. Sempre le solite notizie sbuffò. Poi l’occhio cadde su un piccolo trafiletto di cronaca nera in fondo alla pagina sulla destra.

    Profanato il cimitero di Castelninfa

    Si infittisce il mistero delle antiche tombe profanate. L’ultima, la quinta in ordine di tempo, è stata trovata aperta ieri mattina dal custode nel piccolo cimitero di Castelninfa. Come negli altri casi, la lapide è stata spaccata in più parti, mentre la bara non è stata toccata. La tomba monumentale apparteneva alla famiglia Bulbius, un’antica casata nobiliare ormai estinta da più di un secolo. Vandalismi o negromanzia? Questa la domanda a cui gli inquirenti dovranno dar risposta, ma brancolano, come sempre, nel buio. CB

    A Lara sembrò strano l’interesse del nonno per una notizia del genere. Gli era capitato spesso di scovare intrusi o vandali nel cimitero e non aveva mai avuto problemi a dar loro una lezione indimenticabile, prima di cacciarli.

    Fuori la bufera infuriava e la pioggia battente si infrangeva sui vetri delle finestre. Si susseguirono lampi e tuoni che, a intermittenza, illuminavano tombe e cappelle cimiteriali, distorcendone le sagome.

    <> disse Liberius <>.

    <>.

    <>. Indossò un vecchio impermeabile e un cappello a falda larga. Estrasse un paio di guanti di cuoio nero pesanti da un armadio, li infilò e accese una vecchia lanterna ad olio. Poi afferrò con decisione uno dei due grossi mazzi di chiavi appesi ad un chiodo vicino al camino. <>.

    <> chiese Lara perplessa.

    <>.

    <> la ragazza scrollò le spalle sconsolata di fronte alla irremovibilità del nonno.

    <>.

    Fulmini e saette

    1

    Gli esploratori del gruppo scout Roma 168 piantarono le tende a quaranta metri l’una dall’altra. In una radura al limitare di un bosco di querce e cipressi, vicino a un monastero di frati trappisti. Si trovavano ad Orte: un paese ad una sessantina di chilometri da Roma. Ma quel sabato notte di fine ottobre era come se le tende distassero a venti chilometri l’una dall’altra, perché un muro di pioggia e vento impetuoso dilatava a dismisura lo spazio.

    Gli alberi ondeggiavano furiosi e cozzavano l’uno contro l’altro. I rami, come lunghe braccia, si sfregavano e schiaffeggiavano l’aria con violenza, facendo risuonare tutto intorno un sinistro lamento di foglie.

    La tenda da otto della squadriglia Lupi era la più distanziata rispetto alle altre: al punto giusto per tenerla al riparo dalle orecchie indiscrete dei capi del Riparto maschile.

    Lo stratagemma si rivelò inutile, perché anche un udito molto sviluppato avrebbe issato bandiera bianca, di fronte all’ululato del vento e allo sciame di fulmini che illuminava la notte.

    I tiranti della tenda resistevano al vento e vibravano come corde di violino. Impedivano al sovratelo impermeabile di volare via in cielo come un parapendio. Comprimendosi e gonfiandosi con sbuffi e scricchiolii lasciava intravedere di tanto in tanto il catino: il cuore della tenda dove si dormiva.

    Lo spazio interno era un quadrato suddiviso in due file di sacchi a pelo attraversate da un passaggio centrale, che collegava i due ingressi speculari. Dove i ragazzi stipavano gli scarponi nelle uscite invernali (in estate si tenevano fuori).

    Il grosso bruco vibrante steso in un angolo era il caposquadriglia Rocco Sambucci, detto Rocky. Fu il primo e unico a crollare nelle braccia di Morfeo. Dal sacco a pelo verde emergeva solo la capigliatura folta scura. Era un ragazzo robusto con larghe narici e una fossetta sul mento acuminato.

    Vicino a lui, steso a pancia in giù, Fischietti divorava con attenzione il libro Monete d’oro antiche, aiutandosi con la torcia. Il ragazzo, dai capelli e gli occhi neri, portava un paio di occhiali dalle lenti spesse, come fondi di bottiglia. Aveva labbra carnose e un grosso neo vicino alla bocca, sul lato sinistro.

    Al centro della tenda, quattro ragazzi tra i 13 e i 14 anni giocavano a briscola alla luce di una torcia. Era l’unica alternativa per trascorrere il tempo, perché la bufera non avrebbe consentito escursioni notturne nelle altre tende.

    Andrea de Ubertis, detto Ubbo, era di mano. Alto e slanciato per la sua età, presentava un fisico da atleta, perché aveva praticato diversi sport. Piaceva molto alle ragazze, attirate dalla sua capigliatura bionda e dagli occhi verdi profondi, pervasi tuttavia da un velo di tristezza che acchiappava.

    Alla sua destra sedeva Hans Brugger. Il nome, gli occhi azzurri e il suo accento tedesco suggerivano origini altoatesine (<>), ma i tratti somatici e la carnagione scura no. Il bisnonno Herman sposò una ragazza eritrea, conosciuta durante il servizio militare nell’Africa Italiana. Era grassottello, ma agile. Praticava anche arti marziali.

    In squadra con Ubbo giocava Miki Mich, un ragazzo dalla carnagione pallida e i capelli che viravano al rossiccio. Per un misterioso scherzo della genetica il suo occhio destro era di un verde chiaro, mentre il sinistro era più scuro: quasi marrone. Dipendeva anche dalla luce. In quel momento non sapeva quale carta scartare. Era sempre indeciso e non intraprendeva mai nulla prima di averci rimuginato mille volte. Il suo cervello assomigliava alla bocca di una paciosa mucca al pascolo in un prato di montagna.

    Chiudeva il cerchio Max Nitiffi, migliore amico e vicino di casa di Miki. Alto più o meno come Ubbo, ma più muscoloso. Un ricciolino, la cui faccia da schiaffi brillava anche nella penombra. Sbuffava impaziente e dardeggiava con gli occhi Hans, dopo ogni sua mossa.

    Tutti e quattro entrarono nel gruppo scout a quasi otto anni come lupetti e, non appena compiuti gli undici anni, passarono al Riparto maschile.

    2

    <> chiese Ubbo a Miki in penultima mano. Regnava in quel momento spade e a terra Hans aveva aperto il giro con un dieci di coppe.

    <> rispose Miki.

    Hans e Max attesero le loro mosse, scambiandosi veloci occhiate di complicità.

    <<È alta?>> storse la bocca.

    <> rispose Miki.

    <> sospirò Ubbo e gettò a terra un asso di coppe.

    <> ciancicò Max. Calò tronfio un tre di spade <> gongolò grattandosi la fronte.

    <> sbuffò Ubbo passandosi una mano tra la fluente capigliatura bionda <>.

    <> rise Miki <>.

    <> protestò Max scocciato.

    Rocky si girò nel sacco a pelo ed emise una sonora scoreggia. <> Ubbo e Max arricciarono il naso e per accaparrarsi ossigeno iniziarono a sventolare le mani davanti al viso.

    <> commentò schifato Miki.

    <> imprecò Max, masticando con furioso impegno la sua gomma alla fragola <>.

    <> ridacchiò Miki <>.

    Hans impallidì. Max fu colpito da una paresi. Prima restò a bocca aperta e poi gettò con rabbia le carte a terra. <> chiese rabbioso ad Hans.

    <> rispose Ubbo con non chalance, sfoderando un sorriso cinematografico.

    <> ridacchiò Miki.

    <> ringhiò Max <>.

    <> protestò Hans seduto sul suo sacco a pelo <>.

    <> esclamò Miki in tono ironico, indirizzando uno sguardo di scherno a Max <>.

    <> Max lo minacciò frugando vicino alla sua gamba in cerca dell’arma impropria.

    <> rise Miki non preoccupandosi di svegliare Rocky.

    <> ammonì Ubbo <>.

    3

    Il vento e la pioggia fecero ondeggiare la tenda e scricchiolare i pali interni. Rocky si rotolò nel giaciglio senza svegliarsi, emettendo un possente rutto. L’odore d’erba umida schiacciata, mista a gomma del catino e puzza di piedi, saturava l’aria.

    <sovratelo regga>> osservò Miki puntando la torcia in alto sulla stoffa della tenda.

    <> lo assicurò Max <Bambinone (così chiamavano la tenda in modo affettuoso) non ci ha mai tradito>>.

    <> replicò. Si sfilò il maglione e poi la camicia scout, che piegò per infilarla alla meglio nello zaino. Il fazzolettone lo sistemò nella tasca della tenda, alla testa del suo giaciglio.

    <picchettone!>> aggiunse Ubbo. Si riferiva ad una pesante spranga di ferro cilindrica lunga un metro e larga un centimetro di diametro. L’aveva trovata Max in una uscita dell’anno precedente.

    Un lampo seguito da un boato interruppe la conversazione. Tutti sobbalzarono. Il tessuto del sovratelo vibrava. Hans fece scorrere la cerniera dell’ingresso e si azzardò a scrutare nella notte.

    <> disse dopo aver tirato all’asciutto la testa <>.

    <picchettone attira i fulmini?>> deglutì Miki, ignorando il sudtirolese che in quel momento era impegnato ad asciugarsi il viso col fazzolettone.

    <> Max scrollò le spalle <>.

    <> ribatté Hans facendo uno scaramantico gesto delle corna.

    <> intervenne Fischietti senza distogliere lo sguardo dalla lettura <> si aggiustò sul naso gli occhiali con il dito argomentando come un professore <<…sono ottimi parafulmini... e il picchettone per giunta è di ferro>>.

    <picchettone. Svegliamo Rocky>> suggerì Miki.

    <> interruppe Ubbo <> mimò il gesto con la mano.

    <> protestò Hans con fare canzonatorio <>.

    <> aggiunse Miki <<…e uscire con lui...>>.

    <> disse Ubbo di rinforzo.

    <> Max si tolse i pantaloni della tuta da ginnastica, che usava per dormire, e si infilò i pantaloncini corti di velluto a coste blu dell’uniforme scout. Poi rovistò tra gli scarponi per cercare i suoi, li calzò e se li allacciò alla meglio. Si allungò strisciando verso Rocky: il suo russare faceva concorrenza ai tuoni. Tirò a sé il poncho impermeabile e a fatica lo indossò, dopo aver trovato l’equilibrio. Non aveva intenzione di svegliare il caposquadriglia, perché era troppo petulante. Con una manata si mise in testa il cappellone scout di feltro e con un cenno ordinò a Miki di seguirlo.

    <> protestò picchiettando il dito sulla fronte <>.

    <> lo minacciò Max <picchettone. Muoviti e non farti trascinare>>.

    <picchettone non è tanto lungo... e poi ci sarà una probabilità su un milione che venga colpito>> osservò, cercando supporto in Fischietti e negli altri squadriglieri che, in risposta, scrollarono il capo in segno di disapprovazione.

    Miki capì di non avere scelta. Mi potevo fare i fatti miei. Accidenti a me imprecò mentalmente. Prese in fretta il maglione blu, il cappellone grigio e il suo poncho verde militare, torcia, mazzetta e scarponi.

    Ubbo e Hans fecero scorrere le cerniere lampo per agevolare l’uscita dei loro compagni che si gettarono in balia di Giove Pluvio. E quella sera doveva essere particolarmente incavolato.

    4

    Il terreno fangoso cedeva sotto i passi dei due scout. La pioggia bagnò loro i visi, formando rivoli che scorrevano sul collo insinuandosi sotto il maglione. Come un fiume carsico che sbuca dalle profondità della terra per poi sparire di nuovo nel sottosuolo.

    Girando intorno alla tenda, Max e Miki controllarono che tutti i picchetti fossero al loro posto e che il sovratelo non toccasse il catino, altrimenti l’acqua sarebbe penetrata all’interno della tenda.

    Aiutandosi con le torce sistemarono nel terreno due picchetti e tesero tre tiranti. Arrivarono al picchettone che reggeva l’angolo della tenda. Lo afferrarono a quattro mani come se volessero estrarre la Spada nella Roccia. Come due novelli Re Artù, iniziarono a tirare con le torce in bocca. Dopo una resistenza iniziale, alla fine cedette e si sfilò.

    <> urlò Max <>. Un altro fulmine tracciò un solco nel cielo prima di schiantarsi a terra.

    <>. Si incamminò con passo veloce, tenendo stretta in mano la spranga di ferro. Infilò un piede nella canalina scavata nel terreno tutto intorno alla tenda e poi sparì tra le raffiche di pioggia che si chiusero come un sipario dietro le sue spalle.

    Il vento forte gonfiò il sovratelo. Si contorceva e faceva schioccare il tirante come una frusta, strappando il picchetto dal terreno zuppo. Più Max tentava di fissarlo, più veniva via. Non volle arrendersi e con rabbia infilò il manico di legno della mazzetta nell’occhiello del tirante e lo spinse con forza giù nel terreno fino a incastrarlo.

    Un lampo e un poi un boato piombarono dal cielo. L’aria circostante vibrò e Max cadde a terra. La luce fioca della torcia si perse nell’acqua fangosa.

    Tremò per lo spavento, ma una volta tornato in sé la recuperò a tastoni. Si alzò e si diresse con passo veloce verso l’ingresso della tenda. Scorse affacciati Hans, Fischietti e Ubbo agitare le torce come fari della contraerea durante un bombardamento.

    5

    <> si sbracciò <>. Con la mano sinistra spinse Hans per farsi strada. I suoi scarponi erano ricoperti di fango; se li sfilò in fretta e lanciò il cappellone come un freesbe sul suo sacco a pelo. <>.

    <> disse Hans turandosi il naso, ma si beccò in pieno viso il poncho gocciolante appallottolato.

    <> chiese Fischietti.

    <picchettone dal terreno e ho risistemato anche gli altri picchetti e tiranti che si erano allentati>> Max estrasse dallo zaino un asciugamano e se lo passò scartavetrandosi il viso.

    <> osservò Hans perdendo per un attimo la sua inflessione tedesca a favore di quella romanesca <>.

    <> gli rispose Max <<...a momenti me la facevo sotto>>.

    <> commentò Ubbo. Poi, dopo aver sventolato la torcia all’interno della tenda, chiese: <>.

    <> Max si guardò intorno <>.

    <> disse Fischietti, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

    <> protestò <picchettone lontano mentre sistemavo l’angolo della tenda>>.

    <> scherzò Hans.

    <> osservò Ubbo.

    <> aggiunse Hans.

    <> lo fulminò Ubbo.

    <> chiese Fischietti.

    <> rispose Max, intento a sfilarsi i calzettoni di lana blu zuppi come due spugne. Si fermò con gli occhi allucinati, si alzò di scatto e urlò: <>.

    <> esortò Hans. Si pentì della battuta di prima. <>.

    <> ordinò Max. Il vento copriva le sue parole. Iniziò a sudare freddo, perché si sentiva in colpa per non averlo seguito.

    In un attimo tutti e quattro si trovarono fuori nella bufera, mentre Rocco era rimasto inconsapevole a guardia del Bambinone.

    <> consigliò Fischietti che avrebbe voluto montare tergicristalli sulle lenti degli occhiali.

    6

    Giunsero all’angolo della tenda, nel posto in cui avevano espiantato il picchettone. La mazzetta infilata per il manico ancora resisteva nel terreno fangoso, nonostante gli strappi del sovratelo. La canalina era colma e aveva iniziato a esondare.

    Max guidava il gruppo con passo svelto. Deve essere qui pensò. Se doveva liberarsi la vescica avrebbe potuto farlo anche sulla tenda.

    Il chic chac degli scarponi nell’acquitrino si sommava al rumore dei passi degli altri ragazzi. I calzettoni di lana zuppi gli congelavano i piedi. Le ginocchia nude, coperte a malapena dal poncho, iniziarono a lanciare qualche segnale di fastidio per tutta quell’umidità. Le flebili luci delle torce trapelavano a malapena tra le gocce di pioggia che riverberavano in un tetro luccichio.

    Dalle altre tende, immerse nel buio e nel sonno, non giungevano segnali di vita.

    Max si arrestò all’improvviso e cominciò a chiamare Miki. Gli altri fecero lo stesso, ma non giunse alcuna risposta. Magari si è rifugiato sotto un albero cercò di calmarsi con un ampio sospiro Deve essersi spaventato....

    <> latrò Ubbo <>.

    <> protestò <>.

    <> fece Hans <>.

    <> protestò di nuovo Fischietti <>.

    <> Max si sbracciò, sputando la gomma da masticare e brandendo come un'arma la torcia contro Hans <>.

    <> mugolò.

    <> Ubbo gli diede una spinta sulla spalla. Hans si fece coraggio e s’incamminò, sparendo nella bufera.

    Max puntò la torcia intorno prestando attenzione al più piccolo movimento. In realtà tutto si muoveva. Di fronte a lui, ad una quarantina di passi circa, i cipressi del bosco gettavano un’ombra ancora più scura sul prato. La pioggia copriva ogni rumore ed era impossibile avvertire lamenti o richieste d’aiuto.

    All’improvviso un tonfo dietro alle spalle catturò la sua attenzione.

    Era Ubbo.

    <> Max si girò di scatto e lo tirò su per un braccio.

    <> si lamentò facendo leva anche sul braccio di Fischietti.

    <>.

    <> notò Ubbo, indicando un punto ai suoi piedi.

    <> chiesero Max e Fischietti in coro.

    <>.

    <<È il picchettone>> urlò Max <>.

    Un lampo rischiarò il cielo, squarciando per un istante il velo di tenebra e pioggia.

    <> indicò Fischietti richiamando l’attenzione degli altri <>.

    <> suggerì Ubbo.

    <> insisté Fischietti tenendo la torcia puntata <>.

    <> Max fece strada con il viso sferzato dal vento.

    Si portarono sul posto indicato da Fischietti. Il buio regnava ovunque. Si guardarono attorno, ma non riuscirono a scorgere nessun movimento. Eccetto quello dei cipressi che si piegavano con moviementi tumultuosi verso di loro come se li volessero tenere lontani.

    <> indicò Fischietti.

    <> chiese Max <>.

    <> ribadì Fischietti <>.

    <> sussultò Ubbo.

    Una sagoma nera era riversa faccia a terra. Vicino a lui giaceva il cappellone scout colmo d’acqua come una bacinella. La torcia era immersa per metà in una pozzanghera ed emetteva una morente luce fioca.

    Max affidò la sua torcia a Ubbo. <> urlò dandogli delicati buffetti sul viso sporco di fango <> lo strattonò con energia <>.

    <<È ancora vivo?>> chiese Ubbo. Temeva che con tutta quell’acqua fosse affogato.

    <<È svenuto>> rispose Max.

    <>.

    <> sottolineò Fischietti.

    <> urlò Max.

    <> Cinque cerchi di luce si facevano strada e, a poco a poco, presero forma. Era Hans, seguito da Giordano, Alfio, Giulio e dal rubicondo Don Rino. Tutti imbacuccati e scafandrati <>.

    Nel pianoro rimbombò un’imprecazione corale, sovrastando nell’etere un tuono. Anche gli alberi diedero il loro assenso inchinandosi verso di loro.

    Lo studio di papà Antonio

    1

    Di quella notte di venti giorni prima Miki conservava solo un vago e umido ricordo. Cosa avesse fatto, dopo aver lasciato Max a fissare l’angolo del sovratelo, era stato chiuso in una cassaforte, in un remoto angolo della testa. Di cui non rammentava la combinazione.

    Era consapevole di essersi svegliato in un comodo letto, circondato dai capi. Erano presenti anche i suoi compagni, avvolti in asciugamani bianchi come fantasmi, e Rocky che lo fissava con sguardo truce.

    Del mentre, solo buio totale.

    Ancora rimbombava nelle sue orecchie il cazziatone di papà Antonio, mamma Enza e delle zie (il che fu anche peggio), che si unirono in coro intonando un canto gregoriano di rimproveri.

    Rimase tre giorni in ospedale per accertamenti e appena tornato a casa il medico di famiglia, il dottor Caciotta, prescrisse una serie d’analisi più o meno invasive.

    Miki Mich abitava a Roma in un quartiere di palazzine basse anni Trenta di tre o quattro piani al massimo; le une attaccate alle altre, a formare lunghi serpentoni che costeggiavano le strade.

    Al piano terra vivevano i signori Gennaro e Cesira Cervello. Due pensionati marchigiani da anni trapiantati a Roma, il cui unico passatempo era litigare con gli inquilini del piano superiore. Gualtiero e Osvalda Malagrida, della stessa età dei Cervello, erano cantanti d’opera in pensione. Insegnavano a studenti, perlopiù sudcoreani, canto e pianoforte, inondando per dodici ore al giorno il palazzo di un sottofondo musicale noioso e ripetitivo.

    OH… (do)… OH… (la)… OH… (re)… OH… (mi)… OH… (sol)… Dumdududum (pianoforte).

    In estate, con le finestre aperte, era anche peggio, perché quel noioso motivetto si diffondeva lungo tutta la strada.

    Salendo di piano vivevano le sorelle Crocifissa e Adua Raspa. Le sorelle di nonna Mariuccia (pace all’anima sua), madre di mamma Enza, e quindi

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