Mal d'Africa. Diario di un medico durante l’epidemia di Ebola
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Mal d'Africa. Diario di un medico durante l’epidemia di Ebola - Marilyn Kunrow
amore
INTRODUZIONE
Questo libro è nato dal diario di una mia amica, medico chirurgo, che è` partita volontaria in Africa Occidentale per combattere l’epidemia di Ebola.
Oltre che un ottimo medico, è anche una donna dotata di grande umanità, generosità e soprattutto di molto coraggio e mi è cara come una sorella.
Quando le ho chiesto perché volesse partire per una simile avventura la sua risposta è stata semplice e limpida secondo il suo solito: Qualcuno deve pur farlo. E allora perché non io?
.
È fatta così.
Purtroppo, la sua generosità è stata ripagata con pessima moneta, perché è andata incontro a un’esperienza terribile che l’ha segnata profondamente, corpo e anima, ma da questo dolore è nata una nuova consapevolezza di sé e del significato della vita, dell’amore e del sacrificio.
Prima della sua partenza le avevo fatto promettere di scrivermi, di raccontarmi tutto, di tenermi informata.
E così è stato.
Io ho raccolto le sue mail, le ho ordinate in ordine cronologico, ne ho fatto un sommario editing e ho modificato i riferimenti a nomi, luoghi e date che avrebbero potuto violare il suo diritto alla privacy.
In alcuni punti sono state riportate delle frasi usando la lingua con cui furono pronunciate. Si è scelto di non tradurle per non togliere immediatezza alla narrazione, del resto il loro significato è talmente palese che a mio avviso non necessitano di alcuna traduzione.
Il risultato e` il libro che avete fra le mani.
Buona lettura!
Marilyn Kunrow, 2018
20 Luglio, 2014
Cara Marilou,
Sono arrivata in Liberia.
Dato che parlo bene sia il francese che l'inglese, potevo scegliere fra la Liberia e la Guinea, ma alla fine mi hanno assegnato ai volontari diretti in Liberia.
Siamo tutti molto motivati, ma io sento anche un po' di ansia. Non si tratta tanto della paura del contagio (in qualche modo mi sento, chissà perché, protetta da una sorta di invulnerabilità), ma della paura di non riuscire a fare fronte a tutto l'impegno necessario.
La preparazione è stata pesante, ma in un certo senso si sapeva che non si stava facendo sul serio, che c'era la rete di protezione, per così dire.
Ma ora la musica è ben diversa, ora il minimo errore può costarci la vita. Soprattutto temo il clima caldo e umido di questi posti e mi mette a disagio il dovere lavorare con la tuta di protezione (già dopo un'ora di lavoro, si è completamente zuppi di sudore sotto di essa).
Sono stata sistemata con altri quattro colleghi in un appartamento che condivideremo per tutto il tempo della ferma
.
C'è un'altra donna, una infettivologa di Houston. E' simpatica, anche se parla con un accento texano così marcato che a volte si fa fatica a capire cosa dice. Si chiama Dorothy ed è afroamericana. Buon per lei! Non si scotterà troppo con il sole che picchia da paura da queste parti.
Gli altri tre sono uomini (dato che so che me lo chiederai, te lo dico subito: nessuno dei tre è carino). Roy è un anestesista canadese di Toronto. E' sui quaranta, alto e magro, porta degli orrendi occhiali cerchiati di corno e ha le orecchie a sventola. E' di origine irlandese ed è cattolico e molto religioso, ma non se la tira per niente.
Il secondo si chiama si chiama Dieter ed è tedesco. E' un medico di medicina generale come me (ovviamente i compensi che riceve in patria per il suo lavoro sono stratosferici in confronto ai miei, ma si sa come funziona da noi in Italia…), ha all'incirca la mia età, ma è in notevole sovrappeso. Questo, unito a una carnagione chiarissima e rosea, lo fa somigliare a un porcellino.
Ma è un simpaticissimo buffone, ha sempre la battuta pronta e racconta un sacco di barzellette. Dato che siamo i due più strampalati del gruppo a volte ne approfittiamo per scambiarci commenti buffi in tedesco, lingua che nessun altro dei nostri colleghi parla (almeno lo spero vivamente, dato il tenore tutt'altro che politicamente corretto delle nostre esternazioni!).
Il terzo si chiama Carlos e viene da Madrid. E' un valente cardiologo sui cinquantacinque-sessanta, è piuttosto alto ma ha un po' di pancia e una gran barba nera venata di grigio. Gli hanno detto che dovrà tagliarsela o almeno accorciarla drasticamente per motivi igienici (la barba, come i capelli e i peli in genere, raccoglie con più facilità sudiciume, batteri e virus e quindi in questo caso morte). C'è rimasto male, ma si è stoicamente sottomesso alla tosatura. Probabilmente pensa che peloso com'è gli ricrescerà molto presto. Infatti è furiosamente peloso, ha le braccia, le mani, il petto e persino la schiena coperti da un fitto vello nero. Quando esce dalla doccia, con l'asciugamano pudicamente legato intorno ai fianchi, sembra un gorilla.
Come vedi, potrò lavorare serenamente e con la massima concentrazione: non ci sono tentazioni nei dintorni!
La mia cameretta è piccola ma confortevole, ovviamente sia le finestre che il mio letto sono muniti di zanzariere. Saggia precauzione, anche se abbiamo fatto tutti la profilassi antimalarica con il Lariam: da queste parti le zanzare veicolano il letale Falciparum!
Abbiamo anche una piccola cucina abbastanza attrezzata, ma ci sarà un servizio catering che provvederà ai nostri pasti.
A buon conto i colleghi mi hanno già fatto promettere di cucinare una volta i veri spaghetti italiani!
Adesso vado a dormire. Il letto sembra piuttosto comodo ma temo di essere troppo eccitata e in ansia per scivolare fra le braccia di Morfeo.
Per sicurezza prenderò uno Stilnox: domani abbiamo la sveglia alle 6 ed è essenziale che io mi alzi riposata.
Baci. Tua S.
21 Luglio 2014
Cara Marilou,
Come previsto, la scorsa notte ho dormito solo due ore nonostante lo Stilnox.
Sarà stato il cambio di letto, il caldo (l'aria condizionata funziona a singhiozzo), l'eccitazione e l'ansia per oggi, ma ero sveglia e pimpante come se mi fossi fatta una riga di cocaina lunga un metro.
Stamattina tuttavia ero abbastanza su di giri.
Abbiamo fatto una veloce e squallida colazione (tè zuccherato senza latte, pane tostato e una schifosa marmellata troppo dolce, niente frutta) e io e Dorothy non ci siamo nemmeno truccate (tanto sotto la tuta chi ci vede?).
Fortunatamente il buon Dieter nel suo mitico zaino (una specie di gonnellino di Eta Beta) aveva anche una macchinetta per il caffè e così ci siamo fatti un bel caffè.
Come tu ben sai, parlo del nostro
caffè alla tedesca, fatto con i filtri di carta, che forse gli italiani troverebbero orrendo ma che, per me, è la conditio sine qua non per cominciare la giornata senza rischiare un attacco di emicrania, che mi sarebbe certo venuto dopo quella schifosa colazione con quell'orrido tè Earl Grey troppo carico e la marmellata acidula.
Una macchina è venuta a prenderci e ci ha portato alla nostra destinazione: l'Ospedale dove si curano (si curano? Si tenta di farlo: se ne salva in media uno su dieci) gli ammalati di Ebola.
Ci ha accolto una infermierona (è più alta di me di tutta la testa e ha un culo che è tre volte il mio) del posto, molto decisa e autoritaria, la caposala del reparto. Evidentemente, anche se si cambia paese, rimangono sempre alcune costanti: una, a quanto pare, è l'atteggiamento autoritario e tirannico messo in atto dalle caposala nei confronti dei medici (ovviamente con l'eccezione dei primari!).
Dopo averci strapazzato un po', con la scusa di mostrarci i nostri armadietti, la zona di primo filtro dove ci si cambia e si indossa la tuta e lo studio medici dove, finito il turno, ci possiamo sedere, riprendere fiato, bere un caffè e scambiare due chiacchiere, ci ha rispiegato per l'ennesima volta tutto il protocollo e gli errori da non fare ASSOLUTAMENTE MAI (tipo toglierci la tuta senza guanti o sollevare il casco di protezione dal viso prima di essere fuori dalla zona infetta). Va beh, repetita iuvant! Lei sostiene che deve entrare in testa fino a diventare un seconda natura, non ci possiamo permettere alcun errore che potrebbe costarci la vita. E naturalmente ha ragione.
Finito il predicozzo, finalmente siamo entrati nella zona di primo filtro per toglierci i nostri abiti.