Accettami, abbracciami e amami come persona
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Book preview
Accettami, abbracciami e amami come persona - Chefiki Lanikpekoun
633/1941.
Capitolo 1
La pazzia di una pazza con il timido
Ci siamo conosciuti a novembre durante un corso di formazione sulla sicurezza a Trento. Faceva freddo al punto di non sentirmi le mani, le tenevo dentro le tasche della felpa nera dell’Adidas. In quel periodo davo la precedenza ai vestiti, convinto che mi avrebbero cambiato la vita, convinto che mi avrebbero dato più sicurezza, convinto che mi avrebbero reso felice. Ero vestito completamento di nero: pantaloni neri e scarpe nere, come se andassi a un funerale. Il cielo aveva colori strani quella mattina. Grigio, nero, bianco. Era brutto tempo e io mi sentivo allo stesso modo, mi sentivo il più brutto del mondo, infatti non mi guardai allo specchio prima di uscire di casa. Mi sentivo inferiore a tutti. Mi davo dell’incapace quando sbagliavo il condizionale e me ne accorgevo troppo tardi. Ero troppo severo con me stesso e la base di tutto era la paura. La paura di sbagliare davanti agli sconosciuti per non fare brutta figura... però alla fine non importava. Il colore della mia pelle attirava gli sguardi indiscreti della gente.
Entrai in sala formazione e avevo gli occhi puntati addosso, non capivo il perché ma poi mi sono accorto che ero l’unico nero tra tutti presenti. La cosa mi spaventava, ma mi feci coraggio perché avevo vicino il mio collega Marco che era italiano, ed è il mio migliore amico. Mi tranquillizzava quando mi sentivo terrorizzato dagli occhi indiscreti di gente che mi guardava come a dire Tu chi sei?
oppure Che ci sei venuto fare qua?
Lui era la mia sicurezza sul lavoro perché mi faceva sentire a mio agio in qualsiasi momento della giornata. Durante il corso di formazione c’era una ragazza che sembrava pazza, non riusciva a stare zitta per un secondo, chiacchierava con tutti con molta facilità. Rideva per ogni piccola cosa e poi c’ero io che non riuscivo a fissare negli occhi le persone attorno a me. Mi domandavo: Come fa a essere così felice quella ragazza?
e la risposta mi è arrivata durante la pausa caffè quando mi avvicinò e si presentò.
«Ciao piacere sono Anna.»
E io risposi: «Piacere Chefik». Oddio non sapevo cosa dirle perché mi mancavano le parole e in quel periodo mi sentivo a disagio tra le persone bianche. Avevo sempre paura che mi giudicassero per la mia carnagione scura o per il mio italiano con l’accento francese. Non avevo l’accento italiano e si capiva subito che non ero del posto. Così mi chiese: «Da dove vieni?»
«Dalla Costa d’Avorio e tu?»
«Da Rovereto» mi disse sorridendo e se ne andò aggiungendo: «Ci vediamo in sala».
«Ok a tra poco.»
Nella mia mente dicevo: Che tipo di persona è questa? Sembra la più felice del mondo
. La invidiavo perché io vivevo una vita infelice, parlavo con poca gente e non mi fidavo di nessuno. Vivevo in Italia da un anno e mezzo e lei fu la prima ragazza che mi avvicinò senza farmi sentire un immigrato. Voleva conoscermi davvero e io non mi sentivo pronto a conoscere una ragazza. Però lei è una tosta, non molla. Alla fine dell’incontro mi chiese se andassi a Rovereto e risposi: «Si, perché abito lì».
Rispose: «Allora andiamo insieme». Dovetti chiedere al mio amico se potessimo darle uno strappo in macchina e lui accettò.
In macchina Anna parlava più di noi, diceva dieci frasi una dopo l’altra mentre io cercavo di dirne una senza che mi interrompesse. Parlava di più col mio amico, mentre io avevo lo sguardo concentrato sullo schermo del cellulare come chi aspetta un messaggio importante che però non arriva. In realtà aspettavo che mi coinvolgessero nella conversazione, come ho sempre aspettato nella mia vita che le persone mi parlassero per prime, altrimenti stavo zitto ad ascoltare. Mi è stato insegnato così nella mia cultura africana.
Quando da piccolo provavo a esprimere un concetto in casa i miei genitori mi dicevano: Devi parlare solo quando è necessario, altrimenti stai zitto
. Rimasi in silenzio per tutto il viaggio in macchina, da Trento a Rovereto. Lasciammo Anna davanti al cancello di casa sua e lei scendendo ci diede due baci sulle guance e disse: «Ciao, ci vedremo al prossimo corso di formazione e buon inizio per domani! Ci sentiamo». E io risposi con un semplice ciao
perché pensavo che la nostra amicizia sarebbe finita lì, come finivano le mie amicizie con i ragazzi italiani che mi chiamavano amico
solo quando ci vedevamo per strada. Non mi cercavano mai ma io gli scrivevo sempre dei messaggi su WhatsApp che loro leggevano senza rispondermi. Quando ci incrociavamo per caso mi dicevano Scusa ma ero impegnato
.
Ho pensato subito che avrebbe fatta così anche lei quando mi diceva in sala Dai seguirmi su Instagram
. Lo feci perché avevo voglia di chattare con qualcuno capace di parlare per ore e ore senza stancarsi. E Anna era la persona perfetta, la sola che avessi