Tore ‘e Crescienzo: il primo camorrista
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Un romanzo storico documentato e avvincente, corredato da stampe d'epoca, che getta nuova luce su eventi di straordinaria rilevanza e quanto mai attuali nello scacchiere sociale ed economico odierno.
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Book preview
Tore ‘e Crescienzo - Franco Schiano
Tore ‘e Crescienzo, il primo camorrista
di Franco Schiano
Progetto grafico e impaginazione: Sara Calmosi
Direttore di redazione: Jason R. Forbus
Le stampe di Gaeta, Ponza, Ventotene e Santo Stefano sono opera di Pasquale Mattej
ISBN 978-88-33462-72-1
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, 2019©
Narrativa – Maree
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Tore ‘e Crescienzo
Il primo camorrista
Franco Schiano
Edizioni
Indice
Premessa
La partenza
La centrale
Sulle onde dei ricordi
La paranzella di Gaeta
Santo Stefano e Ventotene
La corda elettrica
Ponza
Armand e Sofia
Confronto
Giuditta
Il bastimento livornese
Taverna Tarantino
La missione
Preparativi
Truglio e tradimento
Epilogo
A Filomena e Zi’ Schiano,
mia madre e mio padre.
Premessa
Salvatore De Crescenzo, capo dei capi di quella che allora si chiamava La Bella Società Riformata, è stato sicuramente il primo grande camorrista dell’era moderna. Eletto come testa dell’organizzazione nel 1849, per diversi anni è stato un protagonista rilevante della storia di Napoli e d’Italia. Oltre a essere il capo della malavita organizzata dell’epoca, Tore ‘e Crescienzo ebbe un ruolo fondamentale durante il passaggio dei poteri dai Borbone ai Savoia. Nel 1860 Liborio Romano, ministro della Polizia di Francesco II prima e del nuovo governo unitario poi, lo nominò commissario di polizia col compito di mantenere l’ordine pubblico; funzione che svolse egregiamente, insieme ai suoi camorristi diventati all’improvviso poliziotti, soprattutto a vantaggio degli affari della camorra.
La pacchia dei camorristi poliziotti si concluse agli inizi del 1861, quando Silvio Spaventa, nuovo ministro della Polizia, pose fine a questa anomalia gettando in cella molti di loro. Nel luglio del 1862 anche il capo Tore ‘e Crescienzo rimase impigliato nella rete della legge: usando Nicola Jossa, un guappo non affiliato alla camorra, il questore Aveta riuscì a far arrestare De Crescenzo, che fu rinchiuso nel carcere di Castelcapuano.
È da qui che inizia per Tore una nuova storia, una storia che influenzerà anche quella dell’Italia intera.
Capitolo primo
La partenza
Era ancora buio quando lo vennero a prendere. Il capoturno reggeva la lanterna e cercava d’illuminare la serratura per permettere alla guardia d’infilare la grossa chiave e aprire la cella.
«Mannaggia a morte! ma sto buco ‘o truove o no?»
«Ma che vuò truvà, ca c’amme fatte vecchie e ‘o buco no’ sapimme chiù truvà! ...mannaggia ‘e giacubini e i libberali!»
«Ma qua giacubine chiste è ‘o capintesta Tore ‘e Crescienzo.»
«Vuie che dicite?! e quanno l’hanno chiuso, io n’aggio saputo niente.»
«L’ordine è arrivato ieri sera. L’avimma avuta levà d’o camerone per mezzo d’o fatto che succedette… Aniello Ferrigno… ‘o stutaine.»
«E che c’entra Tore ‘e Crecienzo? Pe’ chelle che sacc’io, Aniello Ferrigno, è stato stutato a seguito di regolare sentenza del Tribunale della Gran mamma e non mm’arrisulta che sia stato presieduto da Tore e Crescienzo. Non sarebbe stato opportuno, Tore era parte in causa. Ferrigno aveva offeso la figlia di Tore.»
«Sì vabbuò, comme fuje e comme nun fuje, l’ordine arrivaie e s’adda ‘nmmbacà pe’ Ponza.»
Alla fine, la pesante porta si aprì e la luce sporca della lanterna invase la cella. Dentro, seduto sul tavolaccio, c’era Salvatore De Crescenzo, detto Tore ‘e Crescienzo: ‘o maste, il capo supremo della Bella Società Riformata. Il capintesta della camorra napoletana!
«Vado sùlo a chèsta cazze ‘e Ponza?» domandò stizzito Salvatore.
«Avimme pensate ‘e ve fa accumpagnà da Dumminico ‘Mezzarecchia’, chille tene ‘na grande devozione pe’ voi e poi a Ponza già c’è stato, conosce l’ambiente. E pure vuie me pare che lo benvolete. Sta già pronto vicino a carretta. Avimme pure caricato ‘na casciulella co’ i vestiti vostri. ‘O sapimme che ci tenete all’eleganza, ma erane troppe, nun ce trasevene dinte ‘o sacco» disse quasi amorevolmente don Ciccio Stecchino, il caporale delle guardie del carcere di Castelcapuano.
Don Salvatore annuì e si accinse a prendere le sue cose spicciole.
«Iamme, facimme ambresse che se fa tardi» lo esortò don Ciccio, fingendosi autoritario mentre lo aiutava a riempire il sacco di tela grezza.
Quando scesero verso il cortile del carcere sotto alla luce ondeggiante della lanterna, si levò un rumore sordo, come un’onda cadenzata, sempre più forte. Poi smise di colpo.
Erano arrivati davanti alla carretta. Mezzarecchia, che pure era un caposocietà, appena lo vide gli andò incontro. Nonostante avesse i ferri ai polsi, prese il sacco con gli effetti personali di don Salvatore, ma non prima di aver tentato di baciargli le mani, che questi, in forza di un rituale consolidato, fece finta di ritrarre.
Al fianco della carretta v’erano quattro soldati su cavalli che a Tore sembrarono altissimi. Erano lancieri di Novara: la sua scorta fino al molo dell’Immacolatella.
Don Salvatore, a cui nel frattempo avevano messo i ferri, salì sulla carretta. Mezzarecchia lo seguì e si accomodò di fronte a lui. Il cocchiere prese in mano le redini e con un lungo «Aaaah!» si avviò verso l’uscita. Proprio in quel momento un lungo fischio, un sibilo modulato con tonalità e intensità variabile, si levò dal buio, rotto solo dalle poche lanterne sotto gli androni: il sordeglino
!
Era il saluto della Bella Società Riformata ospite di Castelcapuano al Capo dei Capi.
A Napoli è anche un antichissimo richiamo d’amore.
Salvatore levò in alto le mani serrate dai ferri, in segno di risposta, ma nessuno poteva vederlo.
***
Man mano che si avvicinavano al mare l’aria diventava sempre più pulita. I miasmi dei vicoli cedevano il passo ai suoi profumi.
Anche i cavalli sembravano voler godere di quell’odore di pulito: le loro froge aspiravano quell’aria fresca, frizzantina e odorosa con una certa forza, che dava l’impressione netta che le bestie ne godessero.
Le campane suonavano il mattutino, mentre le popolane andavano in gruppi verso la chiesa di San Giovanni a Mare per il settenario della Madonna del Carmine.
Quando la carretta sbucò sulla strada della Marina, le prime luci del giorno inondavano radenti le alberature dei bastimenti nel porto, che spuntavano oltre il muro della dogana. Qua e là neri e densi pennacchi di fumo si alzavano lenti verso il cielo. Era una di quelle mattine di luglio in cui non tirava un alito di vento. Dai varchi si vedevano tratti di mare immobile e liscio come l’olio.
Arrivarono sul molo dell’Immacolatella che mancava ancora qualche minuto alle sei. C’era già la carretta del carcere di Santa Maria Apparente, Tore ne riconobbe il cocchiere. L’aveva utilizzato in qualche occasione per inviare palummelle ai compagni detenuti in quel carcere.
Chissà se ha accompagnato qualche condannato all’ergastolo di Santo Stefano o un relegato a Ponza, si domandò. Poi fu distratto dalla voce del cocchiere della sua carretta.
«Don Salvato’, i fierre ve li leveranno i Carabinieri a bordo, dopo la partenza del vapore.»
Casse di legno di ogni forma e dimensione, sacchi, botti e damigiane erano allineate lungo i bordi del molo. Il vapore a ruote Palinuro della Compagnia di Navigazione Ischia – Procida
, adibito al collegamento settimanale con le isole Ponziane, vibrava e ansimava: la caldaia era già sotto pressione. La colonna di fumo nero si levava dal fumaiolo in mezzo ai due alberi, lenta e densa.
Una processione di facchini, scalzi e a torso nudo, si snodava tra il molo e la nave per caricarvi la merce in attesa d’imbarco lungo i bordi della banchina. Tutti, come una divisa, portavano in testa un sacco di tela grezza, piegato a metà a mo’ di cappuccio e ricadente sulla schiena. Serviva a proteggere collo e spalle da eventuali abrasioni ed ematomi provocati dal peso degli oggetti trasportati.
A bordo, secondo un arcano criterio, un uomo in divisa smistava le mercanzie che i facchini, incappucciati e sudati, imbarcavano a ritmo costante.
I cocchieri delle due carrette chiacchieravano tra loro