Costa Rica: sostenibilità ambientale e disarmo: Un modello possibile
By Carla Celani
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Le azioni politiche, nonostante possano inizialmente esprimere egoismi e vantaggi per i gruppi al potere, inevitabilmente finiscono poi col ricevere il giudizio delle persone, le quali attraverso un processo di empowerment, di presa di coscienza ed azione, diventano veri decisori politici di un comune presente e futuro. La storia così ci insegna.
Il Costa Rica ne è un esempio. Un piccolo Paese, fiero e coraggioso. Prima ha lottato per la propria libertà ed indipendenza. Poi i suoi cittadini hanno deciso di vivere senza un apparato difensivo, dichiarandosi neutrali, portando avanti azioni di pace e riponendo fiducia nei Trattati e Convenzioni internazionali a tutela dei diritti e della dignità delle persone.
Non si può vivere separati dall’ambiente. Non ci può essere pace e benessere disprezzando l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, la terra che ci nutre. E non esiste un luogo incontaminato in cui rifugiarsi. Occorre rimodulare il sistema di vita in virtù del rispetto e della condivisione della Terra.
Non esiste «io» possibile. L’individualismo, l’esclusiva ricerca del benessere individuale, la prevaricazione sull’altro, provocate dall’avidità, dalla collera, dalla stupidità ci hanno trascinato in questa situazione. Occorre dare spazio e voce nel cuore di ciascuno di noi alla saggezza, all’inclusione, al «noi» in relazione l’uno con l’altro.
Mi scuso con le giovani generazioni, per ciò che stiamo consegnando loro. Sono fiduciosa che attraverso l’educazione, la cultura e il valore della pace sapranno costruire una vita sostenibile, pacifica e felice.
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Costa Rica - Carla Celani
lavoro.
Premessa
a Daisaku Ikeda
maestro di pace
[…]
Y deseo que todo, que la vida sea nuestra
come el agua y el viento.
Que nadie tenga nunca más patria que el vecino.
Que nadie diga más la finca mìa, el barco mìo,
sino la finca nuestra, de Nosotros los Hombres.¹
Jorge Debravo, Nosotros los Hombres, 1966
L’ultima strofa della poesia Nosotros los hombres di Jorge Debravo esprime il sentimento che anima questo lavoro: la decisione di nosotros, di tutto il genere umano, di vivere insieme in modo inclusivo
nel rispetto del pianeta Terra.
Jorge Debravo (1938-1967) è un poeta molto amato in Costa Rica, a tal punto che il giorno della sua nascita, il 31 gennaio, è stato decretato Día Nacional de la Poesía. Era un ragazzo nato in una famiglia di campesinos, dedito fin da bambino al lavoro nei campi. Saltuariamente andava a scuola, distante da casa quattro ore a piedi. Frequentò il liceo, che in seguito dovette abbandonare per andare a lavorare e aiutare la famiglia; tuttavia continuò a leggere e ad approfondire i suoi studi. Terminò il liceo ai corsi serali e iniziò a scrivere. Il suo motto era: «Mi poesìa es una manera de creer en el futuro, de confiar en el futuro, de crear el futuro». Nella sua poesia si legge il rispetto per la Terra, l’uguaglianza e fratellanza tra le persone, la fiducia nel futuro.
Questo lavoro intende partire dall’esempio del Costa Rica, da questo Paese smilitarizzato, dichiaratosi neutrale, rispettoso dell’ambiente, per capire se possa essere un modello di riferimento possibile. Indubbiamente particolari sono le caratteristiche del Costa Rica. Molteplici elementi quali la natura, la posizione geografica, la storia, le persone hanno contribuito in sinergia a raggiungere i risultati che oggi conosciamo.
Ogni realtà è diversa, variegata e complessa, eppure al di là delle differenze si può ricercare un sentire
comune. Questo lavoro, nella volontà di "crear el futuro", vuole significare che si può pensare e realizzare un modo di vivere armonioso, una convivenza pacifica, nel rispetto della Terra e delle persone.
Secondo un monaco giapponese del XIII secolo, Nichiren, "l’intero regno dei fenomeni" può diventare "la Terra della Luce Tranquilla, un luogo
fatto di lapislazzuli, dove […]
dal cielo piovono quattro tipi di fiori e una musica risuona nell’aria".²
Rappresentazione allegorica di un sentire personale, che trova realizzazione in un’azione coerente per il bene di tutti.
1 Trad.: […] E desidero che tutto, che la vita sia nostra come l’acqua e il vento. Che nessuno abbia altra patria che il vicino. Che nessuno dica più la terra mia, la barca mia, bensì la terra nostra, di Noi Uomini.
2 Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol I, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, 2008, pag. 675.
Capitolo 1
1.1 Il percorso storico del Costa Rica
Nella regione del Centro America, a nord dell’istmo di Panama una lingua di terra tra due oceani: l’Atlantico e il Pacifico. Posizione geografica ben raffigurata nello stemma³ della bandiera del Costa Rica, un lembo di terra con tre vulcani ad indicare le tre principali catene montuose del Paese. Due vascelli solcano i mari; nel cielo sette stelle che simboleggiano le sette province del Costa Rica.
Così doveva apparire a Cristoforo Colombo nel 1502 la regione del Costa Rica, a cui fu dato questo nome proprio perché si pensava fosse ricca d’oro: spiagge bianche e dorate delimitate da una natura lussureggiante, all’interno la pianura di San Carlo e poi le catene montuose, che sul versante occidentale arrivano a lambire la costa pacifica. Una natura prorompente, stretta tra due placche, quella di Cocos e quella caraibica, con la presenza di vulcani ora spenti o saltuariamente attivi.
Colombo approdò nell’odierno Puerto Limón, abitato da piccoli gruppi autoctoni, discendenti di comunità indigene presenti fin dall’epoca preistorica. Non fu facile sottometterli, solo nel 1570 il Paese fu definitivamente conquistato da Juan Vàzquez de Coronado. Per le difficoltà ambientali e la resistenza degli indigeni, i colòni si stabilirono nella Meseta Central e crearono piccole e isolate fattorie, dalle quali a metà Ottocento si diffuse la coltura del caffè, permettendo l’inizio delle esportazioni e della modernizzazione.
L’America divenne latina, le differenze geografiche, etniche, culturali vennero assorbite in un concetto astratto, unificato dalla colonizzazione spagnola e portoghese e dalla evangelizzazione della Chiesa cattolica.
Dal Cinquecento al Settecento, l’America latina fu espressione dell’Europa. Arrivarono idee, tecnologie, nuove merci e un unico modo di governare, basato sulla fedeltà e sottomissione al re (unitarietà) e sul governo delle élites locali (frammentazione).
Nel ‘700, il secolo dei Lumi, i grandi imperi europei vacillano e di conseguenza per l’America latina inizia quel percorso irreversibile che la porterà verso l’autonomia. Fatto scatenante fu la campagna di Napoleone in Spagna: il re Carlo IV e suo figlio Ferdinando VII vengono imprigionati, e Giuseppe Bonaparte posto sul trono. In un clima di unità nazionale, si riunisce a Cadice la prima Junta, la quale rivendica il potere in nome del re prigioniero. La Junta chiede obbedienza alle colonie, ma anche a Caracas e a Buenos Aires si istituiscono altre due Juntas⁴, che assumono il potere in via transitoria, e contemporaneamente cercano di recuperare spazi di autonomia, soprattutto commerciale, che erano stati tolti loro dal potere centralistico dei Borbone. Nel 1812 a Cadice il Consejo de Regencia convoca un’assemblea rappresentativa per redigere una Costituzione, sia per legittimarsi in attesa del ritorno del re, sia per limitare il potere dell’autorità regia. Nel 1814 si ristabilisce l’Ancien Régime con Ferdinando VII, il quale dichiara nulla la Costituzione di Cadice e ripristina l’assolutismo.
Oramai diviene impossibile tornare indietro: Simón Bolívar⁵ con il suo esercito repubblicano portò all’indipendenza parte dell’America latina. Solo Cuba e Porto Rico rimasero temporaneamente alla Spagna, fino alla sconfitta di quest’ultima nella guerra contro gli Stati Uniti (1898).
Anche il Messico aveva istituito una Junta, che fu sciolta prontamente al ritorno del re. Ma nel 1820 giunse la notizia che in Spagna era stata nuovamente imposta la Costituzione di Cadice a Ferdinando VII. Esplose la rivolta. A poco valsero gli sforzi dell’ufficiale dell’esercito realista, Agustín de Iturbide, di trovare una mediazione con l’esercito popolare, attraverso la sottoscrizione del Plan de Iguala nel febbraio 1821, che prevedeva un Messico indipendente, governato da una monarchia moderata
, fedele alla Chiesa cattolica, con un unico esercito, in cui sarebbero dovuti confluire realisti e rivoluzionari.
Il Messico si trasformò in una repubblica.
Il desiderio di libertà si propagò negli altri Paesi dell’America centrale, i quali il 15 settembre 1821 proclamarono la loro indipendenza dalla Spagna e nel 1823 costituirono la Federazione delle Province Unite dell’America centrale (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica), ispirandosi al modello federale degli Stati Uniti.
Sin dall’inizio della sua costituzione, la nuova Federazione incontrò diverse difficoltà: ostacoli di ordine politico (mancò il sostegno di