Scherzi delle Feste
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Di seguito l'elenco dei racconti inclusi nella raccolta:
BATTERIE A LUNGA DURATA
CON TANTI CARI AUGURI DI BUON ANNO
FURTO IN CHIESA
GRAN BELLA FESTA, CONTESSA
I FIORI DEL MARITO
IL CASTELLO DELL'AMORE
IL REGALO DI COMPLEANNO
IL VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO
L'AMICIZIA E L'AMORE
LA FESTA A SORPRESA
LA FESTA D'ADDIO
LA PERFIDIA DELLE DONNE
UNA FESTA POPOLARE
SESSANTA!
VENTINOVE FEBBRAIO
Si avverte che, dato il carattere tematico della raccolta, alcuni di questi racconti potrebbero essere presenti anche in altre raccolte tematiche dello stesso autore.
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Scherzi delle Feste - Marco Fogliani
Marco Fogliani
Scherzi delle Feste
ISBN ebook: 9788832500035
Copertina di Marco Fogliani
Aggiornamento al: 14/08/2023
Indice dei contenuti
LA FESTA A SORPRESA
CON TANTI CARI AUGURI DI BUON ANNO
IL CASTELLO DELL'AMORE
I FIORI DEL MARITO
GRAN BELLA FESTA, CONTESSA
BATTERIE A LUNGA DURATA
UNA FESTA POPOLARE
IL VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO
LA PERFIDIA DELLE DONNE
IL REGALO DI COMPLEANNO
SESSANTA!
LA FESTA D'ADDIO
VENTINOVE FEBBRAIO
FURTO IN CHIESA
L'AMICIZIA E L'AMORE
LA FESTA A SORPRESA
Ritornato a casa trovai un messaggio in segreteria telefonica.
Ciao Galvani, sono Ferruccio.
Era sempre stata una sua caratteristica chiamare gli amici, anche i più intimi, solo col cognome, e presentare sé stesso solo col nome. Ciò rifletteva la sua concezione egocentrica del mondo: ma lui si giustificava dicendo che conosceva tantissime persone, e sempre almeno due per ogni nome tranne per Ferruccio, di cui non ne aveva mai conosciuto nessun altro.
Che fai: non solo non ti fai più sentire, ma non ti fai neanche trovare in casa? Almeno fatti un telefonino! Anzi, dammi retta: è molto più piacevole farsi una bella segretaria!
Rise di gusto a quella che probabilmente considerava una battuta equivoca di collaudato successo. Comunque ci sentiamo presto.
Anche ridere delle proprie battute era sua abitudine, giustificata dal fatto che il loro lato umoristico tendeva a passare inosservato ai più, se non rimarcato chiaramente in questo modo. Ma, a parte tutto, mi mossero al riso più i suoi non ti fai più sentire
e non ti fai neanche trovare
, interpretabili come il rimprovero a un amico resosi irreperibile e cercato invano per lungo tempo; o il suo ci sentiamo presto
che poteva far pensare a contatti regolari tra noi due. Nulla di più falso.
La verità era che dalla sua elezione, e cioè circa dieci anni prima, per me era diventato praticamente impossibile comunicare con lui. Avevo avuto modo di conoscere, telefonicamente, un cospicuo numero di segretarie, segretari e portavoce, ma col Ferruccio consigliere prima, e col Ferruccio assessore poi, proprio non riuscivo a parlarci. Era un’amicizia che ormai consideravo perduta. Ogni tanto era lui a farsi sentire – diciamo non più di una, due volte l’anno - ma sempre in maniera sfuggente e frettolosa, e sempre per favori che, ne sono convinto, a nessun altro avrebbe richiesto. Anzi: forse non c’era niente che non avrebbe osato chiedere a qualcuno, ma probabilmente gli dava maggior soddisfazione chiederlo a me prima che a chiunque altro.
L’ultima volta mi aveva pregato di andare ad attaccar manifesti in piena notte con alcuni suoi amici; ed ora mi sentivo particolarmente a rischio col mio pensionamento a meno di un mese, e le elezioni politiche sempre più probabili all’orizzonte.
Sembra addirittura impossibile che due persone così diverse abbiano potuto frequentarsi e diventare amici. I primi ricordi che ho di lui risalgono all’adolescenza, a quelle nostre partite a tennis che stravincevo l’una dietro l’altra, con lui meravigliosamente soddisfatto di raggiungere l’obiettivo del suo programma di fitness, che prevedeva tre ore di tennis a settimana. Vincitori entrambi ognuno a suo modo: ma io col mio impegno vincevo le partite, mentre lui già da allora, con la sua superficialità e apparenza, vinceva nella vita.
Avrei proseguito per un pezzo con queste ed altre considerazioni su di lui, se il telefono non avesse squillato. Lupus in fabula.
Ciao Galvani, sono io, Ferruccio! Come va?
Eh, insomma. Mi manca ancora un mese scarso per andare in pensione. È un pensiero che a dir poco mi spaventa. Mi sto informando se c’è modo di continuare a fare qualcosa con l’azienda, magari part-time o consulenze; ma dubito che sarà possibile.
Posso dirti che sei un bel babbeo? Potessi andare io in pensione! Ed invece ti assicuro che non ho mai lavorato tanto in vita mia come in questo periodo. A volte non vedo l’ora che arrivino le elezioni e che una sonora sconfitta mi rimandi a casa, obbligandomi ad un lungo e meritato riposo.
Per questo non poteva certo prendersela con me. Io mai lo avevo né l’avrei votato, e non solo perché si era sempre candidato in liste che sostenevano idee opposte alle mie. Non ne avevamo mai parlato, ma sicuramente lo immaginava, e la cosa non gli dava fastidio più di tanto.
Fece una breve pausa.
E allora quando la fai questa festa per il pensionamento? Ti ho chiamato apposta, sai, per farmi invitare!
Ma che festa e festa! Non c’è proprio un bel niente da festeggiare
, gli risposi.
Ma dai, non ti buttare giù. Avrai un sacco di tempo in più per andare a trovare tuo figlio …, e poi per coltivare i tuoi hobby: il giardinaggio …, poi se non ricordo male scrivevi, o dipingevi …
Quel fannullone di mio figlio non fa che darmi dispiaceri. Meglio stargli alla larga. In quanto agli hobby, hai un po’ inventato: non ho mai avuto l’hobby del giardinaggio.
E allora è il momento giusto per cominciare. Ma è vero che una volta scrivevi o dipingevi, no?
Scrivevo da giovane
, gli risposi, ma quella ormai è archeologia. Dipingere quello sì, non mi dispiacerebbe. Vorrei proprio trovarmi una scuola di pittura,magari di quelle un po’ costose ma in cui non solo ti insegnano la tecnica, ma ti fanno anche credere di avere talento.
La festa per la pensione comunque la devi fare
, mi disse. Guarda che se non ci pensi tu te la organizzo io: perché bisogna festeggiare in qualche modo.
Era quello che temevo: il suo intervento da organizzatore. Per la verità temevo da lui molto di più, ma non sapevo esattamente cosa.
Anzi
, proseguì, sai cosa ti dico: festeggiamo insieme. Perché anch’io ho qualcosa da festeggiare: i trentacinque anni di matrimonio e soprattutto i dieci da consigliere. Tra circa un mese, tutti e due.
Era arrivato al motivo della sua chiamata. Adesso che lo avevo scoperto, mi tranquillizzai. Proseguì.
Allora siamo d’accordo. Mi dici la data esatta ed io inizio subito i preparativi.
Gliela dissi, e lui, consultando un’agenda, fissò il giorno della festa.
Ti faccio chiamare dalla segretaria se ci sono variazioni. Però mi raccomando: guai a te se non ti presenti. Sarei capace di venirti a prendere fino in capo al mondo.
Va bene, cercherò di esserci.
Mi diede appuntamento al cinema Tomelli alle 17 del giorno 15 del mese seguente.
Non ce l’ho in nessun modo con Ferruccio, né provo invidia per lui. Lo trovo anzi molto simpatico - una bella figura paciosa con bei baffetti biondi perennemente sorridenti; una presenza rasserenante che riesce a rendere sempre tutto più semplice - e gli riconosco grandi qualità. Per non dire poi che mi fa molto piacere potermi vantare con gli altri di essere amico da lunghissima data di un personaggio così conosciuto. No, niente contro di lui: semmai contro il mondo, che consente ad una persona come Ferruccio Dimando di avere successo, soldi e tutto quello che vuole, e lascia me in una vita grigia e paludosa. Perché Ferruccio, gran comunicatore ed organizzatore straordinario, è ed è sempre stato di una superficialità spaventosa, proprio al contrario di me. Questo lo ammette anche lui - naturalmente non in pubblico - ed è probabilmente il motivo del nostro legame di profonda ammirazione e stima reciproca. Perciò sia chiaro: non potrei mai assolutamente provare invidia per una persona, come lui è, negata all’analisi ed all’approfondimento, anche se magistralmente capace di portare avanti il pensiero e le emozioni degli altri.
Solo una cosa, forse, posso dire di invidiargli: la sua famiglia. Comprensibile, visto che mia moglie, da cui sono separato, vive a più di cinquecento chilometri di distanza col nostro unico figlio, che vedo in media una volta al mese.
Ferruccio invece ha per moglie una brillante e stimata docente dell’Università di Bologna, e quattro figli in ascesa sparsi per l’Italia. Ma anche qui, come in gran parte della sua vita, è quasi tutta apparenza. Da anni si vede con la moglie a fine settimana alterni; e quanto ai figli, un giorno mi confidò che i suoi erano sì quattro, ma uno di loro non portava il suo cognome. Era una rivalsa per quello che, pur avendo il suo stesso cognome, non era suo. E ciononostante, la sua era vista da tutti come una famiglia ideale, sempre sorridente e felice; e probabilmente lo era davvero.
L’addio all’ufficio non solo fu triste come mi ero aspettato, ma anche un po’ commovente. Trascorsi poi a casa due lunghissimi giorno divisi tra ozio assoluto, chiamate ad amici e conoscenti e riordinare in casa i resti della mia vecchia vita. Cercavo di ricaricarmi per affrontare la mia nuova esistenza da pensionato, e speravo nel frattempo di avere una risposta dall’azienda sul part-time. Invece l’unica chiamata che ricevetti fu da una segretaria di Ferruccio, per confermarmi l’appuntamento al Tomelli per le 17 del 15.
Il 14 feci in modo di passare davanti a quel cinema. Non era vicino a casa, e nella mia nuova vita avevo deciso di eliminare qualsiasi mezzo a motore per i miei spostamenti (a meno di casi di impellente necessità e urgenza). Però era vicino ad una scuola di pittura, la prima di una serie che avevo intenzione di contattare, e così inclusi nel mio lungo itinerario in bicicletta entrambe le destinazioni.
Il Tomelli era uno di quei cinema in cui fanno un po’ di tutto, non solo proiezioni cinematografiche. Varie locandine e manifesti, spesso artigianali, testimoniavano questo fervore di attività distribuito su due sale, diseguali visto che una era indicata una come Sala Grande
e l’altra come Sala Piccola
. Al mattino si tenevano regolarmente lezione universitarie. Poi c’erano spettacoli teatrali serali e pomeridiani, alcuni dei quali dilettanteschi: non un programma organico, ma ciascuno una cosa a sé, e quasi nessuna replica.
Non mi meravigliai che Ferruccio avesse avuto l’idea di affittarne una sala per la festa. Ma l’unico evento previsto per il pomeriggio del giorno dopo, non alle 17 ma mezz’ora più tardi, era credo una presentazione letteraria.
Elisabetta Santoni e il circolo letterario regionale presentano I RACCONTI PANORAMICI
, con il patrocinio dell’assessorato alla cultura.
L’assessore Ferruccio Dimando era tra i partecipanti.
Eccolo quel briccone del mio amico. Aveva sistemato me e la mia festa (anzi, la nostra festa: il suo trentacinquesimo anniversario di matrimonio, il suo decimo anno da consigliere e la mia pensione) in un buco di mezz’ora tra i suoi impegni. Non un cartello o un avviso (meglio così, forse: c’era solo da farsi ridere dietro). Non potevo credere che sarebbe stata una festa coi minuti contati, e che col panino ancora in bocca (almeno a un rinfresco speravo avrebbe pensato, magari con denaro pubblico!) saremmo stati sfrattati da un gruppo di insulsi conferenzieri pseudointellettuali.
Più probabilmente questa mezz’ora era il tempo che lui ci avrebbe concesso, prima di spostarsi nella sala di fianco a parlare di libri. E in quel poco tempo avrebbero imperversato i suoi discorsi di autoesaltazione. Forse pensava che la mia presenza avrebbe ingrossato il suo pubblico, ma su questo si sbagliava di grosso: se venivo, e a questo punto non ne ero neanche sicuro, sarei venuto da solo, per curiosità, e non certo per fare una figuraccia coi miei conoscenti.
Potete ben capire perciò quale fosse il tono di un centinaio tra domande velenose e osservazioni al vetriolo che avevo intenzione di rivolgergli, appena lo avessi visto o sentito. In più avevo preparato una sfilza di epiteti ingiuriosi e sarcastici da scaricargli contro a raffica, cosa che potevo ancora permettermi in nome della nostra lunga amicizia. Ma la cosa che più mi incuriosiva davvero era vedere fino a che punto fosse cresciuta la sua sfacciataggine, forgiata da anni di intensa attività politica.
Il mattino dopo, per conto di Ferruccio, mi chiamò una certa Elisabetta: la solita segretaria (o forse un’altra, perché stavolta si era presentata).
Mi chiese se sapevo dov’era il cinema, e si offrì